La vera Chiesa esorta al pentimento la falsa no. Un criterio infallibile per riconoscere gli autentici ministri di Cristo dai lupi travestiti da agnelli. La nuova religione del "Naturalismo radicale" dove la natura diventa dio
di Francesco Lamendola
In questi tempi di somma e rovinosa a confusione, quando i fedeli non sanno più chi siano i loro veri pastori, e se possono fidarsi di loro, c’è un criterio quasi infallibile per riconoscere gli autentici ministri di Gesù Cristo dai lupi travestiti da agnelli, e per distinguere la sua vera Chiesa dalla sinagoga di satana, meretrice e seminatrici di scandali, di bestemmie e di eresie:osservare se si predica il pentimento dei peccati, oppure no. La vera Chiesa sa bene che il pentimento è l’atto fondamentale mediante il quale l’uomo si pone nella giusta relazione con Dio: non a testa alta, non con orgoglio, non confidando nelle proprie forze ma con umiltà, con timore e con la piena coscienza della propria fragilità e della propria predisposizione al peccato, cioè alla concupiscenza. Il pentimento è il ponte che ristabilisce il rapporto fa l’uomo e Dio, turbato e interrotto dal peccato; senza pentimento, nessuna preghiera può salire fino a Dio, e, del resto, è ben raro che l’uomo rivolga a dio una preghiera, perché è dal pentimento che scaturisce la richiesta dell’uomo di essere restituito alla condizione originaria di figlio di Dio. La falsa chiesa, invece, non parla mai del pentimento, anche perché parla pochissimo del peccato, e, se pure ne parla, lo fa solo per assicurare – ingannevolmente – che non c’è peccato che non venga rimesso da Dio, e che l’amore di Gesù è così grande da abbracciare tutti i peccatori; dimenticandosi di specificare che ciò è vero solo se il peccatore si pente, non se rimane chiuso e ostinato nel suo rifiuto verso Dio.
Nella sua Lettera ai Corinti, scritta in lingua greca verso il 95 per rispondere a una precisa richiesta di quella comunità – una seconda lettera agli stessi destinatari, a lui attribuita, è invece sicuramente apocrifa - il papa Clemente Romano, a un certo punto, afferma (in: I Padri apostolici, traduzione di Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova, 1976, e Milano, Edizioni San Paolo, 2005, Lettera ai Corinti, VII-VIII, pp. 183-184):
VII. Carissimi, scriviamo tutte queste cose non solo per avvertire voi, ma anche per ricordarle a noi. Siamo sulla stessa arena e uno stesso combattimento ci attende. Lasciamo i vani e inutili pensieri e seguiamo la norma gloriosa e veneranda della nostra tradizione. Vediamo ciò che è bello, ciò che è piacevole e gradito davanti a chi ci ha creato. Guardiamo il sangue di Gesù Cristo e consideriamo quanto sia prezioso al Padre suo. Effuso per la nostra salvezza portò al mondo la grazia del pentimento. Scorriamo tutte le generazioni e notiamo che di generazione in generazione il maestro “diede luogo al pentimento” per tutti quelli che volevamo a lui rivolgersi. Noè predicò il pentimento e tutti quelli che l’ascoltarono furono salvi. Giona predisse lo sterminio ai Niniviti, ma essi, pentiti dei loro peccati, si resero propizio Dio ed ebbero la salvezza, pregando, benché fossero estranei a Dio.
VIII. I ministri della grazia di Dio parlarono del pentimento per mezzo dello Spirito Santo. Anche il Signore di tutte le cose parlò del pentimento col giuramento “Io vivo – dice il Signore – e non voglio la morte del peccatore, bensì la sua conversione”. Aggiunse a che un buon proposito. “Pentiti, o casa d’Israele, della tua iniquità. Riferisci ai figli del mio popolo: anche se i vostri peccati arriveranno dalla terra al cielo e saranno più rossi dello scarlatto e più neri del sacco, e vi convertite a me con tutto il cuore e direte: “Padre”, io vi ascolterò come un popolo santo”. In un altro passo dice così: “Lavatevi e purificatevi, toglietevi le cattiverie dalle vostre anime innanzi ai miei occhi. Cessate dalle vostre iniquità, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, liberate l’oppresso, rendete il suo diritto all’orfano, e rendete giustizia alla vedova, e poi discuteremo, dice il Signore. E se i vostri peccati fossero come la porpora, io li renderò bianchi come la neve, se fossero come lo scarlatto li renderò bianchi come la lana. Se volete e mi ascoltate, vi nutrirete dei beni della terra. Se non volete e non mi ascoltate, una spada vi divorerà. Questo infatti la bocca del Signore disse”. Egli nella sua onnipotente volontà ha deciso che tutti i suoi diletti partecipino al pentimento.
Affermare che Dio desidera il pentimento degli uomini equivale a sostenere che gli uomini sono, per loro stessa natura, peccatori; altrimenti, non sarebbe necessario che si pentano, se non quando cadono in peccato. Il peccato, perciò, è parte integrante della loro struttura: non che tutti vivano costantemente nel peccato, ma tutti hanno una predisposizione al male e quindi al peccato, come conseguenza del Peccato originale. Questo dice la fede cattolica e chi lo nega, o chi, in pratica, rifiuta l’idea di una umanità peccatrice, si pone con ciò stesso al di fuori della fede cattolica. Non è questione di ottimismo o pessimismo: è questione di fede. Chi non crede questo, non è cattolico, ma umanista; e la neochiesa, difatti, sta cercando di traghettare il cattolicesimo verso l’umanesimo, cioè verso una neoreligione centrata sull’uomo, non più visto come peccatore, invece che su Dio. Ed è qui che si comprende il vero significato e l’intenzione riposta della “svolta antropologica” di Karl Rahner in teologia: “liberare” l’uomo dalla realtà del peccato e quindi, necessariamente, rendere superflua la Redenzione. L’uomo non ha bisogno di essere redento, perché, tutto sommato, non è quel peccatore che la Bibbia insegna. Ma se la Redenzione non è necessaria, non lo è neppure l’Incarnazione: perché mai si sarebbe incarnato il Verbo, visto che l’uomo è capace di salvarsi con le sue forze (vecchia eresia: quella di Pelagio)? E già il concetto di “salvarsi” è troppo impegnativo, troppo drammatico: infine, perché parlare di salvezza, visto che tutti gli uomini saranno accolti nell’abbraccio di Dio, come ha detto più volte il (falso) papa Bergoglio? Ma, a quel punto, è l’idea stessa di Dio che comincia a svanire, a liquefarsi: se non c’è il Giudizio, se non c’è l’inferno – logico, visto che non c’è il peccato – che bisogno avrebbe l’umanità di guardare al Cielo e di riconoscere un dio sopra di sé? Evidentemente, nessuno.Via anche Dio, allora: questo sarà l’obiettivo finale. Riassumendo: per prima cosa, si elimina la condizione dell’uomo peccatore, per poi togliere il peccato e, di conseguenza, la necessità del pentimento; quindi si toglie Gesù Cristo che redime i peccati dell’umanità; poi si toglie Gesù Cristo che s’incarna; e da ultimo si toglie Dio stesso, dopo aver tolto il Giudizio e l’esistenza dell’inferno. Resta solo il paradiso. Ma come può esservi paradiso, se non c’è Dio? Senza dubbio, gli uomini verranno persuasi ad “accontentarsi” della vita terrena, rinunciando alla fantasia della vita eterna; e saranno dolcemente invitati a goderne meglio che possono, perché c’è quella soltanto.
Una volta che si sia trasformato il cristianesimo in umanesimo, si giunge necessariamente a una forma di naturalismo radicale. Tutto è natura, anche l’uomo, intelligente mammifero che, evolvendosi, è riuscito a dominare, a sua volta, la natura (tranne il piccolo dettaglio della morte, cosa che lo rende frustrato e rabbioso); e la natura non conosce peccati, al massimo errori. In una prospettiva puramente naturalistica, non c’è posto per il senso del peccato: ecco dove conduce, un passo alla volta, la “svolta antropologica”: ad una umanità che non prova alcun senso del peccato, dunque che non ha alcuna necessità del pentimento. Il leone deve forse pentirsi di divorare la gazzella, o il cuculo di gettare fuori dal nido i suoi legittimi abitanti? Essi agiscono secondo natura; e anche l’uomo fa lo stesso. Le sue passioni, i suoi istinti, vengono dalla natura: colpevolizzarsi a causa di essi, sarebbe come puntare l’indice contro l’ordine della natura. Pertanto, non esiste nulla che sia intrinsecamente disordinato, al contrario di quel che dice la Chiesa: tutto ciò che viene dalla natura è legittimo, semmai si tratta di far sì che non produca effetti negativi per il soggetto. Non ci sono atti intrinsecamente peccaminosi, ma solo atti che possono condurre a conseguenze spiacevoli; ed è da queste che bisogna guardarsi. E qui interviene la psicanalisi. Lo psicanalista non dice, e non dirà mai, che una certa tendenza o un certo impulso sono disordinati e cattivi; egli si accontenta di “accompagnare” il paziente verso la consapevolezza di sé. Non sta a lui giudicare il resto: se un uomo vuol giacere con sua figlia, è una questione che riguarda il codice penale, non l’etica e tanto meno Dio. Ed ecco il vero significato della dichiarazione di Bergoglio, di essersi avvalso dell’opera di una psicanalista, quando si trovava in difficoltà: il messaggio è chiaro: non andate dal confessore, il problema non è mettersi la coscienza a posto con Dio; andate dallo psicanalista, per capire come gestire i vostri impulsi e i vostri istinti, dei quali voi soli siete giudici e nessun altro.
Tutto fila, tutto torna: in una prospettiva naturalistica, non c’è bisogno del sacerdote, di un alter Christus, per purificare la coscienza dal peccato; quello che serve è uno psicanalista per chiarire le ragioni profonde delle proprie dinamiche mentali, e poi decidere in perfetta autonomia come regolarsi. Non c’è alcun bisogno di un dio, tanto meno di un dio che si fa uomo per la nostra redenzione; non c’è niente e nessuno da redimere, ma solo degli impulsi da chiarire; tanto meno c’è bisogno degli Angeli, dei Santi e della Madonna. La tensione verso la santità, in questa prospettiva, acquista connotazioni strane, inquietanti: è una patologia, un disturbo della mente, un impulso masochistico mirante alla propria colpevolizzazione. E infatti, quando mai la neochiesa ci parla della nostra santificazione, quando mai ci sprona e ci esorta alla santità? ..
La vera Chiesa esorta al pentimento, la falsa no
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