ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 18 gennaio 2018

I felloni neopreti e neocattolici

FEDELTA' DEL CONIGLIO MANNARO



Il senso della fedeltà, si può insegnare, specialmente con l’esempio, ma non mette salde radici se non in quanti "hanno una predisposizione verso di esso". L'oscura strategia del neoclero e neocattolici per modificare la fede 
di Francesco Lamendola  

  

Apparentemente, ed è così che viene presentata, l’esortazione apostolica Amoris laetitia si prefigge lo scopo di spalmare un balsamo sulla ferita che si è aperta in tante famiglie e in tante anime di credenti che le vicende della vita hanno condotto in situazioni irregolari dal punto di vista della morale cattolica, ma che, in fondo, non vorrebbero allontanarsi o separarsi dalla Chiesa, chiedono solo un po’ di comprensione, un po’ di attenzione, un po’ di solidarietà umana, un po’ di simpatia e di calore. Che cosa ha fatto di male il mio papà, che non può ricevere la Comunione?, chiede, con tono straziante, una bambina, figlia di una coppia divorziata, al sacerdote imbarazzato, che non sa cosa risponderle: è una delle immagini vincenti di quel “partito” che, all’interno della Chiesa, da tempo premeva perché si aprisse uno spiraglio, un dialogo nei confronti delle migliaia e migliaia di persone che si trovano nelle condizioni del padre di quella bambina: cattolici separati o divorziati, passati a un nuovo matrimonio o ad una convivenza, i quali non possono accostarsi alla santa Comunione per la durezza eccessiva e per la mancanza di autentica carità cristiana da parte di una Chiesa ancora troppo ripiegata su se stessa, sulle proprie verità astratte, e lontana dalla realtà concreta dei problemi, assai complessi, che la gente si trova a vivere in una società come la nostra, che è già per se stessa quanto mai complessa.

Apparentemente. In realtà, l’obiettivo – certo non conosciuto da tutti, anzi probabilmente ignorato dalla maggior parte di questi teologi, sacerdoti e laici “misericordiosi”, che non vogliono “giudicare” i loro fratelli e le loro sorelle feriti dalla vita, ma che desiderano solo di veder medicate le loro ferite e riavvicinate a Cristo le loro anime – obiettivo nobilissimo, senza dubbio – è molto, ma molto più ampio e, soprattutto, molto diverso da quello dichiarato. Di fatto, si tratta della tipica strategia dispiegata dai radicali per condurre al traguardo le loro famigerate “battaglie” per i diritti civili: una gravidanza dovuta a uno stupro, per far passare la legge sull’aborto; una persona in coma irreversibile da molti anni, per far passare la legge sull’eutanasia, ops, volevamo dire, sul testamento biologico; e così via. Si cercano i casi pietosi, quelli che fanno forte presa sull’emotività – gli italiani sono un popolo emotivo, c’è poco da fare: basta buttarla sul sentimentale, e il gioco è fatto – per scardinare, attraverso quella breccia, tutta l’impalcatura retrostante, cosa cui nessuno, al principio, sembrava aver pensato. Non ci era forse stato detto che approvare la legge sulla interruzione volontaria della gravidanza avrebbe condotto a una riduzione del fenomeno e, nel giro di qualche anno, alla sua scomparsa pressoché totale? E invece, le cose sono andate in tutt’altro modo: quella legge è servita, in molti casi, come una forma di controllo delle nascite; sta di fatto che gli aborti “legali”, da allora, sono stato circa sei milioni. Non è così che ce l’avevano raccontata, all’inizio; ma è proprio così che è andata, e che continua ad andare, nel silenzio generale. E nessuno che si alzi in piedi, nel mondo politico, e che dica: Cari amici, così non va. La legge 194 doveva azzerare il fenomeno, è successo il contrario. E allora, come la mettiamo?Non vi pare che sei milioni di aborti dal 1978 ad oggi siano un po’ troppi? E poi ci venite a dire che l’Italia ha assoluto bisogno di far venire gli stranieri, perché la natalità è troppo bassa? Ebbene: la stessa strategia è quella che viene perseguita dal neoclero a proposito del “chiudere un occhio” sulla indissolubilità del matrimonio. Si cercano i casi pietosi, quello che è stato abbandonato dalla moglie senza sua colpa, quella che è stata lasciata dal marito che era un disgraziato; si mettono avanti i figli piccoli, poverini, così tristi e inconsolabili perché il papà e la mamma non possono accostarsi all’altare per comunicarsi: ma l’obiettivo finale è la distruzione del matrimonio cristiano e, quindi, della famiglia. L’altra branca della tenaglia è il riconoscimento “pastorale” delle unioni di fatto, comprese quelle gay. Così, pian pianino, un passo alla volta, si marcia verso l’obiettivo finale, per ora non compreso che da pochissimi: far “saltare” definitivamente il Matrimonio come sacramento, e scardinare la famiglia che su di esso si costruisce e si regge.
Ora, la stessa strategia viene adoperata dal neoclero e dai neocattolici per modificare, rovesciare, distruggere, tutti gli ambiti della fede e della vita cristiana, da quelli dottrinali e teologici a quelli liturgici e pastorali: sempre secondo il medesimo, collaudato schema. Si apre una breccia, facendo leva sull’emotività più che sulla razionalità, sui visceri delle persone più che sulla coerenza e sul senso del dovere; poi, una volta aperta, la si allarga, un poco alla volta, sempre di più, incessantemente, giorno e notte, senza posa, la si allarga infaticabilmente, fino a che non s’intaccano i pilastri, il soffitto crolla e l’intero edificio viene giù, in una gran nuvola di polvere: edificio venerando, che ha duemila anni di storia e cui ha posto mano e cielo e terra. Si vuole il riconoscimento delle unioni di fatto? Si dice che ormai questa è la forma normale di unione ”familiare” e che la Chiesa non può restare indietro, non può lavarsi le mani, deve prendere atto dei cambiamenti sociali e culturali intervenuti, e, in ogni caso, non può disinteressarsi di milioni di uomini e donne, abbandonandoli a se stessi. Si vuol arrivare al riconoscimento dei cosiddetti matrimoni omosessuali? Si fa leva sul famoso: Chi sono io per giudicare? di Bergoglio, si evocano le difficoltà che una persona omosessuale incontra nella vita, le incomprensioni, la diffidenza, la discriminazione, e si conclude che almeno la Chiesa deve essere pietosa, deve essere accogliente, tanto più che essa deve fare ammenda della sua passata omofobia. E non è che manchino i segnali che fanno pensare a un imminente semaforo verde: chi non ricorda la squallida visita in Vaticano del capo del governo lussemburghese, insieme a suo “marito”, regolarmente presentato alle autorità della Curia e ricevuto con tutti gli onori, come si fosse trattato di una situazione normale, normalissima? Per l’eutanasia, seguiranno lo stesso modus operandi; anzi, ci sono già alcuni segnali, alcune “aperture” da parte dei soliti teologi e dei soliti “pastori” particolarmente sensibili ai casi umani, al dolore altrui, alla sofferenza senza speranza di guarigione (ma quando mai la sofferenza, per un cristiano, è senza speranza?). E così per l’aborto: intanto monsignor Paglia ha piazzato un abortista nella Pontificia Commissione per la Vita; poi, una celebre abortista olandese ha ricevuto un’alta onorificenza vaticana (oh, non per l’aborto, naturalmente; ma intanto l’ha ricevuta); il resto verrà dopo. Fra non molto, probabilmente.

Cappella Sistina: la "Consegna delle chiavi" del Perugino.
Gesù Cristo consegna a San Pietro, primo pontefice, le chiavi della Chiesa Cattolica

Abbiamo detto che le persone a conoscenza dell’intero disegno, fino ai suoi obiettivi ultimi, sono certamente pochissime; affiliate a qualche loggia massonica o addirittura a qualche circolo satanista, sono casi per i quali non c’è più nulla da fare, nessuna possibilità di ravvedimento, a meno che Dio non operi un intervento straordinario su di loro. Per tutti gli altri membri del neoclero, in grado maggiore o minore, regna la più caotica inconsapevolezza: ciascuno ha le sue motivazioni, sostanzialmente riconducibili alle idee del progressismo e del modernismo: sono anime “bene intenzionate”, che vorrebbero lenire il male e “accompagnare” le persone in difficoltà, perché questo pare esser diventato lo scopo della Chiesa, oggi: accompagnare le persone che soffrono, ma non verso la Verità, bensì accompagnarle comunque, là dove esse vogliono andare: e se vogliono andare verso il peccato, e rimanere nel peccato, e sguazzare nel peccato, ebbene, sia fatta la loro volontà, non la volontà del Padre celeste. Quando mai si sentono Bergoglio, Paglia, Galantino & C. pronunciare queste semplicissime parole, ovvie per un cristiano: Sia fatta la volontà del Signore, e non la nostra? Quando mai, in particolare, li si sente dire, come aveva il coraggio di dire Giovanni il Battista al cospetto del tetrarca Erode Antipa: Non ti è lecito fare questo? Resta però da spiegare attraverso quali dinamiche tutti costoro si lascino trascinare verso modalità “pastorali” le quali, di fatto, non sono più cattoliche, e neppur vagamente cristiane, bensì edoniste, naturaliste, relativiste e materialiste, in quanto danno per scontato che Dio non c’è, o non agisce, non interviene, e gli uomini devono sbrigarsela da soli. Come insegna la cosiddetta teologia negativa, a partire da Dietrich Bonhoeffer: etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse; che si tratti della giustizia sociale o della decisione riguardo al diritto di abortire o di porre fine alla propria vita, pare proprio che l’uomo sia abbandonato a se stesso e che debba fare tutto da solo. A nostro parere, la molla fondamentale che spiega la facilità con cui il neoclero e i neocattolici si sono lasciati trascinare sui sentieri dell’eresia e dell’apostasia, adottando sostanzialmente il punto di vista del mondo e lasciandosi dietro le spalle la vera dottrina e la vera morale cattolica, è abbastanza semplice e si può esprimere in una breve formulahanno perso, o forse non hanno mai avuto - intendiamo dire, non hanno mai avuto con radici profonde – il senso della fedeltà.

I lupi del "Coniglio mannaro" Bergoglio stanno stravolgendo la Chiesa di Cristo

Il senso della fedeltà si può insegnare, specialmente con l’esempio, ma non mette salde radici se non in quanti hanno una predisposizione verso di esso. Non tutti ce l’hanno; anzi, diciamo pure che la maggioranza degli uomini non ce l’ha, perché esso contrasta irrimediabilmente con la concupiscenza, l’istinto che porta verso il male, laddove il male è quasi sempre più “comodo” da perseguire che il bene. Essere fedeli a qualcuno o a qualcosa, per esempio, è assai più faticoso che non esserlo; e la maggior parte delle persone rifugge istintivamente dalle fatiche, di qualunque natura esse siano. Vi sono, perciò, due categorie di individui: quelli che hanno il senso della fedeltà, e quelli che non ce l’hanno. E non si venga a dire che tutto dipende dall’oggetto a cui si vuole essere fedeli, perché non è vero: chi è fedele nel piccolo, lo è anche nel grande; chi non è fedele nel grande, non lo sarà nemmeno nel piccolo. Vi sono persone che restano fedeli a un’amicizia, a un affetto, a un impegno, a una istituzione, a un ideale, per tutta la vita, senza scoraggiarsi davanti a nessuna fatica, a nessuna difficoltà, a nessuna sconfitta; e ve ne sono altre che non sanno neppure dove la fedeltà stia di casa. Per queste ultime, passare da un campo all’altro, da un’amicizia all’altra, da un amore all’altro, da un partito politico all’altro, da un legame all’altro, senza rispettarne alcuno, se ciò non risulta conforme al loro interesse, è la cosa più semplice e naturale del mondo. Non si fanno scrupoli, non hanno alcun rimorso, alcun senso di colpa. Non si sentono mai veramente impegnate con niente e con nessuno, tranne che con il proprio tornaconto. 

Non sanno cos’è la fedeltà

di Francesco Lamendola

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