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lunedì 10 ottobre 2016

Quali sono le vere ragioni del libro?


                              Un libro pieno di dubbi


Il libro di Benedetto XVI, “Ultime conversazioni”, è stato celebrato su tutti i giornali ed è nella classifica dei libri più venduti, ma è stato veramente letto e capito?

Il primo enigma è il libro stesso. Il 14 febbraio 2013, tre giorni dopo l’annuncio del ritiro (che sarebbe scattato formalmente dal 28 febbraio), il papa annunciò solennemente: “Rimarrò nascosto al mondo”.
Invece, passati tre anni, esce addirittura un best-seller (oltretutto aveva affermato pure che dopo la trilogia su Gesù non ci sarebbero stati altri libri). Perché?
Com’è possibile che un uomo rigoroso, sempre lontano da qualunque protagonismo, di colpo rinneghi clamorosamente la sua decisione di star nascosto? Quali sono le vere ragioni del libro?

Possibile che un grande teologo, che ha centinaia di pubblicazioni, uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, dal carattere così timido, uno che è addirittura papa, a quasi 90 anni, venga meno all’impegno di stare nascosto perché sente il bisogno di raccontare aneddoti come il “marameo” della zia Theres o i membri della Commissione teologica che “sbevazzano” allegramente in Trastevere? Inverosimile.

DIETRO L’ASSURDO

Ci sono poi le affermazioni improbabili con le quali Benedetto sembra dirci (implicitamente): non posso rivelare come stanno veramente le cose.
Anzitutto sulla causa del suo ritiro. Già una volta, nel febbraio 2014, liquidò chi voleva sapere perché era rimasto “papa emerito”, vestito da papa, con una risposta surreale: “nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti”.

È ovviamente assurdo pensare che sia rimasto papa emerito per motivi sartoriali (cioè perché in due settimane – dall’11 al 28 febbraio – non si poteva trovare una tonaca nera in Vaticano…).
Altrettanto assurdo è ammettere che si sia dimesso – come si legge nel libro – a causa del fuso orario. Racconta infatti che si era affaticato nel viaggio in Messico del 2012 e pensando che sarebbe stato troppo stressante partecipare alla Giornata Mondiale della gioventù di Rio de Janeiro del luglio 2013, si è dimesso da papa.
È una risposta ancora più incredibile di quella sull’abito e ancora una volta sullo stesso “tema sensibile” su cui – evidentemente – non può o non vuole parlare.
Infatti il papa sa benissimo che nella dottrina cattolica la rinuncia al papato può avvenire solo per motivi “gravissimi” (la perdita delle capacità mentali per malattia), altrimenti è una seria colpa morale: è evidente che il viaggio a Rio non è certo una ragione gravissima, come è evidente che Benedetto non è uomo che voglia incorrere con spensieratezza in una seria colpa morale.
Oltretutto la spiegazione addotta è del tutto inverosimile. Infatti a scelta fra il papato e la partecipazione alla Gmg, è razionale e morale rinunciare alla seconda, non certo al papato.

Anche perché Benedetto avrebbe comunque potuto partecipare alla Gmg in collegamento video da Roma in quanto, anche se fosse andato fisicamente, la gran parte dei giovani l’avrebbe visto solo sullo schermo.
Infine c’è un’ultima ragione che taglia la testa al toro. Ratzinger spiega che la Gmg di Rio doveva svolgersi nel 2014, ma “era stata anticipata di un anno per via dei mondiali di calcio”. Senza questo anticipo “avrei cercato di resistere fino al 2014”.
Qui siamo all’assurdo. Perché ad anticipare al 2013 la Gmg può essere stato solo il Vaticano: se proprio si voleva evitare la coincidenza con i Mondiali, si poteva benissimo posticipare la Gmg al 2015 (anziché anticiparla al 2013).
Insomma, c’erano mille modi per risolvere i problemi. L’unica scelta inammissibile era la rinuncia al papato per la Gmg. Soprattutto sapendo che il papa poteva benissimo arrivare al 2014 (lo dice lui stesso).

ALTRI ENIGMI

E poi perché una rinuncia così precipitosa? Perché dimettersi a febbraio quando la Gmg ci sarebbe stata a luglio?
Benedetto XVI ha addirittura lasciato a metà la sua enciclica più importante, quella sulla fede, e anche l’Anno della fede.
Chi conosce il suo abituale rigore ritiene che egli non è uomo da lasciare così a metà un’opera tanto attesa e tanto importante del suo ministero. Perché allora quella fuga precipitosa?

Il libro è pieno di contraddizioni e incongruenze di questo tipo. Clamorosa per esempio la sua risposta sullo Ior, dove Benedetto si assume la responsabilità personale di tutte le scelte.
Qualcuno ha sostenuto che così avrebbe rivendicato anche la rimozione di Ettore Gotti Tedeschi. In realtà Benedetto non fa il suo nome e sembra riferirsi confusamente ad altre vicende.
In ogni caso è impreciso e soprattutto sappiamo che il suo segretario, mons. Georg Gaenswein, aveva rivelato, il 22 ottobre 2013, al “Messaggero”, che Benedetto XVI era all’oscuro della cacciata del presidente dello Ior: “Benedetto XVI che aveva chiamato Gotti allo Ior per portare avanti la politica della trasparenza restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore”.
Ci sono altri punti interrogativi.

I DUE PAPI

I giornali hanno insistito sugli elogi di Benedetto a Francesco. Ma hanno dimenticato di riferire che quelle riportate nel libro sono interviste realizzate nei primi mesi di pontificato di Bergoglio (luglio e dicembre 2013, e febbraio 2014), quando il papa argentino aveva firmato l’enciclica sulla fede, di fatto, già scritta da Benedetto. Io stesso – nei primi mesi – guardavo positivamente a papa Bergoglio.
Del resto ci sono anche punture critiche (“se un papa ricevesse solo gli applausi dovrebbe chiedersi se non stia facendo qualcosa di sbagliato”).
E poi, come Pollicino, Benedetto XVI sembra disseminare il libro di segnali che aumentano il mistero della sua attuale situazione di papa emerito e sulla compresenza di due papi.
Dove per esempio, dice che la sua “non è una fuga, ma un altro modo di restare fedele al mio ministero”. Dove spiega che egli continua ad essere papa “in un senso interiore” e dove addirittura ipotizza di essere l’ultimo papa (“tutto può essere”).

Cenni che alimentano il mistero. E che vanno nella direzione dell’esplosiva conferenza di mons. Gaenswein del 21 maggio, dove spiegò che “egli non ha abbandonato l’ufficio di Pietro”.
Ma allora cosa è successo in Vaticano?
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Antonio Socci
Da “Libero”, 9 ottobre 2016

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