I professionisti della Tradizione.
Martedì 24 gennaio 2017
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Ho letto l’articolo con cui don Angelo Citati risponde dal sito della Fraternità Sacerdotale San Pio X alle mie recenti considerazioni sull’istituto di cui è divenuto da poco sacerdote (per leggere l’articolo clicca qui). Confesso che, se non fossi venuto a conoscenza dei retroscena riguardanti la pubblicazione dell’articolo, non avrei risposto. Non ve ne sarebbero state le condizioni perché la naturale simpatia che nutro per lo zelo di giovani virgulti come don Citati è inversamente proporzionale alla considerazione di cui dispongo per la loro produzione. Come si fa a non trovare simpatico un giovane sacerdote che, a nome della Fraternità San Pio X, arriva persino a perdonare volentieri la mia irruenza di incipiente sessantenne? “Perciò le perdoniamo volentieri questi ultimi articoli intempestivi”, mi dice così il giovane don Angelo Citati. Piccolino, ma chi cacchio credi essere, tu e i tuoi mandanti? Lo sai quanto me ne importa del perdono tuo e della FSSPX circa i miei articoli intempestivi? Guarda, lo passo a Paolo Deotto, che pubblica i miei scritti, caso mai ne senta il bisogno lui.
Raramente ho visto toccare vertici del ridicolo così alti e con simile facilità. Per riuscire a tanto Bergoglio, che è Bergoglio, si deve mettere il naso da clown e fare due capriole in piazza San Pietro, don Citati e chi per lui ci sono invece riusciti benissimo rimanendo seri. Non è un bel segno.
Adesso le solite anime belle si scandalizzeranno per il modo in cui tratto un sacerdote mostrando poco rispetto per la veste. Ma il sacerdote, se vuole tenere il suo sacerdozio al riparo da simili pericoli, dovrebbe avere la prudenza di non immischiarlo in pubbliche diatribe. Dal momento in cui lo fa, deve avere la virilità di togliersi la talare ed entrare nella mischia. Questo è il motivo per cui gli scritti di un religioso portano come firma solo il nome e il cognome senza il titolo dovuto alla consacrazione. Bisogna stare accorti, caro reverendo, e non mettere a repentaglio il “don” con questioni troppo spinose anche per il semplice Angelo Citati. Primo errore.
Ma torniamo al perdono concessomi “volentieri” a nome della FSSPX. Forse il povero don Citati non si rende conto della mostruosità che ha graziosamente enunciato: chi la pensa diversamente da lui e dalla Fraternità San Pio X ha bisogno di essere perdonato. Ma lei e la FSSPX, don Citati, chi cacchio credete di essere? La quarta persona della quaternità? Guardi che, come tutti gli uomini, anche io ho bisogno di essere perdonato solo se la penso diversamente da Nostro Signore: non se dissento da lei, da don Marco Nely, da monsignor Bernard Fellay e tanto meno da Bergoglio che vi attende a braccia aperte. Forse non se ne rende conto, ma lei ha trasformato in peccato una legittima differenza di opinione rispetto alla sua. Ne provo pena, e non ne sono per nulla felice, perché non si trova sulla soglia dell’attitudine totalitaria, ma c’è già dentro con tutti e due i piedi. Evidentemente, il morbo della misericordia bergogliana, checché ne dica nel suo articolo, ha già fatto il lavoro che doveva.
Ma, a beneficio dei lettori, torniamo all’inizio illustrando brevemente l’iter tribolato dell’articolo di don Citati: prima pubblicato sul sito della FSSPX, poi tolto dal sito della FSSPX perché aveva fatto imbufalire alcuni membri della FSSPX, e poi rimesso sul sito della FSSPX per esplicito imprimatur di don Marco Nely, proconsole di monsignor Fellay nel distretto italiano fino ad accordo ratificato. Dunque, pur redatta da un giovane virgulto così sprovveduto e neanche tanto simpatico, l’opinione di don Citati è quella della Fraternità. E, per questo, merita qualche puntualizzazione che, altrimenti, mi sarei risparmiato.
Per completezza di informazione, ritengo di non violare privacy alcuna, se dico che alle 16.47 di sabato 21 gennaio ho ricevuto una e-mail nella quale il succitato don Citati mi avvisava di aver pubblicato l’articolo in questione assicurandomi comunque tutta la sua stima, la totale assenza di intento polemico, eccetera eccetera. Secondo errore.
Non c’è atteggiamento capace di dare i conati al mio stomaco di vecchio professionista come quello di chi ti tira una sassata e poi ti avvisa. Il solito malcostume dell’attacco pubblico e delle scuse private. Quando si inizia una polemica, le persone perbene hanno una duplice possibilità: chiamano l’interessato prima di scrivere con l’intento di chiarirsi, oppure non dicono nulla, qualsiasi cosa possa avvenire in seguito. Chi scrive giustificandosi dopo aver lanciato il sasso lo fa per due possibili motivi: è scarsamente dotato di virilità e cerca di mettersi in qualche modo al riparo da eventuali reazioni, oppure è il solito furbetto del quartierino, in questo caso del distrettino, che pensa di averla fatta franca con un assegno postdatato sperando nessuno si accorga che è scoperto.
E adesso alcune considerazioni sull’articolo di don Citati, che rispecchia il pensiero ufficiale della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Ma non prima di aver precisato che non ho nulla da rettificare nei passaggi del mio scritto precedente, così urticanti per tanti palati fini: non mi sono espresso male, non sono stato frainteso e non volevo dire altro. In un mondo dove tutti si affrettano a ritrattare anche l’opinione su un gol in fuorigioco, si apprezzi almeno questa franchezza.
Dunque, secondo don Citati e secondo la FSSPX, quello che si appresta ad andare in scena, non sarebbe un “accordo”, ma un riconoscimento canonico unilaterale senza controparte dottrinale. Ho spiegato più volte che è proprio questo “senza controparte dottrinale” a sancire definitivamente l’irrilevanza della dottrina con la complicità della FSSPX.
Ma non è questo il punto: ci stiamo prendendo per il sedere, don Citati? Terzo errore. Quando mai un atto “unilaterale” di simile portata viene compiuto senza l’accordo della parte destinataria del provvedimento? Bergoglio, spietato ed efficientissimo uomo di potere, e la macchina curiale plasmata a sua immagine e somiglianza rischierebbero di sentirsi dire da monsignor Fellay “Grazie preferisco di no, non ballo l’accordo col casquè” e di rimanere con le pive nel sacco? Tant’è vero che mai come di questi tempi le profane stanze di Santa Marta sono frequentate, in chiaro e in criptato, dai vertici e dagli emissari della FSSPX. Mi dica don Citati: lo hanno fatto per bere un fernandito in compagnia o per concordare le mosse prossime venture?
Veniamo poi all’elenco delle gentili dichiarazioni di monsignor Lefebvre su Roma redatto dal solerte don Citati in nome e per conto della FSSPX. Quarto errore. Come molti hanno già notato, il nostro baldo scrittore mostra di essere poco preparato o di avere una mente preoccupantemente selettiva per un giovane della sua età. Forse questo sacerdote conosce male la storia dell’istituto di cui fa parte perché, a proposito dei rapporti della Fraternità di monsignor Lefebvre con Roma, mostra decine di lacune e una vera e propria voragine. Eppure, per evitare figuracce, bastava consultare Wikipedia, che recita così: “Nonostante un’ammonizione formale (17 giugno), il 30 giugno 1988 Lefebvre ordinava quattro vescovi (uno in più di quanto aveva annunciato in precedenza) e compiva così un atto scismatico (a norma del canone 751 del Codex iuris canonici), avendo egli apertamente rifiutato la sottomissione al Pontefice e la comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Di conseguenza sia Lefebvre, sia i vescovi da lui consacrati incorrevano ipso facto (cioè con lo stesso porre in essere l’atto) nella scomunica latae sententiae (“sentenza già data”, ovvero vi si incorre per lo stesso fatto di porre il gesto) il cui scioglimento è riservato alla Sede Apostolica”.
Non male come atto di ossequio alla Roma apostata e modernista. E si badi bene che non sono certo io a ritenerlo un atto da biasimare. Anzi, penso che sia una di quelle scelte che, nel corso della storia, hanno contribuito a salvare la Chiesa e di cui a monsignor Lefebvre sarà reso merito. Ma tutto questo don Citati non lo sa. O, se lo sa, mostra di aver fatto propria l’attitudine totalitaria di modificare il passato per deformare a proprio piacimento il presente e il futuro, così ben descritta da George Orwell nel suo 1984. Ciò mi induce a pensare che l’opera di reinterpretazione del pensiero del fondatore sia già in atto anche nella FSSPX e dunque urga la rieducazione degli eventuali dissidenti. Perché è evidente che il povero don Citati non è stato mandato a convincere me, visto che non me ne può fregare di meno di quanto dice, ma i suoi confratelli poco convinti della piega presa in questi ultimi tempi dall’istituto. Con quale risultato, lo vedremo.
Per concludere, una considerazione sull’equivalenza truffaldina con cui si fa coincidere la Tradizione con la FSSPX, alimentata con sempre maggior vigore dalla Fraternità stessa. Quinto errore. In questo caso serve una breve ma intensa lezione di giornalismo, che potrebbe servire al baldo don Citati se mai dovesse tornare a imbracciare la penna, ma da vecchio professionista gli consiglierei di no.
Il 10 gennaio 1987, Leonardo Sciascia, uno dei maggiori galantuomini tra gli intellettuali italiani del Novecento, scrisse per il Corriere della Sera un articolo che si intitolava “I professionisti dell’antimafia”. Andando in perfetta solitudine contro il malcostume di un potere politico fondato su veri e presunti meriti nella lotta alla mafia diceva: “Sicché se ne può concludere che l’antimafia è stata allora strumento di una fazione, internamente al fascismo, per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile non perché assiomaticamente incontrastabile era il regime o non solo: ma perché talmente innegabile appariva la restituzione all’ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi ragione e sotto qualsiasi forma, poteva essere facilmente etichettato come ‘mafioso’. Morale che possiamo estrarre, per così dire, dalla favola (documentatissima) che Duggan ci racconta. E da tener presente: l’antimafia come strumento di potere. Che può benissimo accadere anche in un sistema democratico, retorica aiutando e spirito critico mancando. E ne abbiamo qualche sintomo, qualche avvisaglia. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno, molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo: e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno”.
La FSSPX ormai vive, anzi sopravvive, grazie a un meccanismo simile. Si è autoidentificata con la Tradizione e, di conseguenza, chiunque la critichi viene bollato come eresiarca antitradizionale. È vero che tale identificazione è avvenuta anche per oggettivi meriti storici, ma ciò non toglie che l’equivalenza sia falsa e sia sempre stata falsa. Chi critica la FSSPX critica soltanto la FSSPX e non attacca la Tradizione o la Chiesa cattolica. Per questo non ci si deve scandalizzare se qualcuno dice che non gliene può fregare di meno di quale strada prenda questa singola istituzione. Anzi, il concetto andrebbe ribadito per togliere alla FSSPX un monopolio che si è arrogata indebitamente trasformandolo in puro strumento di potere.
Ora, presentandosi come depositari unici del marchio tradizionale, Fellay&C trovano in Bergoglio l’interlocutore perfetto per far fruttare una tale rendita. Omaggiano il sovrano, ne riconoscono la perfida signoria e lui concede un feudo persino ai bislacchi nostalgici della Messa in latino con la possibilità di farci quello che vogliono. Basta che gli garantiscano l’ordine, la disciplina e il riconoscimento della supremazia. Dal canto loro, i bislacchi nostalgici della Messa in latino spacceranno l’obiettivo raggiunto come la dimostrazione che la Chiesa sta finalmente guarendo, anzi è ormai guarita perché ha accolto anche loro. Quindi, basta mugugni perché il sovrano va lasciato in pace. Diranno che ci si può rilassare, che non è più necessario mettere le sentinelle a difesa della fede e, in pochi anni, finiranno a celebrare la messa nuova in sostituzione dei parroci in vacanza alle Maldive: meglio noi, spiegheranno con sussiego agli eventuali dubbiosi, piuttosto che le ministre straordinarie dell’Eucaristia.
Alcuni osservatori sostengono che, tempo tre mesi dall’accordo o riconoscimento unilaterale che dir si voglia, anche la FSSPX verrà commissariata, come è accaduto ad altri istituti. Ma si sbagliano, la FSSPX è già commissariata dal più inflessibile dei kommissari: il suo superiore generale, chiunque sia, se non si inverte la rotta.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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Ringrazio l’amico Alessandro che, in fondo al primo capoverso, mi passa il perdono che gli è stato concesso. Il pensiero è cortese, però – e così chiudiamo il giro – prendo il perdono e lo rispedisco al perdonante; neanch’io ne sento il bisogno, avendo pubblicato articoli che esprimono legittime opinioni che, tra l’altro, condivido pienamente.
Paolo Deotto
“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi
24/1/2017
http://www.riscossacristiana.it/fuori-moda-la-posta-di-alessandro-gnocchi-240217/
La controreplica di Alessandro Gnocchi all'articolo con cui don Angelo Citati FSSPX ha risposto al duro attacco dello scrittore alla Fraternità Sacerdotale San Pio X (vedi qui) non si è fatta purtroppo attendere. É stata pubblicata da Riscossa Cristiana con una breve postilla fomentatrice di Paolo Deotto (vedi qui) e subito ripresa, secondo una puntualità che ultimamente non cessa di far pensare, da Radio Spada. Non si vuole qui addentrarsi nei faticosi meandri di una invettiva che serve più a spiegare l'astio apertamente sedizioso verso la Fraternità e la Chiesa cattolica che a rendere gli argomenti addotti; e neppure appare necessario soffermarsi sul lessico e la sintassi dello scritto che fanno pensare alla scrittura luterana, a calami spezzati e a calamai che volano nella notte dello zelo amaro.
Più importante è osservare che qui Gnocchi, proprio a ridosso di una feroce critica dell'opera di Monsignor Schneider e del Cardinal Burke sviluppata nella recentissima polemica, rinfaccia alla Fraternità di essersi identificata con la Tradizione quasi assumendone il monopolio. Se c’è, infatti, una ragione al mondo per pensare, non dico: l’accordo, ma almeno la possibilità dell’accordo con le autorità romane è proprio il fatto che, dopo il Summorum Pontificum, la circonferenza della Tradizione ha iniziato a eccedere abbondantemente quella della FSSPX. Diceva Machiavelli, più con la saggezza mondana del politico che con la più volte asserita virilità del giornalista, che le repubbliche si fanno con gli amici. E in questo caso l’antimachiavellismo, gesuitico o meno, non è un argomento!
Ora il vecchio Giornalista, che si è lasciato alle spalle la Chiesa visibile "anticristica", la FSSPX e naturalmente gli istituti collaborazionisti dell'Anticristo romano (FSSP, ICRSS, Buon Pastore etc.), dovrebbe fornire ai suoi vecchi e nuovi lettori, affinché gli possano mandare lettere e doni, le coordinate precise della sua chiesa, del suo monastero, della sua grotta, della sua montagnola eremitica, o, almeno, della spoglia radura dell’attesa della Grazia senza opere (e alla lunga senza sacramenti) indicata nella sua precedente lettera “Fuori Moda”. Servirà forse a toglierli l'estrema melanconia dell'hora meridiana.
Tra notti zelanti e demoni meridiani. Brevissima chiosa alla controreplica di Alessandro Gnocchi a don Angelo Citati
Più importante è osservare che qui Gnocchi, proprio a ridosso di una feroce critica dell'opera di Monsignor Schneider e del Cardinal Burke sviluppata nella recentissima polemica, rinfaccia alla Fraternità di essersi identificata con la Tradizione quasi assumendone il monopolio. Se c’è, infatti, una ragione al mondo per pensare, non dico: l’accordo, ma almeno la possibilità dell’accordo con le autorità romane è proprio il fatto che, dopo il Summorum Pontificum, la circonferenza della Tradizione ha iniziato a eccedere abbondantemente quella della FSSPX. Diceva Machiavelli, più con la saggezza mondana del politico che con la più volte asserita virilità del giornalista, che le repubbliche si fanno con gli amici. E in questo caso l’antimachiavellismo, gesuitico o meno, non è un argomento!
Ora il vecchio Giornalista, che si è lasciato alle spalle la Chiesa visibile "anticristica", la FSSPX e naturalmente gli istituti collaborazionisti dell'Anticristo romano (FSSP, ICRSS, Buon Pastore etc.), dovrebbe fornire ai suoi vecchi e nuovi lettori, affinché gli possano mandare lettere e doni, le coordinate precise della sua chiesa, del suo monastero, della sua grotta, della sua montagnola eremitica, o, almeno, della spoglia radura dell’attesa della Grazia senza opere (e alla lunga senza sacramenti) indicata nella sua precedente lettera “Fuori Moda”. Servirà forse a toglierli l'estrema melanconia dell'hora meridiana.
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