ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 6 luglio 2017

Audivit Deus, et sprevit: * et ad níhilum redégit valde Israël (ps77)

Ma se Assad è un macellaio, come mai 500mila profughi (veri) siriani sono già ritornati a casa?


Non so se avete notato ma, sui media mainstream, la copertura cronachistica della liberazione di Mosul dall’Isis ha goduto di un’enfasi vagamente maggiore di quella riservata ad Aleppo, proprio una differenza quasi impercettibile. Nel primo caso c’era quasi da dolersi, lutti al braccio nei talk-show e scenari apocalittici come quelli prefigurati dell’editoriale da codice penale di Rula Jebreal a “Piazza pulita”, evocante stupri di massa da parte dei militari siriani e nefandezze di ogni genere dei russi, loro alleati. Oggi, invece, ecco che si festeggia la libertà, quella vera, perché non ha a che fare né con Assad, né con Putin e né, tantomeno, col grande orco iraniano. La libertà a stelle e strisce, almeno nella simbologia che ci viene appiccicata sopra.
Perché dobbiamo fermare il genocidio di Aleppo
D’altronde, la narrativa occidentale sulla Siria si basa su pochi punti precisi, ribaditi con martellante periodicità: il primo, ovviamente, è che la colpa della guerra e, quindi, dell’esodo di profughi sia di Assad, il quale ha represso le proteste pacifiche del suo popolo che chiedeva pane e democrazia, innescando la guerra civile che prosegue ormai da sei anni. Il “macellaio” è l’appellativo usato per il presidente siriano, termine ritenuto opportuno da politici e media occidentali per sottolinearne efferatezza e spietatezza. E chi osa difendere, magari non tanto lui, quanto la sovranità siriana, si ritrova metaforicamente con un coltellaccio in mano e il dito puntato dell’opinione pubblica indignata. Vai tu a spiegarglielo che è dura parlare di guerra civile, quando fin dall’inizio su territorio siriano erano presenti mercenari e volontari d 10 Paesi arabi diversi (più qualche addestratore USA, britannico e israeliano).

C’è però un problema: la realtà, per quanto la si voglia tenere coperta, prima o poi segue il destino della proverbiale immondizia sotto il tappeto. Salta fuori. E questa volta lo fa con il crisma dell’ufficialità più assoluta, come ci mostra questo tweet:

è infatti l’ONU a confermare che mezzo milione di profughi, da inizio anno, ha dimostrato di essere così pazzo da essere tornato in Siria. Di più, addirittura nelle zone controllate dal governo di Damasco! Masochisti, sono scampati alla guerra e si gettano volontariamente tra le braccia del macellaio! Stando a dati dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, infatti, nella prima metà del 2017, circa 440mila profughi rimasti nel Paese sono potuti tornare nelle loro case, ai quali vanno sommati i 31mila tornati in patria dai campi profughi dei Paesi confinanti e i 260mila che si era spostati in altre nazioni e che sono tornati in Siria a partire dal 2015. A confermare numeri e tendenza ci ha pensato Andrej Mahecic, un portavoce proprio dell’UNHCR, il quale giustamente parla di queste cifre come di una “frazione” dei 5 milioni di siriani ospitati nei campi profughi della regione ma che sottolinea come “tra i fattori di questo ritorno anticipato, ci siano certamente la volontà di ritrovare i parenti e controllare lo stato delle proprietà ma anche un reale o percepito miglioramento delle condizioni di sicurezza”.

E qui casca l’asino. Anzi, il media infingardo. Confermando che è “troppo presto per trarre delle conclusioni definitive”, Mahecic parla però dell’accordo fra Russia e Turchia dello scorso maggio come motivo principale di questa rinnovata fiducia, anche grazie alla creazione di “safe zones” cui quel patto ha portato. E a conferma di questo, cita le parole nientemeno che dell’inviato speciale per la Siria dell’ONU, Steffan de Mistura, di fronte al Consiglio di sicurezza: “Dall’accordo del 4 maggio in poi, la violenza è certamente calata. Migliaia di siriani vedono le loro vite divenire più libere ogni settimana e molte città sono tornate a un livello di normalità accettabile”. Io sarò anche distratto ma sono quasi certo di non aver sentito nulla di simile al tg, nemmeno una minima parte: perché per Mosul si dà vita a filmografie stile Istituto Luce e per la Siria che faticosamente torna alla normalità, nemmeno una riga?
Come mai l’ultima notizia al riguardo è stata l’ennesima bufala a orologeria svelata dalla tregua imposta dai russi e non questo? Oppure, il fatto che ieri – per la prima volta – anche le fazioni ribelli hanno accettato di sedersi al tavolo delle trattative di Astana, di fatto gestito da russi, turchi e iraniani? La politica e i media occidentali vogliono la pace in Siria o soltanto la LORO pace in Siria? Perchè la strada è lunga e serve l’aiuto onesto di tutto, come sottolinea Mahecic: “Ci sono speranze sempre crescenti legate ai progressi dei colloqui in atto ad Astana e Ginevra ma, per quanto riguarda la popolazione civile, rimangono rischi significativi per un ritorno in patria sicuro e dignitoso. In parti della nazione, la situazione non è ancora del tutto sotto controllo e la sfida chiave rimane proprio l’accesso delle istituzioni verso la gente siriana in cerca di stabilità”.

Insomma, molte criticità ma anche una certezza: se la gente torna ad Aleppo, Hama, Homs e Damasco è perché si sente sicura, altrimenti resterebbe dov’è e dove è rimasta per mesi e mesi. Forse, quindi, non si scappava dal “macellaio” Assad ma dai ribelli moderati finanziati e supportati da USA, Arabia Saudita e Israele, i quali una volta cacciati dalle loro roccaforti non fanno più paura: e la gente torna a casa. Con passo dolente, patibolare ma pronta a ricominciare, in qualche modo. Un qualcosa di inaccettabile per l’Occidente: l’intera narrativa della guerra civile scatenata dalla repressione di Assad, sputtanata in questa maniera. Oltretutto con dati ONU a conferma.
Sicuri che Assad sia percepito davvero come un brutale dittatore dalla sua gente? Qualche dubbio al riguardo lo ha mosso il senatore per lo Stato della Virginia, Richard Black, il quale non si è fidato della propaganda di casa e lo scorso dicembre si è recato a Damasco, dove ha incontrato proprio Bashar al-Assad. E il nostro Black è uno che non le manda a dire, visto che ha rivelato come “in base a report interni della nostra intelligence che ho potuto visionare, se in Siria si andasse al voto oggi, Assad vincerebbe con il 90% dei consensi”. Ecco le sue parole, stranamente circolate poco sui grandi media USA ma molto tra la stampa indipendente: “Ho collaborato con gente che ha avuto accesso a materiale di intelligence sulla Siria e sono saltate fuori cose molto interessanti. Oggi come oggi, posso dire con certezza che se venissero indette elezioni in Siria, il presidente Assad potrebbe probabilmente essere rieletto con il 90% dei suffragi e questo comprese anche le aree ancora occupate dai terroristi”.

Parlando della sua visita a Damasco, ecco come Black parla di Assad e della moglie Asma: “Sono persone totalmente votate al sacrificio per la loro gente, a differenza di molti leader non sono avidi e non stanno ammassando ricchezze nazionali per uso personale. Si stanno sacrificando per il futuro della nazione, per questo la gente li ama”. Infine, poche parole sull’esercito siriano: “C’è una pressoché totale unità e presenza delle religioni: cristiani, sunniti, sciti, alawiti, drusi. Tutti combattono insieme per riconquistare la Siria”. E chi cazzo glielo dice all’americano medio, quello che pensa che la Siria sia una contea montuosa del Wisconsin, che quanto sentito finora alla televisione erano cazzate? O, magari, Richard Black è stato comprato da Assad, noto corruttore, oltre che macellaio. E così anche l’UNHCR, banda di venduti. O forse sono stati gli hacker russi, quei maledetti. C’è poco da fare, non esiste tappeto abbastanza grande da contenere immondizia in eterno.

Piaccia o meno, Assad ha garantito pace e sicurezza al suo Paese, oltre a una convivenza assolutamente pacifica fra tutti i credo religiosi, ponendo però al di sopra di tutto la laica supremazia dello Stato. All’Occidente non piace? Cazzi suoi, ai siriani sì. E siccome i piangina isterici dello scontro di civiltà, stile “Il Foglio”, evocano guerra ovunque, “affinché non cambino il nostro stile di vita”, comincino facendo una bella cosa: lasciando che siano i siriani (e gli iracheni, afghani, iraniani e chi più ne ha, più destabilizzi) a scegliere il loro.
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Mentre noi guardiamo il film che il potere proietta, immigrati e precarietà preparano il nuovo mondo

Di Mauro Bottarelli , il 57 Comment

La notizia in Italia non è praticamente arrivata: qualche breve accenno e niente più. In Francia e negli USA, invece, ha suscitato grande scalpore. Lunedì la polizia francese ha sventato un attentato per uccidere il presidente, Emmanuel Macron, nel corso della parata sugli Champs Elysées – location preferita da quei tradizionalisti dei francesi per le loro false flag, in effetti molto pittoresche – per il 14 luglio, quando sarà in compagnia nientemeno che di Donald Trump. A darne notizia per prima, con enorme enfasi, la CNN. E chi sarebbe il presunto attentatore? Un 23enne “di estrema destra nazionalista che ha detto di voler dar vita a un manifesto politico attraverso l’omicidio di Macron”. Di più, interrogato dalla polizia, avrebbe anche dichiarato di voler “uccidere neri, arabi, ebrei e omosessuali”. Mancano giusto i boy-scout e i feticisti del piede e siamo al completo.

E come sono risaliti al nazi-attentatore gli inquirenti d’Oltralpe, gli stessi che – giova ricordarlo – si sono fatti fottere da “terroristi” tutti noti, segnalati e sotto controllo? Dai frequentatori di un sito di videogames, insospettiti dal fatto che il nostro eroe avesse dichiarato di voler comprare un fucile tipo Kalashnikov per compiere un attentato. Praticamente pane e volpe, roba che Carlos gli fa una pippa a uno così. Il nome? Non si sa, né CNN, né Reuters hanno avuto accesso all’identità: per la tv statunitense, però, il 23enne sarebbe stato accusato per attività terroristica lo scorso anno, anche se non è stata in grado di fornire alcun particolare sulla natura delle accuse. La Reuters, invece, sottolineava che si tratta di un disoccupato con problemi mentali (tu guarda che novità) e condannato lo scorso anno per alcuni commenti favorevoli ad atti di terrorismo. Insomma, la solita bufala alla francese. Ma se stai per comportanti da stronzo sul fronte migranti in sede UE, come è accaduto, l’idea che qualcuno volesse farti la pelle immediatamente ti garantisce l’aura del martire, almeno per un po’.
Ma, soprattutto, è importante per mantenere viva nella testa della gente l’ombra dell’Isis. Soprattutto, quando sempre in quasi contemporanea con la scoperta del complotto, sei chiamato a parlare davanti al Parlamento riunito a Versailles, a cui dirai non solo che lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 1 novembre ma, soprattutto, che le riforme andranno avanti con passo speditissimo e blindatura sui numeri all’Assemblea Nazionale. La quale, tra l’altro, nelle intenzioni di Macron durante il suo mandato vedrà il numero di parlamentari diminuire di un terzo. Forse in ossequio al tasso di astensionismo alle urne. O, forse, perché si va incontro al presidenzialismo della paura, uno status istituzionale che prevede il lavoro d’Aula come un aggravio di fatica e l’esistenza stessa del contrappeso di poteri come un ostacolo. Ah l’Isis, per la politica francese se non ci fosse, andrebbe inventato. Come, in effetti, è stato fatto.

Ma siccome con il passare del tempo e delle sconfitte sul campo, il babao dello Stato Islamico comincia a perdere di potenziale mediatico, serve dell’altro per tenere lo spettatore globale del grande Matrix incollato alle news e ai giornali: serve lo spettro contemporaneo di un altro mostro, la Corea del Nord e il rischio di una guerra nucleare. Guarda caso, il buon Kim Jong-un, dopo qualche settimana di silenzio in quell’amena località di PyongYang, ha deciso di sparare un bel razzo balistico proprio il 4 luglio, mentre gli americani salutavano la bandiera e si riempivano la panza di birra e hot-dog. “Poteva colpire l’Alaska”, hanno sentenziato gli esperti. Detto fatto, il buon Donald Trump ha dato corso a una manovra militare congiunta con Seul e il segretario di Stato, Rex Tillerson, ha invitato il mondo a “un’azione globale contro la Corea del Nord”, ammonendo tutti dal “offrire aiuto o armamenti al regime di Kim Jong-un”. E mentre il buon Tillerson parlava, cosa twittava Donald Trump? Questo,

Trade between China and North Korea grew almost 40% in the first quarter. So much for China working with us - but we had to give it a try!


ovvero un messaggio nemmeno troppo in codice alla Cina sul tema. Ma, a stretto giro di posta, i ministri degli Esteri di Cina e Russia rilasciavano una nota congiunta nella quale rifiutavano ogni soluzione di forza per la Corea del Nord, ammonendo sul fatto che la necessità di una denuclearizzazione dell’area non potesse diventare alibi per un cambio di regime a PyongYang. Cazzo, che frenesia diplomatico-bellica in due giorni! Ma, soprattutto, a due giorni dal G20 di Amburgo. Evviva, come al solito, le coincidenze.
Già, le coincidenze. Eccone un’altra, configurabile anche come figura retorica de “l’altra faccia della medaglia”. Mentre infatti tra ieri sera e oggi pomeriggio le strade di Amburgo vedevano già in azione squadre antisommossa e idranti per disperdere migliaia di manifestanti anti-G20, negli Stati Uniti uscivano questi dati:



in maggio gli ordinativi industriali sono calati dello 0,8%, contro un’attesa dello 0,5%, peggior calo da novembre 2016 e secondo mese di declino di fila. Ma è il secondo grafico a spaventare, perché i nuovi ordinativi depurati dai trasporti in maggio hanno visto il primo e maggior calo su base mensile da febbraio 2016. E quale voce ha pesato di più? Aerei da difesa e loro parti, un bel -30,8%, mentre quelli non da difesa -11,6%. Serve più guerra, CAZZO! Anzi, serve una guerra. Anche simulata, ibrida, asimmetrica, con le pistole ad acqua: come viene viene, basta che si riattivi per bene il complesso bellico-industriale e la gente lo accetti, perché ben persuasa del rischio di una guerra. Al terrorismo, a Kim Jong-un, agli Aristogatti: serve una guerra adesso. Perché se passa l’ossessione della paura permanente, magari poi una si accorge di questo,


ovvero la simulazione fatta dal think-tank GEFIRA utilizzando il software Cerberus 2.0 e le serie storiche dei dati demografici olandesi, di fatto proiettando la popolazione ipotetica di quel Paese nel futuro e vedendone la composizione, in base a variabili ponderate. E se vediamo che negli anni Sessanta in Olanda erano più i cittadini che se ne andavano di quelli che arrivavano, dagli anni Settanta assistiamo a un cambio di dinamica. Nel 2015 la popolazione olandese ha vissuto il suo picco a 15 milioni di abitanti: stando a proiezioni CBS, fino al 2060 si resterà attorno a quota 18 milioni, mentre Cerberus vede già un calo partito proprio nel 2015, tale da portare il numero a 12 milioni nel 2060 e 9 milioni a fine secolo. C’è un problema, gli olandesi saranno una minoranza in patria. Per tre dinamiche: continua decrescita degli olandesi nativi, contemporaneo aumento dei non nativi e costante aumento dei flussi migratori. Il secondo grafico parla da solo: nel 2060 il 50% della crescita in Olanda a livello demografico sarà data da nuovi nati non occidentali (linea arancione) e immigrati (linea rossa) e attorno al 2070, il 50% di tutti i nuovi nati saranno non nativi.
E mica solo l’Olanda potrebbe svegliarsi e rendersi conto che quello che sta vivendo non è un incubo. E’ di oggi la notizia che, stando a dati ufficiali dell’Ufficio statistico ed elettorale, la città di Francoforte – per la prima volta in assoluto – vede più della metà dei suoi abitanti essere con un background straniero. Già, il 51,2% di chi vive a Francoforte ha un passato non tedesco e origini straniere: solo i turchi pesano per il 13% delle popolazione totale. E, questione tutt’altro che secondaria, il 49% dei cittadini con origini straniere che vive a Francoforte lo fa sotto la soglia di povertà contro il 23% dei nativi tedeschi e pesano grandemente sul dato totale del tasso di disoccupazione. Ma se l’Ufficio statistico di Francoforte millanta questi dati come trionfo dell’integrazione e della multiculturalità, bastava leggere l’edizione di “Die Welt” di lunedì per scoprire una cosa interessante.

Lo scorso anno, dati ufficiali, in Germania sono stati compiuti poco meno di 6 milioni di crimini e sapete, una volta elaborato il dato per numeri di atti criminali ogni 100mila abitanti, quale è la città più violenta del Paese? Bravi, Francoforte con 16.292 crimini ogni 100mila abitanti. Solo un’altra delle tante coincidenze? Forse. Anzi, per i santoni del politicamente corretto certamente sì e chi le spaccia come verità, è uno xenofobo. Ma la demografia non è scienza ideologica, è scienza e basta. E se entro il 2060 l’Olanda sarà un Paese di stranieri, dove trovare un bianco con i capelli biondi sarà una rarità tipo Gronchi rosa, ecco che questa grafica

ci mostra un’altra dinamica che possiamo ignorare a nostro rischio e pericolo: entro il 2100 moltissime città cresceranno a dismisura, anche di 20 volte la loro attuale dimensione e, guarda guarda, nessuna di queste future megalopoli sarà nel mondo occidentale. Di più, non saranno nemmeno in Cina e Giappone. Indovinate dove? Ecco le prime quattro,




chiaro sintomo di un trend demografico destinato a schiacciarci, perché quelle città potranno continuare ad espandersi ma nel corso di questo processo, sempre più persone decideranno di andarsene, di emigrare. A vostro modo di vedere, verso quali continenti?
C’è infine un’ultima criticità che stiamo sottovalutando, essendo continuamente de-priorizzata da media e politica, in favore della lotta al terrore e della paura permanente. Questa tabella

ci mostra il lavoro precario in Europa come percentuale dell’occupazione totale. Nel 2003, molto prima della crisi economica partita da Lehman Brothers, il 15% dei lavoratori europei aveva un contratto part-time, mentre nel 2015 la percentuale era già salita al 19% contro il circa 18% degli USA. Guardate le miracolose economie polacca e spagnola: 20%. Lavori sempre più precari che portano con sé due dinamiche: maggiore incertezza sociale, disagi, costi sanitari e una continua compressione salariale. La quale è la dinamo dell’immigrazione di massa, perché i datori di lavoro sanno che qualcuno disposto ad accettare paga da fame e condizioni da schiavitù ci sarà sempre. Anzi, avanti di questo passo ci sarà persino sovrabbondanza del marxiano esercito industriale di riserva, quindi si potrà cominciare a fare dumping fra i migranti stessi, andando verso ribassi mai visti delle condizioni e dei salari minimi.

E’ la logica che sottende le “riforme spedite” di Emmanuel Macron e la sua volontà di minimizzare l’impatto del Parlamento, al di là dei numeri blindati: prima con lo stato di emergenza, poi con il taglio di un terzo dei parlamentari. E il popolo bue, sarà lì ad applaudirlo perché taglia i costi della politica: perché nel novero globale dell’economia della Francia, sicuramente la voce più problematica è quella di un centinaio di parlamentari. Ma il popolo applaude, politici ladri, viva l’anti-politica da società civile di Macron! Applaude e ha paura, quindi lascia passare tutto. In silenzio. Ora torniamo al cinema, proiettano il film sui lupi solitari dell’Isis e sui loro attentati nelle nostre città, seguito da quello sulla guerra nucleare con la Corea del Nord. Nel frattempo, ci rubano l’anima, oltre ai diritti.
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