ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 25 gennaio 2017

Un uomo si giudica anche dai suoi nemici





3 BUFALE dette dai giornalisti CONTRO DONALD TRUMP


http://www.pandoratv.it/?p=14108






FUOCOATRUMP

    Salviamo il clandestino Donald ! Scriveva Joseph Conrad che un uomo si giudica anche dai suoi nemici, ed il neo presidente Usa, che di nemici ne ha davvero tanti, sembra meno peggiore di gran parte di loro 

                                                                                                                                                                                                                di Roberto Pecchioli  
                                                                                                      


Chi scrive e chi pubblica queste righe non è un tifoso sfegatato di Donald Trump, né si attende dalla sua presidenza miracoli o rivoluzioni nell’assetto del mondo. Tuttavia, scriveva Joseph Conrad che un uomo si giudica anche dai suoi nemici, ed il neo presidente Usa, che di nemici ne ha davvero tanti, sembra meno peggiore di gran parte di loro, e comunque ha diritto ad essere messo alla prova. I sedicenti nemici dei “pregiudizi”, i sacrestani integerrimi della democrazia hanno emesso la sentenza contro di lui prima e senza processo, senza prove e diritto di replica. Alla larga da questi insopportabili talebani del Bene, del progresso, e dei “diritti”.
Bianco, maschio, eterosessuale.  Per di più credente: ha giurato da presidente degli Stati Uniti su due Bibbie, una delle quali è quella che gli donò la madre più di sessant’anni fa. Mentitore, anche, Donald Trump, archetipo del Male: ha confidato che per un uomo ricco e potente è facile ricevere favori sessuali dalle donne, il che è una vergognosa, millenaria menzogna ! Nel discorso di insediamento ha osato affermare che il potere , suo tramite, ritorna al popolo americano, cui era stato espropriato e che, massimo degli orrori, egli si impegna a difendere i confini, il popolo ed il lavoro degli Usa.

Fortuna davvero che non sia italiano. Sarebbe intollerabile avere un capo politico che preferisce i connazionali agli stranieri, che non usa la Marina per favorire l’arrivo in massa dei rifugiati /profughi/migranti, e che, udite, udite, non è favorevole alla delocalizzazioni industriali là dove la manodopera costa meno, il che gli ha portato il voto di milioni di operai, proprietà privata per divina grazia dei partiti “de sinistra”. Per di più, sembra avere un altro difetto assolutamente vergognoso: passa dalle parole ai fatti  con i primi “executive orders”, in cui dispone esattamente ciò che aveva promesso da candidato. Cancella dalle pagine Internet  della Casa Bianca i riferimenti alla meglio gioventù, la mitica, commovente, calpestata comunità LGBT, ovvero gli invertiti organizzati. In un impeto di ulteriore furore reazionario, toglie l’ossigeno, ossia i quattrini, alle organizzazioni abortiste, come la famigerata Planned Parenthood.
Insomma, è un vero fascista, il camerata Trump, e bene fanno gli americani progressisti, democratici e benpensanti a manifestare compatti contro di lui, insieme con i Buoni Giusti e Riflessivi del mondo intero. Ancora meglio si comportano quegli organi di stampa benemeriti, come Huffington Post e Repubblica, autentiche Bibbie della democrazia e della correttezza politica, che mettono in rete fotografie false risalenti al 1995 spacciandole come prova delle moltitudinarie adunate del popolo anti Trump. Non va lasciato nulla di intentato nella lotta contro il Male. Un Male ovviamente Assoluto, per combattere il quale magari sarà reclutato anche Gianfranco Fini, il Gran Converso, quello che, novello Paolo di Tarso, scoprì la Verità della Storia sulla via di Gerusalemme, giusto al bivio per Montecarlo, dopo un ventennio abbondante di imperdonabili errori politici.
Parliamoci chiaro e seriamente: non riusciamo a trovare alcuna altra chiave per commentare le settimane che stiamo vivendo, se non ricorrendo al solito George Orwell. Infatti, è in azione, con una potenza di fuoco mai vista prima, il Ministero (Globale) della Verità del romanzo “1984”, Miniver, secondo la neolingua ideata dai dirigenti del partito unico al potere, il Socing. Il Ministero della Verità pensato da Orwell si occupa dell' informazione e della propaganda. Sulla facciata dell’immenso edificio che lo ospita si leggono i tre slogan fondamentali del partito , La guerra è pace, La libertà è schiavitù e L'ignoranza è forza. Orwell aveva immaginato, in fondo, una certa onestà, all’interno della brutale, ma infine romanzata distopia di 1984. Gli slogan, ripetuti all’infinito e dunque creduti per sfinimento, coazione e assenza di alternative, erano chiari. 
Nel fortunato anno 2017, il Miniver è stato sostituito dal Politicamente Corretto, che porta a compimento senza apparente violenza i principi del super governo di Oceania e del Socing, attraverso il bipensiero, ovvero il rovesciamento dei significati dei termini di uso comune. Una volta che la neolingua (il nostro politicamente corretto) sia radicata nella popolazione e la vecchia (archelingua) dimenticata, ogni pensiero eretico diventerà letteralmente impossibile per mancanza di logos, dei concetti e delle parole che li esprimono. La lezione è stata portata a compimento da allievi che hanno superato l’incauto maestro. Orwell, poi, non poteva ancora conoscere la potenza mistica della nuova religione obbligatoria, quella dei “diritti umani”.
Donald Trump, dunque, può tranquillamente essere  catalogato tra i fascisti, in totale assenza di una definizione storica della categoria che esprime, fascista come pessimo, untermensch, sottouomo, Pandora rovesciata in tutti i difetti più odiosi. E’ del tutto normale dargli del sessista, altra ingiuria inventata dal Miniver politicamente corretto, alla quale non ci si può sottrarre  per  l’identico motivo: non si sa che significhi, e comunque è sufficiente costringere sulla difensiva il nemico, giacché le carte, nel grande gioco, vengono distribuite insindacabilmente dai padroni del Miniver. Lo stesso Trump può essere agevolmente accusato di razzismo – l’invettiva massima, la pena capitale prevista dal codice del politicamente corretto - pur se non vi è traccia, negli interventi pubblici del neopresidente, di odio etnico, anzi vi è l’ampio riconoscimento della natura plurale del patriottismo statunitense, complessa somma algebrica di infiniti apporti. Ma tant’è: i capi- spesso autonominati – di varie comunità etniche campano assai bene in America sopra la panca di vittimismi antichi e rivendicazioni sempre nuove, all’ombra della “discriminazione positiva”, l’ossimoro inventato negli anni Settanta del Novecento per attribuire per legge posti, posizioni, finanziamenti, privilegi su base razziale e non meritocratica.
Insomma, Trump è il Nemico Totale ed Assoluto, quello descritto da Carl Schmitt nella Teoria del Partigiano.  E’ l’incarnazione del nemico ideologico, pertanto contro di lui è lecito ogni atto, anche la violenza, anche la guerra, probabilmente l’assassinio. La menzogna – ne sono state sparse migliaia – si giustifica con la nobiltà della causa, nientemeno che il Bene contro il Male, la manipolazione delle parole non è che una risposta ai ben più gravi imbrogli di cui si macchia quotidianamente il Male. E’ tutto qui il problema, anzi il dramma, o lo scandalo del caso Trump.  Un uomo solo, di cui non conosciamo ancora i meriti o demeriti, diventa il bersaglio di un odio alimentato e rinfocolato ogni giorno, h.24, da immense centrali di consenso. Un rancore violento quanto irrazionale, ovviamente, al quale non si possono opporre argomenti o fatti.
Sarebbe come convincere un passeggero che ha la fobia del volo a salire su un aereo per un viaggio transcontinentale: a nulla varrà esibire statistiche o sfoderare argomenti sulla preparazione dei piloti o l’affidabilità degli aeromobili; quell’uomo non salirà la scaletta, rimarrà a terra compiangendo i passeggeri e non lo convincerà neppure il millesimo felice atterraggio . Nel nostro caso, la muraglia opposta a Donald Trump è insieme vergognosa e terrificante, poiché fa toccare con mano il potere immenso di un Ministero della Verità che si è impadronito del senso comune di centinaia di milioni di esseri umani, si considera un “ apriori” indiscutibile, pronuncia sentenze di condanna senza appello, senza difesa, privando il nemico di qualsiasi contraddittorio, sulla base di inesistenti tavole della legge, negandogli anzi ogni legittimità. E’ il nemico schmittiano, nei confronti del quale vale tutto, non ci sono regole, tanto meno quelle antiche, romanistiche dello “iustus hostis”. Ricordiamo i giacobini francesi, con il Saint Just che disse al Re Luigi XVI, divenuto il cittadino Luigi Capeto, “noi non siamo qui per giudicarvi, ma per condannarvi “, e si rivolgeva alla storia stessa del popolo francese.
Questo spaventa delle reazioni a Donald Trump, insieme al loro carattere eterodiretto. La violenza ideologica, il paraocchi travestito da risentito senso morale, la totale mancanza di legittimazione dell’avversario, che è dunque nemico, l’indifferenza per i suoi argomenti, svalutati, negati in blocco. Trump-Nemico, per definizione, non ha ragioni, né idee; è solo l’incarnazione del Malvagio, dell’Empio totale. Nulla di nuovo, la teoria del Capro Espiatorio, sacrificato il quale si restaura la comunità, è antica e René Girard lo ha mostrato ne “La Violenza ed il Sacro”. Ma la manipolazione della folla non è meno ignobile per il fatto di avere radici ancestrali. Nessuna spontaneità, poi, nelle urla e nei tumulti se non presso  gruppi trascurabili che, almeno, oppongono una visione alternativa, ma manovre precise, coordinate e apertamente finanziate da centrali di potere che fanno davvero paura, insieme con la sfrontata manovra mediatica che moltiplica l’eco delle proteste presentandole come patrimonio comune di massa, e non come opinione di determinati settori della società statunitense ed occidentale.   
Per questo abbiamo pensato ad un titolo provocatorio per la presente riflessione. Fuocoammare è il documentario immigrazionista di Gianfranco Rosi prodotto dalla Rai, dunque dal governo italiano con denari pubblici, allo scopo di far digerire al nostro popolo tra lacrime di commozione ed attraverso le immagini drammatiche dei barconi alla deriva nel Mediterraneo, la logica, anzi la necessità e obbligazione morale dell’”accoglienza“ degli stranieri. Non sfuggirà il ruolo della neolingua: accoglienza, migranti, rifugiati, la litania non solo clericale di gettare ponti.
Fuocoatrump vuol esprimere il disgusto dinanzi ad un fatto: c’è un uomo politico eletto alla carica di presidente degli Usa attraverso procedure da tutti accettate e definite “democratiche”, cui viene negato il diritto morale di governare, anzi di parlare, forse quello stesso di esistere in quanto le sue idee sono, intrinsecamente ed insindacabilmente, il male. Il Fuocoammare di Rosi vuole convincerci che accogliere gli stranieri è un dovere che scaturisce dalla nostra qualità di esseri umani che reagiscono a drammi e tragedie, ma il Fuocoatrump afferma qualcosa di uguale e contrario: c’è qualcuno che non è degno di svolgere funzioni politiche pubbliche in quanto le idee che gli attribuiamo sono un insulto al Bene ed all’Etica. Un capolavoro del Ministero della Verità, giacché il Politicamente Corretto se la canta e se la suona.
A nulla vale il richiamo ai fatti, l’evidenza dell’attitudine guerrafondaia ed aggressiva del presidente Obama, che, in quanto meticcio è simbolo positivo, esemplare dell’Umanità Nuova ( mescolanza, contaminazione, hip hip, hurrà!). A nulla serve dimostrare che Hillary Clinton, la femminista che si serve per opportunismo del cognome del marito, è la beniamina dei banchieri e dell’apparato militare ed industriale. E’ donna, è del partito autonominatosi democratico e tanto basti. Capirono ogni cosa i Romani oltre due millenni fa, affermando che il popolo vuole essere ingannato, dunque merita il trattamento. Andò oltre Goethe, riconoscendo che il migliore schiavo è chi si crede libero. In questo, i maestri del Politicamente Corretto, i realizzatori del Ministero Globale della Verità hanno agito in maniera esemplare.
Hanno fatto diventare patrimonio comune delle masse occidentali libere, emancipate e masterizzate, nel senso dei titoli accademici che vantano, i tre grandi slogan orwelliani; ribadiamoli, giacché repetita iuvant, La guerra è pace, La libertà è schiavitù e L'ignoranza è forza. Soprattutto, hanno saputo abolire i fatti, la verità che Machiavelli chiamava effettuale, quella da cui non si può prescindere. E poiché il diavolo fa le pentole, ma pretende l’esclusiva anche sui coperchi, magari delocalizzando la fabbricazione in qualche periferia del mondo, ora strillano sulla “post verità”, ovvero sulle menzogne che sarebbero propalate dai cattivi di turno, i quali, al contrario, sono soltanto i non troppo numerosi che hanno il coraggio di ribellarsi al Ministero della (Loro) Verità. Hanno voci flebili per la difficoltà di accesso ai media, sono derisi ed anche infamati. Soprattutto, le loro idee non sono neppure considerate tali, e, nel felice regime democratico , il migliore di tutti i tempi, per unanime giudizio dei rappresentanti del Bene, questo atterrisce, questo va denunciato: il pensiero unico è totalitario, intollerante, dittatoriale.
Se ancora si può dissentire, è perché i ribelli sono deboli, divisi e non contano nulla. Ma se qualcuno sgarra davvero, è pronto il trattamento recentissimamente toccato a Udo Ufkotte, il giornalista investigativo tedesco morto misteriosamente a 57 anni e velocissimamente sepolto senza autopsia. Il sistema ammette qualsiasi tonalità nella musica, purché lo spartito sia gradito ai Superiori. In caso contrario, si nega anche che si tratti di musica: è spazzatura, post verità, incarnazione del Male. C’è un “fuocoatrump” globale che brucia la verità deformandola prima, rendendola cenere dopo, come i fatti e che scredita, squalifica, demonizza alcuni ancor prima che inizi la partita. Quanto all’arbitro, se esiste è a libro paga dei Buoni; davvero confortante.
Il caso Trump, al di là della figura del protagonista, che resta sfuggente ed ambigua, ne è la prova provata. Alcuni esempi: il più eclatante è forse la dichiarazione, rilanciata su Twitter, ma è tutt’altro che un cinguettio, dell’ex segretario di Stato John Kerry al Forum dei super potenti a Davos, secondo cui The Donald durerà “uno o due anni”. Poiché il mandato presidenziale è quadriennale, delle due l’una: o le parole del ministro che ha finanziato lo Stato Islamico sono un “wishful thinking”, una speranza in forma di pensiero, oppure, più sinistramente, Kerry “sa”. Forse che il presidente morirà di morte violenta, o magari che verrà costretto alle dimissioni da uno di quegli scandali in forma di dossier post-verità di cui gli apparati riservati degli Usa sono maestri, oppure chissà che altro.
Certo, non funziona così la democrazia, che è alternanza, ma, come ha capito per primo Jean Paul Michéa a proposito della sua Francia, non è più alternativa. Del resto, che, almeno a partire dall’elezione di Bill Clinton ( 1992) le democrazie occidentali siano il semplice ricambio di gruppi dirigenti d’accordo su tutto l’essenziale ormai dovrebbe essere chiaro a chiunque, e ne è simbolo il ruolo, per un verso spregevole, per un altro grottesco, del repubblicano senatore John Mc Cain, finto eroe della guerra del Vietnam, finto, ormai lo sappiamo, avversario elettorale di Obama alla presidenza, guerrafondaio, neo-conservatore, anti russo e filo saudita, acerrimo nemico di Trump a nome del complesso militare industriale statunitense e delle agenzie di intelligence.
Una parola sobria, equilibrata e di buon senso, come di consueto, proviene dal leader maximo della sinistra orfana del comunismo succeduto al compianto Fidel, l’argentino di Santa Marta Jorge Bergoglio. Dopo i consueti incitamenti all’ingegneria dei ponti e contro quella dei muri, dovere d’ufficio per un papa, e dopo un’intervista in cui si scagliò contro il candidato Trump, il rottamatore di Santa Romana Chiesa è tornato all’attacco. In un’intervista al quotidiano madrileno laicista e sinistrissimo El Pais, alludendo a Trump in modo obliquo ed assai clericale, qui lo dico e qui lo nego, si è unito al coro mondiale contro i populismi, ricordando che fu populismo quanto accaduto in Germania nel 1933. Un cauto paragone, o uno scherzo da prete, Trump paragonato ad Hitler. L’intervista è in lingua spagnola, il Sommo Pontefice peronista pentito non potrà, attraverso i suoi raffinati ermeneuti vaticanisti, invocare incomprensioni linguistiche, e comunque El Paìs è il corrispettivo iberico di Repubblica. Possibile che Oltretevere non ci si rivolga mai alla stampa cattolica, ma sempre ad organi che la Chiesa un tempo chiamava massonica ?
Quanto all’Italia, esemplare è l’atteggiamento della corrispondente dalla Merica di Mamma Rai, donna Giovanna Botteri. La giornalista triestina fu sposata con un fiore di virtù civiche come Lanfranco Pace, in giovinezza esponente di quel Potere Operaio in cui maturò la strage di Primavalle, il rogo dei missini fratelli Mattei, di cui peraltro ammise le responsabilità morali. Le colpe degli ex mariti non devono ricadere sulle ex mogli, ma il tifo della Botteri per Hillary Clinton ed il disprezzo sempre ostentato per Trump offendono un popolo, il nostro, che le paga un lauto stipendio con i relativi benefit per distorcere la realtà dall’altro lato dell’Atlantico. La Botteri resta il paradigma perfetto di quegli esponenti della sinistra estrema sedicente intellettuale passati agevolmente dal Sole dell’Avvenire comunista al capitalismo sfrenato, ma tanto liberal dell’America di Clinton e Obama.
Più serio ed articolato, ed è un paradosso dei nostri tempi, il giudizio di Giulietto Chiesa. Il giornalista nativo di Acqui Terme fu in gioventù segretario della federazione genovese del PCI, lo chiamavano Stalin per quei baffoni spioventi e per l’evidente, studiata somiglianza con il dittatore georgiano. Passato al giornalismo, con una lunga permanenza a Mosca, Chiesa è diventato un ascoltato esperto di geopolitica, ed è molto importante il suo giudizio sugli apparati di sicurezza americani. Li ha chiamati, opportunamente, “gli Stati profondi”, un potere opaco e durevole, onnipotente e pervasivo. Sono la CIA, la NSA , i servizi segreti delle forze armate e dell’FBI, schierati contro Donald Trump. I loro interessi divergono da quelli del governo ed ancor più del popolo degli Stati Uniti, i legami con l’apparato industriale e tecnologico sono inestricabili, numerose società commerciali li vedono come azionisti e domines  e non parliamo solo di entità assai prossime alla criminalità internazionale come gli imprenditori del ramo armi e mercenari per i lavori più sporchi del mondo, dove si programma e realizza l’indicibile.
Ormai, questi Stati profondi impregnano ed intossicano anche il potere visibile e soggetto a controlli, e non è certo improbabile che prendano iniziative senza il consenso dei direttori e del governo. Poteri ombra, deviati verrebbe da dire, ma non è così, poiché rispondono alla vecchia logica degli arcana imperii ed a quella nuova della privatizzazione del mondo. Ne intuì la persistenza Tocqueville ne L’Antico Regime e la Rivoluzione, allorché dimostrò dall’interno ( fu deputato e ministro) che la grande burocrazia già fedele ai Re, gli apparati di controllo e di indirizzo delle politiche reali erano riusciti ad attraversare la rivoluzione senza esserne travolti.
Nell’America di oggi, quel potere immenso ed opaco che ha il suo centro simbolico a Langley, sede della Cia, conta più di sempre, giacché è l’intersezione tra i padroni della Tecnica, i vertici industriali e finanziari e chi, nel mondo militare e paramilitare, ha il controllo concreto delle armi e dell’uso della forza, legittimo o meno. Costoro sono oggi schierati in maggioranza contro Donald Trump per ragioni assai diverse da quelle delle marciatrici con disegnato il simbolo della vagina che si agitano contro il maschilista & sessista & chissà che altro del numero 1600 di Pennsylvania Avenue, Washington D.C. 
In questo quadro a tinte fosche, sopravvivrà Donald Trump il Pessimo per i quattro anni del suo mandato, o si avvereranno le previsioni, molto bene informate di John Kerry ? Vogliamo dargli un consiglio non richiesto: si faccia dichiarare immigrato clandestino. Tutto sommato, gli spetta: maschio, bianco, eterosessuale, populista, cristiano evangelico, proviene senz’altro da un pianeta sconosciuto. E’ sceso tra noi con un’astronave condotta a Cape Canaveral con l’assistenza di Angelino Alfano  e dopo peripezie che ben avrebbero potuto essere oggetto di un documentario edificante di Gianfranco Rosi . Ha commesso l’imprudenza di non appoggiarsi a qualche ONG, tipo Save the Children o la Open Society del filantropo Soros, non è neppure tra gli amici della Comunità di Sant’Egidio o di qualche cooperativa dedita agli aiuti umanitari. Ma resta, senza dubbio, un passeggero clandestino nel mondo “attenzionato” dal Ministero della Verità e del Politicamente Corretto Riuniti per un mondo migliore.
Da clandestino, forse, otterrà diritto di vita ed un salvacondotto per portare a casa la pelle. Importante, essenziale, è che taccia. Sarà anche un miliardario, ma la sua è tutt’Altro che la Voce del Padrone. Se la smette, forse otterrà un posto in qualche Museo Archeologico, magari lo chiameranno Tyrannosaurus Praesidens e porteranno le scolaresche ad ammirare quello strano ciuffo biondastro. Diversamente, crediamo che il suo destino sia segnato: il Ministero della Verità del nuovo Socing, il Partito Unico Democratico Repubblicano Liberale Progressista privo di alternative è chiarissimo dal 1948: La guerra è pace, la libertà è schiavitù e l'ignoranza è forza.
E naturalmente, dump Trump, abbattiamo Trump!

Roberto Pecchioli

In redazione il 26 Gennaio 2017

Fuocoatrump. Salviamo il clandestino Donald !

di Roberto Pecchioli

Papa Francesco sfida Trump, ma i cattolici americani stanno con il presidente

La politica universalistica e pro-immigrazione di Bergoglio è opposta all’“America First” di Trump. Le distanze tra i due sono enormi anche sul piano umano. Tuttavia molti settori cattolici tradizionalisti statunitensi stanno con il presidente



(NICHOLAS KAMM/AFP/Getty Images)

Il populismo generato dalla crisi e dalla paura comporta un rischio: quello che già si verificò nella Germania degli anni Trenta quando un Paese in frantumi, sfinito, cercava un leader, qualcuno che gli restituisse l'identità; a emergere, nel tumulto di quegli anni, fu un ragazzo il cui nome era Adolf Hitler. Papa Francesco non parla per allusioni, non usa metafore e va dritto al punto nel momento in cui, in una lunga intervista rilasciata al quotidiano spagnolo El Pais e pubblicata domenica scorsa, gli viene chiesto se è preoccupato per lo sviluppo dei populismi da una parte all'altra dell'Atlantico.

«Tutta la Germania votò Hitler – ha osservato ancora il Pontefice - Hitler non ha rubato il potere, fu votato dal suo popolo e dopo lo distrusse». «Cerchiamo un salvatore che ci restituisca la nostra identità – ha aggiunto – e ci difendiamo con muri, fili spinati o con altri mezzi dagli altri popoli che ci possono togliere l'identità. E questo è molto grave. Per tale ragione dico sempre: dialogate fra di voi, dialogate fra di voi». Ma il caso della Germania nel 1933 è tipico, ha insistito Bergoglio, c’era un popolo che attraversava una forte crisi e in quel contesto «apparve sulla scena questo leader carismatico» capace di promettere un'identità alla Germania, che diceva «io posso farlo», ma ne nacque «un'identità distorta, sappiamo che cosa accadde». 

Con chi ce l'aveva il Pontefice? Con la francese Marine Le Pen, con gli xenofobi tedeschi o austriaci, con Matteo Salvini o anche con Donald Trump, il presidente americano che pronunciava il suo discorso d'insediamento proprio mentre usciva l'intervista al giornale spagnolo? Le parole del Papa andavano lette come un allarme per ciò che può accadere nel prossimo futuro, non toccavano un caso particolare ma allo stesso tempo si riferivano a tutte queste vicende e ad altre ancora.

Sul nuovo inquilino della Casa Bianca, Bergoglio, nella medesima intervista, Francesco usava parole fredde ma prudenti: «vedremo cosa farà», inutile trasformarsi in profeti di sventura. E tuttavia poche ore prima, nel messaggio ufficiale inviato dalla Santa Sede - come da prassi - al nuovo presidente degli Stati Uniti per l'inizio del suo mandato, si leggeva: «In un tempo in cui la nostra famiglia umana è afflitta da gravi crisi umanitarie che esigono risposte politiche lungimiranti e unite, prego perché le sue decisioni siano guidate dai ricchi valori spirituali ed etici che hanno forgiato la storia del popolo americano e l’impegno della sua nazione per la promozione della dignità umana e della libertà in tutto il mondo». Subito dopo veniva espresso l'auspicio che sotto Trump, la grandezza dell'America potesse ancora essere misurata «in base alla sua sollecitudine per i poveri, gli emarginati e i bisognosi». Era dunque un messaggio che conteneva una sfida, in particolare in quel riferimento all'urgenza di affrontare le crisi umanitarie del nostro tempo. Un po' come chiedere a Torquemada un equo processo, magari pure un po' garantista.

Se i muri, gli “scartati”, i poveri, gli immigrati, la dottrina economica neoliberista, dividono Bergoglio dal 45esimo presidente americano, c'è anche una distanza umana fra i due: troppo lontano lo stile che si richiama alla sobrietà di Francesco, con lo sfoggio, a volte un po' kitsch, di ricchezza, potere, relazioni importanti di Trump

E del resto che il coriaceo papa Francesco non amasse il tycoon a stelle strisce lo si era capito da tempo: Bergoglio il sudamericano si è da tempo indignato per l'annunciato muro che dovrebbe sorgere – stando alle promesse elettorali ma la realtà è un'altra cosa – lungo il confine che separa gli States dal Messico, ma sopratutto a farlo arrabbiare sono state le parole non di rado sprezzanti e dure, venate di razzismo in alcuni casi, unsate da Donald Trump contro gli immigrati, i milioni di “indocumentados” che vivono in nord America, vi lavorano, spesso in condizioni di estremo disagio e povertà. E se i muri, gli “scartati”, i poveri, gli immigrati,la dottrina economica neoliberista, dividono Bergoglio dal 45esimo presidente americano, c'è anche – e non va sottovalutata - una distanza umana fra i due: troppo lontano lo stile che continuamente si richiama alla sobrietà e alla condivisione di Francesco, con lo sfoggio, a volte un po' kitsch, di ricchezza, potere, relazioni importanti, rapporti con le donne in stile non proprio cavalleresco, da parte del magnate americano. E davvero in tale divergere di personalità si può scorgere un distacco inedito fra Vaticano a Casa Bianca, un fatto nuovo nella storia contemporanea.

Di più: in questa assenza di sintonia fra la Chiesa di Roma e gli Usa trumpiani, si può forse individuare un aspetto imprevisto della nuova stagione multipolare: al protagonismo di un numero più ampio di nazioni rispetto al passato sulla scena mondiale, all'affermarsi di nuove potenze economiche, si affianca anche una conflittualità inattesa, un separarsi di alleanze storiche di fronte a obiettivi diversi: da una parte la necessità proclamata da Trump di “difendere” gli americani e rifare grande l'America, dall'altra la rinnovata universalità della Chiesa che se vuole vivere e far vivere il messaggio evangelico, deve andare oltre i confini dell'Occidente. Francesco, d'altro canto, aveva spiegato con grande chiarezza quale parte della storia degli Stati Uniti sentiva sua quando nel settembre del 2015, pronunciò uno storico discorso davanti al Congresso di Washington. «Una nazione – affermò nell'occasione - può essere considerata grande quando difende la libertà, come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro, frutto di una fede che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton».

Allo stesso tempo non mancano i settori cattolici, in Europa come negli Usa, anche all'interno degli episcopati, che considerano in modo positivo la vittoria politica di Trump. Temi come il deciso rifiuto delle unioni omosessuali o delle legislazioni che consentono l'aborto, fatti propri dal neoeletto presidente degli Stati Uniti, hanno incontrato il plauso di frange e settori tradizionalisti del cattolicesimo, o che vivono con malessere il pontificato di Bergoglio; in special modo su questa linea si colloca tutto il mondo “pro-life” d'Oltreoceano che può contare su organizzazioni radicate, vescovi, ambienti istituzionali, alleanze trasversali con correnti evangeliche.

Temi come il deciso rifiuto delle unioni omosessuali o delle legislazioni che consentono l'aborto, fatti propri dal neoeletto presidente degli Stati Uniti, hanno incontrato il plauso di frange e settori tradizionalisti del cattolicesimo, o che vivono con malessere il pontificato di Bergoglio

Se infatti è vero che la dottrina della Chiesa non è cambiata su questi temi, è pure un fatto che il Papa ha chiesto, senza giri di parole, di non farne più il centro della fede, dell'annuncio cristiano, di aprire il cuore alla comprensione dell'altro e alla sua condizione qualunque essa sia. È la scelta della misericordia come chiave per comprendere il mondo contemporaneo che diventa, per i suoi detrattori, un annacquamento della dottrina e in definitiva dell'identità cattolica. E proprio qui si trova un punto di caduta decisivo di tutta la questione: per molti politici, i populisti evocati da Francesco per dirla in breve, il cristianesimo e quindi il cattolicesimo, devono essere strumento unificante per stabilire le differenze con l'altro e gli altri, tracciare confini e muri reali e identitari, muri sociali e culturali se necessario. Francesco vira decisamente verso un cristianesimo inclusivo, che abatte con la non violenza i muri e probabilmente è molto più attento alla lettera e alla proposta del Vangelo; eppure è anche lungo questa faglia che si misurano le diverse strade della Chiesa e del cattolicesimo del prossimo futuro.

In tal senso, la proposta del papa, che oggi deve navigare attraverso i venti di numerose crisi, se vista dall'America ha una chance in più: ovvero che il cattolicesimo è anche la fede delle grandi migrazioni (a differenza di quanto avviene fra Europa e Africa o Medio Oriente). Per questo, per esempio, sta crescendo il ruolo di un uomo come l'arcivescovo di Los Angeles, José Gomez, di origini messicane, alla guida di una delle più importanti diocesi del mondo. Gomez, scuola Opus Dei, è legato a una concezione assai moderata o tradizionale sui temi cosiddetti bioetici, eppure è un fiero difensore delle comunità di “latinos” e di immigrati che vivono in America. Il quadro, insomma, è più frastagliato di quanto si possa pensare, e le cose sono in movimento. Se poi, sul piano internazionale, potranno nascere nuove collaborazioni fra Casa Bianca e Santa Sede, magari per risolvere qualcuna delle tante crisi o dei conflitti che attraversano il mondo, questo è un fatto che si potrà osservare in seguito: diplomazia e realpolitik, in simili casi, seguono strade proprie.



http://www.linkiesta.it/it/article/2017/01/25/papa-francesco-sfida-trump-ma-i-cattolici-americani-stanno-con-il-pres/33046/

Trump come Hitler? Se Bergoglio non smentisce ciò che gli viene attribuito o non si scusa è un insulto a un capo di Stato e a tutto il popolo americano – di Antonio Socci



trump-papaPrendiamo un titolo del quotidiano israeliano Haarezt: “Papa Francesco su Trump: stare in guardia contro i leader populisti come Hitler che affermano di essere i ‘Salvatori’ ”. In realtà Bergoglio non ha fatto il parallelo in modo diretto fra Trump e Hitler. Ma i media hanno colto il riferimento a Hitler come un’obliqua allusione al presidente americano e – quel che è peggio – sono passati tre giorni e il Vaticano non ha ancora sentito il dovere urgente di smentire questa enormità che viene attribuita a Bergoglio.
Colpisce però la gravità di tale insinuazione, soprattutto se paragonata alle parole lusinghiere che Bergoglio ha espresso negli anni verso tiranni comunisti che hanno calpestato e calpestano i diritti umani.

PAROLE IRRESPONSABILI
Solo Pierluigi Battista – che pure non simpatizza per Trump – ieri ha osservato che “è molto pericoloso e controproducente, questo continuo, reiterato e anche insensato stabilire una connessione tra la vittoria di Donald Trump e dei cosiddetti ‘populisti’ d’Europa con quella del nazismo”.
Battista si è stupito che “anche papa Francesco ha finito per alludere a una possibile analogia”, cosa che “è insieme una follia polemica, un’esagerazione retorica, una stupidaggine storica e un favore colossale ai nazisti veri”.
Infatti “paragonare Trump a Hitler” ha argomentato Battista “è l’aiuto migliore a chi vuole relativizzare, banalizzare, minimizzare la portata malefica del nazismo”.
Ciò che però Battista evita di considerare è un’altra cosa: Bergoglio non è uno dei tanti giornalisti o cantanti, attori, attrici, ballerine o politici che si agitano sulla scena e sui media.
E’ il Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica. Non mi pare una cosuccia che si possa passare in cavalleria, perché Trump rappresenta tutto il popolo degli Stati Uniti d’America e l’offesa colpisce lo stesso popolo Americano che lo ha eletto e che egli rappresenta.
Si rischia obiettivamente un grosso pasticcio diplomatico: un’allusione oltraggiosa, fatta pubblicamente, è inconcepibile sulle labbra del capo della Chiesa che è anche un capo di stato.
Oltretutto in un momento in cui si fa un gran parlare sulle “parole dell’odio” che tracimerebbero dalla rete (deprecandole, com’è giusto) e in un momento in cui negli Stati Uniti emergono – da parte degli estremisti – forti sentimenti di rabbia contro Trump, anche con qualche manifestazione violenta, la demonizzazione (anzi criminalizzazione) del presidente americano rischia di gettare benzina sul fuoco, alimentando rancori pericolosi.

CHIARIRE SUBITO
Vogliamo pensare e sperare che papa Bergoglio sia stato frainteso, che non intendesse affatto paragonare il presidente Trump a Hitler, che tutto sia stato uno spiacevole infortunio.
Ma in questo caso Bergoglio doveva assolutamente affrettarsi a rettificare le interpretazioni errate e malevole. Invece, sebbene siano già passati tre giorni, non lo ha fatto.
Speriamo che provveda quanto prima, scusandosi per aver dato adito a quella pessima interpretazione delle sue parole.
Ma lo faccia. E soprattutto lo faccia in modo inequivocabile e convincente, per non dare l’impressione – come gli è già capitato – di lanciare il sasso e ritirare la mano, cosa che apparirebbe molto ipocrita e lascerebbe intatto il danno alla reputazione altrui e l’offesa al popolo americano.
Nel caso in cui non lo facesse dovremmo prendere atto che a capo della Chiesa c’è attualmente un uomo che – per suoi rancori politici – lancia insinuazioni irresponsabili, che non conosce le minime regole di prudenza, di galateo istituzionale e di correttezza (chi è lui per giudicare – e condannare – Trump che, oltretutto, si è appena insediato?).
Se non arrivasse una seria e convincente rettifica dovremmo riconoscere che c’è oggi un papa che senza ragioni oggettive accomuna il presidente degli Stati uniti d’America a Hitler, uno dei più infami e sanguinari criminali della storia umana (o che lascia circolare questa interpretazione).

DELEGITTIMAZIONE
Peraltro è del tutto assurdo dire che Hitler fu eletto democraticamente, perché Hitler non ha mai avuto l’unanimità dei voti di cui parla Bergoglio (“tutta la Germania vota Hitler”) e mai nemmeno la maggioranza assoluta, ma solo relativa, e prese il potere imponendosi con la violenza (diversamente da quanto crede Bergoglio).
Oltretutto Hitler non fu eletto cancelliere dal popolo, ma venne sciaguratamente nominato Cancelliere dal Presidente Hindenburg che avrebbe potuto prendere altre strade.
Voglio anche dire che è molto triste e pericoloso che un papa usi questo sgangherato esempio storico (oltretutto sbagliato) per delegittimare il voto democratico dei popoli sostenendo che esso produce gli Hitler.
Tutta questa vicenda è davvero incresciosa e inspiegabile: chi rappresenta la Chiesa Cattolica dovrebbe dare esempio di saggezza umana e carità cristiana.

COSA FARA’ TRUMP
La cosa potrebbe provocare un grave incidente diplomatico perché gli Usa avrebbero tutto il diritto di esigere delle scuse formali.
Bergoglio è purtroppo abituato a insolentire – quasi quotidianamente – chi, nella Chiesa, pensa diversamente. Egli approfitta della sua posizione per umiliare e offendere i suoi sottoposti. Lo fa perché è al riparo di una carica di sovrano assoluto a cui, nella Chiesa, non si osa ribattere o rispondere per le rime.
Ma il mondo è un’altra cosa e sulla scena pubblica non è previsto che il capo dello stato vaticano possa offendere pubblicamente altri capi di stato perché non gli piacciono o hanno idee diverse dalle sue sull’emigrazione.
Se Trump decidesse di glissare su questa infelice esternazione bergogliana impartirebbe una lezione di superiorità morale e pure di misericordia a chi – pur avanti negli anni e in una posizione istituzionale delicata – non sa controllare i suoi odi ideologici e la sua rabbia, umiliando l’istituzione che invece dovrebbe rispettare e onorare con un comportamento serio.


Antonio Socci
Da “Libero”, 24 gennaio 2017


Sito: “Lo Straniero
Twitter: @Antonio Socci1
http://www.lamadredellachiesa.it/trump-come-hitler-se-bergoglio-non-smentisce-cio-che-gli-viene-attribuito-o-non-si-scusa-e-un-insulto-a-un-capo-di-stato-e-a-tutto-il-popolo-americano-di-antonio-socci/

Donald Trump inverte la rotta su aborto e gay

(di Lupo Glori) Il 20 gennaio 2017 Donald Trump, nel corso di una solenne cerimonia a Capitol Hill, ha giurato come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, recitando la classica formula di rito sulla Bibbia, davanti ad oltre un milione di persone.


Nel suo discorso di insediamento il neo presidente americano ha utilizzato i toni schietti e duri della campagna elettorale, confermando, senza giri di parole, le sue intenzioni di “rivoltare il banco”: «A partire da adesso cambia tutto (…) il potere da Washington torna nelle mani del popolo americano. (…) Questo momento vi appartiene. Affronteremo sfide e ci confronteremo. Siamo una sola nazione, condividiamo un solo cuore, una sola casa e un solo destino glorioso. Il giuramento di oggi è un giuramento di alleanza con tutti gli americani. Per molti decenni abbiamo arricchito le industrie estere, abbiamo difeso i confini di altre nazioni rifiutando di difendere i nostri confini. Abbiamo speso trilioni e trilioni di dollari all’estero mente le infrastrutture americane sono state lasciate in rovina. (…) La nostra politica sarà molto semplice. Compra americano, assumi americani. Ricostruiremo il nostro Paese con lavoro e mani americane. Insieme determineremo il corso dell’America e del mondo per molti anni a venire».
Parole chiare e, secondo il suo stile, “politicamente scorrette”, alle quali hanno fatto immediatamente seguito due importanti atti concreti: lo stop ai fondi federali per l’aborto e la rimozione della sezione LGBT dal sito web della Casa Bianca. All’indomani della sua elezione e il giorno successivo alla 44esima ricorrenza della famigerata sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade che ha introdotto l’aborto negli Stati Uniti nel 1973, Donald Trump ha infatti firmato un ordine esecutivo che ha ripristinato la Mexico City Policy.
La Mexico City Policy, denominata così perché annunciata durante la Conferenza Internazionale delle Nazioni Unite sulla Popolazione che si tenne a Città del Messico nel 1984, è la policy che blocca i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o promuovono all’estero l’aborto. La regola, introdotta dall’amministrazione di Ronald Reagan nel 1985 e mantenuta da G. W. Bush senior, è stata poi rimossa da Bill Clinton nel 1993, ripristinata da George W. Bush nel 2001, ed infine eliminata nuovamente da Barack Obama nel 2009. Grazie alla reintroduzione della Mexico City Policy, le ONG come International Planned Parenthood Federation (IPFF) e Pathfinder International, impegnate in tutto il mondo a promuovere e diffondere la pratica dell’aborto, non riceveranno più i lauti fondi dall’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale.
Interrogato sul tema, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha spiegato ai giornalisti come l’ordine esecutivo appena firmato dal neo presidente sia del tutto normale e scontato, viste le note posizioni di Trump in materia di aborto: «È risaputo che il presidente ha posizioni pro-life, lo ha fatto sapere in modo chiaro. (…) Il presidente vuole difendere tutti gli americani, anche quelli che non sono ancora nati, e penso che la reintroduzione di questa norma non sia soltanto un modo per riflettere questo valore ma anche per rispettare i contribuenti».
Donald Trump, appena insediatosi, inverte dunque la rotta abortista intrapresa dagli Stati Uniti in questi ultimi otto anni sotto l’amministrazione Obama, una folle politica ideologica che, nel solo 2016, secondo una stima del Guttmacher Institute, ha portato gli Stati Uniti a finanziare organizzazioni abortiste in tutto il mondo per ben 607,5 milioni di dollari (quasi 566 milioni di euro).
A conferma della nuova linea pro life degli Stati Uniti d’America vi è inoltre la notizia che il vice-presidente Mike Pence venerdì 27 gennaio parlerà dal palco dell’annuale March for Life di Washington. Un’inedita e assai significativa presenza che fa ben sperare per il proseguo dell’operato pro-life dell’amministrazione Trump.
Il secondo importante atto in netta discontinuità nei confronti della precedente amministrazione e del diktat etico dell’establishment globale, è stata l’immediata rimozione dal sito della Casa Bianca dell’intera sezione dedicata ai “diritti” LGBT. Un’area riservata del sito governativo, raggiungibile all’indirizzo web whitehouse.gov/lgbt, in cui l’ormai ex presidente Barack Obama che aveva fatto della “causa omosessuale” una delle sue priorità di governo, teneva informati i suoi elettori e, in particolare, le lobby gay, sullo stato di avanzamento delle sue tante iniziative legislative in materia di “diritti” LGBT.
Ora collegandosi alla pagina web LGBT si viene accolti da un messaggio che recita: «Iscriviti per avere aggiornamenti sul presidente Donald J. Trump!» e «Spiacenti, la pagina che stai cercando non è stata trovata» accanto al nuovo logo presidenziale del presidente. La rimozione della sezione LGBT dal sito della Casa Bianca ha determinato prevedibili ripercussioni sul web e sui social, dove gli attivisti gay si sono scagliati contro la nuova Amministrazione chiedendo l’immediato ripristino dell’area web “arcobaleno” governativa.
Alle polemiche e agli attacchi delle organizzazioni LGBT ha risposto un funzionario della Casa Bianca che si è giustificato dichiarando come l’amministrazione Obama si sia impegnata a ripulire i propri account digitali e tutte le piattaforme prima della riconsegna e che il nuovo sito sarà presto aggiornato con ulteriori informazioni: «L’Amministrazione Trump popolerà il sito con i nuovi contenuti nelle settimane e nei mesi successivi». Ci auguriamo che anche qui Trump e il suo staff, tra i quali figurano personalità con posizioni notoriamente anti-gay, invertano con fatti concreti la catastrofica “rotta arcobaleno” intrapresa dagli Stati Uniti negli ultimi 8 anni, istituendo leggi e normative che avviino un processo di de-omosessualizzazione degli Stati Uniti. (Lupo Glori)


Article printed from CR – Agenzia di informazione settimanale: http://www.corrispondenzaromana.it
URL to article: http://www.corrispondenzaromana.it/donald-trump-inverte-la-rotta-su-aborto-e-gay/



Umorismo Olandese: The Netherlands Second! (Video da Cappottarsi dalle Risate)

Di FunnyKing , il  
Non riesco a smettere di ridere, questi Olandesi sono geni assoluti!!!!

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