Il Corpus Domini e la perdita del sale
All’indomani della Domenica II dopo Pentecoste, in cui si tiene la solennità esterna del Corpus Domini (che andrebbe celebrata difatti al giovedì, in memoria del Giovedì Santo, e che solo l’ignavia dei chierici moderni, per “ragioni pastorali”, ha potuto spostare alla Domenica), ci avviamo alla solennità del Sacro Cuore: il Corpus Domini e il Sacro Cuore segnano la fine del ciclo delle grandi solennità trinitarie e cristologiche (Pasqua, Divina Misericordia, Ascensione, Pentecoste, Trinità), e d’ora in poi, fino alla solennità di Cristo Re, il calendario liturgico del tempo dopo Pentecoste risulta slegato da eventi particolari, ma dipana la vita e gli insegnamenti di Cristo in maniera “ordinaria”; nel calendario tradizionale parziale eccezione facevano il 1° luglio, solennità del Preziosissimo Sangue, e il 15 luglio, festa del Redentore, ma sappiamo che il calendario moderno non ama troppo le feste, specie quelle che non capisce o che sono “divisive” o “trionfaliste”.
La festa del Corpus Domini è una delle più grandi solennità dell’anno liturgico (basti pensare, tra le altre cose, che è uno di quei giorni in cui il vescovo è obbligato a stare in Diocesi e a celebrare e presiedere), e anche una delle feste più amate dai fedeli: è un magnifico spettacolo vedere le città e perfino i paesi e i villaggi addobbati a festa con fiori, drappi, campane a distesa, e con tutto il popolo festante in onore del Re dei Re! E che dire dell’officio e della Messa, composti da San Tommaso d’Aquino? O anche delle letture?
Certo particolarmente sgradita risulta la lettura di San Paolo ai Corinzi che si fa oggi (“Chi mangia e beve indegnamente il pane e il calice del Signore, mangia e beve la propria condanna”), fondamento dogmatico non solo della Presenza Reale e della Transustanziazione, ma anche dell’esclusione dai sacramenti dei peccatori non pentiti; pensiero assai impopolare, oggi, quando si parla di “dialogo” (ma per quali motivi e a quale prezzo?) con i protestanti, negatori ostinati del carattere sacrificale della Messa, e di “ammissione ai sacramenti” (quasi fosse un concorso pubblico e non i doni e i misteri divini, “non mittendus canibus”) di pubblici e soprattutto impenitenti peccatori. Del resto, Lutero, ex monaco che sposerà un’altra ex monaca, mostrando così disprezzo tanto per il sacramento del matrimonio quanto per il sacramentale della consacrazione religiosa, in un suo famoso sermone scriverà orribili parole di disprezzo proprio per la festa del Corpus Domini. E se consideriamo che Lutero piace molto, oggi, non dobbiamo stupirci di niente. Sono stato a due processioni, l’altra Domenica, del Corpus Domini: la prima di mattina, nella mia Perugia, e la seconda di pomeriggio, dopo essere ritornato a Macerata, città dove sto studiando per la specializzazione post laurea, entrambe molto belle.
A Perugia ha celebrato il cardinal Bassetti, da poco presidente della CEI, e ha fatto un magnifico discorso sulla Presenza Reale e la Grazia, veicolata proprio dai sacramenti, e sul salvaguardare la Domenica come giorno festivo dedicato al Signore (vedasi qui), mentre a Macerata il vescovo Marconi, in una commovente celebrazione sul sagrato della cattedrale, ancora chiusa per colpa del recente sisma di ottobre, ha parlato molto della condivisione che nasce proprio dalla Comunione; due aspetti diversi ma complementari dell’unica realtà eucaristica. Ed è stato bello vedere, tanto a Perugia quanto a Macerata, la grande affluenza di gente per le vie del centro, per quanto, a Perugia, rispetto anche solo all’anno scorso, il Duomo fosse purtroppo quasi vuoto.
Ma non ci si stupisce di ciò se pensiamo all’insipienza delle gerarchie e soprattutto del capo visibile della gerarchia. Spiace dirlo, ma il magistero liturgico ed eucaristico del Papa regnante è fortemente deficitario, anche solo paragonato a quello dei suoi due predecessori, e più delle encicliche o delle esortazioni, il fedele semplice va a vedere l’insegnamento concreto: se vediamo il Papa che non si inginocchia, o si inginocchia per pochissimi istanti (quando San Giovanni Paolo II, pur anziano e malato, volle sempre inginocchiarsi davanti all’Eucaristia), o che sposta dopo secoli alla Domenica la tradizionale processione romana del Corpus Domini del giovedì, peraltro con un’assenza mostruosa di fedeli, o se, dall’incontro con la parrocchia luterana di Roma, sentiamo che non è importante andare in chiesa ma aiutare il prossimo (cosa giusta, per carità, ma come possiamo aiutare il prossimo senza l’aiuto divino dei sacramenti, e soprattutto dei veri sacramenti, che solo la Chiesa Cattolica ha?) che cosa dobbiamo dedurne? Che non è importante l’Eucaristia? (del resto, se si può fare la Comunione anche in peccato mortale, vuol dire che è forse una burletta?) Che non è importante la frequenza della chiesa? Guardiamo in faccia la realtà: le chiese sono sempre più vuote, e proprio sotto l’attuale pontificato. Ma del resto, se i sacramenti non sono importanti, tanto che si possono (?) ricevere in stato di peccato, se nelle omelie si devono sentire le solite banalità ambientaliste e immigrazioniste, uno, logicamente, in chiesa cosa va a fare?
E’ stato un brutto colpo vedere, per me, il Duomo di Perugia pieno come fosse una normale Messa domenicale, e non invece come dovrebbe essere per una festa solennissima, e come era comunque anche negli anni scorsi, dove spesso stavo in piedi perché le panche erano tutte occupate. Come anche è stato un brutto colpo, dopo aver sentito due belle omelie, scoprire che il Papa, nel giorno del Corpus Domini, ha dedicato l’Angelus non al Santissimo Sacramento, ma alla Giornata Mondiale del Rifugiato dell’ONU (vedasi qui ), come se l’ONU avesse preso il posto della Chiesa e il corpo dei migranti quello del Corpo di Cristo. Davvero con tutto ciò che si poteva dire, si è parlato ancora di immigrazione? Ci sono due modi di svendere Nostro Signore, realmente presente nel Santissimo Sacramento (“sacrificarLo a Satana”, come dicevano con linguaggio forte alcuni Padri!): riceverLo indegnamente, in stato di peccato o, anche, barattarLo per un mero disegno ideologico mondano, e mai siamo arrivati così vicini a questo punto. Gesù ha detto che noi dobbiamo essere il sale (e non il miele!) della terra, e che se non serviamo più a salare possiamo pure essere gettati via; noi, invece, gettiamo via Lui, rendendoci indegni di riceverLo e soprattutto barattandoLo per un piacere carnale o un vantaggio mondano.
Ricordiamoci che Gesù è Re, Re delle nostre vite, anime, cuori, società: a Lui tutto è dovuto; non rinunciamo a celebrarLo e a riceverLo dentro di noi, non rinunciamo ad inginocchiarci davanti a Lui, e a Lui solo, per poter un giorno essere ammessi, dopo essere stati sale del mondo, alla dolcezza del Paradiso!
La festa del Corpus Domini è una delle più grandi solennità dell’anno liturgico (basti pensare, tra le altre cose, che è uno di quei giorni in cui il vescovo è obbligato a stare in Diocesi e a celebrare e presiedere), e anche una delle feste più amate dai fedeli: è un magnifico spettacolo vedere le città e perfino i paesi e i villaggi addobbati a festa con fiori, drappi, campane a distesa, e con tutto il popolo festante in onore del Re dei Re! E che dire dell’officio e della Messa, composti da San Tommaso d’Aquino? O anche delle letture?
Certo particolarmente sgradita risulta la lettura di San Paolo ai Corinzi che si fa oggi (“Chi mangia e beve indegnamente il pane e il calice del Signore, mangia e beve la propria condanna”), fondamento dogmatico non solo della Presenza Reale e della Transustanziazione, ma anche dell’esclusione dai sacramenti dei peccatori non pentiti; pensiero assai impopolare, oggi, quando si parla di “dialogo” (ma per quali motivi e a quale prezzo?) con i protestanti, negatori ostinati del carattere sacrificale della Messa, e di “ammissione ai sacramenti” (quasi fosse un concorso pubblico e non i doni e i misteri divini, “non mittendus canibus”) di pubblici e soprattutto impenitenti peccatori. Del resto, Lutero, ex monaco che sposerà un’altra ex monaca, mostrando così disprezzo tanto per il sacramento del matrimonio quanto per il sacramentale della consacrazione religiosa, in un suo famoso sermone scriverà orribili parole di disprezzo proprio per la festa del Corpus Domini. E se consideriamo che Lutero piace molto, oggi, non dobbiamo stupirci di niente. Sono stato a due processioni, l’altra Domenica, del Corpus Domini: la prima di mattina, nella mia Perugia, e la seconda di pomeriggio, dopo essere ritornato a Macerata, città dove sto studiando per la specializzazione post laurea, entrambe molto belle.
A Perugia ha celebrato il cardinal Bassetti, da poco presidente della CEI, e ha fatto un magnifico discorso sulla Presenza Reale e la Grazia, veicolata proprio dai sacramenti, e sul salvaguardare la Domenica come giorno festivo dedicato al Signore (vedasi qui), mentre a Macerata il vescovo Marconi, in una commovente celebrazione sul sagrato della cattedrale, ancora chiusa per colpa del recente sisma di ottobre, ha parlato molto della condivisione che nasce proprio dalla Comunione; due aspetti diversi ma complementari dell’unica realtà eucaristica. Ed è stato bello vedere, tanto a Perugia quanto a Macerata, la grande affluenza di gente per le vie del centro, per quanto, a Perugia, rispetto anche solo all’anno scorso, il Duomo fosse purtroppo quasi vuoto.
Ma non ci si stupisce di ciò se pensiamo all’insipienza delle gerarchie e soprattutto del capo visibile della gerarchia. Spiace dirlo, ma il magistero liturgico ed eucaristico del Papa regnante è fortemente deficitario, anche solo paragonato a quello dei suoi due predecessori, e più delle encicliche o delle esortazioni, il fedele semplice va a vedere l’insegnamento concreto: se vediamo il Papa che non si inginocchia, o si inginocchia per pochissimi istanti (quando San Giovanni Paolo II, pur anziano e malato, volle sempre inginocchiarsi davanti all’Eucaristia), o che sposta dopo secoli alla Domenica la tradizionale processione romana del Corpus Domini del giovedì, peraltro con un’assenza mostruosa di fedeli, o se, dall’incontro con la parrocchia luterana di Roma, sentiamo che non è importante andare in chiesa ma aiutare il prossimo (cosa giusta, per carità, ma come possiamo aiutare il prossimo senza l’aiuto divino dei sacramenti, e soprattutto dei veri sacramenti, che solo la Chiesa Cattolica ha?) che cosa dobbiamo dedurne? Che non è importante l’Eucaristia? (del resto, se si può fare la Comunione anche in peccato mortale, vuol dire che è forse una burletta?) Che non è importante la frequenza della chiesa? Guardiamo in faccia la realtà: le chiese sono sempre più vuote, e proprio sotto l’attuale pontificato. Ma del resto, se i sacramenti non sono importanti, tanto che si possono (?) ricevere in stato di peccato, se nelle omelie si devono sentire le solite banalità ambientaliste e immigrazioniste, uno, logicamente, in chiesa cosa va a fare?
E’ stato un brutto colpo vedere, per me, il Duomo di Perugia pieno come fosse una normale Messa domenicale, e non invece come dovrebbe essere per una festa solennissima, e come era comunque anche negli anni scorsi, dove spesso stavo in piedi perché le panche erano tutte occupate. Come anche è stato un brutto colpo, dopo aver sentito due belle omelie, scoprire che il Papa, nel giorno del Corpus Domini, ha dedicato l’Angelus non al Santissimo Sacramento, ma alla Giornata Mondiale del Rifugiato dell’ONU (vedasi qui ), come se l’ONU avesse preso il posto della Chiesa e il corpo dei migranti quello del Corpo di Cristo. Davvero con tutto ciò che si poteva dire, si è parlato ancora di immigrazione? Ci sono due modi di svendere Nostro Signore, realmente presente nel Santissimo Sacramento (“sacrificarLo a Satana”, come dicevano con linguaggio forte alcuni Padri!): riceverLo indegnamente, in stato di peccato o, anche, barattarLo per un mero disegno ideologico mondano, e mai siamo arrivati così vicini a questo punto. Gesù ha detto che noi dobbiamo essere il sale (e non il miele!) della terra, e che se non serviamo più a salare possiamo pure essere gettati via; noi, invece, gettiamo via Lui, rendendoci indegni di riceverLo e soprattutto barattandoLo per un piacere carnale o un vantaggio mondano.
Ricordiamoci che Gesù è Re, Re delle nostre vite, anime, cuori, società: a Lui tutto è dovuto; non rinunciamo a celebrarLo e a riceverLo dentro di noi, non rinunciamo ad inginocchiarci davanti a Lui, e a Lui solo, per poter un giorno essere ammessi, dopo essere stati sale del mondo, alla dolcezza del Paradiso!
Come sempre: papa Francesco rifiuta di inginocchiarsi davanti al Santissimo Sacramento
https://gloria.tv/article/XbdRYzHPW6V731VtAKekU3UGe
La generazione delle ciambelle
di Paolo Spaziani
“La generazione delle ciambelle”, “La sindrome del bravo ragazzo”, questi i titoli di due articoli apparsi nelle scorse settimane sui siti ”Religione en Libertad” e “The Catholic Thing”, legati dallo stesso filo conduttore, ovvero l’irrilevanza di buona parte del mondo cattolico che, intriso di relativismo, si preoccupa esclusivamente di essere ben voluto e ben visto.
Nel suo articolo Monsignor Antonio Gomez Cantero, Vescovo spagnolo, colpisce nel segno evidenziando come “… anche noi cristiani partecipiamo al banchetto preparato dalla maggioranza schiacciante. A forza di cedere, per piangere con chi piange e per ridere con chi ride, stiamo perdendo la nostra originalità e la nostra freschezza evangelica”.
Parole inequivocabili quelle di Monsignor Cantero che considera la manipolazione del linguaggio come la nuova torre di Babele che intende costruire una nuova società perfetta che non comunica, ma confonde, con lo scopo di eliminare le tracce di Dio. “Cosa pretendere se l’eutanasia viene definita dolce morte? Quando diciamo interruzione volontaria di gravidanza perché non vogliamo dire aborto?"
Secondo Monsignor Cantero “tanta edulcorazione del linguaggio, per non urtare la sensibilità, sta generando una umanità manipolabile, una folla enorme che forma la generazione delle ciambelle, ossia molle, senza spigoli, dolce,flaccida e senza un riferimento (…) perché il problema fondamentale della nostra società è trovare e rispettare un accordo. Preferiamo la filosofia dell’insalata mista, condita con un po’ di tutto, realizzata senza alcun logica, dove tutto vale (…) e in nessuno modo si può dire che un ingrediente è meglio di un altro o che ha più valore nutritivo”. Un vero e proprio menù relativista quello descritto da Monsignor Cantero che, passando dal contorno fino al dolce, denuncia la mancanza di coraggio di parte del mondo cattolico che ha preferito annegare nel mare della maggioranza.
Dello stesso tenore sono le parole del professore James Toner che, nell’articolo apparso su “The Catholic Thing”, parla dei “bravi ragazzi” e delle persone “per bene” evidenziando come per la mentalità odierna l’uomo per bene sia tollerante, sincero, una persona normale e semplice. Toner, citando l’opera di Robert Bolt su Tommaso Moro, evidenzia come quest’ultimo, parlando del suo carceriere, esclami: “Oh Buon Gesù, questi normali e semplici uomini!”.
Secondo Toner “…i bravi ragazzi, questi normali e semplici uomini, hanno commesso e possono commettere un grande male a causa dell’apatia nel cercare la verità e quindi di perseguirla. La verità obbliga. Conoscere la verità chiede di agire nella verità, di “fare la verità (Giacomo 1,22)”. Se essere un uomo per bene, prosegue Toner, significa che dobbiamo essere annacquati o apatici nel conoscere e servire la verità, allora dobbiamo essere i più scortesi e indigesti possibili. La nozione per cui non c’è una verità o, se c’è, non è conoscibile è il principio cardine del relativismo morale tanto amato dai bravi ragazzi di oggi che rifuggono dall’idea di ammonire i peccatori (Luca 17,3)”. Il problema è che questi bravi e sorridenti ragazzi non sono uno sparuto gruppo in via di estinzione, bensì sono innumerevoli e si possono trovare ovunque: “in Parlamento, sui pulpiti, nelle cancellerie, nelle università, nella piazza pubblica e nei sinodi religiosi”.
Toner tocca un punto fondamentale quando precisa che “…se non mi struggo per la verità – per la sua certezza in Cristo - allora non mi devo preoccupare di perseguirla (…), rischiando di alienare quelle persone che mi vedono come un bravo ragazzo”.
Seguendo, o ancora peggio, identificandoci con questi bravi ragazzi il rischio è appunto quello di essere accompagnati da queste persone per bene nel burrone dell’irrilevanza e del relativismo. Le retorica buonista propone quotidianamente casi, che secondo alcuni dovrebbero essere degli esempi, di persone per bene che in nome del quieto vivere e del consenso non dicono mai una parola fuori posto. “L’aderenza alla verità, scrive Toner, potrebbe significare che il mondo ci odi (Matteo 10,22) e che, orribile a dirsi, non si venga annoverati tra i bravi ragazzi”. Un rischio che Chesterton, citato da Toner, aveva già abbondantemente preventivato, osservando che i cristiani non sono abbastanza odiati dal mondo. Troppo spesso, secondo Chesterton, siamo dei bravi ragazzi. Aiutiamoci, dunque, a rimanere saldi nella verità, rifuggendo ogni tentazione di cadere in quel seducente perbenismo anche costo di mettere a repentaglio alcuni rapporti, perché, come ha detto San Tommaso d’Aquino, “chi dice la verità perde le amicizie”.
“La generazione delle ciambelle”, “La sindrome del bravo ragazzo”, questi i titoli di due articoli apparsi nelle scorse settimane sui siti ”Religione en Libertad” e “The Catholic Thing”, legati dallo stesso filo conduttore, ovvero l’irrilevanza di buona parte del mondo cattolico che, intriso di relativismo, si preoccupa esclusivamente di essere ben voluto e ben visto.
Nel suo articolo Monsignor Antonio Gomez Cantero, Vescovo spagnolo, colpisce nel segno evidenziando come “… anche noi cristiani partecipiamo al banchetto preparato dalla maggioranza schiacciante. A forza di cedere, per piangere con chi piange e per ridere con chi ride, stiamo perdendo la nostra originalità e la nostra freschezza evangelica”.
Parole inequivocabili quelle di Monsignor Cantero che considera la manipolazione del linguaggio come la nuova torre di Babele che intende costruire una nuova società perfetta che non comunica, ma confonde, con lo scopo di eliminare le tracce di Dio. “Cosa pretendere se l’eutanasia viene definita dolce morte? Quando diciamo interruzione volontaria di gravidanza perché non vogliamo dire aborto?"
Secondo Monsignor Cantero “tanta edulcorazione del linguaggio, per non urtare la sensibilità, sta generando una umanità manipolabile, una folla enorme che forma la generazione delle ciambelle, ossia molle, senza spigoli, dolce,flaccida e senza un riferimento (…) perché il problema fondamentale della nostra società è trovare e rispettare un accordo. Preferiamo la filosofia dell’insalata mista, condita con un po’ di tutto, realizzata senza alcun logica, dove tutto vale (…) e in nessuno modo si può dire che un ingrediente è meglio di un altro o che ha più valore nutritivo”. Un vero e proprio menù relativista quello descritto da Monsignor Cantero che, passando dal contorno fino al dolce, denuncia la mancanza di coraggio di parte del mondo cattolico che ha preferito annegare nel mare della maggioranza.
Dello stesso tenore sono le parole del professore James Toner che, nell’articolo apparso su “The Catholic Thing”, parla dei “bravi ragazzi” e delle persone “per bene” evidenziando come per la mentalità odierna l’uomo per bene sia tollerante, sincero, una persona normale e semplice. Toner, citando l’opera di Robert Bolt su Tommaso Moro, evidenzia come quest’ultimo, parlando del suo carceriere, esclami: “Oh Buon Gesù, questi normali e semplici uomini!”.
Secondo Toner “…i bravi ragazzi, questi normali e semplici uomini, hanno commesso e possono commettere un grande male a causa dell’apatia nel cercare la verità e quindi di perseguirla. La verità obbliga. Conoscere la verità chiede di agire nella verità, di “fare la verità (Giacomo 1,22)”. Se essere un uomo per bene, prosegue Toner, significa che dobbiamo essere annacquati o apatici nel conoscere e servire la verità, allora dobbiamo essere i più scortesi e indigesti possibili. La nozione per cui non c’è una verità o, se c’è, non è conoscibile è il principio cardine del relativismo morale tanto amato dai bravi ragazzi di oggi che rifuggono dall’idea di ammonire i peccatori (Luca 17,3)”. Il problema è che questi bravi e sorridenti ragazzi non sono uno sparuto gruppo in via di estinzione, bensì sono innumerevoli e si possono trovare ovunque: “in Parlamento, sui pulpiti, nelle cancellerie, nelle università, nella piazza pubblica e nei sinodi religiosi”.
Toner tocca un punto fondamentale quando precisa che “…se non mi struggo per la verità – per la sua certezza in Cristo - allora non mi devo preoccupare di perseguirla (…), rischiando di alienare quelle persone che mi vedono come un bravo ragazzo”.
Seguendo, o ancora peggio, identificandoci con questi bravi ragazzi il rischio è appunto quello di essere accompagnati da queste persone per bene nel burrone dell’irrilevanza e del relativismo. Le retorica buonista propone quotidianamente casi, che secondo alcuni dovrebbero essere degli esempi, di persone per bene che in nome del quieto vivere e del consenso non dicono mai una parola fuori posto. “L’aderenza alla verità, scrive Toner, potrebbe significare che il mondo ci odi (Matteo 10,22) e che, orribile a dirsi, non si venga annoverati tra i bravi ragazzi”. Un rischio che Chesterton, citato da Toner, aveva già abbondantemente preventivato, osservando che i cristiani non sono abbastanza odiati dal mondo. Troppo spesso, secondo Chesterton, siamo dei bravi ragazzi. Aiutiamoci, dunque, a rimanere saldi nella verità, rifuggendo ogni tentazione di cadere in quel seducente perbenismo anche costo di mettere a repentaglio alcuni rapporti, perché, come ha detto San Tommaso d’Aquino, “chi dice la verità perde le amicizie”.
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