ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 9 aprile 2017

Anche le scimmie hanno i loro cardinali*?


Smontare il gender? Basta vedere le scimmie...
Nel libro di Giuliano Guzzo Cavalieri e Principesse una solida carrellata di prove che smontano uno per uno i cosiddetti stereotipi di genere e ideologie connesse. Con tanto di chimica e scienza a comprovare una differenza, quella tra maschio e femmina, che è riscontrabile anche nelle scimmie. Come? Provate a farle giocare con una bambola...
E’ sempre interessante vedere come dalle battaglie contro gli stereotipi, veri o presunti, finiscano per nascere altri stereotipi, che poi tocca a scrittori e libri attenti e acuti contraddire e smascherare, per riportare equilibrio e razionalità in temi delicati. E’ il caso di Cavalieri e Principesse, scritto da Giuliano Guzzo per I Tipi della casa editrice Cantagalli, in uscita in questi giorni nelle librerie, il cui sottotitolo è eloquente: “Donne e uomini sono davvero differenti, ed é bello cosi?”.  L’indice dà un’idea dei campi in cui l’autore entra in lizza, armato di dati rigorosamente scientifici, ricerche, e sondaggi contro alcune delle idee con cui la marea superegualitarista della vulgata politically correct tenta di affogare buon senso ed evidenza.

Differenza, non diseguaglianza;  Fiocco azzurro o fiocco rosa? Bambole e camioncini. Cervelli diversi. Come sognano le ragazze, non sogna nessuno. Parole, lacrime, sorrisi. Uomini al volante pericolo costante. Il (falso) mito dell’uomo casalingo. Lei, lui e l’amore... 131. Solo stereotipi? La bellezza della differenza.
Da molto tempo, e soprattutto da una quarantina d’anni, occuparsi della differenza fra uomo e donna sembra non solo pericoloso, ma anche culturalmente arretrato; quasi che in fondo in fondo, specialmente se è un uomo a parlarne, ci sia il tentativo occulto di rimettere tutte ai fornelli, e basta con le fisime. Guzzo lo sa benissimo,: parla del rischio di  “alimentare antichi pregiudizi, di apparire ostili alle pari opportunità? e di generare attriti”. E allora perché andare a mettere le mani in un groviglio così spinoso come quello dei rapporti maschio-femmina? Perché ogni giorno di più la differenza sessuali rappresenta uno dei problemi, se non “il” problema principale che la nostra società – occidentale – in questo particolare momento storico si trova ad affrontare. Lo vediamo, sulla pelle nostra e dei nostri figli, con i tentativi striscianti o clamorosi di far passare le teorie propinate dall’ideologia Gender, e pubblicizzate come il dernier cri del progresso dai mass media inzuppati di cultura di regime.
E allora, scrive l’autore, “vi sono serie ragioni che non solo stanno restituendo attualità? al tema. A preoccupare, soprattutto, é la polarizzazione di cui sempre più sta divenendo oggetto l’argomento: da una parte coloro che ritengono detta differenza scontata senza pertanto avvertire il bisogno di alcun approfondimento, dall’altra quanti la considerano infondata; da un lato, l’esercito dei sapientoni, dall’altro quello degli scettici: i primi mescolano le differenze reali con quelle immaginarie, i secondi, pur di contrastare quelli che chiamano stereotipi di genere, non ne vedono più? alcuna respingendo vigorosamente ogni osservazione in proposito e bollandola come funzionale solo a perpetuare il dominio maschile sull’altro sesso”.
Se abbiamo capito l’intenzione dell’opera di Guzzo è quella di offrire ai lettori tutta una serie di elementi solidi, e indiscutibili, nella misura in cui i dati scientifici più recenti e sono indiscutibili, in attesa di nuove ricerche e nuove scoperte, per farsi un’idea chiara sullo stato della questione. E in particolare per aiutarci a capire, alla luce di un buon mezzo secolo di discussioni sul ruolo della natura e su quello dei condizionamenti sociali e di ambiente, che cosa attribuire a chi. Uno sforzo non polemico ma di evidenza per colmare molte lacune di ignoranza, per primo in chi scrive, che sicuramente rendono solo più confuso il panorama del dibattito e incerte le risposte.
Giuliano Guzzo, come si può capire facilmente dalla sua biografia, e dalla lunga lista dei suoi interessi e attività, laureato in Sociologia e Ricerca Sociale (110/110) con una tesi di filosofia del diritto, è certamente cattolico. Ma chi leggesse solo “Cavalieri e Principesse” non se ne accorgerebbe; perché il suo libro non tocca in nessun modo gli aspetti religiosi dell’essere uomo o donna, o gli eventuali input che il mondo della fede, qualunque fede, potrebbe dare alla discussione. La regina dei giochi – e dei ragionamenti – è la scienza, e in particolare le discipline legate alla biologia e alla chimica, e i loro effetti sui comportamenti umani.
Da onesto ignorante, per esempio, mi ha appassionato scoprire il ruolo della chimica in qualche cosa di apparentemente ben lontano dalle provette, come la preferenza per bambole o camioncini. Scrive Guzzo: “La più impressionante fra tutte però sembra essere la ricerca della psicologa Gerianne Alexander la quale ha cercato di osservare le reazioni di bambini di circa cinque e sei mesi di età – diciassette di sesso femminile, tredici di sesso maschile – dinnanzi a due oggetti tridimensionali che meglio di tutti gli altri rappresentano i giocattoli sessualmente tipizzati, vale a dire una bambola rosa ed un piccolo camion blu. Ebbene, benché non siano state misurate differenze fra i due sessi nell’estensione temporale dell’attenzione rivolta ai due oggetti, nel momento in cui si é andato a conteggiare le volte nelle quali i bambini li fissavano é arrivata la sorpresa: le femminucce, rispetto ai maschietti, si mostravano maggiormente interessate, in proporzione, alla bambola rispetto al camioncino”. 
D’accordo, ma come mai questo accade? “Un’ipotesi sempre più considerata é quella ormonale. A renderla credibile é in particolare il caso delle donne esposte in fase prenatale a livelli eccezionalmente elevati di testosterone; la gran parte di costoro ha una malattia nota come iperplasia surrenale congenita la quale, benché dopo la nascita consenta d’intervenire riportando nella norma i livelli ormonali, si manifesta comunque con effetti netti sul comportamento delle bambine. In pratica queste – come ha sottolineato anche la psicologa Doreen Kimura (1933-2013) – presentano atteggiamenti e preferenze, anche nella scelta dei giocattoli, più? simili a quelle maschili che a quelle delle coetanee femmine”.
Ma l’elemento, fra i tanti, che mi ha divertito di più è che “Una solida conferma di una distinta preferenza dei giocattoli nelle scimmie a seconda del sesso é venuta, in tempi recenti, da una ricerca condotta dalla già citata Gerianne Alexander e da Melissa Hines, le quali hanno posto dinnanzi a degli esemplari di cercopiteco grigioverde differenti tipologie di oggetti: un’auto della polizia ed una palla, classificati come giocattoli da maschio, un libro illustrato e un cane di peluche, classificati come giocattoli neutri, e una bambola ed una padella, classificati come femminili. Il risultato, in breve, é stato che gli animali di sesso femminile hanno trascorso più tempo, rispetto agli altri, coi giocattoli da bambina”.  Una preferenza che difficilmente può essere attribuita al ruolo dell’ambiente o dei genitori. Stereotipi di genere anche fra le scimmie?
di Marco Tosatti09-04-2017
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Come cardinali leader in Usa e in Vaticano aprono alla comunità Lgbt    
   

Di accoglienza degli omosessuali con “rispetto, compassione e delicatezza” scrive già il Catechismo. Come di evitare ogni “ingiusta discriminazione”. Ma è piuttosto inedito che la Chiesa ad alto livello accompagni quelle parole all’acronimo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Lo fa quella americana, con due cardinali e un vescovo di primissimo piano. Prelati che occupano ruoli chiave negli Stati Uniti e in Vaticano per volere di Papa Francesco. I cardinali Kevin Farrell e Joseph Tobin, e il vescovo Robert McElroy, sdoganano un termine che per il suo connotato movimentista enfatizza la diversità delle culture omosessuali. Quel termine nei documenti ufficiali sul tema mai compare in positivo. Ora il tabù si infrange nelle recensioni editoriali firmate dai vertici dell’episcopato al nuovo libro del gesuita James Martin che, ancora in attesa di uscire in libreria, già promette di infiammare il dibattito. Il volume si intitola Building a bridge “Costruire un ponte”. Esplicita il sommario: “Come la Chiesa e la comunità Lgbt possono entrare in una relazione di rispetto, compassione e delicatezza”. Le ultime tre parole sono le stesse del Catechismo. “Comunità Lgbt”, no. Ma i tre monsignori gli aprono la porta sulla via indicata da Martin, definendo il suo lavoro “coraggioso”, “necessario” e “ispiratore”.
COSA C’È DIETRO LA NOVITÀ LESSICALE
Per David Gibson, del Religion News Service, un linguaggio così “positivo ad alti vertici è straordinario ed è un segnale di come Francesco sta riorientando la Chiesa verso un focus più pastorale”. Nel libro, che uscirà a metà giugno, Martin non pare sostenere esplicitamente una modifica della dottrina. Ma fin dal titolo promuove quel termine: Lgbt. Questione controversa: per molti nella Chiesa è una sigla che non andrebbe usata per quanto è definitoria. Nei documenti si preferiscono espressioni come “persone attratte dallo stesso sesso”.
IL BENVENUTO DEL CARDINAL FARRELL
Il cardinal Farrell dà il “benvenuto” a un “tanto necessario libro che aiuterà vescovi, sacerdoti, collaboratori pastorali” ad avere un atteggiamento compassionevole “per la comunità Lgbt”. E aiuterà “anche i cattolici Lgbt a sentirsi più a casa nella Chiesa”. Farrell passa per essere un bergogliano di ferro. È al top in Vaticano. È stato Francesco nell’agosto 2016 a chiamarlo a Roma dalla diocesi di Dallas, per farlo prefetto del nuovo Dicastero per i laici, la famiglia e la vita. In novembre lo ha creato cardinale. Nel dibattito su Amoris laetitia e la possibilità di accesso alla comunione per i divorziati risposati, si è schierato con gli aperturisti e ha criticato i firmatari dei dubia che chiedono chiarimenti: “Non capisco come e perché alcuni sembrano pensare che occorra interpretare questo documento”.
TOBIN E LE DISCRIMINAZIONI
Anche all’arcivescovo Tobin di Newark il Papa ha imposto la berretta all’ultimo concistoro. “In troppe parti della nostra Chiesa le persone Lgbt sono state messe a disagio, escluse, screditate”, ha detto del libro di Martin, che ha presentato come “ispirato”. Criticissimo verso Donald Trump “che vuole dividere la Chiesa”Tobin si è scagliato contro i colleghi cardinali che domandano chiarezza su Amoris laetitia, definendoli “fastidiosi” o, nella migliore delle ipotesi, “ingenui”.
LE DIFFICOLTÀ DEL VESCOVO MCELROY
Infine, e non ultimo, il libro del padre gesuita è applaudito dal vescovo McElroy di San Diego. Lui lo definisce una sorta di vademecum per applicare il vangelo che stabilisce “che i cattolici Lgbt sono parte della Chiesa come qualsiasi altro cattolico”. Il vescovo è stato promosso a San Diego da Francesco nel 2015. In giugno aveva affermato che etichettare gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” – come fa il Catechismo – “è un linguaggio molto distruttivo che non si dovrebbe usare”. Ha inoltre invitato i parroci della sua diocesi ad abbracciare “le famiglie Lgbt”. Abbinamento lessicale inusuale sulla bocca di un vescovo.
IL PAPA E I GAY
Il termine “gay” Francesco lo ha usato spesso. Di ritorno dal Brasile (2013), con il famoso “chi sono io per giudicare?”, e dall’Armenia (2016). In quest’ultimo, nei giorni successivi alla strage al night club di Orlando, ha affermato che i cristiani devono chiedere scusa ai gay, ma ha voluto precisare di non dire nulla di diverso rispetto a quanto riporta il Catechismo: gli omosessuali “non vanno discriminati, devono essere rispettati, accompagnati pastoralmente”. E ha ammesso: “Si possono condannare, non per motivi ideologici, ma per motivi di comportamento politico” e per “certe manifestazioni un po’ troppo offensive per gli altri”. Quindi ha ripetuto esattamente le stesse parole di tre anni prima: “Se il problema è una persona che ha quella condizione, che ha buona volontà e che cerca Dio, chi siamo noi per giudicarla?”.
FRANCESCO CONTRO IL GENDER
“Dobbiamo accompagnare bene, secondo quello che dice il Catechismo. È chiaro il Catechismo!”, insisteva Francesco nel giugno 2016. Il mese dopo in Polonia ha arringato contro le “colonizzazioni ideologiche”. Citando il Papa emerito, ha rubricato il gender a “peccato contro Dio creatore”. Stesso, durissimo fraseggio, in ottobre, nel viaggio in Georgia e Azerbaijan. Ci è tornato sopra due volte nel giro di poche ore. Per molti nella Chiesa dietro la sigla Lgbt stanno anche i difensori di quella cultura gender che il Papa condanna senza appello, perché, diceva, “distrugge con le idee”. Rispondendo ai giornalisti Francesco ha precisato la necessità dell’accoglienza di tutte le persone con tendenza e pratica omosessuale: “Le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono (vivere in castità, ndr), ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno”. Ma ha ribadito “quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender”.
PONTE O PONTI. DISCUSSI PRECEDENTI
Seguito commentatore per la rivista dei gesuiti America, autore di bestseller, molto attivo sui social, James Martin da tempo chiede alla Chiesa maggiore apertura verso le persone omosessuali. A modo suo. In ottobre ha accettato il premio del New Ways Ministry, un gruppo per i cattolici Lgbt fondato da suor Jeannine Gramick e padre Robert Nugent. Entrambi hanno avuto guai con Roma e i loro vescovi che hanno più volte ricordato che le posizioni sostenute dall’associazione non rappresentano la dottrina della Chiesa. Negli anni Novanta i due fondatori furono “indagati” dalla Congregazione per la dottrina delle fede. Nel 1999 l’associazione fu condannata ufficialmente: l’ex Sant’Uffizio era giunto alla conclusione che entrambi dimostravano “una chiara comprensione concettuale della dottrina della Chiesa sull’omosessualità, ma si astenevano dal professare qualsiasi adesione a questo insegnamento”. La notifica ai due religiosi di divieto di qualsiasi lavoro pastorale con omosessuali fu firmata dall’allora prefetto, Joseph Ratzinger, e sottolineava come, nonostante i frequenti richiami, entrambi avessero “continuato a mantenere e promuovere posizioni ambigue”. Tra i lavori messi all’indice si ricordava il loro libro Building Bridges. Praticamente lo stesso titolo di quel Building Bridge scelto oggi da Martin. Nuovo libro che suor Jeannine – che ha ignorati i richiami e continua a svolgere il suo servizio tra gli omosessuali – elogia: “Dimostra come il rosario e la bandiera arcobaleno possono tranquillamente incontrarsi”.
COSA PENSANO IL GESUITA MARTIN E IL MAGAZINE AMERICA
Per Martin, la Chiesa deve rapportarsi alle persone Lgbt usando il termine con cui si definiscono. Quindi via libera all’acronimo Lgbt anche nel linguaggio ecclesiastico, perché la Chiesa deve riconoscerle come “comunità che porta doni peculiari alla Chiesa”. Oggi con benedizione cardinalizia. Pur evitando di calarsi direttamente nell’intricato ginepraio di definire cosa sia “cultura gay”, il padre non è apparso particolarmente entusiasta della nuova istruzione vaticana emanata in dicembre sui seminari che ha confermato quella del 2005. Documento che ha ripetuto il divieto di ammettere al sacerdozio “coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”. Thomas Reese, suo confratello, ex direttore della stessa rivista America su cui scrive Martin, ha rivendicato la non discriminazione dei preti gay: “L’idea che non possano essere buoni sacerdoti è stupida, umiliante e ingiusta”.


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