ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 dicembre 2017

E voi, chi dite che io sia?


E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE


Il Padre nostro è l’unica preghiera che è stata insegnata ai suoi discepoli direttamente da Gesù mettere in dubbio l’esattezza di quelle parole equivale a mettere in dubbio che noi sappiamo quali siano state le Parole di Gesù 
di Francesco Lamendola   


 

Tutti noi, nati nell’Europa cristiana, generazione dopo generazione, da secoli e secoli ripetiamo, con le parole del Padre nostro, quali ci sono state riportate dai Vangeli, la formula finale: … e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen, che viene dal greco:kai mē eisenenkēs hēmas eis peirasmon, alla rhusai hēmas apo tou ponērou, e che in latino viene reso con: et ne nos inducas in tentationem; sed libera nos a malo. Ci eravamo già occupati, meno di un mese fa, di questa traduzione, e del supposto problema che essa solleva in certe persone ipersensibili (cfr. l’articolo Non c’indurre in tentazione, pubblicato l’11/10/2017 sul sito Nuova Italia. Accademia Adriatica di Filosofia); ma ora siamo costretti a tornarvi sopra, visto che il papa in persona ha deciso di scendere in campo, oggi, mercoledì 6 dicembre 2017, con tutta la sua forza mediatica, parlando dai microfoni di una rete televisiva.

Per centinaia e centinaia di anni, da tempo immemorabile, e fin dalle origini della Chiesa,  i cristiani hanno recitato le parole e non indirci in tentazione senza batter ciglio, nel senso che non vi hanno mai visto niente di “strano”, semmai un richiamo al mistero abissale del male. Ma poi, con la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, e con l’avvento della teologia liberale, dapprima i protestanti, indi anche i cattolici, hanno cominciato a dubitare, a storcere il naso, a scandalizzarsi: Ma come! Possibile che Dio, proprio Dio, ci induca al male, e poi se ne stia lì a vedere se cadiamo in peccato oppure no? Via, questo non va bene: deve esserci per forza un errore. Un errore di traduzione, si capisce; e che altro? Non erano ancora arrivati a mettere radicalmente in dubbio le precise parole di Gesù Cristo, come sta ora facendo una nuova “scuola” di neopreti e neoteologi, di cui un esempio significativo è il nuovo generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal, il quale, un una intervista alla stampa laica (in una qualsiasi intervista!) ha detto, fra l’altro polemizzando con il cardinale Müller, che era ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede - poi liquidato da papa Francesco alla prima occasione -, sul tema della indissolubilità del matrimonio, che nessuno può sapere cosa disse realmente Gesù Cristo, perché abbiamo, sì, i Vangeli che ne riportano le parole, ma non un registratore con la sua voce autentica. Il Padre nostro, infatti, è l’unica preghiera che è stata insegnata ai suoi discepoli direttamente da Gesù; mettere in dubbio l’esattezza di quelle parole equivale a mettere in dubbio che noi sappiamo quali siano state le Parole di Gesù. Insomma, il malumore c’era, e covava da tempo; da tempo si borbottava e si bofonchiava che quelle parole, no, non andavano proprio bene; e che bisognava pensare a una nuova traduzione, più consona allo spirito dei tempi, ma, soprattutto – così si diceva, per salvare la faccia – più “fedele” al vero spirito del Vangelo. Come dire: quali siano state le precise parole di Gesù Cristo, in realtà non possiamo dirlo con sicurezza; però di una cosa siamo assolutamente certi: che certe parole non può averle dette: pertanto, se quelle parole, nel Vangelo, ci sono, si tratta evidentemente in una cattiva traduzione. Come logica, non fa una grinza: in cambio di una certezza, che si butta nel cestino dopo duemila anni di storia e di sacra Tradizione (con la maiuscola), si prende un pregiudizio ideologico, più o meno campato per aria (Dio non può aver detto questa o quest’altra cosa…) e sulla base di esso si fabbrica una nuova certezza, che, ci viene assicurato, è assai più solida e, cosa che non guasta mai, assai più gradevole e “digeribile” dell’antica…
In effetti, da parecchio tempo la Conferenza Episcopale Francese ha modificato la traduzione, passando dalla vecchia: ne nous soumets pas à la tentation, “non sottometterci alla tentazione”,  alla nuova e definitiva: ne nous laisse pas entrer en tentation, “non lasciarci entrare in tentazione”. E allora, in Italia, prima la stampa cattolica progressista ha sollevato apertamente il problema; poi si sono mossi i vertici della neochiesa per fare giustizia della traduzione “sbagliata”. Dalle colonne di Famiglia Cristiana, fin dal numero del 26 gennaio 2013 (dunque, al crepuscolo del pontificato di Benedetto XVI e prima della elezione di papa Francesco) il teologo Silvano Sirboni si chiedeva, amleticamente, ma non senza una palese punta d’impazienza: A quando il nuovo Padre nostro?; e quasi cinque anni dopo, sul numero del 13 settembre 2017 dello stesso settimanale, un altro teologo, Giuseppe Pulcinelli, sempre rispondendo a un quesito dei lettori,  proclama: “Non ci indurre in tentazione”, il vero significato. E così conclude la sua brevissima argomentazione: Il senso dell’invocazione è dunque: “Non ci lasciare entrare e soccombere nella tentazione”. Speriamo che presto venga adottata  anche nella liturgia la versione ufficiale della CEI (2008), che ha corretto con “Non abbandonarci alla tentazione”. Anche se il Messale Romano, a differenza della versione CEI della Bibbia, non ha ancora recepito la grande novità. In compenso, da ultimo è sceso in campo il  Numero Uno in persona, il papa Francesco, il quale, nel corso di una conversazione nel corso del programma televisivo Padre Nostro, condotto da don Marco Pozza su TV2000, la sera del 6 dicembre 2017 ha rotto gli indugi e spiegato che, nella preghiera del Padre Nostro, Dio che ci induce in tentazione “non è una buona traduzione”. Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice: “non mi lasci cadere nella tentazione”. Sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Adesso sì che possiamo star tranquilli: la spinosa faccenda è stata presa in carico, con tutti i crismi, dal neoclero della neochiesa, più che mai desiderosa di rimuovere dai delicati piedini dei credenti ogni sia pur minimo ostacolo, ogni spina, ogni sassolino, perché la fede cattolica, si sa, fragile e malaticcia com’è, deve diventare una faccenda semplice e pulita, che scorra via liscia come bere un bicchier d’acqua, e non sia mai che inutili e fastidiose complicazioni vengano a render difficile la vita sia ai fedeli che ai loro pastori. Tutto chiaro, no? In fondo, parrebbe una cosa tanto ovvia, tanto scontata: non è forse vero che la nuova traduzione del Padre nostro suona meglio? Non è vero che, recitato così, i conti ci tornano, mentre prima, diciamo la verità, non ci tornavano mai del tutto, pur facendoli e rifacendoli un sacco di volte? Eppure…
Non intendiamo addentrarci in una discussione filologica intorno al verbo greco eisenenkes, che si traduce con "immettere", "introdurre"; lasciamo ai linguisti e ai biblisti di professione di decidere quale sia la traduzione migliore, in quel contesto. Quel che ci preme è un'altra cosa: riflettere sul sottinteso teologico che sta dietro le due diverse traduzioni: e non c'indurre in tentazione, oppure: e non lasciarci entrare nella tentazione. Il sottinteso è questo: nella prima traduzione - quella sin qui seguita dalla Chiesa - nella relazione fra l'uomo e Dio, è Dio che sta al centro e al di sopra; nella seconda, è l'uomo, ed è l'uomo che dispone del proprio destino. Chi prega con le parole:  e non c'indurre in tentazione, riconosce non l'arbitrarietà o, peggio, la malevolenza di Dio nei confronti dell'uomo, ma la sua onnipotenza, alla quale nulla sfugge di tutto ciò che esiste; chi recita, invece, non lasciarci entrare nella tentazione, pretende di sapere, lui, come debba sentire e pensare Dio, e gli impone di rispettare il modo di sentire e di pensare tipicamente umano. In altre parole, vuole abolire il mistero. Solo che, nella relazione fra l'uomo e Dio, non tutto è chiaro: vi sono cose che l'uomo non capisce, o che arriva a capire solo in un secondo momento, perché, in quell'ambito, il mistero va scritto con la maiuscola, è il Mistero del divino, il Mistero dell'invisibile.  Gesù stesso, al termine dell'Ultima Cena, a un certo punto dice agli Apostoli: Molte cose ho ancora da dirvi ma per ora non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di Verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà (Gv. 16, 12-15). Ora, se c’erano molte cose che gli Apostoli, che pure avevano vissuto con Gesù per molto tempo, non erano ancora in grado di capire, a maggior ragione ciò è vero per il cristiano dei tempi successivi, che non ha mai conosciuto, di persona, il divino Maestro, se non nel mistero (un altro Mistero!) del Sacrifico eucaristico.
Al tempo stesso, è proprio questo brano del Vangelo di Giovanni a fornirci la chiave per superare l’apparente vicolo cieco: quel che noi non possiamo ancora comprendere, potremo comprenderlo a suo tempo, con l’aiuto dello Spirito Santo. L’umiltà, ancora e sempre; l’umiltà di riconoscersi impotenti e inadeguati, cioè servi inutili (cfr. Lc. 17, 10); l’umiltà di chiedere a Dio, di bussare alla sua porta, di invocare il suo aiuto, senza il quale non è possibile fare nulla (cfr. Gv. 15, 5). E come si sono regolati, invece, i neoteologi e i neopreti, di fronte alla difficoltà di comprendere quel passo del Padre nostro, “e non c’indurre in tentazione”, che sembra esser di scandalo alla ragione umana? Si sono gettati in ginocchio e hanno forse domandato, gemendo e piangendo, il soccorso di Dio? Hanno pregato perché lo Spirito Santo, che è lo Spirito di Verità che procede del Padre e dal Figlio, illuminasse le loro menti e fugasse i loro dubbi? Niente affatto: gonfi di umana superbia, di presunzione intellettuale, hanno squittito: Questo passo ci risulta inaccettabile: deve esserci sicuramente un errore di traduzione! Via, prendiamolo per mano e traduciamolo di nuovo secondo i nostri intendimenti, secondo la nostra idea di quel che Dio deve essere per noi: vediamo di levare a quelle parole il loro molesto pungiglione, di renderle bene accette alla nostra mentalità. Una mentalità tutta umana, che vorrebbe capire ogni cosa e subito, così, per merito proprio e non per una divina illuminazione! E non è passato loro per la mente che proprio quel tipo di atteggiamento è ciò che ha spinto Gesù Cristo, una volta, ad apostrofare san Pietro, il capo degli Apostoli, con queste parole durissime: Va’ indietro, satana; tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! (Mt. 16, 23). Troppo facile; troppo comodo. Non è così che vanno le cose, quando si prende in mano il Vangelo e si legge quel che vi è scritto. E il cammello che non vuol passare per la cruna dell’ago (cfr. Mt. 19, 24) ci è di scandalo, non giova ricorrere alla scorciatoia, e dire che quel “cammello”, in realtà, era “una gomena”: non è a colpi di traduzione che si può togliere al Vangelo il suo carattere “scandaloso”; e se quello scandalo ci dà noia, forse dovremmo rivolgerci a qualche “verità” più accettabile alla nostra ragione, forse dovremmo praticare qualche setta o qualche esercizio di Yoga o di Meditazione Trascendentale, e lasciar perdere Gesù. Gesù era di scandalo duemila anni fa e continua ad esserlo ancor oggi: sarà sempre motivo di scandalo, porrà sempre l’imbarazzante domanda: E voi, chi dite che io sia? (Mc., 8, 29). 
E non c’indurre in tentazione…

di Francesco Lamendola

continua su:

http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/3560-non-c-indurre-in-tentazione

Vedi anche:
Preghiere della neochiesa. Il Padre nostro è l’unica preghiera che sia stata insegnata direttamente da Gesù, ma con l'Ave Maria dal 2008 sono cambiate. Dio non permette che alcuno sia tentato oltre la sua capacità di resistere 
Vogliono cambiare anche il Padre nostro perché vorrebbero cambiare il Vangelo. E' davvero un mistero abissale: come può Dio amarci cattivi come siamo? una sola cosa ci chiede e dobbiamo farla da soli di aver fede in Lui 


http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/3560-non-c-indurre-in-tentazione

Bergoglio cambierà il Padre Nostro. Ovviamente con la traduzione sbagliata” di Fra Cristoforo
Il 14 Novembre scorso ho scritto un articolo riportando le gravi lacune della nuova traduzione CEI del Padre Nostro. In modo particolare all’ultimo versetto “non ci indurre in tentazione”, che erroneamente i “nuovi biblisti” hanno tradotto con “non abbandonarci alla tentazione”.
In questo articolo non entro in merito al discorso della nuova traduzione che ho già ampiamente dimostrato errata (https://anonimidellacroceblog.wordpress.com/2017/11/14/il-caso-della-scandalosa-nuova-traduzione-del-padre-nostro-nella-bibbia-cei-completamente-errata-vi-spiego-perche-appunti-per-chi-fa-le-ore-piccole-di-fra-cristoforo/), ma mi pongo il problema sulle ultime dichiarazioni di Bergoglio a questo proposito, confermando ancora una volta i fedeli all’errore, e non alla Verità (http://www.ilgiornale.it/news/cronache/papa-vuole-cambiare-padre-nostro-traduzione-sbagliata-1471060.html). In sintesi, Omissis, in una catechesi sul Padre Nostro tenuta su TV2000, afferma che sarà necessario cambiare la preghiera (con la traduzione errata) anche nella nostra Santa Messa, come hanno già fatto in Francia (articolo mio https://anonimidellacroceblog.wordpress.com/2017/11/30/la-deriva-della-liturgia-e-della-fede-cattolica-manipolando-la-parola-di-dio-di-fra-cristoforo/), perché a suo dire : “Dio non induce in tentazione nessuno…anche i francesi hanno cambiato il testo…un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito”.
Il discorso qui è molto semplice. Sappiamo benissimo tutti che l’autore di ogni tentazione è il demonio. Non avevamo bisogno della puntualizzazione di Bergoglio. Ma come abbiamo biblicamente dimostrato Dio “permette” e quindi vuole la tentazione nella nostra vita, perché da questa prova ne trae enorme beneficio la nostra anima, e il nostro cammino di conversione verso la Vita Eterna.
Questa neochiesa non adora Gesù Cristo, ma si è ormai fatta un idolo del dio “politicamente corretto”, dando ampio spazio al relativismo in materia di fede e di morale. E’ la cosiddetta dittatura del relativismo (Benedetto XVI docet).
Partendo dunque dal fatto che la traduzione giusta, come precedentemente dimostrato è quella di sempre “non ci indurre in tentazione”, ormai è chiaro che c’è aria di cambiamenti liturgici che non possiamo assolutamente sottovalutare. Se non hanno timore di trasformare il Padre Nostro in una preghiera “politicamente corretta”, non avranno nessuna reticenza neppure a cambiare il resto di tutta la Liturgia Eucaristica; preghiera Consacratoria compresa.
Credo che questo sia un presagio molto brutto. Tanti giornalisti Cattolici non hanno ancora sfiorato questo tema. Spero che lo facciano presto, perché loro hanno la possibilità di essere più in vista e di evidenziare questo campanello d’allarme che è tutt’altro che innocuo.
Avete visto cosa è successo per la comunione ai divorziati? Una semplice letterina privata di Bergoglio ai Vescovi Argentini dell’anno scorso…oggi è diventata “MAGISTERO” ufficiale con l’inserimento negli Acta Apostolicae Sedis (http://www.lastampa.it/2017/12/06/vaticaninsider/ita/vaticano/amoris-laetitia-il-papa-rende-ufficiale-la-lettera-ai-vescovi-argentini-7Uzx2Ijt6sIYUdZNAQl0wI/pagina.html). Sarà la stessa cosa per la “messa ecumenica”, per i preti sposati, e per la dissoluzione totale della fede e morale Cattolica.
Oltretutto credo che ormai Bergoglio, con la pubblicazione ufficiale negli Acta della sua concessione all’Eucaristia ai divorziati risposati, abbia definitivamente risposto ai “dubia”, e si sia pubblicamente dichiarato “eretico”. Su questo punto chiedo lumi a Mons. Baronio (o a qualche lettore), che in Diritto Canonico è più ferrato di me.
Resta il fatto, che i Cardinali vari (o chi per loro abbia comunque autorità) , rimangono semplici “spettatori” davanti alla denigrazione di Nostra Santa Madre Chiesa. E ciò…è ancor più grave.
Fra Cristoforo

Ecco l'interpretazione di Ratzinger del "Padre Nostro"

Ratzinger ha interpretato il testo della preghiera nel primo libro su Gesù. Ieri il Papa ha dichiarato che la traduzione corrente è sbagliata

Papa Francesco vuole cambiare la traduzione del "Padre Nostro".
Secondo il pontefice - infatti - il testo attuale "...non è una buona traduzione", in quanto contiene l'espressione "non ci indurre in tentazione". Bergoglio si è detto sicuro del fatto che il responsabile della caduta dell'uomo non possa essere Dio: "Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito", ha specificato Francesco, ribadendo che "quello che ti induce in tentazione è Satana, quello è l’ufficio di Satana". Dio - essendo infinitamente buono - non può per il Papa agire come tentatore. La questione è datata e alcune versioni della preghiera di base tutti i cristiani sono state effettivamente modificate. Benedetto XVI, nel suo "Gesù di Nazareth", aveva dato questa interpretazione esegetica della frase in questione: "Con essa diciamo a Dio: "So che ho bisogno di prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Maligno, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non tracciare ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me". Anche per Ratzinger, quindi, non è Dio a tentare, ma Satana attraverso la "mano libera" che il creatore gli concede.
Continua il Papa Emerito: "In questo senso san Cipriano ha interpretato la domanda. Dice: quando chiediamo "e non c’indurre in tentazione", esprimiamo la consapevolezza "che il nemico non può fare niente contro di noi se prima non gli è stato permesso da Dio; così che ogni nostro timore e devozione e culto si rivolgano a Dio, dal momento che nelle nostre tentazioni niente è lecito al Maligno, se non gliene vien data di là la facoltà". La preghiera, dunque, è rivolta a Dio poiché nulla può essere fatto contro l'uomo se non per il tramite di un "permesso" di Dio stesso. In questa interpretazione, insomma, non sembrerebee esserci pariteticità o medesima facoltà di agire per Dio e per Satana. Specifica Ratzinger: "Nella preghiera che esprimiamo con la sesta domanda del Padre nostro deve così essere racchiusa, da un lato, la disponibilità a prendere su di noi il peso della prova commisurata alle nostre forze; dall’altro, appunto, la domanda che Dio non ci addossi più di quanto siamo in grado di sopportare; che non ci lasci cadere dalle sue mani". E ancora: "Pronunciamo questa richiesta nella fiduciosa certezza per la quale san Paolo ci ha donato le parole: "Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla". Il dibattito sulla traduzione di questa preghiera - del resto - nasce da un errore di traduzione che si sarebbe verificato nei confronti del verbo greco eisphérô, che letteralmente significherebbe "far entrare". Spagna e Francia hanno già modificato la traduzione. La parola - adesso - passa alla Conferenza episcopale italiana, cui è affidata la traduzione liturgica.

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