ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 22 settembre 2016

Frutti di stagione?

I FRUTTI DELL'ALBERO

    Ma di quell’albero non devi mangiare i frutti. Le aberrazioni che si verificano allorché gli uomini vogliono ergersi a giudici del bene e del male, secondo una logica laica e secolarizzata, a loro insindacabile giudizio 
di Francesco Lamendola  



Secondo la Bibbia, all’uomo era stato concesso da Dio di mangiare liberamente di qualsiasi frutto degli alberi del Giardino terrestre, con una sola eccezione: i frutti dell’Albero della conoscenza del bene e del male. Dio aveva anche fornito una motivazione per quell’unico divieto: aveva detto ad Adamo e a sua moglie Eva che, se avessero assaggiato di quei frutti, sicuramente sarebbero morti. Dopo di che, non recintò quella pianta, non sorvegliò Adamo ed Eva perché non si avvicinassero a quella parte del Giardino: li lasciò liberi di muoversi a piacer loro, limitandosi a quell’unico, ma chiarissimo avvertimento.

Il pungolo della curiosità, tuttavia, e, insieme ad esso, quello di una sottile invidia, di un sordo rancore nei confronti del Signore, da quel momento, incominciarono a farsi sentire nel cuore dei nostri progenitori: sì, il Giardino terrestre era bello, bellissimo; e tutte le piante e tutti i frutti che in esso crescevano, erano dolci e desiderabili: ma perché proibire loro di assaggiare anche i frutti dell’Albero della conoscenza del bene e del male? Se il Giardino era stato fatto per loro, se loro ne erano, in un certo senso, i padroni, o, quanto meno, i beneficiari, perché non concederne ad essi l’uso totale e incondizionato? Perché far sentir loro che erano solo degli ospiti di lusso; e perché incuriosirli, perché stuzzicarli con quelle misteriose parole? Sembravano le parole di un padre, di un amico; sembravano dettate da sincera sollecitudine nei loro confronti; tuttavia, non celavano forse una punta di diffidenza, di sfiducia nei confronti degli uomini, e nello stesso tempo, quasi una sorta di gelosia, come se Dio temesse di ritrovarsi accanto non più dei sudditi, e sia pure privilegiati, ma dei rivali, delle creature autonome e quindi, potenzialmente, pericolose, appunto perché incontrollabili? Per gli esseri umani, trovarsi di fronte a un divieto e desiderare d’infrangerlo, è una cosa sola: si direbbe che la voglia di trasgredire faccia parte della loro natura.
Così narra il Libro della Genesi (2, 16-17; 3, 1-13):

Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire”. […]
Or il serpente era la  più astuta di tutte le fiere della steppa che il Signore Dio aveva fatto, e disse alla donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino”. La donna rispose al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare; ma del frutto dell’albero che sta nella parte interna del giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, per non morirne”. Ma il serpente disse alla donna: “Voi non morirete affatto! Anzi! Dio sa che nel giorno in cui voi ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male”. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, seducente per gli occhi e desiderabile per acquistare il sapere; perciò prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò.
Si aprirono allora gli occhi di ambedue e conobbero che erano nudi; perciò cucirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture.
Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio, allorché passeggiava nel guardino alla brezza del giorno, e l’uomo fuggì con la moglie dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.  Allora il Signore Dio chiamò l’uomo e gli domandò: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo rumore nel giardino, ed ho avuto paura, perché io sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha indicato che eri nudo? Hai dunque mangiato dell’albero del quale ti avevo indicato di non mangiarne?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu hai messo vicvino a me, mi ha dato dell’albero e io ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Come hai fatto questo?” Rispose la donna. “Il serpente mi ha ingannata  ed ho mangiato”.
La proibizione divina di mangiare i frutti dell’Albero della conoscenza del bene e del male equivale, dunque, alla proibizione solenne, fatta all’uomo, di voler stabilire da se stesso che cosa sia bene e che cosa sia male, cioè di mettersi al posto di Dio come supremo garante dell’etica; e ciò per molte ragioni, ma per una in particolare, che, se l’uomo non fosse accecato dal proprio orgoglio, dovrebbe risultargli immediatamente evidente: l’impossibilità, logica e psicologica, di essere giudice e parte in causa nel medesimo tempo.
È ben per questo che Dio ha stabilito il Decalogo, la legge morale fondamentale, lasciando agli uomini il dovere di osservarlo, ma non la facoltà di modificarlo. La malizia umana, infatti, è così diabolicamente sottile, da trovare sempre delle commoventi e “ragionevoli” eccezioni con le quali far saltare la regola, servendosene come di altrettanti grimaldelli. Il quinto comandamento, ad esempio, dice, nettamente e senza eccezioni: Non uccidere. Ma come si può pretendere che una donna, che è stata vittima di una violenza, metta al mondo il figlio del proprio stupratore? Ed ecco trovata l’eccezione: rispettare il dolore di quella povera donna, non aggravare il trauma che ha subito. Ma se ne possono trovare parecchie altre, magari come constatazioni di una situazione de facto. Di fatto, molte donne praticano l’interruzione volontaria della gravidanza, per svariate ragioni: se la legge non lo consente, lo fanno di nascosto; e lo fanno in circostanze pericolose, con sistemi poco igienici, addirittura primitivi. Dunque, si tratta di scegliere il male minore: gli aborti ci sarebbero lo stesso; vediamo di non mettere a rischio anche la vita di queste donne. Ecco trovata un’altra eccezione al comandamento:Non uccidere.
Ma non c’è solo l‘aborto; c’è anche l’eutanasia. Recentemente, in Belgio, è stata approvata una legge che introduce l’eutanasia anche nei confronti dei minori, se tale è la volontà dei genitori: e la legge è già stata messa in atto, su di un minore di cui non sono state fornire né le generalità, né il sesso. Per tutelare la privacy di quella famiglia, beninteso: una prova di delicatezza. Il bambino soffre, ha un male incurabile: aiutiamolo a morire. È una decisione ingrata, una operazione detestabile, ma bisogna che qualcuno se ne assuma la responsabilità: bisogna risparmiare al bambino delle sofferenze inutili, e, ai suoi genitori, qualunque critica e qualunque censura. Benissimo: ecco un’altra eccezione al quinto comandamento. All’inizio, pare che si tratti solo di pochi casi pietosi: poi, si scopre che sono milioni. Da quando è stata introdotta in Italia la legge sulla libera interruzione della gravidanza, la famigerata legge 194, sono stati praticati 4 milioni e mezzo di aborti; ai quali bisogna aggiungere quelli clandestini, che non sono finiti, anche se la propaganda abortista dell’epoca, in perfetta malafede, ne gonfiò enormemente la consistenza, proprio per esercitare una indebita e ricattatoria pressione emotiva sull’opinione pubblica e sul Parlamento. Ora, anche per l’eutanasia, magari estesa ai bambini, si parla di poche e drammatiche eccezioni, necessarie per motivi umanitari: quanto non è stata sbandierato, a suo temo, il caso di Eluana Englaro? Ma, una volta che l’eutanasia sarà diventata legge, non vi sarà alcun modo di porre dei limiti alla sua applicazione estensiva.
È strano. Finché sono i dittatori a praticare lo sterminio dei più deboli e indifesi, ci s’indigna e si grida allo scandalo; addirittura, ci sono stati dei “filosofi” che si sono chiesti se sia ancora possibile parlare di Dio, parlare di morale, parlare di poesia, dopo Auschwitz. Qualcuno si è chiesto perfino se si possa parlare di Dio dopo il terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016, che ha provocati 297 vittime, forse ricordando quanti si posero la stessa domanda dopo il terremoto di Lisbona del 1755, che però, di vittime, ne fece dalle 10 alle 100.00, e dopo quello di Messina del 1908 , ne fece da 90 a 120 mila (e per il quale non si scomodò nessun Voltaire, come era stato per l’altro). Però, se nel mondo avvengono, ogni anno, 56 milioni di aborti (sono cifre ufficiali fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), nessuno tira in ballo Dio, né la morale, né la poesia; nessuno ci trova niente di particolarmente strano; nessuno, o quasi, ne parla, a cominciare dai giornalisti, dagli scrittori e dagli intellettuali, tutti, più o meno, debitamente progressisti e tutti felicemente democratici. L’Olocausto, ossia il genocidio degli Ebrei, durante la Seconda guerra mondiale, avrebbe fatto, secondo le stime fornite dalla versione “ufficiale” e accettate dalla maggior parte degli storici, circa 5 milioni di vittime. Però nessuno dei nostri maggiori intellettuali si scomoda a denunciare che la legge 194 ha provocato, finora, un numero di vittime innocenti press’a poco dello stesso ordine di grandezza, e ciò nella sola Italia.
Queste sono le aberrazioni che si verificano allorché gli uomini vogliono ergersi a giudici del bene e del male, secondo una logica laica e secolarizzata, a loro insindacabile giudizio: non solo commettono il male, ma si prendono anche il lusso di denunciare il male quando esso fa loro comodo, e di passarlo totalmente sotto silenzio quanto, viceversa, contraddice la loro pretesa di impancarsi ad arbitri del Bene e del Male. La differenza fra la legge di Dio e quella degli uomini  è che la prima si pone come garante superiore rispetto alle umane passioni, mentre la seconda ha la pretesa di stabilire per decreto che cosa siano il bene e il male, non secondo la legge naturale, che ricalca, in forma imperfetta, la legge divina, ma secondo l’ideologia dominante, di volta in volta, in un dato momento storico. Il momento storico che stiamo vivendo, la modernità, è caratterizzato da un lunghissimo, secolare predominio dell’ideologia laicista, progressista, materialista ed edonista: una ideologia che vede nell’uomo solo un organismo biologico un po’ evoluto e dotato di un cervello, e non gli riconosce lo statuto ontologico di creatura, tanto meno il possesso di un’anima immortale e un legame originario con Dio, suo creatore. In compenso, tale ideologia ha una fiducia cieca, totale, assoluta, nel cosiddetto Progresso (anche se non si prende quasi mai il disturbo di darne una definizione; e, in particolare, di specificare se, con questo termine, si possa o si debba includere anche il benessere spirituale, o solo quello derivante dai fattori materiali); e allora, perché non lasciare che sia il Progresso, mediante i suoi strumenti più caratteristici ed efficaci, la scienza e la tecnica, a risolvere, con mezzi indolori e discreti, il problema delle gravidanze indesiderate e quello della morte “pietosa” da riservare ai malati terminali?
Il paragone con le dittature e con i loro crimini avrà certamente suscitato lo stupore, la rabbia, l’indignazione delle anime belle e, soprattutto, politicamente corrette. Certo, è facile scaricare tutta l’esecrazione possibile su di un “mostro” o su di un “pazzo” come Hitler (e anche, ma c’è voluto qualche decennio per accettare e metabolizzare la cosa, come Stalin: perché il comunismo, si pensava, è stato una ideologia buona nelle intenzioni, anche se non sempre nei mezzi, mentre il nazismo era malvagio sia nei fini che nei mezzi). Però, a ben guardare, on ha niente d’irrispettoso, né di provocatorio; e, soprattutto, non ha niente di forzato o di scorretto. Anche le democrazie possono commettere dei crimini morali (si pensi alle bombe atomiche sganciate nel 1945 su Hiroshima e Nagasaki: e ce n’era proprio bisogno?; oppure si pensi ai bombardamenti al napalm sul Vietnam); e non p detto che le commettano solo in tempo di guerra, con la giustificazione dello stati di necessità. Le possono commettere anche in tempo di pace, tranquillamente, ogni giorno, senza scandalo: perché le democrazie si basano sulla volontà della maggioranza; e, se la maggioranza decide che il male diventi un bene, o che il bene diventi un male, chi sarà così arrogante e antidemocratico da volersi opporre alle sue legittime decisioni?
Ha osservato, a questo proposito, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (citiamo brani di interviste da lui rilasciate ai quotidiani Il Corriere della SeraIl Resto del Carlino e L’Avvenire):
Quando il criterio dominante è l'opinione pubblica o le maggioranze vestite di democrazia - che possono diventare antidemocratiche o violente - allora è difficile dire di "no". Perché quindi dire no a varie forme di convivenza stabile giuridicamente, di diritto pubblico, riconosciute e quindi creare figure alternative alla famiglia? Perché dire di no all'incesto, come in Inghilterra dove un fratello e sorella hanno figli, vivono insieme e si vogliono bene? Perché dire di no al partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano? Bisogna avere in mente queste aberrazioni secondo il senso comune e che sono già presenti almeno come germogli iniziali.
Già, appunto: perché l’uomo dovrebbe dire di no a tutte le sue voglie e reprimere i suoi istinti, avendo sia la possibilità che la volontà di soddisfarli?
Se l’uomo è il giudice supremo del bene e del male; se egli è l’arbitro assoluto e il supremo garante della legge morale; se, insomma, egli è  dio, o fa le funzioni di dio, o esercita i poteri di dio: per quale mai ragione dovrebbe trattenersi dal chiamare e decretare che è “bene” tutto ciò che gli fa comodo, e “male” tutto ciò che intralcia e disturba i suoi piani?

Ma di quell’albero non devi mangiare i frutti

di Francesco Lamendola

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