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domenica 8 gennaio 2017

ll trait d’union fra la gnosi e il modernismo cattolico

PAUL ROCA GNOSI E MODERNISMO

    Eminenza grigia: Paul Roca, prete apostata e scomunicato, è il trait d’union fra la gnosi e il modernismo cattolico. Identifica uno di quei personaggi che, pur passando quasi inosservati sulla scena del mondo, fanno la storia 
di Francesco Lamendola  





Può darsi che il nome di Paul Roca non dica nulla alla maggior parte delle persone di media cultura, cattolici compresi; eppure è un nome importante, perché identifica uno di quei personaggi che, pur passando quasi inosservati sulla scena del mondo, fanno la storia più di quanto non la facciano altri uomini, ben visibili e conosciuti da tutti, i quali, però, detengono un potere più apparente che reale, e operano solo in superficie, mentre gli altri, le eminenze grigie, gli ispiratori occulti, stando nell’ombra arano il campo in profondità, e spargono dei semi che daranno raccolti durevoli – tanto nel bene, quanto nel male.
Proviamo a considerare questo brano di prosa:

Credo che il culto divino come è espresso dalla liturgia, il cerimoniale, il rito e i precetti della Chiesa romana subiranno prossimamente in un Concilio ecumenico una trasformazione che, restituendo ad essi la venerabile semplicità dell’età dell’oro apostolica, li metterà in armonia con il nuovo stato della coscienza e della civilizzazione moderna. […]
[Si accederà così ad una religiosità e alla] profondità e l’universalità di un cristianesimo col quale si metteranno in armonia tutti i centri religiosi della terra. […]
Il Pontefice si accontenterà di confermare e glorificare il lavoro dello Spirito o del Cristo Spirito nello spirito pubblico, e grazie al privilegio della sua personale infallibilità, dichiarerà canonicamente “urbi et orbi” che la civilizzazione presente è figlia legittima del Santo Vangelo e della Redenzione sociale.

Si direbbe un programma per modificare radicalmente la natura e la struttura della Chiesa cattolica, e, soprattutto, il senso della sua missione nel mondo. Si allude a un concilio ecumenico, mediante il quale verrà operata tale trasformazione; e si dice che essa dovrà avvenire nel segno di una corrispondente trasformazione sociale, di cui la Chiesa stessa si farà garante e banditrice. Poi si parla confusamente dello Spirito, con la maiuscola, e dello spirito pubblico, mescolando sacro e profano come se niente fosse, e, peggio, risolvendo il primo nel secondo: tipico atteggiamento gnostico e teosofico; si parla di un collegamento organico fra tutte le religioni del mondo; di una glorificazione dello Spirito che diverrà una glorificazione dell’uomo; di una solenne dichiarazione di compatibilità, anzi, di discendenza, della civiltà moderna dal Vangelo, ignorando completamente il nucleo anticristiano e irreligioso della modernità, e svuotando dall’interno l’identità e la specificità del cristianesimo e della stessa Chiesa cattolica, ridotta alla funzione di collettore delle energie spirituali e materiali dell’umanità, in vista di una “svolta” che dovrà portare, in un certo senso, al suo definitivo superamento. Difficile non pensare al Concilio Vaticano II, che, convocato senza alcuna necessità dottrinale o disciplinare, fatto unico nella storia della Chiesa, e quando erano ben noti alla Gerarchia i fermenti, le inquietudini e le smanie di “riforma” tendenti, in realtà, ad una riproposizione dei temi e degli atteggiamenti cari al modernismo cattolico del primo ’900 (tanto da trattenere Pio XII dal convocarlo, pur avendone accarezzata l’idea), si è risolto, in effetti, forse al di là delle intenzioni di molti padri conciliari, nel primo atto di un progressivo processo di auto-svuotamento, auto-delegittimazione e auto-distruzione della Chiesa stessa, seguendo, a grandi linee, le direzioni indicate dal brano che abbiamo qui sopra presentato.
C’è solo un piccolo particolare da aggiungere: che quelle parole sono state tratte da un libro pubblicato a Parigi nel 1889, Glorieux Centenaire, 1889 – e non è difficile intuire di qual centenario si tratti -, firmato da un ex prete carmelitano, l’abbé Paul Roca. Il titolo completo suona così: Glorieux Centenaire, 1889. Monde nouveau, nouveaux cieux, nouvelle terre, par l’auteur de “La fin de L’ancien monde”. Naturalmente, l’autore del libro, apparso tre anni prima, nel 1886, La fin de l’ancien monde, les noveaux cieux et la nouvelle terre (nei titoli, a quanto pare, era propenso agli svolazzi poetici, ma non si curava altrettanto della originalità), era sempre lui, l’infaticabile abbé Roca: in totale, ne avrebbe scritti una decina, sempre sostenendo gli stessi concetti: la parentela e la convergenza necessaria fra cristianesimo e socialismo; la necessità di adeguare la Chiesa al mondo moderno, e, in particolare, alla scienza positiva; l’esaltazione del giacobinismo, della democrazia, della cultura positivista; l’auspicio dell’instaurarsi di una super-religione e di un super-governo mondiali, che fondano tutte le tradizioni e tutte le patrie e le culture in una sola; infine, nelle ultime opere, un anticlericalismo sempre più radicale, anche come reazione alla scomunica ricevuta dalla Chiesa cattolica, dopo che i suoi libri erano stati messi all’Indice.
Si sarà notato che nelle idee-chiave di questo strano e inquietante personaggio è praticamente raccolto tutto lo spirito del modernismo, che si sarebbe diffuso tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 e che, combattuto e scomunicato da san Pio X, con enciclica Pascendi, del 1907, ha poi rifatto capolino e ha ripreso a diffondersi, a guadagnare consensi, a conquistare posizioni, silenzioso e tenace, senza averne l’aria; al punto che oggi, sotto il pontificato di papa Francesco, si mostra apertamente e con raddoppiata energia, e proclama a viso aperto quelle proposizioni che furono già solennemente condannate dal Magistero, aggiungendone altre ancora più audaci, ancora più estreme, come se non cerasse solamente la rivincita, ma si proponesse decisamente l’obiettivo di impadronirsi, di fatto, della Chiesa cattolica in quanto tale, depositum fidei compreso, ma, s’intende, con l’obiettivo, neanche tanto nascosto, di modificare quest’ultimo, se non addirittura di stravolgerlo, stavolta, però, agendo dall’alto, oltre che dal basso. Ora, come non notare la perfetta coincidenza temporale? Roca, nato a Forques, nel Rossiglione, il 26 aprile 1830, e morto a Nefiac, nella stessa regione, il 10 settembre 1893 (la Chiesa gli rifiutò le esequie religiose, ma, in compenso, ebbe un solenne elogio funebre dai martinisti, setta gnostica e cabalistica molto attiva in Francia in quegli anni, cui aveva aderito anche Honoré de Balzac), era stato professore nel seminario di Perpignano; ordinato prete nel 1858, aveva avuto esattamente trent’anni di tempo per spargere i suoi errori e le sue aberrazioni teologiche fra i giovani avviati al sacerdozio.
E si tenga presente un’altra sua idea-chiave, probabilmente la più importante di tutte, e la più gravida di conseguenze: Il mio Cristo non è quello del Vaticano […]. Cristo è il puro Adam-Kadmon dei cabalisti; vale a dire la religione dell’uomo (questa e le precedenti citazioni sono tratte dal libro di Epiphanius, Massoneria e sette segrete. La faccia occulta della storia, Napoli, Controcorrente Edizioni, 1990, 2002, pp. 253-255). Questa dichiarazione egli la fece nel 1889, davanti ai partecipanti al Congresso spiritista e spiritualista, l’anno della espulsione dalla Chiesa, mentre frequentava personaggi come l’occultista e massone del 33° grado Oswald Wirth, e il terribile mago nero martinista Stanislas de Guaita. Sostituire al cristianesimo la religione dell’uomo, in senso magico, esoterico e cabalistico, ma non per contrapposizione, bensì per graduale sostituzione, fusione e annullamento: quella che, nel penultimo decennio del XIX secolo, poteva sembrare un’impresa assurda, inverosimile, o, quanto meno, velleitaria e improbabile, oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, sembra invece assai bene avviata, e, per certi aspetti, già tradotta in pratica. Non sentiamo forse, quasi ogni giorno, papa Francesco tuonare contro il “clericalismo”, come se fosse questo il problema più grave e più urgente, e, nello stesso tempo, lo sentiamo lodare il giudaismo, il luteranesimo e l’islamismo, ma criticare aspramente i cattolici, mentre non lo abbiano sentito una sola volta nominare il terrorismo islamico, che è giunto ad assassinare i preti fin dentro le chiese d’Europa?  E non lo abbiamo sentito affermare, più volte, che il grande male dell’umanità sono i fondamentalismi, e mettere quello cattolico – posto che esista, ai nostri dì - sullo stesso piano di quello islamico? Non lo abbiamo sentito dire che, se ci sono islamici che uccidono persone innocenti, ci sono anche cattolici che ammazzano le mogli o le suocere?
Ebbene: al Congresso spiritualista del 1908, la rivista ufficiale martinista, L’initiation dichiarava di voler aderire alla lotta contro i due grandi flagelli contemporanei: il clericalismo e il settarismo, in ogni loro forma (op. cit., p. 259). Se si tratta di coincidenze, sono coincidenze impressionanti. Il linguaggio di papa Francesco presenta analogie a dir poco sorprendenti con quello di una società segreta gnostico-massonica dichiaratamente anticristiana e anticattolica, che ebbe il suo momento di maggior diffusione nella Francia di un secolo e mezzo fa. Ancora più impressionante è il fatto che Paul Roca, come, prima di lui, Comenio e Saint-Yves d’Alveydre, pensava che l’obiettivo finale da perseguire fosse una Sinarchia, un super-governo mondiale, politico e religioso al tempo stesso, basato sull’equivalenza di tutti i culti e su una adattamento dottrinale del cattolicesimo come strategia preparatoria per giungervi. La Chiesa cattolica, infatti, nella sua visione, e in quella dei moderni gnostici venuti prima e dopo di lui, appariva (e appare) come il principale ostacolo all’instaurazione del Nuovo Ordine tanto desiderato; un ostacolo che duemila anni di storia hanno dimostrato essere un osso troppo duro da rodere anche per le mascelle più robuste. Di qui l’idea di raggiungere l’obiettivo prefisso marciando dentro la Chiesa, conquistandola dall’interno, ma senza troppo clamore e senza alcuna precipitazione: preparando il terreno a poco a poco, sia sul piano liturgico e pastorale, sia, ma con cautela ancor maggiore, su quello teologico e dottrinale, però sempre richiamandosi al Vangelo, al “vero” Vangelo, alla necessità di “ritornare” al Vangelo, come se la Chiesa, in questi due millenni, avesse costantemente divagato. Inutile dire che, quando l’obiettivo sarà giunti ormai a portata di nano, anche questi riferimenti al Vangelo, peraltro sempre più vaghi e immanentistici, scompariranno, per lasciare il posto alla religione dell’umanità, che verrà proclamata senza più tanti giri di parole.
Un’altra bestia nera del canonico Roca erano i dogmi. Secondo lui, la Chiesa avrebbe dovuto rinunciare ai dogmi, così come ci si spoglia di un vestito ormai vecchio ed inutile: come conciliare il dogma, infatti, con i diritti della ragione, con la libertà della ricerca, con le verità della scienza? E, fra le due cose, erano le verità della Chiesa, cioè i dogmi, a dover cedere le armi: altrimenti, che religione dell’uomo si sarebbe mai potuta instaurare? Da buon libertario e progressista, del dogma non vedeva che l’aspetto “autoritario” e, diciamo  così, coercitivo, e perciò sgradevole e quasi anacronistico, della dottrina cattolica; non ne vedeva affatto l’aspetto positivo, cioè la funzione di salvaguardia della verità contro l’errore e le adulterazioni teologiche. Nella sua prospettiva, l’umanità doveva marciare verso il progresso, verso l’instaurazione di un nuovo mondo, più giusto e più fraterno; nel suo vocabolario, la parola “solidarietà”, che esprime un valore umanistico e immanente, prende il posto della “carità”, sentimento di dedizione filiale a Dio. È l’umanità che si eleva e si protende verso i cieli nuovi e la terra nuova; ed è la ragione scientifica che le consente di coltivare una così alta aspirazione. Il Dio cristiano scompare, la Trinità di dissolve, e Gesù Cristo, come si è visto, non è che Adam Kadmon, l’uomo primordiale della Cabala ebraica (che, guarda caso, nel 2005 è stato ripreso dalla rete, in un blog amatoriale, poi da alcuni programmi radiofonici e televisivi, in chiave moderna e in una cornice esoterica e complottistica che, ultimamente, va assai di moda). Ci piacerebbe che questi concetti somigliassero per puro caso a talune affermazioni oggi manifestate da numerosi esponenti della Chiesa cattolica, compresi teologi, vescovi e cardinali; ma, sfortunatamente, crediamo assai poco alle coincidenze, specialmente quando sono frequenti e significative, e siano invece portati a pensare che due, tre o più coincidenze, stanno a indicare che tra i fatti in questione, per quanto possano apparire lontani, deve esistere una qualche relazione profonda, che sfugge all’occhio superficiale, ma non a chi abbia l’abitudine di riflettere attentamente. Si prenda, tanto per fare un esempio, la bizzarra e sconclusionata concezione – bisogna pur ammetterlo, anche rispettando l’intelligenza dell’autore - di Teilhard de Chardin, tanto magnificata dai cattolici progressisti, e presentata, manco a dirlo, come uno dei segnali premonitori dello “spirito” (con la minuscola, oltre che con le virgolette) del Concilio Vaticano II. Che cos’è? Non è scienza, anche se Teilhard era un insigne paleontologo; non è filosofia; non è teologia. Come osservava Étienne Gilson, è un pasticcio che mescola insieme tratti di queste discipline, con abbondanti dosi di poesia. Come non vedere, nell’evoluzionismo misticheggiante di Teilhard, diretto al “punto omega” del Cristo cosmico, un riflesso delle concezioni gnostiche e cabalistiche?

Paul Roca, prete apostata e scomunicato, è il trait 
d’union fra la gnosi e il modernismo cattolico

di Francesco Lamendola

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