ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 25 gennaio 2017

La Chiesa si sta arrendendo?

NIETZSCHE E L'ULTIMO PAPA

    Inquietante attualità dell’ultimo papa di Nietzsche. In Così parlò Zarathustra pubblicata nel 1885 mette in scena l’incontro fra il suo eroe e uno strano personaggio, un vecchio che gli confessa di essere l’ultimo papa 
di Francesco Lamendola  




Nel sesto episodio della quarta e ultima parte di Così parlò Zarathustra, pubblicata nel 1885, Friedrich Nietzsche mette in scena l’incontro fra il suo eroe e uno strano e patetico personaggio, un vecchio dall’aria malinconica e delusa, che gli confessa di essere l’ultimo papa, e che ormai si è ritirato in solitudine, quando si è reso conto che il suo ruolo era diventato inutile, avendo compreso la verità già annunziata da Zarathustra, ossia che Dio è morto.
L’episodio, intitolato Fuori servizio (Außer Dienst; “a riposo” nella traduzione di Giuseppina Quattrocchi) si presta a molte riflessioni, specialmente in chiave di attualità, e ha un sapore quasi profetico, se si pensa che è stato concepito e scritto circa centotrenta anni prima dell’abdicazione di Benedetto XVI – che alcuni preferiscono chiamare, pudicamente, “rinuncia al ministero petrino - e della elezione di un pontefice come Francesco; e questa è storia dei nostri giorni.
Vale la pena di rileggersi almeno la parte iniziale di questo episodio nella splendida, e ormai classica, traduzione di Liliana Scalero (da: F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra,  a cura di L. Scalero, Milano, Longanesi & C., 1972, vol. 2, pp. 135-139):

Non molto tempo dopo essersi liberato del mago, Zarathustra vide di nuovo qualcuno seduto sul cammino che stava percorrendo, e cioè un uomo lungo e nero con un viso magro e patito: e quella vista lo indispettì grandemente. “Ahimè – disse in cuor suo – laggiù c’è l’immagine stessa della tristezza, e mi sembra che sia quella di un prete: cosa vogliono COSTORO nel mio dominio? Come! Sono appena sfuggito a quel mago, ed ecco che già un altro negromante deve venirmi fra i piedi, uno stregone qualsiasi, che certo pratica l’imposizione delle mani, un tenebroso taumaturgo per grazia di Dio, un unto del Signore calunniatore del mondo, che il diavolo se lo porti via! Ma il diavolo non sta mai al posto dove dovrebbe stare; sempre arriva troppo tardi, quel maledetto nano dal piede di cavallo!”
Così bestemmiava Zarathustra con impazienza in cuor suo, e pensava come avrebbe potuto sgusciar via davanti all’uomo nero senza guardarlo in faccia: ma vedi un po’! le cose andarono altrimenti. Nello stesso momento colui che stava seduto l’aveva già visto; e, come un uomo cui capita un’inaspettata fortuna, s’alzò di scatto e si precipitò verso Zarathustra.
“Chiunque tu sia, o viandante – disse – aiuta uno che s’è perduto e che cerca la strada, un vecchio cui può facilmente capitare una disgrazia! Questo mondo qui m’è straniero e remoto, eppoi ho anche sentito l’urlo delle bestie feroci; e chi avrebbe potuto proteggermi, non è più. Io cercavo l’ultimo pio, un santo, un eremita che, solo nella sua foresta, ancora non avesse sentito parlare di tutto ciò che il mondo intero oggi sa.
COSA SA il mondo intero?”,  domandò Zarathustra. “Forse che oggi non vive più il vecchio Iddio cui tutti avevano un giorno creduto?”
“Tu l’hai detto”, rispose tristemente il vecchio. “Ed io servii questo vecchio Dio fino all’ultima ora. Ma ora sono fuori servizio, senza padrone, eppure non sono libero, e non ho più una sola ora d’allegrezza, se non fra i ricordi. Perciò sono salito fra queste montagne, per potermi finalmente concedere di nuovo un po’ di festa, come spetta a un vecchio papa e padre della Chiesa (perché sappi ch’io sono l’ultimo papa): una festa piena di pii ricordi e servizi divini! Ma ora è morto anche lui, l‘uomo più pio che ci fosse al mondo, quel santo della foresta che lodava incessantemente il suo Dio con canti e brontolii. E quando trovai la sua capanna, non trovai più lui, vi trovai invece due lupi che piangevano ululando la sua morte, perché tutti gli animali lo amavano. Allora me ne scappai via. Ero dunque venuto invano in queste foreste e montagne? Allora il mio cuore si decise a cercare un altro, il più puro fra cloro che non credono in un Dio; voglio dire Zarathustra!”
Così disse il vecchio e guardò con occhio penetrante colui che gli stava dinanzi; ma Zarathustra prese la mano del vecchio papa e la guardò a lungo on stupore.
“Guarda un po’, o uomo venerabile – disse poi, che mano lunga e bella tu hai! Quest’è la mano di uno che ha sempre impartito benedizioni. Ma ora la tiene ferma colui che tu cerchi, io, Zarathustra.
Sono io, l’empio Zarathustra, che parla qui; dimmi, chi è più empio di me, affinché possa aver la gioia di diventare suo allievo?”
Così parlò Zarathustra e trapassò col suo sguardo i pensieri del vecchio papa, anche i più riposti. Alla fine il vecchio disse: “Chi più di tutti lo ha amato e posseduto, lo ha anche perduto più di tutti gli altri: e ora non ti pare che dei due il più empio sia io? Ma chi potrebbe mai rallegrarsi di ciò?”
”Tu che lo hai servito fino all’ultimo – domandò Zarathustra pensoso dopo un profondo silenzio – sai COME è morto? È vero, come si dice, che lo ha soffocato la pietà? La pietà perché ha veduto L’UOMO pendere dalla croce, e non ha potuto sopportare che l’amore per gli uomini diventasse il suo inferno e in ultimo la sua morte?”
Ma il vecchio papa non rispose e torse timidamente lo sguardo con un’espressione dolorosa e cupa. “Lascialo andare - disse Zarathustra, dopo aver a lungo riflettuto, sempre guardando fisso nell’occhio il vecchio. - Lascialo andare, egli è morto. E anche se ti fa onore il fatto che dici del morto soltanto bene, tuttavia sai al pari di me CHI egli era; e che egli era solito prendere strane vie.
“Detto a tre occhi – disse il vecchio papa rasserenato (poiché egli era cieco da un occhio) nelle cose di Dio sono più illuminato io di Zarathustra, e posso esserlo. Il mio amore ha servito Dio per lunghi anni, la mia volontà s’inchinava in tutto alla sua. Un buon servitore tuttavia sa tutto, e sa anche parecchie cose che il padrone nasconde a se stesso. Era un Dio nascosto, pieno di cose segrete. E invece, non ebbe un figlio se non per vie traverse. Sulla soglia della sua fede sta l’adulterio. Chi lo esalta come un Dio dell’amore, non ha davvero dell’amore un’idea molto elevata. Non voleva questo Dio essere anche giudice? Chi ama, invece, ama facendo astrazione da premi e castighi. Quando era giovane, questo Dio dell’Oriente era duro e vendicativo e si fabbricava un inferno per divertire i suoi prediletti. Finalmente divenne vecchio, e tenero e compassionevole e molle,  più simile a un uomo che ad un padre, ma più che altro ad una vecchia nonna barcollante. E se ne stava seduto lì, secco e rugoso, in un angolo presso la stufa, lamentandosi delle sue gambe indebolite, stanco della vita, senza più volontà, finché un bel giorno soffocò a causa della troppa compassione”.
“Vecchio papa – disse a questo punto Zarathustra interrompendo, - ha proprio veduto QUESTO con i tuoi stessi occhi?La cosa potrebbe in realtà essersi svolta così; così, ma anche altrimenti. Quando gli dei muoiono, muoiono sempre di molte specie di morte. Ebbene! Così o così, così e così, egli è morto! Egli era il contrario di tutto ciò che piace ai miei occhi e alle mie orecchie: mi pare che non potrei dir peggio di lui. Io amo tutto ciò che ha lo sguardo sereno e parla onestamente. Ma egli, tu lo sai bene, vecchio prete, perché c’era in lui qualcosa di te, della tua natura pretesca, egli era ambiguo,  e si prestava a molte interpretazioni. Era anche poco chiaro. Quanto ci ha serbato rancore, quel collerico, perché lo capivamo male?  Perché non parlava in modo più netto? E se la colpa era delle nostre orecchie, perché ci forniva di orecchie che lo capivano male? Se c’era della melma nelle nostre orecchie, di’, chi ce l’aveva messa?Troppe cose riuscirono male a quel vasaio che non aveva finito d’imparare! Ma che egli poi si vendicasse sui suoi vasi  e le sue creature perché gli riuscivano male, questo era un peccato contro il BUON GUSTO. Perché c’è del buon gusto anche nella devozione: e il buon gusto finalmente disse: “FACCIAMOLA FINITA con un simile Dio! Meglio nessun Dio, meglio fabbricarsi da sé la propria sorte, meglio essere un pazzo, meglio essere noi stessi Dio!”

In questo racconto, addirittura straziante nella sua intensità emotiva, si può leggere, in filigrana, tutta l’immensa tristezza di Nietzsche nel consumare il distacco definitivo dal cristianesimo, la religione in cui era stato cresciuto (suo padre, morto quando lui era ancora bambino, era un pastore luterano); e il distacco è così sofferto e pieno di rimpianti, che qui è proprio l’empio Zarathustra a porgere parole di conforto e di consolazione al vecchio papa, che si sente deluso e abbandonato.
Ma a parte questo aspetto, che qui non c’interessa, l’apologo nietzschiano dell’ultimo papa ci offre parecchi spunti di riflessione in chiave di attualità; e non solo dell’attualità in senso stretto, ossia, come abbiamo già accennato, con riferimento al clamoroso ritiro di papa Ratzinger e alla elezione di papa Bergoglio, ma, più in generale, all’attualità come rapporto fra il cristianesimo e il mondo moderno; rapporto che, evidentemente, già ai tempi del filosofo tedesco, negli ultimi decenni del XIX secolo, presentava dei segnali inquietanti, nel senso di un progressivo cedimento e disseccamento del primo, sempre più infiltrato dai modi di pensare e di sentire propri del secondo. Come abbiamo avuto più volte occasione di dire, i cristiani, e specialmente i cattolici, negli ultimi centocinquanta anni sembrano avere smarrito, via, via, la consapevolezza che la Chiesa e il mondo rappresentano due potestates incompatibili e inconciliabili, a meno che l’una penetri nella seconda e la permei di sé, la sottometta, la rielabori e la trasformi. Nei secoli del Medioevo è stata la Chiesa a penetrare e trasformare la società civile, insinuandosi in ogni vena e in ogni arteria del suo organismo; poi, con l’esordio della modernità, il processo si è invertito, e, un poco alla volta, è stato il mondo profano, dominato dai nuovi miti della scienza, della tecnica e del progresso, a infiltrare e trasformare la Chiesa. Il cristianesimo dell’età moderna, pertanto, ha subito un processo di rielaborazione e trasformazione che lo ha portato a diventare una cosa completamente diversa da ciò che era un tempo: e questo, nella Chiesa cattolica, si è svolto con un certo rispetto delle forme, con una certa illusione di stabilità e continuità. Ma la rottura c’è stata, eccome: e quanto più la Chiesa ha consumato, in se stessa, la rottura con la propria Tradizione (con la lettera maiuscola, perché stiamo parlando della sua dimensione soprannaturale), tanto più il mondo moderno ha celebrato su di essa e dentro di essa la sua grande rivincita.
Nietzsche, con occhio profetico, ha visto quel che oggi è sotto gli occhi di tutti, mentre allora era in gran parte nascosto e, per certi aspetti, addirittura impensabile: e cioè che la Chiesa si sta arrendendo; che il suo grande organismo è infiltrato ovunque, materialmente e metaforicamente, dalle avanguardie aggressive del mondo moderno, da tendenze gnostico-massoniche e da atteggiamento pratici, edonisti e utilitaristi, che la stanno travolgendo e trascinando lontano da se stessa, e, quindi, lontano dal Vangelo, in quella che non è affatto esagerazione – purtroppo - definire come una immensa apostasia strisciante, la quale, per il fatto di essere partita, sovente, proprio dal vertice, dalla gerarchia, non per questo si può considerare come qualcosa di diverso, a tutti gli effetti, da un distacco dalle verità della fede, e dunque da un traviamento che è anche un tradimento. Il risultato è che milioni di fedeli, ormai, si trovano in uno stato d’animo vicinissimo a quello del vecchio papa descritto da Nietzsche: scoraggiati, depressi, amareggiati, ridotti a contemplare mestamente le ceneri fredde di quello che un tempo era un fuoco vivo e crepitante, capace di riscaldare i loro cuori e le loro menti, di conferire un nobile significato alla loro vita, di sostenerli nelle difficoltà e di far loro rivolgere lo sguardo in  e verso l’alto, senza mai arrendersi di fronte alle sconfitte della vecchiaia, della malattia e della morte. Quel rapporto armonioso tra gli uomini e Dio, che si tramandava da generazione in generazione, e che la Chiesa cattolica, pur con momenti di difficoltà, aveva sempre saputo custodire degnamente, e aveva difeso coraggiosamente contro ogni nemico, sia esterno che interno, è stato ormai compromesso in una misura tale che, umanamente parlando, è quasi irreparabile: solo Dio potrebbe ancora compiere il miracolo di riannodarlo e ricostituirlo.
È un bilancio fallimentare, tuttavia è necessario farlo, non solo per dovere di onestà, ma anche perché solo da una impietosa, ma lucida, presa di coscienza di quel che è accaduto, potrebbero germogliare le possibilità di una rinascita futura. Bisogna avere dunque la franchezza e la lealtà di chiamare le cose con il loro nome; e dire, tanto per cominciare, che il Concilio Vaticano II ha aperto la stagione del disastro, della svendita a prezzi di fine stagione, della auto-demolizione e della auto-delegittimazione della Chiesa e del cattolicesimo. Questa è la prima cosa che bisogna riconoscere, perché da questo atto di onestà intellettuale dipende tutto il resto. Non stiamo dicendo che il Concilio, in se stesso, sia stato sbagliato e illegittimo: non potremmo farlo, perché  ogni concilio è assistito dallo Spirito Santo, e tutta la vita della Chiesa è sostenuta, incoraggiata, vivificata dalla presenza di Dio, secondo la promessa di Gesù Cristo: là dove due si riuniscono a pregare nel mio nome, lì ci sarò anch’io. Stiamo dicendo che in esso, intorno ad esso, e dopo di esso, si sono infiltrate delle forze anticristiane, le quali hanno agito consapevolmente per portare la Chiesa verso l’apostasia, e che si sono abilmente servite della ingenua collaborazione di molti padri conciliari, i quali, più o meno in buona fede, ma con poca saggezza, hanno creduto di interpretare lo spirito dei “tempi nuovi”, e di rendere un servizio alla Chiesa e ai fedeli, rinnovando radicalmente la vita della Chiesa stessa.
Né stiamo dicendo che, prima del Concilio, tutto andasse bene: anche su questo punto bisogna essere onesti, chiari ed equanimi. Del resto, il veleno modernista, strappato, sul momento, dall’azione energica e decisa di san Pio X – e quanto non è stato criticato, allora e soprattutto in seguito, fino al presente, dai tanti cattolici progressisti, dai tanti Melloni e compagnia bella, tutti insieme appassionatamente per denigrare, screditare, delegittimare questo grande papa, ad onta del fatto che sia stato proclamato santo – è ricomparso poco dopo e si è lentamente, silenziosamente infiltrato, sin nelle fibre più riposte della Chiesa. La tendenza modernista è stata potentemente aiutata dalla massoneria dentro la Chiesa, e dalle religioni non cristiane all’esterno, specialmente il giudaismo, alcuni esponenti del quale, specie i membri del B’nai B’rith, aspettavano pazientemente l’occasione, come il ragno sulla tela, di poter sorprendere la Chiesa in un momento di confusione o di debolezza. E quel momento è arrivato, al principio degli anni ’60, quando, sotto il pontificato di Giovanni XXIII – dopo una lunga, insidiosa, perfida campagna di diffamazione nei confronti di Pio XII, per il suo presunto “silenzio” sul genocidio degli Ebrei – si erano venute a creare le condizioni adatte per tirare le fila della congiura, e sferrare il colpo decisivo.
A tutto questo bisogna reagire, anche perché tutti coloro che sono coinvolti, in un modo o nell’altro, consapevoli o meno, nell’assalto finale contro la Chiesa e contro la Verità del Vangelo, non se ne stanno certo inoperosi, ma si accingono a dare le ultime spallate per far crollare quel poco di mura che restano ancora in piedi, e poter depredare, saccheggiare, profanare impunemente il prezioso tesoro che vi è contenuto, e custodito da due millenni: il depositum fidei. Possiamo anche indicare, con ragionevole certezza, quale sarà il loro prossimo obiettivo: il sacramento dell’Eucarestia. Cominceranno con il far sparire il Santissimo dalle chiese; poi, dopo aver preteso che tutti i fedeli si comunichino prendendo l’Ostia consacrata nelle loro mani, cominceranno ad insinuare che, insomma, sì, la Messa è un simbolo, dopo tutto, una commemorazione dell’Ultima Cena, e che la presenza del Signore non va intesa troppo alla lettera; che tale era la pedagogia per i nostri nonni, i quali, si sa, erano ancora un po’ bambini, ma noi, uomini maturi e pienamente moderni, certo non possiamo prender tutto così alla lettera. Teologi felloni e vescovi apostati insinueranno questo tradimento, e sacerdoti senza più fede e senza più timor di Dio lo consumeranno, e credenti che ormai sono tali solo di nome, ma che hanno sempre cercato di tenere il piede in due staffe – Dio e mammona, nonostante l’esplicito ammonimento di Gesù – non attenderanno altro per rompere le righe, per “andare oltre” la transustanziazione, per imbandire la grande cena dell’Umanità, che verrà posta sull’altare, al posto di Gesù Cristo.
Dobbiamo stare attenti e vigilare, come le vergini savie della parabola evangelica, perché non sappiamo quando ciò accadrà; ma alcuni segnali fanno ritenere che non manchi molto. E, se costoro riusciranno a impadronirsi della Messa, a stravolgerne il significato, e a cacciare Gesù Cristo dalle nostre chiese, probabilmente si consumerà una rottura da cui non potrà più esservi ritorno: con danno incalcolabile per milioni di anime.
Bisogna stare in guardia: il Nemico aveva atteso questo momento da duemila anni, anzi, da prima che il mondo fosse creato; e ora le sue labbra già si stanno schiudendo in un sogghigno di feroce soddisfazione, perché sente ormai vicina la vittoria. Questa è una guerra, anzi, siamo alla vigilia dell’ultima battaglia di una lunghissima guerra, che i nostri avi hanno valorosamente combattuto, mentre noi apparteniamo alla generazione dei disertori, degli incoscienti, o peggio. Eppure, forse non è troppo tardi; forse, con l’aiuto di Dio, questa battaglia potrà ancora essere vinta: ma, perché ciò sia possibile, è necessario vegliare, pregare, e denunciare apertamente, con franca lingua e senza alcun timore, le astute e perfide manovre di quanti vorrebbero impadronirsi della Chiesa di Gesù Cristo, per consegnarla in potere di satana. 



Inquietante attualità dell’ultimo papa di Nietzsche

di Francesco Lamendola


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