ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 gennaio 2017

Chi ha orecchi per intendere…?

La giornata della pace. E dell’amnesia 

Divagazioni sul messaggio di Bergoglio del 1° gennaio 2017.                                                                                   
di Marco Manfredini
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Nel messaggio del Santo Padre per la cinquantesima giornata della pace si cita madre Teresa quale portatrice di “nonviolenza attiva”, con alcuni passaggi il cui senso è riportato da quanto segue:
Quando Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male che c’è nel mondo».
Occorre constatare che purtroppo, a parte un fugace accenno a “l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella abbandonata e scartata”, è stata inspiegabilmente omessa la parte centrale e più significativa, sull’argomento pace, del messaggio della Santa:
Queste sono cose che distruggono la pace, ma io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. E leggiamo nelle Scritture, perché Dio lo dice molto chiaramente: “Anche se una madre dimenticasse il suo bambino, io non ti dimenticherò. Ti ho inciso sul palmo della mano”. Siamo incisi nel palmo della sua mano, così vicini a Lui che un bambino non nato è stato inciso nel palmo della mano di Dio.

[…]
E questo è ciò che è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla.
Parole di una chiarezza e di una verità disarmanti, che tuttavia (o proprio per questo?) non hanno trovato posto nel messaggio del Pontefice, che preferisce ecumenicamente attingere ad esempi non cattolici, come Martin Luther King e Leymah Gbowee, o nemmeno cristiani, come Gandhi, utilizzandoli alla stregua di santini pacifisti come usavano fare certi movimenti dalle bandiere colorate, ormai passati di moda anch’essi.
Per adeguarci alla moda di cercare ciò che unisce piuttosto di ciò che divide, nonché di riconoscere semi di bene là dove abbonda l’errore, e tutto il resto della mercanzia modernista, visto che vengono citati, piacerebbe fare notare che su alcuni argomenti King e Gandhi avevano idee che alle orecchie felpate del credente moderno e alle bocche delicate del pastore di mondo, possono apparire sconvenientissime. Ad esempio, la grande anima indù su alcuni temi scottanti era più comprensibile di quanto non sia la nostra povera Chiesa della misericordina:
Mi sembra chiaro come il sole che l’aborto sia un delitto. Innumerevoli mariti sono responsabili della stessa colpa di questa povera donna, ma nessuno ne ha mai chiesto conto ad essi. La società non solo li scusa, ma non ne ha nemmeno biasimo. Inoltre, la donna non può nascondere la sua vergogna, mentre l’uomo può nascondere con successo il suo peccato.
Dove veniva denunciata non solo la delittuosità dell’aborto, ma anche la correità dell’uomo in questa abominevole pratica.
Gandhi aveva altresì intuito che non potesse esservi pace tra gli individui e tra le nazioni senza una costante ricerca della verità. Quindi, conformemente a quanto ha sempre insegnato la Chiesa fino a poco tempo fa, la verità viene prima della pace. Infatti obiettivo primario è la verità, e la pace ne è una conseguenza. Se capovolgiamo i termini, perdendo di vista il vero obiettivo, si capovolgeranno anche i risultati (eterogenesi dei fini).
Gandhi, che non essendo cristiano partiva con un handicap di non poco conto, riuscì comunque a riconoscere diverse verità sulla natura umana. Anche in merito alla non-violenza, di cui è universalmente riconosciuto come il massimo esponente teorico e pratico, andrebbero evidenziati alcuni aspetti che credo siano poco noti, perché presentati in modo parziale e distorto. Eccone alcuni brani significativi:
Tuttavia, sebbene la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione. […]
Se un uomo combatte con la spada da solo contro un’orda di briganti armati fino ai denti, io dico che combatte in modo quasi non-violento. Non ho forse detto alle nostre donne che se in difesa del loro onore avessero usato le unghie e i denti o anche la spada, avrei considerato la loro condotta non-violenta?
E ciò che vale per il singolo, non può non valere anche per le comunità, le nazioni. Oppure questo, ancora più esplicito:
Uccidere può essere un dovere. […] In alcuni casi può essere necessario perfino versare sangue umano. Supponiamo che un uomo venga preso da una follia omicida e cominci a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli si pari dinnanzi, e che nessuno abbia il coraggio di catturarlo vivo. Chiunque uccida il pazzo otterrà la gratitudine della comunità e sarà considerato un uomo caritatevole. Dal punto di vista dell’ahimsa [non-violenza, ndr], è chiaro dovere di ciascuno uccidere un simile uomo. […] Colui che non uccide un assassino che sta per uccidere suo figlio (quando non può impedirglielo in altro modo) non ha alcun merito, ma commette peccato; egli non pratica l’ahimsa, ma l’himsa [violenza, ndr], a causa di un’errata concezione dell’ahimsa.
E per chiarire cosa intendesse:
Il fatto è che ahimsa non significa semplicemente non uccidere. Himsa significa causare sofferenze o uccidere per ira, per un fine egoistico o per volontà di fare del male. L’haimsa è l’astenersi da tutto ciò.
Spiegata in questo modo, la non-violenza gandhiana è sì interessante, ma non è che sia questa grande scoperta. I cristiani la conoscono da qualche millennio, sotto la forma del V° comandamento nella traduzione di “Non assassinare”, cioè “Non versare sangue innocente”, con tutte le implicazioni che ne conseguono.
Interessante anche il fatto che per lui, il satyagrahi, cioè il combattante non-violento, non poteva essere tale senza la fede in Dio, visto che Dio e verità si identificavano. A chi gli chiedeva quindi se socialisti e comunisti, in quanto atei, potessero essere dei satyagrahi, rispondeva:
Temo di no. Un satyagrahi non ha altro sostegno che Dio, e chi ha qualsiasi altro sostegno o si affida a qualsiasi altro aiuto non può praticare il satyagraha.
Se a questo aggiungiamo il fatto che riteneva impossibile praticare il satyagraha al servizio di una causa ingiusta, e i suoi continui richiami alla castità quale virtù necessaria senza la quale la mente non può raggiungere la necessaria fermezza, ce n’è in abbondanza per squalificare dal gioco della pace alcuni grandi amici del nuovo clero, tra cui il mai compianto Pannella e quei quattro o cinque seguaci sopravvissutigli. Furono questi infatti grandi campioni al servizio delle cause più ingiuste, miscredenti anticlericali e pubblici sostenitori del vizio sessuale: l’esatto contrario del satyagrahi gandhiano al quale dicevano di ispirarsi, sostenendo di praticare una forma di lotta non-violenta, probabilmente senza sapere nemmeno di cosa stavano parlando. O, se lo sapevano, millantando spudoratamente.
Anche il reverendo King, nonostante le sue battaglie per i diritti civili (diritto di voto, di non essere discriminati) siano state estese in seguito da altri anche a diritti altamente incivili (unioni gay, aborto, eutanasia, eccetera), aveva su alcuni temi idee cristalline, al confronto delle quali i pronunciamenti dei pastori cattolici di oggi sembrano degli innocui balbettii.
Sull’aborto il suo pensiero è così sintetizzato:
Il negro non può vincere [le sue battaglie per i diritti, ndr] se è disposto a sacrificare il futuro dei suoi figli per un suo immediato e personale benessere e sicurezza. Qualunque ingiustizia è una minaccia per la giustizia ovunque.
Ma essendo qua al limite dell’ovvietà per qualsiasi persona che fa buon uso della ragione, ancor più positivamente sorprendente è questa sua risposta al quesito di un omosessuale:
Domanda: il mo problema è diverso da quelli della maggior parte della gente. Sono un ragazzo, ma provo nei confronti dei maschi ciò che dovrei sentire per le femmine. Non voglio che i miei genitori lo sappiano. Cosa posso fare? C’è un qualche posto dove posso chiedere aiuto?
Risposta [di MLK]: il tuo problema non è affatto insolito. Comunque, richiede la massima attenzione. Ciò che provi nei confronti dei ragazzi probabilmente non deriva da una tendenza innata, ma qualcosa che è stato culturalmente acquisito. Le ragioni di questo sono state consciamente soppresse o inconsapevolmente represse. Pertanto è necessario affrontare questo problema tornando ad alcune delle esperienze e circostanze che ti hanno condotto ad assumere quest’abitudine. Perciò ti suggerisco di andare da un buon psichiatra che ti può assistere nel far riemergere tutte quelle esperienze e circostanze che hanno portato a questo. Sei già sulla giusta via verso una soluzione, da quando hai onestamente riconosciuto il problema avendo il desiderio di risolverlo.
Nel 1958 anche un pastore protestante chiamava ancora le cose col loro nome: l’omosessualità veniva riconosciuta come un problema, per tentare di risolvere il quale occorreva scavare nel vissuto. Addirittura veniva chiaramente considerato un atteggiamento culturalmente acquisito, al contrario di ciò che accade oggi, quando ci vogliono far credere che l’essere maschio o femmina è un’imposizione culturale, mentre bisognerebbe poter essere “liberi” di scegliere il proprio orientamento.
*  *  *
Quando si parla di pace e di non-violenza, non si può prescindere dal richiamare il discorso della montagna, come avviene nel messaggio papale dove il discorso viene indicato quale “’manuale’ di questa strategia di costruzione della pace”; anche King e Gandhi vi facevano spesso riferimento. Tuttavia, ai nostri alti pastori, che vanno volentieri a braccetto col mondo, andrebbe umilmente rimarcato che più che un manuale di strategia per costruire la pace, esso è un manuale per salvare la propria e altrui anima, e proprio per questo non vi troviamo scritto:
Beati voi quando vi esalteranno, vi adoreranno e, gaiamente, vi dedicheranno la copertina di riviste patinate.
Bensì:
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Ma interloquire con un clero che sostiene che “Nessuna religione è terrorista”, dopo ciò che sta accadendo, e quando tutte le false religioni in pratica o in potenza lo sono, proprio in quanto fondate sull’errore (e da errore a terrore il passo è breve), pare essere un’impresa più inutile che difficile. Da un clero che continua a spacciare per buona un’esortazione che ha gettato nel caos la cristianità, e demonizza chi sente il dovere di chiarire qual è il vero insegnamento della Chiesa, non ci si può aspettare granché.
Essendo dunque il mahatma molto apprezzato in Vaticano, sarebbe bello e istruttivo che ai vertici si ricordassero anche di questo suo passaggio, in merito alla richiesta di spiegazioni postagli da un reverendo, su una questione per lui un po’ spinosa:
Tacere esponendosi al rischio di essere frainteso sarebbe una comoda via di uscita dalla difficile situazione in cui mi trovo. […] Ma sarebbe scortese non rispondere a delle domande poste nel più amichevole dei modi.
Chi ha orecchi per intendere…

– di Marco Manfredini

Redazione3/1/2017

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