La ricostruzione delle chiese non può non essere una
priorità per l'Ue ed il governo italiano, in gioco c'è l'identità di un
continente intero.
Ospite sgradito e tragicamente familiare, il terremoto è
tornato a bussare alle porte degli italiani scuotendone le case e – con esse-
quella sicurezza sociale che da sempre rappresentano nell’immaginario
collettivo. La congiuntura con l’ondata di maltempo, fatalmente, ne ha
riproposto il suo carico di morte oltre che di distruzione. La scossa del 18
Gennaio ha ricondotto l’attenzione del Paese sul dramma che dal 24 Agosto
scorso sta vivendo quotidianamente la popolazione delle zone colpite: la
sepoltura di parenti ed amici, risparmi e ricordi di una vita finiti sotto le
macerie, il gelo e gli sciacalli, le pastoie burocratiche e la corsa della
solidarietà che rallenta. Un tale disastro naturale, oltre ad aver procurato
insanabili sofferenze individuali, rischia di mettere a repentaglio l’esistenza
stessa di intere comunità, fiaccate dalla devastazione dei tradizionali
contesti aggregativi, dal conseguente stravolgimento del tessuto sociale e
dalla necessità di una ricostruzione veloce e non troppo divisiva.
Gli eventi sismici degli ultimi mesi si sono scagliati con particolare virulenza contro il patrimonio storico dell’Italia centrale, annientando la ricchezza artistica di gioiellini medievali e rendendo ancora più intenso il disagio psicologico dei loro abitanti. Ad essere in pericolo non sono soltanto la stabilità abitativa e l’assetto commerciale, ma la stessa dimensione identitaria dei centri colpiti. Infatti,con il crollo degli edifici più simbolici, è venuta meno la riconoscibilità dei caratteri urbani che esprimeva l’identità comunitaria. Una questione, questa, da non sottovalutare anche sul piano pratico perché potrebbe favorire processi di spopolamento se l’identità originaria non venisse recuperata o finisse stravolta nel corso della ricostruzione. Se l’anima di tanti centri dell’Italia appenninica è rimasta inalterata fino ad oggi nonostante una storia costellata da terremoti altrettanto distruttivi ed altre catastrofi, lo si deve soprattutto all’intelligenza dei soggetti istituzionali dell’epoca che decisero di ricostruire partendo dai luoghi più rappresentativi per le comunità. E i luoghi più rappresentativi per le comunità della Penisola sono da sempre quelli riconducibili ai due tratti identificativi della Storia nazionale: i municipi, espressione delle libertà comunali e le chiese, espressione della fede cristiana.
Per questo, ad esempio, la riedificazione di L’Aquila dopo i
due tremendi terremoti che la distrussero nel XV e nel XVIII secolo, ripartì
proprio dalle chiese. Una scelta vincente che contribuì alla successiva
“rinascenza aquilana” e che sarebbe miope non tenere in considerazione come un
modello valido anche oggigiorno. La drammatica immagine della Basilica di San
Benedetto a Norcia distrutta dopo il 30 Ottobre scorso è stata assurta ad
emblema dei danni inflitti al nostro ricchissimo patrimonio artistico dalla
furia sismica. Nelle rovine dell’importante luogo di culto umbro, dedicato al
santo Patrono d’Europa, alcuni osservatori hanno, però, riscontrato anche il
concretizzarsi sul piano simbolico di un processo già in atto sul piano
pratico: la perdita delle proprie radici cristiane da parte del vecchio
continente. La condizione di smarrimento identitario in cui la distruzione
della Basilica ha fatto precipitare gli abitanti di Norcia, può essere
paragonata a quella in cui brancolano gli europei da quando la tendenza a
rinnegare la cultura cristiana come radice stessa del nostro continente è
divenuta predominante. Una tendenza alla cui affermazione hanno contribuito non
poco gli organismi istituzionali a Bruxelles, gli stessi a cui spetta l’onere
di finanziare la ricostruzione post-terremoto e che, quindi, probabilmente
influenzeranno anche le modalità con cui questa verrà realizzata.
E’ legittimo, dunque, preoccuparsi circa la futura
ricostruzione post-sismica dal momento che, a doversene fare carico, sarà una
classe dirigente così poco sensibile al tema dell’identità culturale. Chi,
invece, ha ripetutamente dimostrato di dare grande importanza alla questione è
Viktor Orban, primo ministro ungherese dal 2010. Lo statista magiaro non ha mai
nascosto di considerare il cristianesimo come l’imprescindibile comun
denominatore della civiltà europea. Una convinzione che ha portato il suo
governo a finanziare il restauro della Chiesa del Sacro Cuore di Tolentino
colpita gravemente dalla scossa del 30 Ottobre. Non un semplice atto di
beneficenza, ma la testimonianza dell’impegno del governo ungherese in difesa
dell’identità cristiana del continente come, commentando la sua decisione, ha
confermato lo stesso Orban per il quale:
«Il futuro dell’Europa sta nella riconquista delle sue
radici cristiane che costituiscono ancora la forza comunitaria più importante
che qualsiasi città o paese possa avere»
La speranza è che la tempestività dell’intervento ungherese
a Tolentino e le motivazioni che lo hanno determinato, possa servire da esempio
anche per la classe dirigente italiana che, nei giorni immediatamente
successivi al sisma e sull’onda dell’emotività popolare per le immagini della
Basilica di San Benedetto, aveva promesso una veloce ricostruzione delle chiese
distrutte. Uno scenario diverso da quanto, invece, è avvenuto in Emilia Romagna
dopo il terremoto del 2012 dove, prendendo in considerazione solo l’esempio
della diocesi di Carpi, dopo cinque anni sono state restaurate appena 4 chiese
su 43. Sarebbe auspicabile non assistere anche stavolta agli errori visti nel
decantato “modello Emilia” ed impostare la fase post-sisma non trascurando la
ricostruzione degli edifici – simbolo. Anche perché, il dramma vissuto ha
risvegliato negli abitanti delle zone colpite la consapevolezza sull’importanza
di strutture come chiese o municipi nel determinare l’identità specifica della
comunità d’appartenenza. Tanto più che, come diceva Chesterton,
«Il vero modo per amare qualsiasi cosa consiste nel renderci
conto che la potremmo perdere».
di Nico Spuntoni - 23 gennaio 2017
http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/terremoto-centro-italia-chiesa-norcia-orban-ungheria/
Sul senso profondo di certi accadimenti – di Marco Sudati
25/1/2017
di Marco Sudati
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La gravissima situazione che stanno vivendo le popolazioni di alcune regioni del Centro Italia – in un incredibile crescendo di tragici eventi calamitosi, che ai devastanti effetti del terremoto ha visto aggiungersi le ulteriori grandi difficoltà provocate dall’inclemenza delle condizioni meteorologiche (freddo intenso e copiosissime nevicate) – può essere vista come una lezione impartita ad un certo tipo umano, preda del delirio di onnipotenza.
Dinnanzi alle calamità naturali, infatti, si manifestano in tutta la loro evidenza i limiti della condizione umana. Limiti che ricordano all’uomo cosa egli sia: creatura caduca, dipendente e subordinata, esposta a dinamiche che non può determinare in alcun modo, ma solo, ed in parte, fronteggiare. In breve, certi fatti ricordano all’uomo di non essere il padrone assoluto del creato e della vita.
Certamente, per ricordare agli esseri umani i loro limiti non sarebbero necessari eventi catastrofici come quelli occorsi ai nostri connazionali dell’Italia centrale: le malattie, gli incidenti stradali – la morte stessa – sarebbero più che sufficienti allo scopo. Ma il ridicolo e vano sforzo da parte di chi vuole confondere gli uomini, illudendoli di essere prossimi all’onnipotenza, evidentemente richiede bruschi risvegli: metaforiche secchiate d’acqua gelata. Bruschi risvegli, appunto, capaci di provocare indicibili sofferenze a tante persone che nulla c’entrano col suddetto delirio di onnipotenza di quei pochi invasati e menzogneri, purtroppo in grado di influenzare gli stili di vita di molti.
Dell’evento catastrofico provocato da cause naturali, occorre sforzarsi di comprendere il significato metafisico e teologico, ossia capire ciò che sta oltre il dato meramente fisico ed il senso che alla luce della scienza di Dio gli si può attribuire. Un approccio alla realtà, questo, che dovrebbe riguardare ogni ambito della vita umana, il senso pieno della quale è – come la Rivelazione cristiana e la più profonda filosofia umana insegnano – ultraterreno, ovvero volto all’eternità.
Qual è, allora, il senso profondo di certi accadimenti e della sofferenza che arrecano a moltissimi innocenti?
Si può, innanzitutto, osservare come l’accadimento di eventi catastrofici susciti la manifestazione delle migliori qualità umane: la compassione e l’aiuto disinteressato verso chi soffre; il coraggio e la fortezza di chi affronta i pericoli resistendo a condizioni proibitive; il senso di appartenenza e di vicinanza alla comunità colpita; il riferimento al Cielo – alla divinità – quale vera fonte di consolazione e di speranza. Nella prova e nella sofferenza ci si ritrova ad essere moralmente migliori, si è spinti dalle circostanze a vincere ciò che abbassa e offende la dignità della natura umana ed a compiere lo sforzo di elevarsi nella pratica delle virtù.
Sia chiaro, non si tratta di auspicare disgrazie – le quali sono logicamente da temere – ma di riconoscere come la sofferenza – la quale, lo si voglia o no, fa parte della vita di ciascuno – costituisca un’occasione di rivalsa delle migliori qualità umane, spesso mortificate dalle bassezze a cui sovente conduce una vita priva di tensione morale verso ciò che eleva lo spirito e, perciò, segnata dal cedimento al vizio.
Cercando di rispondere alla domanda appena posta sul significato che può avere tanta sofferenza, soprattutto quella arrecata agli innocenti, occorre guardare a Dio come unico riferimento capace di fornire risposte. Dio, che è sommo bene, permette il male in vista del bene. Il male – che non è un principio, bensì una privazione di bene – è entrato nella storia dell’umanità a causa del peccato che ha rotto la perfetta comunione esistente fra il Creatore e la creatura umana.
In breve, Dio permette la sofferenza degli innocenti perché c’è stato il peccato originale e perché esistono i peccati attuali. Inoltre, in virtù del principio della comunione dei santi – secondo il quale tutte le membra della Chiesa, corpo mistico di Cristo, risentono sia del bene che scaturisce dalla vita virtuosa dei battezzati, sia del male procurato dai peccati da loro commessi – si può affermare che gli effetti delle opere buone o cattive compiute dagli uomini si riflettono in disparati modi anche nella vita sociale e delle nazioni.
Il male esiste per la disobbedienza dell’uomo al suo Creatore e Signore, il quale, però, attraverso l’incarnazione e la passione di Gesù Cristo, ha operato la Redenzione dell’umanità, ossia ha riaperto agli uomini le porte del Paradiso, rese inaccessibili dal peccato d’origine. La Redenzione è avvenuta attraverso la via della sofferenza, un’immane sofferenza patita dall’essere innocente per antonomasia: Gesù Cristo – la seconda persona della Santissima Trinità – Dio fatto uomo.
L’opera di Redenzione – ovvero di restaurazione dell’ordine infranto – volta a sconfiggere il male, passa, dunque, attraverso la sofferenza: Dio si serve del male – da Lui non voluto, ma permesso – per sconfiggerlo e affermare il bene. Questo è quanto la divina sapienza ha stabilito.
La sofferenza patita dall’Innocente è stata il mezzo voluto da Dio per la Redenzione dell’umanità. Un’opera, quella della Redenzione, a cui il Padre Eterno ha concesso all’uomo di collaborare attraverso l’offerta dei propri patimenti a Dio, in unione spirituale con quelli del Redentore Gesù Cristo: se l’uomo offre le proprie sofferenze a Dio, con la volontà di unirle a quelle di Gesù per il desiderio di patire insieme al suo Signore nell’opera di Redenzione – dicendo con San Paolo “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col. 1,24) (1) – allora egli diviene davvero collaboratore di Dio prolungando nel corpo mistico di Gesù, i patimenti meritori del Figlio incarnato a vantaggio proprio e delle altre membra di quel corpo (gli altri fedeli).
Alla luce della teologia – che è la scienza di Dio secondo la Rivelazione – nulla di inspiegabile, quindi, nella sofferenza che può affliggere gli innocenti. Realtà tremenda, la cui ragione sta nella presenza del peccato.
Nel caso specifico degli eventi calamitosi che stanno patendo i nostri connazionali, non è banale vedere in essi un’occasione di sofferenza da offrire al Signore anche per il bene della Patria. Guardando i volti sofferenti di quegli italiani – duramente provati dalla perdita di affetti, beni materiali e da grandi disagi – ognuno di noi è sollecitato non solo a contribuire, come possibile, al loro soccorso, ma anche e soprattutto a sentirsi membro di un unico organismo sociale chiamato Italia.
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fonte: Ordine Futuro
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La gravissima situazione che stanno vivendo le popolazioni di alcune regioni del Centro Italia – in un incredibile crescendo di tragici eventi calamitosi, che ai devastanti effetti del terremoto ha visto aggiungersi le ulteriori grandi difficoltà provocate dall’inclemenza delle condizioni meteorologiche (freddo intenso e copiosissime nevicate) – può essere vista come una lezione impartita ad un certo tipo umano, preda del delirio di onnipotenza.
Dinnanzi alle calamità naturali, infatti, si manifestano in tutta la loro evidenza i limiti della condizione umana. Limiti che ricordano all’uomo cosa egli sia: creatura caduca, dipendente e subordinata, esposta a dinamiche che non può determinare in alcun modo, ma solo, ed in parte, fronteggiare. In breve, certi fatti ricordano all’uomo di non essere il padrone assoluto del creato e della vita.
Certamente, per ricordare agli esseri umani i loro limiti non sarebbero necessari eventi catastrofici come quelli occorsi ai nostri connazionali dell’Italia centrale: le malattie, gli incidenti stradali – la morte stessa – sarebbero più che sufficienti allo scopo. Ma il ridicolo e vano sforzo da parte di chi vuole confondere gli uomini, illudendoli di essere prossimi all’onnipotenza, evidentemente richiede bruschi risvegli: metaforiche secchiate d’acqua gelata. Bruschi risvegli, appunto, capaci di provocare indicibili sofferenze a tante persone che nulla c’entrano col suddetto delirio di onnipotenza di quei pochi invasati e menzogneri, purtroppo in grado di influenzare gli stili di vita di molti.
Dell’evento catastrofico provocato da cause naturali, occorre sforzarsi di comprendere il significato metafisico e teologico, ossia capire ciò che sta oltre il dato meramente fisico ed il senso che alla luce della scienza di Dio gli si può attribuire. Un approccio alla realtà, questo, che dovrebbe riguardare ogni ambito della vita umana, il senso pieno della quale è – come la Rivelazione cristiana e la più profonda filosofia umana insegnano – ultraterreno, ovvero volto all’eternità.
Qual è, allora, il senso profondo di certi accadimenti e della sofferenza che arrecano a moltissimi innocenti?
Si può, innanzitutto, osservare come l’accadimento di eventi catastrofici susciti la manifestazione delle migliori qualità umane: la compassione e l’aiuto disinteressato verso chi soffre; il coraggio e la fortezza di chi affronta i pericoli resistendo a condizioni proibitive; il senso di appartenenza e di vicinanza alla comunità colpita; il riferimento al Cielo – alla divinità – quale vera fonte di consolazione e di speranza. Nella prova e nella sofferenza ci si ritrova ad essere moralmente migliori, si è spinti dalle circostanze a vincere ciò che abbassa e offende la dignità della natura umana ed a compiere lo sforzo di elevarsi nella pratica delle virtù.
Sia chiaro, non si tratta di auspicare disgrazie – le quali sono logicamente da temere – ma di riconoscere come la sofferenza – la quale, lo si voglia o no, fa parte della vita di ciascuno – costituisca un’occasione di rivalsa delle migliori qualità umane, spesso mortificate dalle bassezze a cui sovente conduce una vita priva di tensione morale verso ciò che eleva lo spirito e, perciò, segnata dal cedimento al vizio.
Cercando di rispondere alla domanda appena posta sul significato che può avere tanta sofferenza, soprattutto quella arrecata agli innocenti, occorre guardare a Dio come unico riferimento capace di fornire risposte. Dio, che è sommo bene, permette il male in vista del bene. Il male – che non è un principio, bensì una privazione di bene – è entrato nella storia dell’umanità a causa del peccato che ha rotto la perfetta comunione esistente fra il Creatore e la creatura umana.
In breve, Dio permette la sofferenza degli innocenti perché c’è stato il peccato originale e perché esistono i peccati attuali. Inoltre, in virtù del principio della comunione dei santi – secondo il quale tutte le membra della Chiesa, corpo mistico di Cristo, risentono sia del bene che scaturisce dalla vita virtuosa dei battezzati, sia del male procurato dai peccati da loro commessi – si può affermare che gli effetti delle opere buone o cattive compiute dagli uomini si riflettono in disparati modi anche nella vita sociale e delle nazioni.
Il male esiste per la disobbedienza dell’uomo al suo Creatore e Signore, il quale, però, attraverso l’incarnazione e la passione di Gesù Cristo, ha operato la Redenzione dell’umanità, ossia ha riaperto agli uomini le porte del Paradiso, rese inaccessibili dal peccato d’origine. La Redenzione è avvenuta attraverso la via della sofferenza, un’immane sofferenza patita dall’essere innocente per antonomasia: Gesù Cristo – la seconda persona della Santissima Trinità – Dio fatto uomo.
L’opera di Redenzione – ovvero di restaurazione dell’ordine infranto – volta a sconfiggere il male, passa, dunque, attraverso la sofferenza: Dio si serve del male – da Lui non voluto, ma permesso – per sconfiggerlo e affermare il bene. Questo è quanto la divina sapienza ha stabilito.
La sofferenza patita dall’Innocente è stata il mezzo voluto da Dio per la Redenzione dell’umanità. Un’opera, quella della Redenzione, a cui il Padre Eterno ha concesso all’uomo di collaborare attraverso l’offerta dei propri patimenti a Dio, in unione spirituale con quelli del Redentore Gesù Cristo: se l’uomo offre le proprie sofferenze a Dio, con la volontà di unirle a quelle di Gesù per il desiderio di patire insieme al suo Signore nell’opera di Redenzione – dicendo con San Paolo “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col. 1,24) (1) – allora egli diviene davvero collaboratore di Dio prolungando nel corpo mistico di Gesù, i patimenti meritori del Figlio incarnato a vantaggio proprio e delle altre membra di quel corpo (gli altri fedeli).
Alla luce della teologia – che è la scienza di Dio secondo la Rivelazione – nulla di inspiegabile, quindi, nella sofferenza che può affliggere gli innocenti. Realtà tremenda, la cui ragione sta nella presenza del peccato.
Nel caso specifico degli eventi calamitosi che stanno patendo i nostri connazionali, non è banale vedere in essi un’occasione di sofferenza da offrire al Signore anche per il bene della Patria. Guardando i volti sofferenti di quegli italiani – duramente provati dalla perdita di affetti, beni materiali e da grandi disagi – ognuno di noi è sollecitato non solo a contribuire, come possibile, al loro soccorso, ma anche e soprattutto a sentirsi membro di un unico organismo sociale chiamato Italia.
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fonte: Ordine Futuro
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