IL SEGRETO DI TERESA DI LISIEUX
Il segreto di Teresa di Lisieux: farsi piccoli come bambini. santa Teresa di Lisieux suora carmelitana a 15 anni e morta di tubercolosi a soli 24: una meteora luminosissima che ha rischiarato la nostra notte
di Francesco Lamendola
Eppure Gesù Cristo lo ha affermato con la massima chiarezza e in forma solenne: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me (Matteo, 18, 3-5). Le Sue parole non si prestano a equivoci: SE NON DIVENTERETE COME BAMBINI, NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI.
Ce ne siamo scordati o non vi abbiamo riflettuto a sufficienza. Ma non se n’era dimenticata santa Teresa di Lisieux (1873-1897), suora carmelitana a quindici anni e morta di tubercolosi a soli ventiquattro: una meteora luminosissima, che ha rischiarato la nostra notte di una luce commovente e quasi incomprensibile per la sua estrema semplicità di vita, mostrando a tutti la sua “piccola via” per giungere a Dio: non quella delle grandi azioni eroiche, ma dei gesti e dei pensieri quotidiani, apparentemente umili e quasi banali, i quali divengono, però, puri e preziosi se vissuti nel costante e indefettibile amor di Dio.
Questa santa bambina, che si proponeva di amare come nessuno mai ha amato finora, ha messo in pratica l’esortazione dei Profeti, di Gesù e dei Padri della Chiesa ad accogliere l’amore di Dio come quello di un Padre, cioè con una fiducia totale e una dedizione incondizionata, vale a dire come farebbe un bambino piccolo nei confronti del suo genitore (che sia il papà o la mamma, ciò è cosa secondaria: Isaia, per esempio, ben prima dell’Angelus di papa Giovanni Paolo I del 10 settembre 1978, aveva paragonato la tenerezza dell’amore di Dio per gli uomini a quella di una madre dolcissima verso il proprio figlio). E se solamente un bambino piccolo può amare suo padre e sua madre con quella fiducia e con quel trasporto illimitati e incondizionati, allora ne consegue che anche noi, benché adulti, dobbiamo farci piccoli; dobbiamo, in un certo senso, ritornare bambini, esattamene come aveva ammonito Gesù in persona.
Lasciamo che i soliti sapientoni saccenti, i soliti fanatici della psicanalisi, freudiana e no, dissertino e arzigogolino sulla teoria secondo la quale la piccola Teresa - rimasta orfana di madre a soli quattro anni e, poi, ”abbandonata” anche dalle due sorelle maggiori, che ne avevano preso il posto, allorché a loro volta erano entrate in convento, prima l’una e poi l‘altra - nel suo amore “fanciullesco” per Dio abbia cercato di ristabilire il proprio equilibrio emotivo, e “risarcire” se stessa per il senso di abbandono provato in quelle circostanze: se si vuole, infatti, per moltissimi eventi soprannaturali – non per tutti, però – la ragione, quando si pone al servizio dell’incredulità, è capace di fornire spiegazioni d’ogni tipo, al fine di smontare e smitizzare ciò che, a prima vista, riesce inspiegabile. Lasciamo questi professionisti dello scetticismo alle loro aride e meschine certezze, perché è proprio dai frutti che si riconosce l’albero. L’albero della vita di santa Teresa è stato così rigoglioso, si è innalzato tanto in alto, da nascondere alla vista la sua cima e da affondare le sue radici nelle profondità insondabili del mistero di Dio: quel che è dato vedere dall’esterno, a noi poveri uomini immersi in una vita puramente materiale, senza splendore, senza bellezza, senza gioia, a causa del nostro attaccamento all’ego, è quel sorriso dolcissimo, indelebile, immutabile, che aleggia sul volto di lei e “buca” le sfuocate fotografie in bianco e nero che documentano fisicamente il suo aspetto e il suo fugace passaggio in questa nostra dimensione terrena.
Il segreto di santa Teresa è tutto lì: in quel sorriso incantevole, fanciullesco, ma tutt’altro che vuoto, tutt’altro che sciocco: in quel sorriso di letizia – lei, povera creatura malata, con una esistenza così difficile dietro le spalle sin dai primissimi anni di età – che ne fa risplendere il viso e che tanto differisce dal sorriso enigmatico, distaccato e lievemente ironico di certi saggi e maestri orientali, i quali sorridono, sì, e anche in maniera benevola, ma sempre come può sorridere un adulto e, per giunta, un intellettuale, senza semplicità, senza innocenza, anzi al culmine di un processo di consapevolezza che solo un sapiente può intraprendere, non certo un bambino.
Invece il sorriso di santa Teresa ha questo di straordinario: è il sorriso di un’anima ritornata fanciulla, secondo la raccomandazione divina; e che è ritornata fanciulla perché ha saputo sciogliersi totalmente nell’amore per Dio Padre, avendo compreso che Egli stesso è Amore, e che ci ama, Lui per primo, d’un amore immutabile, fin da prima che venissimo al mondo, fin da prima che fossimo concepiti nel seno di nostra madre; anzi, fin da prima che il mondo esistesse. Avrebbe potuto amarci di meno, se si è fatto uomo nella persona del Verbo e se ha saputo amare i suoi discepoli, e gli uomini tutti, di un amore incondizionato, sublime, fino alla prova suprema, alla Passione e alla Morte di croce? Ecco: santa Teresa ha “visto”, in un lampo, tutto questo; ha intuito, con portentosa nitidezza, questo mistero abissale, e vi ha risposto nell’unica maniera che sia possibile ad una una creatura umana, ma con slancio e fiducia assolutamente inimitabili: amando totalmente, senza riserva alcuna, Colui che ci ha amati e ci ama a tal segno. Altri santi l’hanno superata nella via della sapienza, della mortificazione, della rinuncia, dell’austerità, forse anche nella via dell’amore attivo; nessuno, forse, l’ha superata, e pochissimi l’hanno eguagliata, nella via della semplicità, della letizia, della contemplazione, nel nascondimento più fiducioso.
Quanto mai appropriate ci sembrano le riflessioni svolte da una anonima suora franco-canadese della Provvidenza, nel suo libro La fede nell’amor di Dio (titolo originale: La foi en l’amour de Dieu, Montreal, Providence Maison Mère, 1946; traduzione dal francese di Carla Ferrario, Milano, Edizioni Paoline, 1955, pp. 138-140):
Talvolta può essere temerario voler interpretar ei pensieri di Dio, ma sembra facile chiarirli di fronte al fatto prodigioso, di cui il nostro secolo è testimonio, in rapporto alla PICCOLA TERESA. Quest’umile fanciulla, morta a ventiquattro anni, non ha fatto niente di più di molte altre anime sante della sua epoca, se non che ha messo nel suo amore per Dio molto più fiducia e tenerezza FILIALI.
Questa è la sua caratteristica ed è inoltre l’oggetto preciso della sua missione: insegnare di nuovo agli uomini a vedere in Dio un vero Padre e a comportarsi con Lui come veri figli. E per dimostrare fino all’evidenza il suo desiderio di essere onorato e servito così, Dio si è compiaciuto di colmare di grazie e in seguito di gloria colei che ha capito tanto bene il suo cuore paterno. L’ha ornata di un fascino naturale e soprannaturale e offrendola al nostro povero mondo, che aveva tanto bisogno di un simile modello, ha accreditato la sua missione con molti miracoli autentici, ne ha fatta una Santa mondiale, invocata da un polo all’altro, apostolo universale dei suoi interessi di quaggiù. Chiaramente quindi possiamo concludere che il desiderio di Dio è che si conosca il suo amore paterno e che vi si corrisponda, con amore e fiducia di figli.
Mi è caro pensare che santa Teresa del Bambino Gesù, quando esprimeva con trasporto il suo desiderio di AMARE COME ANCOR NESSUNO AVEVA AMATO, prendesse particolarmente in considerazione questa caratteristica dominante del suo amore, e cioè loSPIRITO FILIALE. Non fu certo esclusivamente suo, poiché in generale tutti i santi l’hanno posseduto, ma in ei esso ha raggiunti una perfezione raramente uguagliata. Si ha così il dirotto di domandarsi se Dio fu altre volte capito e amato come dalla piccola Teresa. Non voglio qui fare citazioni, […] pure provo il bisogno di dire che l’ammirabile Santa ha attinto la sua fede nell’amore PATERNO di Dio dai sacri testi e soprattutto dal Vangelo.
Sotto ognuna di queste parole ispirate, ella sentiva pulsare il cuore di Dio, Suo Padre, e questi battiti erano pieni di una tenerezza compassionevole. Osservate infatti di quale GENERE sono le dichiarazioni d’amore che la colpiscono di più, non appena apre le pagine della Sacra Scrittura: “Quand’anche una madre dimenticasse il proprio figlio, io non vi dimenticherò mai! Come una madre accarezza il suo bambino, così io vi consolerò; sarete portati sul mio seno, vi cullerò sulle mie ginocchia” (Isaia, 66, 12-13). “Buono e misericordioso è il Signore, lento all’ira e molto benigno” (Salmo 102, 8).
E quando ascolta Gesù che parla di Dio nel Vangelo, ella osserva che egli sempre lo chiama col nome di Padre: “Il Padre… il Padre mio… Il vostro Padre celeste…”. Lo paragona spesso ai padri di quaggiù, per dimostrare che la sollecitudine di costoro verso i figli è soltanto un’ombra di quella che il Padre celeste ha per noi. Così tutta la sua dottrina spirituale contenuta in questa semplice frase: “Viver con Dio, come un figlio”.
Attenzione: dietro tanta semplicità, dietro tanto abbandono, dietro tanta “piccolezza”, vi è una intuizione profondissima, degna della mente dei più grandi teologi: non per nulla Teresa – santificata già nel 1925 – è stata proclamata dottore della Chiesa. Nello stesso tempo, però, la devozione verso di lei non ha fatto che crescere anche fra le persone semplici, ed esercita un fascino strano, quasi inesplicabile: la basilica di Lisieux, nella Bassa Normandia, costruita in suo onore dopo la morte, è diventata il luogo di pellegrinaggio più frequentato della Francia, dopo la Basilica dell’Immacolata Concezione di Lourdes, dove la Vergine apparve a Bernadette nel 1858.
Tutta la sua esperienza di vita interiore si può riassumere nelle parole da lei stessa adoperate: La mia vocazione è l’amore. Il messaggio del Vangelo di Gesù, la Buona Novella cristiana, si sa, è l’amore; e si sa anche che, senza l’amore, tutte le altre virtù “cristiane” si offuscano, perdono di significato: solo santa Teresa, però, e pochissime altre anime come la sua, hanno saputo trarne le debite conclusioni e fare della propria vita, con una tale meravigliosa semplicità e naturalezza, una ghirlanda fiorita di perpetuo amore.
Vale la pena di riportare per esteso le sue parole, tratte dalla sua autobiografia Storia di un’anima, che resta uno dei testi più vivi e coinvolgenti di tutta la letteratura cristiana: Ho capito che l’amore chiude in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, in una parola, che è eterno. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: Gesù, amore mio, la mia vocazione l’ho trovata finalmente, la mia vocazione è l’amore! Nel cuore della Chiesa mia madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto… e il mio sogno sarà realizzato.
Quale abissale profondità in questa conclusione: IO SARÒ L’AMORE; COSÌ SARÒ TUTTO. Non si poteva dare una lezione magistrale più superba a tutti i teologi e a tutti i professori di filosofia; non si poteva esprimere con più forza e con maggiore, più perfetta semplicità, una verità tanto bruciante e sconvolgente, che deriva dalla libertà dell’uomo di poter scegliere fra l’Amore di Dio e il rifiuto di esso: IO SARÒ L’AMORE, E COSÌ SARÒ TUTTO. La Chiesa sapeva bene quel che faceva, quel 19 ottobre 1997, allorché Giovanni Paolo II proclamò santa Teresina “dottore della Chiesa”; la terza donna a ricevere un tale riconoscimento, dopo Caterina da Siena e Teresa d’Avila.
Né bisogna lasciarsi ingannare da quel sorriso radioso, fanciullesco. La vita di lei fu difficile; ella fu provata dal Calvario della malattia e conobbe, come altri grandi santi e sante, la “notte dell’anima”; ma non fu la vita di una vittima inerme. Al contrario: santa Teresina credeva profondamente nel valore della sofferenza, tanto è vero che il 9 giugno 1895, festa della Santissima Trinità, volle offrirsi in olocausto all’amore misericordioso di Dio. È un gesto che oggi, a molti, anche fra i cosiddetti cattolici, riesce difficile da comprende; e non mancano i teologi modernisti e i preti progressisti che scuotono il capo e parlano (o pensano, se pure non osano dirlo, per un residuo di pudore o per ipocrisia) che Dio non ha bisogno di simili offerte, e non gradisce che una fanciulla desideri soffrire in riparazione del male commesso dai peccatori impenitenti. Padronissimi di pensarlo: la Chiesa, però, non è mai stata della loro opinione; e se oggi, per caso, il Magistero è cambiato su questo punto, ci piacerebbe saperlo; se no, fino a prova contraria, continuiamo a credere che un atto di offerta come quello di santa Teresa abbia un grandissimo valore e sia realmente efficace nell’economia del progetto divino riguardo all’umanità. Certo, qui c’è un mistero abissale: come possono il sacrificio volontario e la sofferenza di una persona innocente “bilanciare” il male compiuto da altri? Non è questo un pensiero inaccettabile, forse perfino contrario al nostro senso morale? Ah, il Diavolo che si serve dell’astuzia della ragione per confonderci… Forse che la richiesta di Dio ad Abramo, di sacrificargli il figlio Isacco, non era “scandalosa” e “inaccettabile”?
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