L'URLO SULLA CHIESA DI CRISTO
L’urlo del silenzio sulla Chiesa di Cristo. Sta gradualmente emergendo un quadro di un complotto dentro la Chiesa e fuori di essa, per condizionare, modellare e capovolgere la dottrina cattolica, anche con l’arma dei silenzi
di Francesco Lamendola
Ci sono silenzi che parlano più di mille parole: com’è vero. E ci sono cose non conosciute che, se fossero rese note per tempo, getterebbero una luce completamente diversa su ciò che si crede di conoscere. Da troppo tempo, dal Concilio Vaticano II, nella Chiesa cattolica imperversano e urlano i venti rabbiosi del silenzio e delle cose non rivelate: per chi li sa udire, naturalmente. Per gli altri, per i dormienti, per i conformisti, per i vili, non c’è nessun urlo, non c’è nessun silenzio, non c’è nessun mistero. È tutto molto limpido e chiaro: prima c’era una Chiesa arroccata a difesa, chiusa e avvitata su se stessa, sospettosa, diffidente, maldisposta verso l’universo mondo; poi è sbocciato il fiore meraviglioso di una chiesa vera e “viva”, palpitante di amore, aperta e dialogante con tutti, che non ha paura del mondo, ma che va incontro al mondo porgendo la sua offerta di amicizia, di fraternità, di solidarietà. Che bel quadretto; è perfino commovente.
Così, chi vuol continuare a sbucciarsi le mani ad applaudire il papa Francesco, chi non sogna altro che di scattarsi un selfie accanto a lui, magari quando si mette il naso da pagliaccio, o si mette in capo il sombrero, o mentre si prodiga in qualche gesto buffonesco e in qualche battuta che vorrebbe essere spiritosissima; chi vorrebbe catturare il suo sguardo, ricevere il suo sorriso, non c’è niente da dire: si tenga le sue certezze, il suo ottimismo, la sua fiducia.
Continui a pensare che finalmente è arrivato un papa “buono” (anche di Giovanni XXIII lo si diceva; ma questo significa che, prima del Concilio, i papi non erano buoni? oppure che cosa vuol dire?), finalmente un papa “onesto”, finalmente un papa “misericordioso”. Ma ad essere misericordioso, e non certo senza la giustizia, non dovrebbe essere Dio, e soltanto Dio? Spetta al servo fare il misericordioso, usurpando la misericordia del padrone? Credevamo che il servo fosse solo l’operaio del padrone; che spettasse al padrone di essere severo o misericordioso, secondo la Sua divina sapienza, che è cosa leggermente superiore al nostro pur tanto decantato “discernimento”. Ma il papa non va tanto per il sottile: lui afferma che Dio è misericordioso, e, per dare l’esempio, fa il misericordioso in prima persona, come se i sacramenti e la legge del Signore fossero cose sue.
E sia. Forse, però, si capirebbe qualche cosa di più di questo papa, se, oltre alle cose che dice (tante, troppe: le prediche di Santa Marta sono diventate il microfono di una catechesi quotidiana alquanto bizzarra e sconcertante), si ponesse attenzione a quelle che non dice, che si guarda bene dal dire. Ora, un papa, un vescovo, un sacerdote, non sono chiamati a dire tutto quel che passa loro per la testa, ma solo e unicamente quel che torna a lode di Dio e che contribuisce alla salvezza delle anime. Per tutto il resto ci sono altre sedi: l’autobus, la strada, il bar, il circolo ricreativo, il dopolavoro ferroviario. Ma quando parla in chiesa delle cose di Dio, il sacerdote, e il papa a maggior ragione, hanno l’obbligo di parlare secondo il Vangelo: sì, sì, e no, no, con chiarezza, con semplicità, facendosi capire da tutti, ma senza semplificazioni arbitrarie, senza tagli inconsulti, senza omissioni intenzionali. Il suo scopo non è quello di piacere all’uditorio e sollecitarne l’applauso: mentre si vede benissimo quanto il papa Francesco goda degli applausi, delle lodi, degli scatti dei fotografi: pare che sia lui la primadonna del teatro, pare che sia lui il Salvatore e il Redentore dell’umanità. Nel suo sguardo, nei suoi gesti, nelle sue parole, non ci sono l’umiltà, la modestia, la discrezione, il pudore del vero uomo di Dio. Perfino Gesù Cristo, che era il Figlio di Dio, si guardava bene dal cercare gli applausi; e quando la folla diventava un po’ troppo entusiasta nei suoi confronti, scappava. Spariva e andava a pregare in qualche luogo nascosto. Così faceva Gesù Cristo, Nostro Signore, il Figlio di Dio venuto fra noi per insegnarci la via della salvezza; ma il suo rappresentante in terra, il capo della Chiesa visibile, non si regola a questo modo; no, lui è sempre alla ribalta, sempre sotto i riflettori, cerca il consenso, gli si legge negli occhi quanto lo inebri e lo riempia di compiacimento il fatto che la folla lo chiami il papa buono, il papa dal volto umano, il papa misericordioso. Preghiera e silenzio, lo stile di Gesù; parole a ruota libera e clamore mediatico, bagni di folla e atteggiamento istrioneschi, lo stile del suo vicario.
Pure, non è questo l’aspetto più inquietante del pontificato di Bergoglio. Dopotutto, questa potrebbe essere una questione di sensibilità personale; e, quanto alle cose che dice, egli è molto abile, perché finora non è mai caduto apertamente nell’eresia, anche se ci gira continuamente intorno, anche se si diverte – in apparenza – a mettere il piede sull’abisso, per poi subito ritrarsi e dire, magari, una cosa perfettamente ortodossa, e in linea con duemila anni di Magistero. Certo, questo atteggiamento, sempre sopra le righe, questo voler confondere l’uditorio, questo voler turbare il pubblico dei fedeli, ha in sé qualcosa di malsano, qualcosa di non bello, di non giusto: non è lo stile del Buon Pastore, e non è nemmeno lo stile di un mediocre pastore, ma pur sempre interessato a custodire, bene o male, le sue pecorelle. Però, ripetiamo, l’uomo è molto astuto, non per nulla è un gesuita, e sta bene attento a non esporsi troppo, a non commettere passi falsi, o, almeno, non troppo clamorosi; si premura di avvolgere i suoi gesti e le sue parole in un ambiguo manto di nebbia, di sfumature, di doppi sensi, in maniera tale che non si possa mai dire con certezza: Ecco, ti ho preso!, ma che sempre rimanga un margine di dubbio, di perplessità, perfino nei documenti ufficiali. Così è stato per il tanto controverso capitolo ottavo della Amoris laetitia, quello in cui si parla dei divorziati che si sono rispostati e vorrebbero accedere comunque alla santa Comunione; quello su cui quattro cardinali hanno chiesto dei chiarimenti, e non li hanno mai avuti. E questa non può non essere una cosa voluta, da parte di un uomo che, quando vuole essere assolutamente chiaro, sa esserlo, eccome: anche troppo, come ben sanno quanti hanno avuto la sfortuna d’incappare nella sua ira o di attirarsi la sua malevola attenzione.
L’aspetto più esiziale della sua contro-catechesi, della sua contro-pastorale, consiste in ciò che egli non dice, piuttosto che in ciò che dice. Non dice nulla, ad esempio, sulle centinaia di studentesse nigeriane rapide dai terroristi di Boko Haram, per farne delle schiave sessuali; né della sorte di Asia Bibi, la madre pakistana in attesa di sentenza capitale in una prigione del suo Paese, per presunte offese al profeta Maometto; né a proposito del Family Day e della sua lotta per la difesa della famiglia cristiana e della famiglia naturale, formata da un uomo, una donna e (possibilmente) dei bambini. Non dice niente quando monsignor Galantino afferma che Dio risparmiò i sodomiti, e quando monsignor Paglia dice che Marco Pannella dovrebbe essere preso a modello di spiritualità e di vita. Non dice niente quando don Albanesi offende i quattro cardinali, parlando in sua presenza, o quando il vescovo di Padova non sa far niente di meglio, davanti all’enorme scandalo causato dalle orge sessuali di don Andrea Contin, che consigliare le vittime di rivolgersi alla magistratura; e ciò benché il suddetto vescovo abbia ammesso che da mesi era informato di ciò che stava succedendo in quella parrocchia, ma non risulta che abbia mai chiamato quel prete a dargli delle spiegazioni. L’elenco degli omissis sarebbe infinito; ma, forse, il più tipico esempio di questa sua particolare tecnica, quella del silenzio, è quello relativo al discorso su famiglia e matrimonio. Citiamo due casi, notati da Sandro Magister, che li ha prontamente segnalati. 4 ottobre 2015, domenica d’inizio dell’ultima sessione del Sinodo sulla famiglia: in tutte le chiese si legge il brano del Vangelo di Marco, capitolo 10, versetti 2-16, nei quali Gesù parla del matrimonio e, interrogato dai suoi discepoli, ne ribadisce l’assoluta indissolubilità. Ma quando il papa si affaccia al balcone per l’Angelus, non pronuncia nemmeno un riferimento a quel brano, a quel tema: nonostante la doppia circostanza, della liturgia domenicale e del sinodo sulla famiglia. Strano, vero, lui sempre così loquace, così facondo, fino alla lepidezza? Di nuovo, il 12 febbraio 2017, quando nelle chiese si leggeva un brano analogo, quello di Matteo, 19, 11-12, che suona così: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Anche questa volta, all’Angelus, nessun commento da parte del papa ciarliero: silenzio assoluto. In compenso, ha parlato per lui il nuovo generale dei gesuiti, da lui nominato: padre Arturo Sosa Abascal, venezuelano, il quale, in una intervista alla televisione svizzera, ha detto che il Vangelo deve essere interpretato, perché noi non sappiamo cosa veramente ha detto Gesù. Dunque, per duemila anni, la Chiesa ha insegnato un vangelo solamente ipotetico, un vangelo probabilistico, ma non certo; insomma, ha bluffato, ha tirato a indovinare, ha brancolato nel buio. Il motivo di questa improvvisa, sconvolgente scoperta? Il fatto che, al tempo di Gesù, non c’erano i registratori. No, non è una battuta, e sia pure di dubbio gusto; sì, ha detto proprio così. Purtroppo. Noi non sappiamo cosa disse Gesù, perché non c’erano registratori a quel tempo. E papa Francesco, sempre così sollecito a dire la sua, quando ne ha voglia, su tutto e su tutti, anche su cose che non dovrebbero riguardarlo affatto, come le vicende della politica interna americana o le elezioni presidenziali di quel Paese, di nuovo ha taciuto. Non ha trovato nulla da dire; evidentemente, le frasi di padre Sosa Abascal non gli sono parse strane, tanto meno censurabili. Del resto, perché avrebbe dovuto censurarle, lui che ha detto: Io credo in Dio, ma non nel Dio cattolico, perché Dio non è cattolico, è Dio e basta? Un papa che parla così, sa parlare anche troppo, quando vuole: per la confusione e per il dolore dei fedeli, che in lui, come capo della Chiesa visibile, credono e sperano di trovare un pastore attento e amorevole, e invece trovano un dissacratore, un iconoclasta, che gode a gettarli nel turbamento e si diverte, questa almeno è l’impressione di molti cattolici, a erodere le loro certezze, a mettere in crisi la loro fede.
E ora passiamo dai silenzi di papa Francesco alle improvvise e tardive rivelazioni di un teologo che ebbe un ruolo decisivo nei lavori del Concilio Vaticano II, e precisamente nella stesura della tanto discussa Nostra aetate, la dichiarazione che apriva il “dialogo” col giudaismo partendo dal presupposto che non c’è più bisogno che i giudei si convertano al cristianesimo, perché, tanto, loro sono già il “popolo eletto” da Dio, e la promessa di Dio non è venuta mai meno. Documento discusso e assai controverso, perché, se fossero vere tali premesse, allora cadrebbe tutto il Nuovo Testamento, cadrebbe la ragione dell’Incarnazione del Verbo, nonché della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù: che ci sarebbe venuto a fare, sulla terra, se basta essere giudei per salvarsi? Il giudaismo c’era già; ergo, la venuta di Cristo è stata un atto non necessario, che Dio avrebbe anche potuto risparmiarsi. Ma l’importante, si vede, era passare dai “perfidi giudei” ai “nostri fratelli maggiori”: laddove, in malafede, si poneva l’accento sull’aggettivo “perfidi”, ma si taceva la cosa più importante, il verbo: Oremus pro perfidis judaeis, cioè preghiamo per la loro conversione e per la loro salvezza. Altro che odio, altro che disprezzo, altro che antisemitismo: la Chiesa, per secoli e secoli, si è premurata di ricordare la necessitò della salvezza anche per i giudei, i quali, in origine, erano il popolo eletto, ma poi, facendo condannare a morte Gesù e perseguitando la sua santa Chiesa, spargendo il sangue dei primi martiri (santo Stefano, san Giacomo) hanno rotto l’alleanza e se ne sono allontanati. Ebbene, alla bella età di novantatre anni, padre Gregory Baum, un sacerdote che, all’epoca del Concilio, godeva di grandissima stima come teologo, tanto da essere chiamato a scrivere la Nostra aetate, ha pensato bene di pubblicare un libro in cui racconta di essere sempre stato un sodomita praticante dall’età di quarant’anni; di averlo sempre taciuto, al preciso scopo di non perdere il suo prestigio e la sua autorevolezza, in modo da poter esercitare la massima influenza sui lavori conciliari e sugli indirizzi successivi della Chiesa; e di vantarsi di tutto ciò, non senza aggiungere particolari piccanti (o forse semplicemente squallidi) sulle sue esperienze da invertito, come quando definisce “eccitante” il suo primo rapporto omoerotico (alla faccia del voto di castità, oltre che alla condanna della sodomia come uno dei quattro peccati che gridano vendetta davanti a Dio, secondo il Catechismo di san Pio X). Fra parentesi, quello stesso Gregory Baum trascinò dietro di sé il clero canadese nel rifiuto della Humanae vitae di Paolo VI. A rilevare lo sconcio è stato, ancora una volta, l’ottimo Maurizio Blondet, sul suo sito, con l’acume e la prontezza che gli sono propri. Ora, la domanda è: se Baum avesse dichiarato la propria sodomia prima del Concilio, lo avrebbero chiamato alla stesura della Nostra aetate? E se non fosse stato ebreo (figlio di madre ebrea, per la precisione), avrebbe steso quel documento, nel modo in cui lo stese? Ciascuno tragga da sé le proprie conclusioni. Certo che da questi fatti, e da tanti altri, sta gradualmente emergendo un quadro a dir poco inquietante: quello di un complotto che parte da lontano, dentro la Chiesa e fuori di essa, per condizionare, modellare e capovolgere la dottrina cattolica, anche con l’arma dei silenzi, delle astuzie, delle cose non dette onestamente. Un grazie ai Magister e ai Blondet che ci segnalano alcuni di tali fatti, i quali, altrimenti, passerebbero inosservati. Vuoi vedere che è proprio per questo che i mass media politically correct li hanno pressoché cancellati dai loro palinsesti?
L’urlo del silenzio sulla Chiesa di Cristo
di
Francesco Lamendola
Proverbio arabo:
RispondiElimina"Chi vuol fare qualcosa, trova un mezzo;
chi non vuol far nulla, trova una scusa."
e quindi?
EliminaCerto , vero . Ma bisogna anche capire che la nostra battaglia non è contro i principati ecc. Risuona la domanda che c'è alla fine di Iota Unum. Esiste un'altra chiesa? Se la risposta è sì - come spesso accade - la gnosi è dietro l'angolo.
RispondiEliminaAllora certi collage che vediamo ancora oggi che senso hanno? Baum era perito conciliare , Ratzinger era perito conciliare ergo Baum = Ratzinger?