ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 25 marzo 2018

La sofferenza non è mai inutile

IL BENE MORALE DELL'UOMO



Filosofia. Nulla andrà bene finché non torneremo a volere il bene. Dobbiamo disintossicarci e de-condizionarci dalla cultura moderna, la cui essenza è la negazione di Dio e del bene. Ma che cos'è il bene? una tremenda menzogna 
di Francesco Lamendola  


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Già da tempo la cultura moderna aveva insinuato il sospetto che predicare il bene, insegnare il bene, additare il bene quale meta ultima della nostra vita, sia una operazione poco limpida, interessata e mossa da chissà quali inconfessabili fini, o, nel meno peggiore dei casi, una forma di ipocrisia, perché predicano il bene coloro i quali, per primi, si guardano  dal praticarlo nella loro vita. Poi è arrivata la psico-analisi di Freud e la cultura moderna, materialista, edonista, utilitarista, si è trovata fra le mani lo strumento di cui abbisognava per vibrare il colpo decisivo contro l'idea del bene: una teoria pseudo scientifica spacciata per verità inconfutabile, lo strumento definitivo per smascherare gli ipocriti e i  fraudolenti che ci vengono a parlare del bene collo scopo recondito di addormentarci, di manipolarci, di asservirci. Questa tesi era già stata esplicitata da Marx e a riguardo alla religione e alla Chiesa: i preti, aveva affermato, hanno creato l'idea di dio, di un dio da adorare e servire, affinché  gli uomini restino sprofondati nella passività e nella superstizione, e ciò permette alle classi dominanti, nobiltà e clero, di sfruttarli illimitatamente. Che Dio possa esistere e che il bisogno di  Dio possa  far parte della struttura fondamentale dell'anima umana, non è mai venuto in mente a Marx e ai suoi seguaci; così come a Freud e ai suoi seguaci non è mai venuto in mente che esista il bene e che gli uomini siano naturalmente attratti verso di esso, o almeno che ne sia attratta la loro parte migliore, e che ciò sia un dato reale, che è parte del loro statuto ontologico e non una proiezione del super-io o una sublimazione di pulsioni inconsce che, se si rivelassero apertamente (l'istinto di veder morto il proprio padre e di avere rapporti sessuali con la propria madre) ci provocherebbero un trauma psichico dagli effetti devastanti.

Dobbiamo liberarci da Marx e dobbiamo liberarci da Freud; dobbiamo disintossicare la nostra società dalle conseguenze catastrofiche prodotte da milioni di uomini-massa, semi sapienti e semi ignoranti, ma molto presuntuosi, i quali, avendo sentito o avendo masticato qualche concetto marxista e qualche concetto freudiano, hanno creduto d'aver capito tutto, di aver smascherato gli inganni secolari, di aver trovato la prova "scientifica" (come Marx definiva scientifico il suo socialismo) che il bene non esiste, è solo una trappola inventata dalle classi dominanti, o dai preti, o da entrambi, per poter addomesticare le masse e loro, intanto, godersi tutta la libertà possibile, senza tener conto di alcun codice morale. In altre parole, dobbiamo disintossicarsi e de-condizionarci dalla cultura moderna, la cui essenza è la negazione di Dio e del bene, e l'assolutizzazione dell'uomo, delle sue pulsioni, dei suoi istinti, tutti, senza distinzione alcuna fra "buoni" e "cattivi", perché la natura non ha niente a che fare con la morale, gli istinti vengono dalla natura e perciò noi, esseri naturali, dobbiamo seguirli e dobbiamo soddisfarli. Oh, sappiamo bene che né Marx né Freud hanno mai predicato la licenza morale. Marx sosteneva che, dopo il crollo della società borghese, si sarebbe instaurata una nuova morale, una vera morale, basata sul rispetto dell'uomo verso l'uomo; e Freud, da parte sua, sosteneva che, preso fra l'incudine degli istinti e il  martello della società, l'uomo deve scegliere piuttosto la nevrosi, che gli deriva dalla repressione dei propri istinti, piuttosto che il disordine in cui sprofonderebbe se li assecondasse. Ma sono soltanto parole: entrambi hanno agito come colui che distrugge, e, anche se dichiara di voler poi ricostruire, di fatto limita la sua opera alla distruzione, perché insegna agli uomini la via per rifiutare ciò che la tradizione ha insegnato loro e per considerare tale insegnamento come una immensa mistificazione ai loro danni. In realtà, il valore speculativo di Marx e di Freud è modesto, per non dire minimo; nessuno dei due possedeva una mente filosofica, in compenso erano molto abili nel promuovere le loro teorie e nello spacciarle per qualcosa di auto-evidente. Dopo di loro, qualsiasi tanghero, specialmente se munito di un diploma di scuola superiore, o meglio ancora di una laurea, pretende di sapere che il surplus è la parte del salario che il capitalista froda all'operaio, o che nessuno parla di qualcosa in senso positivo, se non perché, nel suo inconscio, ama e desidera esattamente la cosa opposta. Eppure questi due sistemi di pensiero, modesti, dilettanteschi, pretenziosi ma superficiali, sono assurti al rango di ideologia dominante: sono entrati nel dna intellettuale (o sotto-intellettuale) di milioni di persone, e ciò per la buona ragione che il potere dominante, quello finanziario, ha scommesso su di loro per fare ciò che, secondo Marx, hanno sempre fatto le classi egemoni e sfruttatrici, e che, secondo Freud, fa il  Super-io nei confronti di ciascuno di noi: creare un condizionamento così forte da divenire parte della coscienza collettiva, al punto che rifiutarlo o contestarlo acquisterebbe il sapore di una empietà, di una blasfemia.
E non solo da Marx e da Freud ci dobbiamo liberare, ma anche da Galilei, con la sua arroganza scientista; da Cartesio, con il suo dualismo schizofrenico fra natura e spirito; da Locke, con la sua pretesa di fare del liberalismo il solo sistema politico accettabile; da Rousseau, con la sua folle idea della bontà originaria dell'uomo quale presupposto della democrazia; da Kant, che ha eliminato la metafisica dall'orizzonte del reale; da Hegel, con la sua pretesa di divinizzare la storia; da Nietzsche, col suo annuncio della morte di Dio e del rovesciamento di tutti i valori; e, prima ancora, dal Rinascimento pagano o paganeggiante, con la sua volontà di assolutizzare il destino dell'uomo e con la sua idea, mutuata dalla magia, dall'occultismo, dalla Cabala e dalla gnosi, dell'ermafrodito originario, essere perfetto perché maschio e femmina contemporaneamente. Da tutte queste idee, che abbiamo assunto inconsapevolmente come parti di quel pacchetto completo e indivisibile che è la cultura moderna, sotto il costante ricatto di essere rifiutati e scacciati dalla modernità, e quindi gettati nella spazzatura della storia, ci dobbiamo liberare, perché, sino a quando non lo avremo fatto, continueremo a vedere le cose non per ciò che realmente sono, ma per ciò che la cultura dominante, messa a punto ed imposta dalla élite finanziaria mondiale, vuole che noi vediamo di esse. Per fare solo un esempio: il dilagare della teoria del gender, che si sta imponendo nelle scuole mediante il cavallo di Troia della "educazione sessuale", la quale spinge i bambini dell'asilo e della scuola elementare a interrogarsi se vogliono essere maschili o femminili, e quando, e fino a che punto, e che ciò è perfettamente giusto e naturale (giusto perché naturale), per cui chiunque voglia negare loro questo "diritto", a cominciare dai genitori, è un nemico contro il quale bisogna appellarsi all'autorità dello Stato, tutto ciò non è, come molti credono, il frutto di una cultura recente, ma di una cultura antica di secoli, trasmessa da circoli esoterici che l'hanno custodita e preservata nel corso del tempo, e che trova le sue matrici, oltre che in talune scuole esoteriche greche ed ellenistiche, in ambienti vicini ai templari, ai rosacroce, ad alcuni intellettuali e gruppi dell'Umanesimo e del Rinascimento, e infine nella massoneria. La cultura dominante odierna non ha fatto altro che trasformare queste idee, un tempo coltivate da circoli chiusi, o comunque ristretti, in patrimonio ideologico delle masse, beninteso facendo in modo che vengano percepite sul piano dei diritti della persona, e spogliandole, o nascondendo, il loro retroterra iniziatico e filosofico. Sicché quando un giudice progressista toglie la patria potestà a una coppia di genitori che si oppone alla volontà del figlio minorenne di sottoporsi all'operazione del cambio di sesso, crede di aver offerto il suo contributo a una battaglia di civiltà, a una battaglia per la libertà e l’autodeterminazione dell'individuo, specialmente dei soggetti più deboli, oppressi dai tabù oscurantisti di quanti si oppongono al progresso per meschine ragioni d'interesse o d'ignoranza; mentre è solo l’utile idiota di un progetto che nemmeno conosce. Del resto i progressisti, da sempre, si auto-promuovono ad un livello etico superiore e guardano dall'alto in basso chiunque osi sfidare i loro dogmi, che ritengono auto-evidenti: beninteso, per chi sia moralmente puro e disinteressato come loro, con modestia, ritengono fermamente e incrollabilmente di essere.

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Bisogna tornare a insegnare il bene come la meta della vita umana

Dunque: bisogna liberarsi dalla nefasta influenza della cultura moderna per poter ricominciare a pensare il bene, a insegnare il bene, a indicare il bene come la meta della vita umana, dopo che, per tanto tempo, una simile operazione è stata guardata con sospetto, disprezzo, irrisione, fino alla più aperta e dichiarata ostilità; al punto che la civiltà moderna potrebbe essere definita come la civiltà che odia il bene e i cui intellettuali montano in furore non appena lo sentono anche solo nominare. Bisogna liberarsi da ciò, perché nulla andrà bene finché non torneremo a volere il bene.
Ma che cos'è il bene? Ci piace riportare una semplice, piana paginetta del gesuita Antonin Eymieu (1861-1933), profondo direttore spirituale di anime, tratta dal quarto volume della sua grande opera di psicologia morale Il governo di se stesso (da: A. Eymieu, La legge della vita; titolo originale: Le gouvernement de soi-meme. La Loi de la vie, Paris, Librairie Académique Perrin, 1930; traduzione dal francese di Luigi Rosadoni, Roma, Edizioni Paoline, 1958, pp. 226-231):
Nella sua accezione più larga, il bene è ciò che conviene, ciò che si confà; è qualsiasi cosa considerata come "confacentesi”. Conviene, si confà, già lo sappiamo che quando Dio agisce, agisca da Dio e che le sue opere ne manifestino quindi gli attributi.  Esse li manifestano mediane l'ordine. L'ordine - fisico o morale - è così un bene, o il bene quale Dio lo vuole. Ma Dio vuole anche - a gloria della sua bontà e della sua saggezza - che i diversi esseri concorrano al bene generale perseguito dalla Provvidenza divina precisamente col cercare, ciascuno per suo conto, il proprio bene. Ora, il bene di un dato essere è ciò che conviene a quell'essere, ciò che si addice ad esso, ciò che lo rende armonioso e fecondo, adeguando la tendenza all'oggetto, l'attività al fine, la parte al tutto, il tutto al suo destino; è ciò che l'arricchisce, lo perfeziona, lo completa. Tanto più grande è il bene quanto più questa "convenienza" è perfetta e quanto più quest'adeguazione, quest'armonia realizzata è estesa, è rapida, è intima, è precisa, è assoluta. (...)
Nulla CONVIENE meglio ad un essere che il suo fine ultimo. Esso è per lui la "convenienza" totale, adeguata, assoluta. Nel pensiero del suo autore, l'essere è tutto intero ordinato al suo fine. Quando un uomo fa un orologio, un'automobile, un aereo, li fa e li struttura fin nei minimi dettagli in vista del fine al quale li destina. Ed ogni causa intelligente agisce allo stesso modo.  Ma chi ha fatto l'uomo e gli ha assegnato il suo fine è Dio, cioè l'essere sovranamente intelligente. E poiché l'uomo ed il fine egli li ha fatti l'uno per l'altro, ha certamente stabilito fra loro un'adeguazione perfetta: in altri termini nel fine deve esserci una convenienza perfetta nei riguardi di tutte le energie e tutte le potenzialità dell'essere che è stato creato proprio per esso. Ma una perfetta convenienza è il bene PERFETTO, poiché non gli manca niente, è il bene ASSOLUTO, poiché soddisfa tutto, è il bene SUPREMO, poiché tutti gli altri beni li trascende tutti, o, molto semplicemente, è il BENE per antonomasia. Se ora io considero l’uomo non più in tutta la sua durata ma solo nella sua durata terrestre, nel periodo della sua esistenza che si conclude con la tomba, quale sarà per lui il bene supremo? Basandomi su un principio già esposto rispondo: sarà esattamente il FINE dell’uomo in quanto considerato in quel periodo di vita. Ora noi sappiamo che quest’esistenza terrestre gli è stata data da Dio soltanto per permettergli di MERITARE la felicità infinita, che egli non può procurarsi altrimenti, e di cui non può fare a meno. (…) Questo bene dell’uomo in quanto uomo nella sua esistenza terrestre, e, in questo senso, perfetto anch’esso, assoluto e supremo, è ciò che io chiamo il suo bene morale. Ho detto: il SUO bene, il bene morale dell’uomo. In se stesso e nella sua accezione più larga, il bene morale è quel bene che va al di là di una prospettiva puramente fisica; è la convenienza con la natura totale degli esseri e con l’ordine dell’universo in quanto realizzato o realizzabile dalle libere volontà; è l’ordine esigito dalla ragione ed accettato dalla volontà; è la conformità con il piano divino. È il bene quale Dio lo vuole, quale l’impone con la legge morale e lo garantisce o ristabilisce con le sue sanzioni. È in qualche modo il bene di Dio, la manifestazione dei suoi attributi nel governo degli esseri liberi; è la libertà della creatura che con l’obbedienza o la punizione rende omaggio ai diritti del Creatore. (…)
Il bene morale dell’uomo deve essere conforme alla sua ragione, alla sua natura integrale, all’ordine oggettivo delle cose, al disegno di Dio sulla creazione, per esser MORALE; ma per essere il SUO BENE bisogna che quest’ordine realizzato sia buono per lui, e per essere il  suo bene nella pienezza della parola, IL SUO BENE SUPREMO in questo mondo, bisogna che sia ciò che gli si confà al di sopra di tutto, ciò che lo adegua completamente al suo compito e gli conferisce il diritto al suo fine ultimo. Senza dubbio “gli conviene”, bisogna che l’uomo si conformi al disegno del suo Creatore; che essendo dotato di ragione, agisca in armonia con essa; che essendo libero, si sottometta liberamente all’ordine. Ciò gli conviene, gli si confà, ed è dunque il suo bene, il suo bene MORALE, perché noi abbiamo qui trasceso la prospettiva meramente fisica;  però appena l’inizio, il germe del suo bene morale.  Gli è del resto impossibile arrestarsi a questo punto; egli va con un movimento deciso verso la conseguenza necessaria che è il merito, il diritto al fine ultimo. Ed è quest’ultimo, inseparabile da quella adeguazione di cui abbiamo parlato sopra, è questo diritto conforme all’ordine, alla natura umana, al disegno di Dio, che costituisce in senso concreto, completo e definitivo il BENE MORALE DELL’UOMO.
Impeccabile, elegante semplicità di un ragionamento ordinato e consequenziale. Ah, se i teologi di oggi possedessero la ventesima parte di questa chiarezza concettuale, che è poi, in ultima analisi, il riflesso di una chiarezza interiore, spirituale, oltre che intellettuale: perché la teologia è lo studio delle cose divine, e richiede, per sua stessa natura, un atteggiamento di fede, senza il quale diventa una forma fastidiosa e pedante di filologia, un esercizio di erudizione biblica o una speculazione astratta, velleitaria, e non di rado grottesca, nel senso che par quasi voler prescrivere a Dio ciò che Dio deve essere, deve volere, e come si deve rapportare agli uomini…


Nulla andrà bene finché non torneremo a volere il bene
di Francesco Lamendola
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