ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 30 settembre 2017

Un fuoco sotto la cenere

DA UNA NOTA FACEBOOK DI VIK VAN BRANTEGEM. Circoli di ultramontani, vaticanisti e falsi “amici” intorno al Papa si comportano in modo totalmente pazzo e ingiusto…

… causando danni incalcolabili per il Papa stesso, per la Chiesa e per il Popolo di Dio.
Per il bene della Curia e della Chiesa dovrebbe esserci dialogo aperto (auspicano i Cardinali Müller e Parolin, certamente non possono essere lapidariamente liquidati in modo sprezzanti e trattati come teologi o diplomatici di quattro soldi).
“The best thing would have been for the Holy Father to have had an audience before their publication. Now we have the spectacle of a trial of strength. It’s better to speak before and to deepen the questions and give good answers. (…) What the Church needs in this serious situation is not more polarization and polemics, but more dialogue and reciprocal confidence” (Cardinal Gerhard Ludwig Müller).(…)
“Corruptio optimi pessima – What was great, once corrupted, is aboninable – Ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo” (San Gregorio Magno).(…)barbarossa

Cardinale Parolin, «Correctio filialis de haeresibus propagatis»? Occorre dialogo
(ANSA) – ROMA, 28 SET – “È importante dialogare anche all’interno della Chiesa”. Così il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, commenta la lettera di un gruppo di studiosi che accusa il Papa di eresie. “Le persone che non sono d’accordo esprimono il loro dissenso ma su queste cose si deve ragionare, cercare di capirsi”, ha detto a margine della conferenza di Acs sui cristiani iracheni. Sul dibattito sullo ius soli il Segretario di Stato Vaticano dice: “Io ribadisco i principi” di accoglienza e integrazione per i migranti, “poi toccherà alla politica italiana decidere e mi sembra che il dibattito sia molto acceso”. E precisa che non c’è divergenza di vedute sulla questione migranti tra Vaticano e Cei: “Si può accogliere a braccia aperte con prudenza”. “Spesso si mettono in contrapposizione singole frasi ma la Chiesa è per l’accoglienza e per l’integrazione. Sono fratelli che si trovano nella necessità”.
* * *
Una vera eminenza, persona eminente non solo nel titolo onorifico. Persona squisita, costruttore di ponti e costretto a provare a ricucire molti strappi.
Circa il contenuto della «Correctio filialis de haeresibus propagatis» (che non è destinata né a me né a nessun altro, tranne il Papa stesso), per quanto riguarda me – l’unico a cui nome ho titolo di parlare e comunque lo faccio con prudenza – non mi convince la non risposta del destinatario (e non da oggi, ma dal principio). Da parte nostra, non destinatari, dobbiamo almeno sforzarci a capire le motivazione di questo passo, di chi ha firmato e di chi è stato invitato ma non l’ha fatto (per mancanza di coraggio, di paura). Ci vuole dialogo nella Chiesa, non muro (di silenzio), soprattutto da chi ha il timone in mano. Accoglienza e integrazione, non attacco ed esclusione. E non si tratta soltanto di accogliere e integrare migranti, ma in primis fratelli nella Chiesa stessa, che si trovano nella necessità di essere confermati nella fede, non ridicolizzati, denigrati, calunniati, estromessi. E a scanso di equivoco, lo dico circa quanti dichiarano e affermano in nome e per conto del Papa e fanno opera di delegittimazione e character assassination di tutti coloro che non sono in completa assonanza con lui o critici su alcune sue asserzioni (capostipite, un tale Luis Badilla, giornalista cileno, ex ministro di Salvador Allende, personaggio che si dedica – con delle Postille su un sito para-vaticano – alla disinformazia e maskerazia di infausta memoria sovietica – dall’interno di un palazzo extraterritoriale vaticano).
Sono dei pasdaran, che – purtroppo – abbiamo in casa nostra (e nel salotto buono)..Come i “guardiani” della rivoluzione islamica komeinista (i volontari del corpo paramilitare iraniano impegnato nel difendere da nemici interni ed esterni l’ordine instaurato con la rivoluzione islamica del 1979) dimostrano la medesima fanatica aggressività e intransigenza, con la loro personalissima rivoluzione nell’epoca del papato argentino. Con loro odio contro ognuno che non la pensa come loro si dimostrano invece per quello che sono. Si presentano come i paladini dei ponti e della tolleranza, che abbattano i muri e combattono gli intolleranti. Sono semplicemente patetici. Ma con i dodici cavalieri che costituivano una specie di guardia nobile di Carlo Magno non hanno niente de spartire, tranne a parola. Per essere considerato sostenitore e difensore valoroso, leale, disinteressato del bene – come Papa Francesco insegna magistralmente – ci vuole coerenza e fedeltà al Vangelo, sine glosse.
E concludo, con l’amico giornalista neerlandese Sef Adams: “… de gewone man denkt er het zijne van, zolang hij kan… – … e l’uomo semplice ne pensa il suo, finché può… en … soms is dat veel, soms is dat weinig … – talvolta questo è tanto, talvolta questo è tanto”.
Correzione filiale: quasi quadruplicate le adesioni. Migliaia di firme popolari. Parolin: dialogare… di Marco Tosatti Stilium curiae – Papi e dintorni (Marcotosatti.com), 29 settembre 2017
Si sono quasi quadruplicate, a partire dalle quaranta iniziali le adesioni di studiosi, professori teologi e religiosi alla “Correzione Filiale” consegnata al Pontefice l’11 agosto a Santa Marta e resa nota domenica scorsa, dopo che non era stata ricevuta nessuna risposta agli organizzatori. Attualmente hanno aderito in 156 studiosi. A fianco dell’iniziativa, che come sappiamo è riservata a persone di una certo livello accademico o teologico, se ne sono sviluppate altre, di appoggio. Quella di Life Site News ha raggiunto, a ieri, oltre le cinquemila adesioni (5025, per l’esattezza). Mentre quella lanciata da One Peter Five, di Steve Skojec, ieri aveva raccolto più di diecimila adesioni (10624, per la precisione). So dell’esistenza di altre raccolte di firme in appoggio popolare alla “Correzione Filiale”, ma non sono in grado in questo momento di fornire dati più precisi. È da ricorda comunque che nei mesi scorsi una “Supplica filiale” al Pontefice, sempre su questo tema, aveva raccolto centinaia di migliaia di firme in tutto il mondo. Si tratta comunque di iniziative totalmente staccate e indipendenti rispetto ai “Dubia” avanzati al Papa e alla Congregazione per la Dottrina della Fede da quattro cardinali, di cui al momento sono in vita Brandmüller e Burke. E non è improbabile che a breve periodo ci possano essere novità di rilievo anche su quel fronte.
Appare sempre più evidente che non si tratta di iniziative folcloristiche, come vorrebbero far credere con maggiore o minore abilità e finezza gli agenti della propaganda iperpapista *. Così come risulta sempre più incredibile e surreale il rifiuto a un confronto sui temi concreti e il silenzio del Pontefice. Non bastano certo battutine su San Tommaso, avidamente rilanciate dai tifosi papalini * a sciogliere perplessità e a riportare ordine in una situazione di cui Amoris Laetitia è stata il detonatore di confusione massima.
Con toni diversi persone diverse se ne stanno rendendo conto. Una frase del Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin, è indicativa. A margine di un incontro di Aiuto alla Chiesa che Soffre gli è stata posta una domanda sulla Correzione Filiale. Il braccio destro del Pontefice ha detto: “È importante dialogare anche all’interno della Chiesa”. E la persona che fino a pochi mesi fa rivestiva il ruolo più importante in Vaticano in campo teologico, il cardinale Gerhard Müller, in una intervista rilasciata a Edward Pentin, del National Catholic Register, ha detto che la Chiesa non ha bisogno di “polemiche e polarizzazioni”, ma al contrario di “più dialogo e reciproca fiducia”. Müller ha lanciato l’idea di una commissione composta da variii cardinali, nominati dal papa, che discutano teologicamente sulle parti controverse dell’Amoris Laetitia con rappresentanti dei Dubia e della Correzione. Forse si può leggere la dichiarazione del Segretario di Stato anche alla luce di questa proposta.
Vogliamo poi riportare le parole del solo vescovo firmatario, René Henry Gracida, novantaquattro anni, emerito di Corpus Christi, che ha così spiegato le sue ragioni: “Alcuni amici – scrive Gracida – mi hanno chiesto i motivi per cui ho scelto, domenica scorsa, di firmare la correzione filiale. Sinceramente mi sorprende che qualcuno senta il bisogno di chiederlo, perché la risposta è semplice e, spero, è evidente: amo la Chiesa. Amo la Chiesa in quanto corpo mistico di Cristo. Amo la Chiesa come comunità di uomini e donne fedeli, giovani e vecchi, liberali e conservatori. Mi dispiace vedere che le persone soffrono, come soffro anch’io, per la crisi che affligge la Chiesa”. La correzione filiale “è così ben scritta, così rispettosa, così completa, così dettagliata” che il presule si attendeva “molti dei miei fratelli vescovi fossero felici di firmarla. Forse ingenuamente, ho pensato che la mia firma potesse incoraggiare altri vescovi a rendere pubblici i loro punti di vista, ma molti sono timidi e temono ritorsioni da parte di Roma”
Una delle adesioni più recenti è quella di don Andrew Pinsent don Andrew Pinsent, cinquantuno anni, di Brighton, direttore per la ricerca del Centro Iam Ramsey di Oxford su scienza e religione, sacerdote, teologo (laureato alla Gregoriana) e filosofo; inoltre è uno scienziato, con una laurea in fisica. Pinsent, ritiene “manipolato in modo ridicolo” l’ultimo sinodo, ( e chie legge questo blog, e chi leggeva San Pietro e Dintorni, sa quante prove abbiamo portato in questa direzione), ricorda che le richieste di chiarezza al Pontefice sono rimaste inevase, e che “come ha recentemente avvertito il professor Josef Seifert, prima di essere licenziato a causa delle sue posizioni, ci troviamo di fronte al rischio di una totale distruzione degli insegnamenti morali della Chiesa cattolica. Vorrei aggiungere che le contraddizioni ora introdotte negano la ragione stessa e sono catastrofiche per la missione della Chiesa. Dal momento che ho donato la mia vita al sacerdozio esclusivamente per la salvezza delle anime, ho dovuto aggiungere il mio nome alla correzione”.
* L’amico di lunga data (e lungo corso) Marco Tosatti me lo perdoni – e non è certamente per sminuire questo interessantissimo pezzo – però, al posto di “iperpapista” (che non è male) e “papalino” (che credo è inteso in altro modo) avrei preferito di leggere “papolatri”. E mi spiego alle fine di questa Nota.
“Ecco perché abbiamo firmato” di Aldo Maria Valli Aldomariavalli.it, 28 settembre 2017
Tra i firmatari (nel momento in cui scrivo siamo a quota 146) della «Correctio filialis de haeresibus propagatis» resa nota lo scorso 24 settembre c’è un vescovo, René Henry Gracida, novantaquattro anni, che nel suo blog (https://abyssum.org/2017/09/27/why-…) ha voluto spiegare le ragioni della scelta.
Nato a New Orleans nel 1923, figlio di un architetto e ingegnere di origine messicana, Gracida prese parte alla seconda guerra mondiale nell’aviazione degli Stati Uniti, sui bombardieri impegnati in Europa contro il nazismo. Trentadue le sue missioni: una storia che impressionò Giovanni Paolo II.
Sacerdote dal 1959, nel 1983 fu nominato vescovo della diocesi di Corpus Christi e dal 1997, al compimento del settantacinquesimo anno di età, è diventato vescovo emerito.
Il testo con il quale illustra il perché della decisione di firmare la «Correctio filialis» è cristallino.
«Alcuni amici – scrive Gracida – mi hanno chiesto i motivi per cui ho scelto, domenica scorsa, di firmare la correzione filiale. Sinceramente mi sorprende che qualcuno senta il bisogno di chiederlo, perché la risposta è semplice e, spero, è evidente: amo la Chiesa».
«Amo la Chiesa – prosegue – in quanto corpo mistico di Cristo. Amo la Chiesa come comunità di uomini e donne fedeli, giovani e vecchi, liberali e conservatori. Mi dispiace vedere che le persone soffrono, come soffro anch’io, per la crisi che affligge la Chiesa».
Secondo Gracida, la correzione filiale «è così ben scritta, così rispettosa, così completa, così dettagliata» nello spiegare i fondamenti delle critiche a formulazioni tanto eterodosse da sconfinare nell’eresia, che «mi aspetterei che molti dei miei fratelli vescovi fossero felici di firmarla». Così, «forse ingenuamente, ho pensato che la mia firma potesse incoraggiare altri vescovi a rendere pubblici i loro punti di vista», ma «molti sono timidi e temono ritorsioni da parte di Roma».
Gracida ricorda la situazione del quarto secolo, un’epoca di profondissima crisi per la retta dottrina, quando sant’Atanasio, con pochissimi altri fedeli, riuscì a difendere la fede dall’arianesimo. In quel tempo, spiega, furono i laici ad aiutare il vescovo Atanasio e il papa, e anche oggi i laici, «che soffrono così tanto a causa di una cattiva leadership o della mancanza di leadership, meritano di vedere da parte di altri vescovi l’annuncio del loro appoggio alla correzione».
«Mi è stato chiesto anche quello che avverrà se non sarà data risposta alla correzione o ai “dubia”. Mi dispiace dover rispondere che non credo ci sia qualcosa che gli uomini possono fare; la soluzione della crisi dipende interamente da Nostro Signore Gesù Cristo».
Sento già l’obiezione: monsignor Gracida ha più di novant’anni, appartiene a un’altra epoca e a un’altra Chiesa.
E allora ecco una seconda testimonianza. Quella di don Andrew Pinsent, cinquantuno anni, della diocesi di Brighton in Inghilterra (http://www.catholicherald.co.uk/com…).
È un punto di vista interessante perché Pinsent, direttore per la ricerca del Centro Iam Ramsey di Oxford su scienza e religione, oltre che sacerdote, teologo (laureato alla Gregoriana) e filosofo, è scienziato, con una laurea in fisica.
«Ho firmato la correzione – spiega – non per mancanza di rispetto filiale nei confronti del Santo Padre, ma a causa della gravità della situazione. La correzione è un passo coerente con l’insegnamento di Gesù Cristo (Matteo 18,15-17) e San Paolo che affronta San Pietro (Gal. 2:11), e fa seguito a una serie di petizioni rimaste senza risposta fin dal 2015».
Pinsent, che non esita a definire «manipolato in modo ridicolo» l’ultimo sinodo, oltre a ricordare tutte le iniziative volte a fare chiarezza ma rimaste senza riscontro da parte di Santa Marta, afferma che «come ha recentemente avvertito il professor Josef Seifert, prima di essere licenziato a causa delle sue posizioni, ci troviamo di fronte al rischio di una totale distruzione degli insegnamenti morali della Chiesa cattolica».
«Vorrei aggiungere – spiega il sacerdote scienziato – che le contraddizioni ora introdotte negano la ragione stessa e sono catastrofiche per la missione della Chiesa», che resta quella di «offrire salvezza alle anime».
«Dal momento che ho donato la mia vita al sacerdozio esclusivamente per la salvezza delle anime, ho dovuto aggiungere il mio nome alla correzione».
Prima di chiudere, visto che abbiamo accennato a sant’Atanasio, vorrei ricordare il bel profilo che ne tracciò Benedetto XVI nella catechesi del 20 giugno 2007, conclusa con una citazione dalla «Deus caritas est» (n. 42): la vita di quel vescovo, come quella di altri innumerevoli santi, «ci mostra che “chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino”».
* * *
“Bell’articolo di Valli. Certo che sono tante le angolazioni secondo le quali viene valutata la forma del testo. La parola ‘eresia’ viene spesso citata senza capire” (Claudio Piccinini).
“Mi sorprende, in queste motivazioni alla firma, che secondo l’autore dell’articolo dovrebbero essere illuminanti, la totale mancanza di argomentazione nel merito: si dice che c’è una “una cattiva leadership o una mancanza di leadership” senza minimamente spiegare perché, come se la cosa fosse scontata: a me questo scritto non trasmette altro che un’opposizione preconcetta a papa Francesco. Chi e come dovrebbe convincere qualcuno della bontà della Correctio Filialis, che, non dimentichiamolo, accusa il Papa di sette eresie? (Fausto Gasparroni).
Azzardo la supposizione; il destinatario, per quanto riguarda il contenuto della «Correctio filialis de haeresibus propagatis» (che non è destinata né a me né a Fausto). Per quanto riguarda me – ripeto, l’unico per cui ho titolo di parlare, perché “I am a nobody” (come diceva Emily Dickinson quasi due secoli fa) – non mi convince la non risposta del destinatario (e non da oggi, ma dal principio). Ci vuole dialogo nella Chiesa, non muro (di silenzio). Accoglienza e integrazione, non attacco ed esclusione. L’ha ditto Cardinale Parolin (“È importante dialogare anche all’interno della Chiesa”), l’ha detto Cardinale Müller. E questi non possono essere congedati come dei “Nobody”. Ripetita iuvant.
“L’unica mia domanda è: ma i contestatori di Bergoglio hanno davvero voglia di dialogare?” (Fausto Gasparroni).
Non credo che è elegante fare il conto in tasca agli altri. Non possiamo conoscere cosa ha un fratello nell’anima. E la tua domanda può ottenere solo una risposta dialogando. Si è così propenso a dialogare con chi sta lontano, con chi è nemico della Chiesa, con chi è non credente, con chi è cristiano non cattolico, con chi è rifugiato, con chi è escluso, ecc. ecc. Si parla di costruire ponti e abbattere muri, si parla di accoglienza e misericordia. Cosa costa ad essere inclusivo anche con chi la pensa diversamente, chi ha dubbi, chi non è d’accordo, ecc. ecc.? In fondo si chiede (in origine, prima che la cosa è scoppiata in faccia) soltanto al timoniere, che sta guidando la barca, di chiarire formulazioni non chiare (la storia si ripete sempre… si è dimenticato lo strappo lacerante, ancora oggi, della disputa “qui ex Patre Filioque procedit”, aggiunta dalla Chiesa latina al Credo niceno-costantinopolitano in modo “lecito e ragionevole” per meglio spiegare la processione dello Spirito Santo e che fu una delle principali cause del dissenso e della separazione tra le Chiese greca e latina). Se – per dare solo un esempio – uno come l’ateo Scalfari, pecorella smarrita, viene ricevuto e riceve risposta alle sue domanda, è chiesto troppo di fare – non dico di più – almeno così anche con qualche pecorella tra le 99 nell’ovile?
Uragano Francesco Quella lettera in latino che gli dà dell’eretico, e la reazione del Papa: “Macché offeso. Ora fa il repulisti” di La gran sottana Il Foglio, 28 settembre 2017
L’altro giorno nei dintorni di piazza San Pietro, all’ora di pranzo (cioè alle 13.30, quando suona la campanella oltre le mura), la calma era piatta. Visi sorridenti, soliti grandi appetiti, occhiali da sole a nascondere borse e occhiaie. Eppure, poco prima, una lettera in latino lunga, lunghissima, dava al Papa dell’eretico. Come Giordano Bruno o come uno dei tanti Pontefici medievali che si prendevano schiaffi in faccia da sovrani sbruffoncelli. Sessantadue firmatari, tra cui molti blogger, diversi paralefebvriani, banchieri e intellettuali. “Che buco nell’acqua che hanno fatto”, mi dice poco dopo, davanti a due piatti di Gricia strabordante (prima s’era già mangiato il carciofo unto e bisunto), il monsignore che non vedevo da prima dell’estate. “Hanno aspettato mesi, un anno, e hanno fatto ’sta roba qui. Bah! Un grande assist a chi non vedeva l’ora di sbertucciarli e di irriderli”. Ma il Papa sarà offeso, azzardo io. In risposta ottengo una fragorosa e imbarazzante risata, con gli occhietti del presule che dietro le lenti degli occhiali mi guardavano con tanta compassione. “Ma figurati! Non aspettava altro che leggere questa cosa, che lui ritiene roba da disperati, degna di custodi da museo chiusi in uffici e consorterie. E’ proprio ’sta roba che gli dà manforte a fare il repulisti”. Salutandoci, mentre passa un vescovo vestito da vescovo anche al ristorante al quale dà una pacca sulla spalla e si complimenta per le fortune calcistiche della Roma, mi raccomanda di drizzare le antenne in vista dell’autunno inoltrato: “Vedrai la risposta ai firmatari della correzione filiale. Se finora s’è parlato di aria fresca a piegare un po’ le palme nei Giardini vaticani, tra un po’ sarà il caso di parlare dell’uragano Irma”.
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“Terribili questi articoli non firmati, che buttano lì con leggerezza cose gravi e riferiscono fantomatiche conversazioni” (Claudio Piccinini).
“Mi trovi qualcuno entro le mura che dica qualcosa mettendoci la faccia. le epurazioni sono cosa quotidiana. non le sembra strano che questa sia la stagione degli anonimi cronisti ? eppure i tempi per la parresia dovevano essere compiuti” (Hermann Sta).
“Ma che ne so io se un articolo è stato scritto “entro le mura” o meno? Dico solo che non ha senso. Per come è fatto, poi. Questo genere di cose non fa che alimentare preoccupazioni p divisioni, comunque stiano le cose. Per il resto, non capisco proprio cosa vuoi dire. Sono ben più vicino all’“uomo della strada” tratteggiato da Vik che a qualunque sedicente “studioso” che ignora i più elementari fondamenti di vita cristiana” (Claudio Piccinini).
“Concordo pienamente sulla criticabile modalità di pubblicare fonti anonime su fatti così gravi ed in forma così greve. È un vezzo romano. Claudio Piccinini io sono un uomo della strada e come tale sento i fatti, pur non disdegnando lo studio, per quel che posso” (Hermann Sta).
Ormai, questa è la stagione, che ha portato a Vatilleaks 1 e 2 e prosegue peggio che mai. Si respira un’aria di paura mai visto. Mi viene chiesto da persone semplice molto turbati: “Come ne usciremo fuori?”. Purtroppo, quello che si vede, si vede, ma non ho una sfera di cristallo.
E ripeto, lo penso come l’amico giornalista neerlandese Sef Adams: “… de gewone man denkt er het zijne van, zolang hij kan… – … e l’uomo semplice ne pensa il suo, finché può… en … soms is dat veel, soms is dat weinig … – talvolta questo è tanto, talvolta questo è tanto…”.
“Molto bello il commento del tuo amico Sef Adams: il Signore suscita apostoli anche dalle pietre, se è il caso” (Claudio Piccinini).
Come esclamava Giovanni il Battista, voce di uno che grida nel deserto (secondo la profezia del Profeta Isaia): “(…) Da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo” (Cfr. Mt 3,9).
Se l’anonimato – a parte delle parole inqualificabili di chi “sussurra ai cavalli”… che tristezza… miseria di pensiero e povertà di fede, cioè, alla faccia di Fides et Ratio – crea disagio, quanto segue sono le paure espresse da un sacerdote – Father Ray Blake… to sign or not to sign… to be or not to be… – che ci mette non solo la faccia (sua, non di altri e con due guance da schiaffeggiare) ma la firma (sua, non a nome e conto per un altro). Credo che più chiaro di così non è possibile esprimere il clima pesante che si respira nei palazzi che di “sacro” poco trasmettono.

To Sign or Not to Sign by Fr Ray Blake Marymagdalen.blogspot.it, 28 September 2017
I admire those who have signed, a friend who has signed said the question is WWSJFSTMD, What Would St John Fisher and St Thomas More Do?
At the moment I am like the majority of the priests I know, who remain silent and praying that the question is not put to them,
I know it is not worthy of Christ, conscience says one thing, fear and self-serving, what some might call prudence, says something else.
The former prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith gives an extensive interview to the Register. Cardinal Müller Speaks Out on ‘Amoris Laetitia,’ the Dubia and the Vatican by Edward Pentin National Catholic Register, 28 September 2017
Nobody can demand of a Catholic to believe a doctrine which is in an obvious contradiction to the Holy Scripture, apostolic Tradition and the dogmatic definitions of the Popes and ecumenical councils in the matter of faith and morals. What is needed is a religious obedience, but not a blind faith, to the Pope and the bishops, and nothing at all to private friends and advisers. These people must come out with their arguments, and they are not allowed to demand any respect for their presumed magisterial authority. We do not just believe things because a Pope teaches them, but because these truths are included in Revelation (cf. II.Vatican Council, Dei Verbum, 10).
Una riflessione È un grave errore confondere il Papato con la persona che ne è stato investito. Santa Caterina da Siena disse che avrebbe continuato ad amare il Papa di Roma con amore filiale nella sua veste di Papa, anche se fosse il diavolo incarnato. Papa Paolo VI, nell’Udienza Generale del 30 aprile 1969, ricordando nel giorno della sua festa, che la sua storia di Santa Caterina da Siena “è estremamente complessa e documentata. Sarà sempre troppo lunga per narrarla per disteso; il quadro storico poi, in cui essa si svolge, è così caratterizzato e drammatico, che chiunque si prova a descriverlo, in funzione di questa umile e splendida protagonista, è costretto a scegliere o a sunteggiare”, disse che “un Papa non può dimenticare quanto il Pontificato Romano e la Chiesa intera devono a questa singolarissima donna, non mai abbastanza studiata e celebrata. È bello che una sua statua sia stata collocata, qualche anno fa, qui vicino a S. Pietro, tra Castel S. Angelo e l’inizio di Via della Conciliazione, quasi correndo verso questo fatidico Vaticano”. E aggiungeva: “Sempre noi dovremo ricordare che fu lei, Caterina, a convincere il giovane Papa francese (aveva quarant’anni) Gregorio XI, debole di salute e timoroso di animo, a lasciare Avignone, dove la Sede Apostolica s’era trasferita, nel 1305, dopo la morte imprevista di Benedetto XI, con Papa Clemente V, e a ritornare nel 1376 in Italia, sempre straziata da acerbe divisioni, a Roma, sebbene turbolenta ed in pessime condizioni. E fu Caterina che, subito morto Gregorio XI, sostenne il successore Urbano VI nei primi frangenti del famoso «scisma d’Occidente», iniziato con l’elezione dell’antipapa Clemente VII. A noi interessa soprattutto un lato di questa vita eccezionale, quello che crediamo il più caratteristico: il suo amore alla Chiesa. (…) Caterina è la Santa, che mette nell’amore alla Chiesa, e al Papato specialmente, la sua nota dominante. (…) Santa Caterina ha amato la Chiesa nella sua realtà che, come sappiamo, ha un duplice aspetto: uno mistico, spirituale, invisibile, quello essenziale e fuso con Cristo Redentore glorioso, il quale non cessa di effondere il suo Sangue (…); l’altro umano, storico, istituzionale, concreto, ma non mai disgiunto da quello divino. V’è da chiedersi se mai i nostri moderni critici dell’aspetto istituzionale della Chiesa siano capaci di cogliere questa simultaneità, e se mai dalle loro gravi dissertazioni, o vivisezioni del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa (non solo celeste, ma terrestre, questa Chiesa nel tempo, giuridica, personificata in uomini composti dell’argilla di Adamo, anche se animati dai doni dello Spirito Santo), verrebbe mai un’espressione simile a quella, tanto spesso citata, che qualifica il Papa: «O Babbo mio, Dolce Cristo in Terra…». Caterina ama la Chiesa qual è (…). Caterina non ama la Chiesa per i meriti umani di chi le appartiene, o la rappresenta. Se si pensa in quali condizioni si trovava allora la Chiesa, ben si comprende come il suo amore avesse ben altri motivi; e lo si deduce dal linguaggio libero e franco, con cui Caterina denuncia le piaghe dell’organizzazione ecclesiastica di quel tempo, e ne invoca la riforma. Santa Caterina non nasconde i falli degli uomini di Chiesa, ma mentre inveisce contro tanta decadenza, più la considera un motivo e un bisogno di amare di più. (…) Questo è l’amore di Caterina: la Chiesa gerarchica è il ministero indispensabile per la salvezza del mondo. E per questo la sua vita diventerà un dramma, mistico e fisico, di sofferenza, di preghiera, di attività”.
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Il termine “ultramontano” (da ultra montes “al di là dei monti”, cioè delle Alpi) ebbe nel Medioevo, applicato alle cose e alle persone della Chiesa, un’accezione puramente geografica: ultramontano era, per gl’Italiani, un papa tedesco; ultramontani erano, per i Tedeschi, gl’Italiani. Ma a questo significato puramente estrinseco e relativo si aggiunse presto una connotazione sostanziale e il termine finì con assumere un significato tecnico: in quanto le sorti politico-religiose dell’Italia e del papato sono considerate inscindibili, ultramontano comincia a essere, nei paesi non italiani, colui che, non tenendo conto degl’interessi nazionali, si afferma totalitariamente e integralmente seguace del papa. Già durante le lotte fra papato e impero, i seguaci tedeschi del papa erano definiti, in Germania, come ultramontani. Ma la fortuna del termine, in questo senso, è posteriore alla Riforma, e si riconnette al prepotente affermarsi dello spirito nazionale per cui venne facendosi strada anche fra i cattolici quel sentimento di particolarismo ecclesiastico espresso dalla nota massima cuius regio eius est religio (v. chiesa: Chiesa e Stato). Il papato è sempre più considerato fuori d’Italia come una potenza straniera e gl’Italiani sono associati come agenti, alleati o parti in causa all’atteggiamento di Roma verso le chiese nazionali, nei riguardi dell’autorità dei vescovi di quella nazione e dei diritti dello stato in materia ecclesiastica. Sì che il termine “ultramontano”, sorto, in questo senso, in Francia, finisce con essere usato un po’ dovunque, fuori d’Italia, per designare persone e atteggiamenti favorevoli a questa affermata ingerenza del potere papale nella vita religiosa delle nazioni. È applicato in Francia agli avversarî delle cosiddette libertà gallicane, è adottato in Austria dai seguaci del giuseppinismo, e, in genere, dovunque da tutti i movimenti a carattere giurisdizionalista: erastionismo, regalismo, febronianesimo. Il termine ebbe particolare fortuna e nuove accezioni nel sec. XIX: in Francia, dove la rivoluzione francese lo rimette in onore per tutte le tendenze conservatrici e dove, avvenuta la restaurazione, torna spesso a identificarsi nel papa la fonte del potere legittimo, ciò che provoca, da parte degli avversarî, l’accusa di ultramontanismo a scrittori come La Mennais, De Bonald, De Maistre, Lacordaire; in Germania, dove, durante il Kulturkampf i seguaci della libertà e indipendenza della Chiesa di fronte allo Stato sono definiti come ultramontani. Anche il Concilio Vaticano diede luogo ad accuse di ultramontanismo. Il centro tedesco fu chiamato, dagli avversarî, partito ultramontano. Ultramontani furono detti i seguaci del Sillabo di Pio IX, e, più tardi, gli stessi avversarî delle correnti moderniste. È ovvio, in tutto questo, che per il cattolico non esiste alcuna distinzione fra ultramontanismo e una professione di cattolicismo integrale, mentre manca, presso gli avversarî dell’ultramontanismo, una chiara coscienza dei caratteri di ciò che essi definiscono come tale. Un tentativo di precisazione è quello, del resto non felice, compiuto da uno dei più vivaci polemisti contro l’ultramontanismo, il tedesco Fr. X. Kraus che ha definito (nelle sue Spektatorbriefe) come ultramontano colui che pone il concetto di Chiesa sopra quello di religione, che confonde il papa con la Chiesa, che crede essere il regno di Dio regno di questa terra e che il potere delle chiavi concesso a Pietro includa anche la giurisdizione temporale sopra i principi e i popoli, che ritiene le convinzioni religiose possano essere imposte coercitivamente (Treccani).
Foto di copertina: Coronazione dell’Imperatore del Sacro Romano Impero di Federico I Hohenstaufen detto Barbarossa, da Papa Adriano IV il 18 giugno 1155 in San Pietro, contro il volere del Senato romano, che, per quest’ultimo sgarbo, scatenò una serie di violenti tumulti contro le truppe tedesche e la curia. Federico e il cugino Enrico il Leone, accampato fuori le mura, rientrarono in città e, dopo un’intera giornata di lotta, ricacciarono i Romani al di là del Tevere. Dopo il bagno di sangue il papa e l’imperatore lasciarono la città e ai primi di luglio erano a Tuscolo, dove Adriano chiese a Federico di marciare contro il re di Sicilia. Federico avrebbe voluto acconsentire, ma i suoi baroni laici furono contrari e lo convinsero a tornare verso l’Italia settentrionale. Federico lasciò il papa con la promessa di tornare per sottomettere Roma e la Sicilia. Miniatura del secolo XV.

"La verità della fede in pericolo". E firma la correzione a Bergoglio

La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Il professor Strumia, firmatario della "correzione filiale" e teologo di fama internazionale, spiega il perché

La Chiesa vive un periodo di forte dibattito interno. Don Alberto Strumia è stato docente ordinario di fisica-matematica presso le università di Bologna e Bari ed è attualmente docente invitato alla facoltà teologica dell'Emilia Romagna.


Ma è anche uno dei sacerdoti che ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia, l'esortazione apostolica del Papa che tanto sta facendo discutere il mondo cattolico e non. La firma di don Strumia ha suscitato scalpore, essendogli pacificamente riconosciuta una competenza di carattere internazionale tanto in materia teologica quanto in ambito scientifico.


Professor Strumia, perché ha firmato la "correzione filiale" su Amoris Laetitia?
Perché ho ritenuto doveroso farlo, pur non avendo mai immaginato prima di ora che si sarebbe dovuti arrivare ad una decisione così estrema e dolorosa. Osare di indirizzare una correzione dottrinale al Papa lo si può e lo si deve fare solo quando è in pericolo la verità della fede e quindi la salvezza degli appartenenti al popolo di Dio. Il realismo dinanzi agli accadimenti non mi fa illudere che la correzione verrà presa seriamente in considerazione, dal momento che neppure i dubia sollevati da quattro Cardinali hanno ricevuto finora risposta, ma se siamo in tanti a sollecitare il chiarimento c'è una maggiore possibilità anche a causa della visibilità pubblica favorita dalla mediaticità dei nostri giorni solleciti un segnale di considerazione. Sono in molti, nella Chiesa, a sentirsi soffocati da un clima negativo nel quale l'abuso del potere viene non di rado a sostituire l'autorevolezza.
In chiave dottrinale, può un sacerdote contraddire il Papa?
La "dottrina della Chiesa" non è inventata dai teologi e neppure dai Papi, ma è fondata sulla Scrittura e radicata nella tradizione della Chiesa. Il Papa è al servizio, come custode e garante di questa continuità e non può spezzarla neppure velatamente, lasciando intendere, con formulazioni ambigue, che oggi si possa credere e fare il contrario di ciò che è stato insegnato finora, dal Magistero, su questioni essenziali come la dottrina dei sacramenti o la morale familiare, con la motivazione che i tempi sono cambiati e il mondo esige un adeguamento. Per questo è un dovere di carità, che ha come scopo la "salvezza delle anime", come si diceva un tempo, e la difesa della stessa dignità del soglio di Pietro e di colui che lo occupa, mettere con il massimo rispetto in risalto queste ambiguità.
Questo dibattito teologico è strumentalizzato? C'è uno scambio meramente dottrinale o sta emergendo nella dialettica una divisione già esistente nella Chiesa?
E' evidente che oggi emerge, nella Chiesa, a livello di vertice, ciò che da cinquant'anni si è innescato dalla base fino a più in alto. La liturgia è divenuta sempre meno sacra e sempre più incentrata sull'inventiva più o meno istrionica dei celebranti e sul protagonismo di animatori sempre più preoccupati di esibire se stessi che di esaltare la centralità del Sacrificio di Cristo, che forse non comprendono nemmeno più. Le omelie sono diventate melense e sentimentali, o comizi politici, e il canto sempre meno liturgico. Chi avrebbe dovuto correggere, si è messo talvolta ad imitare queste stesse tendenze.
Una delle critiche che i tradizionalisti muovono al Pontefice è relativa ad una presunta svolta modernista. E' così?
Intanto bisognerebbe smettere di vedere tutto ciò che sta accadendo nella Chiesa come una contrapposizione tra correnti: "i tradizionalisti" e i "progressisti". La Chiesa non è un partito e le questioni fondamentali della dottrina e della morale non sono riducibili ad "opinioni" di una parte o di un'altra. Qui si tratta di essere cattolici o non di esserlo, cattolici o protestanti, cattolici o gnostici, cattolici o sostenitori di "tutte le religioni sono equivalenti", tanto la "misericordia" (!), autorizza a fare quello che si vuole e non c'è bisogno di nessuna conversione, se non quella che aderisce al "pensiero unico" che crede nel "nuovo ordine mondiale". Come dicevo prima si tratta di una tendenza di matrice modernista e protestantizzante che è in atto da una cinquantina d'anni e che ora è venuta allo scoperto del tutto in questi ultimi anni. Era un fuoco sotto la cenere che ora è stato rinvigorito.
Ma esiste davvero una contrapposizione tra "conservatori" e "progressisti"? Insomma, la parola di Dio non è una sola? Da laici è difficile comprendere queste differenze di visione...
La divisione interna alla Chiesa è un dato di fatto che non si può e non si deve negare: se non ci fosse nessuna divisione, oggi anche sulle questioni fondamentali, sulla dottrina e sul modo di applicarla nella pratica pastorale, non saremmo qui a parlarne. Ma come ho detto è scorretto parlare di una contrapposizione tra "progressisti" e "conservatori". Se il problema fosse solo quello di due linee di tendenza "opinabili" saremmo di fronte ad un pluralismo di scuola che potrebbe essere anche utile alla ricerca teologica, e uno stimolo a gareggiare nell'intraprendere opere culturali e caritative. Ma oggi non è così: quando le divergenze vanno ad intaccare i fondamenti della dottrina, allora non siamo più di fronte a due correnti di pensiero, a due opinioni ammissibili, ma a due dottrine contrapposte, a due chiese separate, di fatto, anche se non giuridicamente. Come due "separati in casa".
Qual è il rapporto della linea dottrinale di questo Pontificato con Martin Lutero e la dottrina protestante?
Si direbbe che Lutero è guardato come un profeta e come un santo, che ha capito con largo anticipo ciò che la Chiesa cattolica non ha compreso finora, condannandosi ad un ritardo storico che sarebbe giunta l'ora di risanare. Eppure, la biografia di Lutero è tutt'altro che presentabile come un capitolo di "agiografia!” La Chiesa si è lentamente, ma inesorabilmente protestantizzata... E il "cavallo di Troia" per far avanzare questo processo è divenuto quello dell' "ambiguità", nelle parole e nei gesti, insieme ad una concezione di "misericordia senza pentimento nè conversione" che ricorda tanto il pecca fortiter e te crede fortius ( pecca fortemente e credi ancor più fortemente) di luterana memoria. E di fronte a tutto questo come non si poteva non muovere una "correzione filiale" che mettesse allo scoperto la gravità della situazione?

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