Alfie nell’ospedale degli orrori
Mio figlio fatto a pezzi nell’ospedale di Liverpool
«Ho visto i suoi organi sezionati in tre contenitori bianchi: il cuore, il cervello, il fegato, i reni. Mio figlio Marcello era stato fatto a pezzi. L’ ho scoperto otto anni dopo. Aveva venti giorni quando è morto sotto i ferri all’ ospedale Alder Hey di Liverpool».
Tracy Lowthian ha perso Marcello nel 1992. Solo pochi mesi fa ha saputo che il suo corpo era stato svuotato di tutti gli organi. Fatto a pezzi, scopo ricerca scientifica o chissà che altro. Era una delle migliaia di mamme e papà inglesi coinvolti nello scandalo scoppiato nell’ autunno scorso in Inghilterra. Organi di bimbi prelevati senza il consenso dei genitori. Tracy racconta, fermandosi di tanto in tanto per riprendere fiato. «Marcello era il mio terzo figlio. È nato il 21 agosto 1992. Vivevo a Modena con mio marito Franco che è italiano e ha una ditta di trasporti, ma per avere il bambino sono tornata dai miei, a Liverpool. Anche gli altri due erano nati in Inghilterra. Dieci giorni dopo la nascita respirava male e mi hanno consigliato di portarlo all’ Alder Hey. Mi avevano detto che era il migliore. A venti giorni lo hanno operato al cuore: era il 10 settembre. È morto sotto i ferri. Il coroner ha ordinato l’ autopsia, visto che era morto durante l’ operazione. Ero preparata, non avevano bisogno di chiedere il mio consenso. Ma nel certificato post mortem – che ho visto soltanto adesso – non c’ era scritto nulla di quello che avrebbero fatto dopo. Per questo sì che c’ era bisogno del mio permesso. Marcello è stato svuotato di tutti i suoi organi. Il cuore, il cervello, il fegato, i reni, lo stomaco, l’ intestino… e forse anche la lingua sono conservati negli scantinati dell’ ospedale. I suoi organi riproduttivi non si trovano più, spariti. È cominciato tutto a settembre 1999, quando in televisione ho sentito parlare dell’ inchiesta che aveva investito l’ ospedale pediatrico di Bristol. Ho chiamato l’ Alder Hey: volevo sapere se ero anch’ io fra i genitori di questi bambini fatti a pezzi. Mi hanno risposto “cercheremo”. Dopo due giorni mi hanno richiamata: “Signora purtroppo il cuore di suo figlio è qui, in ospedale”. Ho chiesto di incontrare i dottori che avevano operato mio figlio. Dicevano di non sapere niente. Sono tornata a casa. Sono passati pochi giorni, mi hanno richiamata: “Abbiamo trovato anche il cervello di suo figlio, ci dispiace”. È andata avanti così per giorni, avevano tutto di Marcello: il fegato, i reni, lo stomaco, l’ intestino… Allora sono tornata in ospedale, ho chiesto di vedere gli organi di Marcello, uno per uno. Hanno fatto resistenza. Alla fine hanno dovuto cedere. Mi hanno portato tre contenitori bianchi: nessuno degli organi era intero, erano fatti a pezzetti. “Dove sono le ricerche che avete fatto su mio figlio? Voglio vederle!”. La risposta fu: “Noi non abbiamo niente”. Il 23 dicembre 1999 è arrivato mio marito dall’ Italia e abbiamo disseppellito Marcello. Non potendo aprire la bara abbiamo messo gli organi sopra. Franco era con me, anche se ora siamo separati e lui è in Italia, l’ aveva sempre detto che c’ era qualcosa di strano nella morte di nostro figlio. In marzo ho chiesto all’ ospedale una lista esatta di quello che avevano preso: c’ erano anche gli organi riproduttivi che io però non avevo visto nei contenitori che avevamo seppellito. Mi hanno detto che forse erano nei “quadretti di cera”. Ho chiesto spiegazioni e mi hanno detto che prima di restituirmi gli organi ne avevano preso qualche pezzettino. Dopo due settimane sono andata a vedere i quadretti di cera: hanno rovesciato una borsa marrone su un tavolo. Dentro c’ erano ventiquattro quadretti della grandezza delle tessere del domino. Erano pezzi di cervello, di cuore… Io non capivo cos’ erano e nemmeno loro. Dicevano: “È la prassi, una parte di suo figlio deve rimanere qui”. Nel frattempo eravamo diventati tanti a chiedere conto dei pezzi dei nostri figli: più di mille. E abbiamo scoperto che non era soltanto il patologo olandese van Velzen – andato via dall’ Alder Hey nel 1995 – a espiantare gli organi. Prima di lui ce n’ erano stati altri e la prassi continua anche ora. Ne abbiamo viste tante di quelle borse marroni, che abbiamo fatto portare via dall’ ospedale. Ora sono negli studi degli avvocati dello stesso Alder Hey, piene di pezzettini di organi sotto cera. Intanto abbiamo saputo che uno dei direttori dell’ ospedale, Frank Taylor, e la sua vice Hillary Rowlands, erano stati licenziati, che il chirurgo che aveva operato mio figlio era sotto inchiesta da tre anni per incapacità professionale. E la storia è andata avanti. Negli scantinati dell’ ospedale c’ erano lingue e trachee. I cadaveri dei bambini arrivavano anche da altri ospedali, per svuotarli di tutto. E tutto questo sempre senza chiedere nessun consenso a noi, ai genitori. Tutto illegale. Ora io sono qui, con gli altri miei tre figli, il primo ha quasi 11 anni, il secondo 9, la terza 5. Penso che questo sia soltanto l’ inizio. All’ ospedale non parlano più per via delle inchieste in corso. Noi pensiamo a un traffico di soldi. Credo che gli organi dei nostri figli venissero venduti. Alle industrie dei cosmetici o forse per i trapianti, anche se non nel mio caso. Stasera diamo una festa di beneficenza insieme agli altri genitori. Abbiamo fiducia nelle inchieste. Noi per ora vogliamo soltanto sapere la verità e stiamo facendo una battaglia per rendere più esplicite le norme di legge in questi casi».
Tracy Lowthian, operatrice su Internet part-time, interrompe qui la sua confessione telefonica. Sono entrati i figli in camera, che di questa storia non sanno nulla. Pensano che il loro fratellino sia andato in cielo. Non devono sapere che Marcello è stato fatto a pezzi.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/06/03/mio-figlio-fatto-pezzi-nell-ospedale-di.html
L’ospedale pediatrico Alder Hey ha rilasciato questa agghiacciante dichiarazione che, sulla sua pagina Facebook sta raccogliendo grandi consensi altrettanto agghiaccianti: “Questa sera l’Alta Corte ha di nuovo ordinato che è nel miglior interesse di Alfie continuare con il piano di cure per la fine della vita elaborato dal team clinico che lo hanno curato finora. La nostra priorità pertanto è di assicurarci che Alfie riceva le cure che merita per assicurargli comfort, dignità e privacy e mantenerle fino in fondo. Questo include lavorare a stretto contatto con Kate e Tom così che possano passare con lui questo tempo prezioso. Saremo grati per il rispetto e la considerazione che vorrete dimostrare a tutto il nostro staff, i pazienti e le famiglie presenti in ospedale in questo momento difficile”.
Di rispetto e di considerazione, soprattutto da parte di chi impugna la fede come strumento di potere e di trattativa con il mondo, ci pare che tanto l’ospedale quanto la Corte che ha deciso la morte di Alfie ne abbiano avuti anche troppi. A commento di questi terribili pensieri riportiamo quanto ci ha appena scritto il sacerdote che, fin dal primo momento sta tentando ogni via per salvare il bambino: “Perdonatemi, non mi metto a spiegarvi tutto, perché sarebbe troppo lungo e il tempo è pochissimo. Qui bisognerebbe fare un casino della miseria, perché il giudice inglese ha decretato che Alfie non può essere portato in Italia. Al massimo sarà concesso ai genitori di portarselo a casa. Nessuno ha capito due cose semplicissime: che il bambino non è più nutrito da quasi 24 ore e che l’essere portato a casa, dopo essere sopravvissuto alla tortura per più di 12 ore (completamente senza ossigeno e idratazione), ora Gli è concesso solo un po’ di ossigeno e di acqua. Mangiare nulla fino a che morirà (forse a casa dei Genitori) di fame. Questo ricorda quanto avveniva dei campi di sterminio! E tutto sotto gli applausi scroscianti dell’intelligenza italiana, vaticana e mondiale. Possibile che nessuno abbia il coraggio di portare questa gente alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja?”.
Già, possibile che nessuno, specialmente tra chi per mestiere se non per vocazione dovrebbe difendere la vita, voglia veramente andare fino in fondo? Ce lo chiediamo anche noi. Oppure il vero obiettivo erano i titoli di giornali e giornalisti che non hanno capito niente di quanto sta veramente avvenendo e intestano ai protagonisti sbagliati la misericordia altrui?
Con profonda angoscia faccio un appello a tutte le persone sensibili e di buona volontà. Il piccolo Alfie è stato condannato a morte senza aver commesso alcuna colpa. Gli esecutori materiali di questa condanna capitale non sono riusciti a sopprimerlo attraverso il “protocollo” previsto: dopo 12 ore imbottito di droghe, senza ossigeno, senza acqua e cibo, ora continua a vivere respirando come può con un po’ di ossigeno e di acqua. Niente cibo finché morirà fra pochi giorni. Il giudice, pieno di “clemenza”, impedisce a chiunque di prestare alcun aiuto al bambino “per il suo bene” o di trasferirlo in un ospedale che lo possa curare.
Una decisione crudele che ha il plauso di tutta l’intelligenza della nostra società moderna. Nessuno, diplomatici, avvocati, giornalisti, chierici, cristiani di “buona volontà” e “amici” più o meno interessati ha il coraggio di guardare pienamente in faccia la realtà di questa condanna a morte per quello che è: un infierire su un piccolo martire sfinito che ora è costretto ad aspettare la morte per fame confortato da piccole dosi di ossigeno e di acqua.
Ai condannati che sopravvivono alla pena capitale (magari dopo aver compiuto crimini orribili) viene risparmiata la vita. A questo innocente viene somministrata una condanna ancora più crudele della prima. Il tutto mentre l’intero mondo delle persone perbene discetta sulle leggi di una nazione che si ritiene di essere pienamente nel giusto impedendo ciò che non verrebbe negato neppure ad un cane.
Nessuno che, come estrema istanza, abbia il coraggio di portare il caso di Alfie davanti alla Corte dell’Aja. Si discetta a tempo perso sulla vita di un innocente caricato di una Croce che nessuno ha il coraggio neppure di guardare. E questa la chiamiamo “Misericordia” o ricerca del “bene maggiore”?
Molti mi hanno detto: ma dove sta il problema? Ci sono milioni di bambini che sono nella stessa situazione o anche peggio! Ma basta, questa considerazione, per sentirsi a posto e tornare al proprio smartphone a chattare del nulla o mettersi a dormire tranquilli? Io sono esattamente come tutti gli altri, ma il solo chiedermi se sarei contento di trovarmi al posto di Alfie o di qualunque bambino, povero, malato o anziano mi fa dire che non posso continuare a vivere in questo modo. È ora che mi svegli e che mi scuota da questo torpore, prima di trovarmi anch’io solo e intubato in un ospedale in attesa di sapere quando staccheranno la spina per non farmi essere di peso a una società che ho contribuito a lasciar riempire di ogni perversione e malvagità. Sicuramente anch’io sarò vittima di quanto avrò lasciato crescere di male in questo bel campo fertile che Dio mi ha dato a disposizione.
Ma non voglio aspettare la morte in questo modo. Dio ha mandato Alfie perché oggi io abbia la possibilità di cominciare a dire: basta! Alfie, anche se muore, sarà in Cielo, Santo e Martire per sempre. Ma io, dove sarò? Con tutte le schifezze che ho fatto e che ho lasciato fare senza dire nulla, ma anzi approvandole! Non è neppure necessario parlare dell’inferno (che temo più di ogni altra cosa), per capire che c’è già un fuoco che sta distruggendo la mia anima cosciente di aver calpestato tanti innocenti e di aver vissuto unicamente per me stesso senza alcuna pietà per chi mi è vicino o lontano. Normalmente si dice che, se si pensa a queste cose, non si vive più. Ma penso che sia meglio “non vivere più” e cercare di uscire da questa fogna, che rimanerci per sempre.
Per questo dico: salviamo Alfie, non solo per lui, ma per noi, per me, perché sarebbe già un passo per uscire da questa palude di morte. Sicuramente seguiranno altri passi e altri innocenti saranno salvati e poi altri ancora; e intanto cominceremo a salvare anche la nostra anima. Allora, perché non fare questo primo passo e cercare di liberare Alfie? Possibile che non abbiamo nessuna pietà di quel bambino che sta morendo di fame e che sarebbe nella nostra possibilità evitarlo? Perché non chiedere all’Onu di intervenire su un caso di trattamento che oggi non viene tollerato neppure su di un animale? Che ci può costare, esporci almeno una volta spinti da un po’ di compassione? Solo perché dobbiamo difendere il nostro gruzzoletto, la nostra poltroncina o i piccoli piaceri consumati in questo bel letamaio di società putrefatta?
Se salveremo Alfie, avremo salvato un po’ anche noi, i nostri figli, i nostri nipotini e tanti altri bambini che cominceranno a guardarci con ammirazione e fiducia, potendo vedere i noi tanti padri e tante madri che li amano e sanno rischiare qualche cosa per loro. Potremo andare un po’ più a testa alta davanti al mondo, sapendo che il male può essere vinto, e potremo veramente volerci più bene. E questa è la vera e unica felicità
UKIP per ALFIE: “e’ TOTALITARISMO”
Riguardo al caso di Alfie Evans, a nome di tutti parlamentari europei dell’Ukip, il capogruppo Gerard Batten ha affermato:
«Alfie Evans dovrebbe avere il diritto di vivere, non il dovere di morire per volontà dello stato. La decisione della corte e dei medici è come una porta aperta al totalitarismo. Lo stato non ha diritto di dire ai genitori “non potrete avere il vostro figlio indietro nemmeno per un trattamento sanitario alternativo, fino a che non siamo sicuri che sia morto”.
Noi dell’Ukip chiediamo a tutte le persone e a tutti i politici di ogni partito di far sentire la propria voce su questo caso cruciale.
Stiamo parlando del diritto alla vita di un bambino e del diritto dei suoi genitori di proteggerlo da un sistema sanitario e da un sistema giudiziario andati fuori strada.
I nostri sistemi sanitario e giudiziario stanno scandalosamente impedendo le cure gratuite dovute a un bambino vivente.
Il rigetto della corte della volontà dei genitori di Alfie e il rifiuto di permettere un aiuto da parte del collaborativo governo italiano va oltre la ragione e la decenza. Dobbiamo chiedere uno stop a tutto questo e dare ad Alfie la possibilità di vivere fra le braccia dei suoi genitori. Non sono lo stato o la corte a doverlo tutelare».
Mi presento: sono un ebreo, errante. Scappo! Da che cosa? Dalla pastorale, questa quint’essenza di tutte le eresie che miete più anime di quante siano perite in tutte le tragedie del XX secolo.
E corro…
In questa corsa molti demoni mi perseguitano, pensieri che è difficile contrastare.
L’altro giorno guardavo un barbone dormire su una panchina e pensavo che a ciascun essere umano Dio affida anche un minimo esercizio di autorità; e infatti provate un po’ a occupare la sua panchina e ne dovrete sopportare le conseguenze.
Ogni creatura umana partecipa in qualche modo di quell’autorità che è propria del Creatore: tutti, dal barbone in su… su fino alle autorità più alte, anche oltre Tevere.
A Betlemme c’era un bambino che respirava e doveva essere silenziato; non con il fuoco è presente il Signore, ma con il sibilo di un’aura leggera; è in quel piccolo respiro di Alfie Evans che si trova la potenza di Dio.
Beh! Oggi, proprio quelli in su (ma proprio in su) a cosa l’hanno ridotta? Al: qui comando io!
Credono di possederla in proprio l’autorità, invece di doverne rendere conto a Dio!
Stolti: si avviano festanti alla sorte della principessa di Lamballe!
Alfie e Chesterton
– Buongiorno signore.
– Come va?
– Direi divinamente, se mi passa la battuta.
– Ne sono felice. Lì dove si trova sta seguendo la vicenda di Alfie Evans?
– Certamente.
– Come la giudica?
– Come scrivo in Ortodossia: “Il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane impazzite: sono divenute folli perché sono isolate una dall’altra e vagano senza meta”. Soprattutto manca il riferimento alla verità. Così tutto è possibile, anche che lo Stato prevalga sulla persona, dimenticando che la persona viene sempre prima.
– Ma perché questo impazzimento?
– Da quassù posso vedere che le persone buone sono molto più numerose delle malvage. Ma la mentalità dominante è pervasa dall’idea che l’uomo, e non Dio, debba essere padrone della vita. E quando si ragiona così si finisce inevitabilmente nella discriminazione.
– Non le sembra che ci sia un problema riguardante legittimità e legalità? Nello Stato totalitario, come abbiamo visto nel corso del XX secolo, la legittimità pretende di fare a meno della legalità. Nelle nostre democrazie la legalità pretende spesso di fare a meno della legittimità. Ma il risultato è analogo: discriminazione e sopraffazione
– Sì, ma il succo è che abbiamo eliminato Dio. Io l’ho sempre detto: “Gli enigmi di Dio sono più soddisfacenti delle soluzioni dell’uomo”. E “affinché un uomo possa amare Dio, è necessario che non ci sia solo un Dio da amare, ma che esista anche un uomo che lo ami”.
– Ecco perché Benedetto XVI raccomandava di vivere veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse, che è il capovolgimento dell’assioma illuminista, etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse. Occorre qualcosa a cui agganciare un’idea condivisa del bene e del male, al di là del soggettivismo e del relativismo.
– Infatti. Mi spiace di non essere vissuto nell’epoca di papa Ratzinger: sarebbe stato bellissimo dialogare con lui. Credo comunque che occorra riscoprire la meraviglia di fronte alla vita, al reale. Come ho scritto una volta, “C’è alle spalle di ognuno di noi un abisso di luce, più accecante e insondabile di qualsiasi abisso di oscurità”.
– Benedetto XVI, nella lezione che aveva preparato per la sua visita all’Università la Sapienza di Roma (e che poi gli venne impedita da un gruppo di intolleranti), scriveva: “Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista”. Concorda?
– Certamente. Occorre che gli uomini siano umili e amorevoli. Solo queste qualità morali impediscono la tirannide. E sono anche le custodi della vera razionalità. Altrimenti la razionalità può sempre degenerare e diventare arbitrio.
– E nel caso di Alfie che significa?
– Significa, per dirla in modo molto semplice, che il giudice non può ergersi a Dio, a padrone della vita. Facendo uso della razionalità al servizio dell’uomo, deve riconoscere lo spazio decisionale dei genitori. E deve riconoscere che la vita umana possiede una dignità che va ben al di là del criterio di efficienza. L’uomo non è una macchina. Se l’unico criterio fosse l’efficienza, dovremmo sbarazzarci immediatamente di tutti i malati, i disabili, i vecchi. Se non lo facciamo è perché la nostra razionalità è guidata da criteri morali. Sono questi che vanno alimentati.
– Quindi lei, Mr Chesteron, cittadino britannico, vede nel comportamento di alcuni suoi compatrioti una negazione della libertà?
– Noi inglesi abbiamo inventato lo Stato liberale, ma nemmeno noi siamo al riparo dalle sue degenerazioni. Il sistema può diventare arbitrario quando si erge a giudice supremo con diritto di vita e di morte.
– Come giudica la mobilitazione per Alfie?
– Le preghiere quassù non hanno mai smesso di arrivare, e ultimamente si sono molto intensificate. E sono preziosissime. La fede smuove davvero le montagne. Vedo in tutta questa storia un grande insegnamento.
– Quale?
– Tutto sta avvenendo all’insegna della debolezza e della piccolezza. Alfie è piccolo e debole. Piccoli e deboli, a loro modo, sono anche i suoi giovanissimi genitori. Piccoli e deboli i tanti che si sono presi a cuore la vicenda e che certamente non appartengono ai grandi potentati. Perfino i due politici italiani che hanno concesso la cittadinanza ad Alfie fanno parte di un governo dimissionario, che in pratica non c’è più, il che però non ha impedito loro di compiere un’azione nobilissima.
– Vengono in mente le parole di Gesù: “Ti rendo lode, o Padre, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”…
– Sì, al Padre in effetti piace rivelarsi così.
– Senta Mr Chesterton, qualcuno, di fronte alla vicenda di Alfie, ha richiamato la questione dell’eugenetica, che ha radici britanniche innegabili, più antiche di quelle tedesche e naziste…
– Guardi, credo di non essere immodesto se dico che sono stato uno dei primi a rendermene conto.
– Come?
– Già nel 1922 scrissi un libro – intitolato, non a caso, Eugenetica e altri malanni – nel quale dicevo fra l’altro: “La cosa più saggia del mondo è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale… Spesso è essenziale opporsi a una tirannide prima che essa prenda corpo”.
– Lei, se non sbaglio, mise in guardia anche dal darwinismo…
– Certamente. Mi scuso se mi cito di nuovo: “Quando si incomincia a pensare all’uomo come a un essere che cambia e che può essere alterato, il forte e l’astuto possono facilmente deformarlo, dandogli nuove forme per scopi innaturali”.
– Eugenetica, darwinismo, malthusianesimo: voi inglesi, a guardar bene, avete dato un bel contributo a quello che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare “progresso” senza vederne i pericoli.
– Già, e in quanto inglese non ne posso certamente andare orgoglioso. Posso però affermare, senza poter essere smentito, che avvertii tutti quanti. Nel mio libro scrivevo: “La definizione più concisa dell’eugenetica, quanto al suo lato pratico, è che essa si propone , in maggiore o minore misura, di controllare talune famiglie come se fossero famiglie di schiavi pagani, o peggio”. Vediamo che cosa sta succedendo alla famiglia di Alfie.
– E lei, occorre dirlo, non ebbe paura di usare la parola “tirannide”.
– Certamente. Vidi che gli eugenetici volevano intromettersi in tutto, ovviamente in nome del progresso e della “qualità della vita”. E infatti nel caso di Alfie che cosa è accaduto? Che i giudici lo hanno condannato a morte per rispettare il suo “miglior interesse”.
– Ricordo che lei, Mr Chesterton, per denunciare la visione efficentista della vita fece un appropriato paragone fra l’uomo e l’utensile.
– È così. Gli efficentisti vedono nell’uomo un utensile. Se non funziona, lo si getta via. Ma l’uomo, rispetto a un comune utensile, ha un difetto. Come ho detto una volta, “se prendi un martello, non ci trovi attaccata tutta una famiglia di chiodi. Se getti uno scalpello, questo non figlia e non lascia in giro tanti piccoli scalpelli”. L’uomo invece ha famiglia, ha relazioni. Per ridurlo a utensile 0ccorre dunque togliere di mezzo questi ostacoli.
– Per concludere, che cosa direbbe al giudice Anthony Hayden?
– Mi verrebbe voglia di rivolgermi a lui come fa un mio personaggio, il giudice Grant, rivolto al primo ministro: “Procuratevi un’anima nuova!”.
– Grazie Mr Chesterton.
– Di nulla, grazie a voi. E mio raccomando: continuate a pregare.
Aldo Maria Valli
San Giorgio e il piccolo Alfie
(di Cristina Siccardi) San Giorgio, patrono dell’Inghilterra, è intervenuto il 23 aprile, nel giorno della sua memoria liturgica, per salvare il piccolo Alfie Evans dalla condanna a morte (condanna che aveva colpito a Londra Charlie Gard, 4 agosto 2016-28 luglio 2017), che si sarebbe dovuta compiere nel giorno di san Giorgio. Ma san Giorgio non lo ha permesso.
Così, come accadono i miracoli, tutto si è risolto in breve tempo, dopo molti giorni di tormento per gli eroici genitori, Tom e Kate Evans che hanno battagliato e sperato fino all’ultimo… riuscendo ad ottenere una dilazione (l’omicidio era previsto per le ore 12:00) per chiarire un aspetto formale della sentenza.
Una giornata memorabile, con un continuo annuncio di notizie prodigiose: dalle proteste fuori dall’Alder Hey Hospital di Liverpool, con le persone che sventolavano le insegne dell’Alfies Army (dieci mesi fa, su facebook, era stato creato il gruppo «Alfies Army Official»), all’urgente interrogazione parlamentare presentata al Parlamento italiano dalla Lega per scongiurare l’omicidio, alle diverse trattative e poi la notizia che i ministri Angelino Alfano e Marco Minniti avevano concesso la cittadinanza italiana ad Alfie per rendere possibile il trasferimento in Italia.
Un dato religioso significativo è il fatto che san Giorgio è anche patrono dei cavalieri, dei soldati e dei martiri inglesi. È evidente che stiamo parlando di una battaglia immane contro una legislazione e giurisprudenza che decreta la morte quando esse ritengono che una persona non sia più degna di vivere.
Dunque occorrono soldati d’azione e di preghiera, ricoperti dall’armatura della fede, pronti a combattere con coraggio e determinazione per far valere la ragione, così come hanno dimostrato i genitori di Alfie. Allo stesso tempo, la Storia della Chiesa ci spiega che il martirio inflitto a san Giorgio fu spaventoso e terrificanti furono anche i supplizi subiti dai cattolici sotto i Regni di Enrico VIIII, Elisabetta I, Giacomo I, Carlo I, Cromwell e Carlo II. L’Inghilterra è imbevuta di sangue e di sacrifici umani.
San Giorgio, uno dei santi martiri dell’età pre-costantiniana (Cappadocia, 275-285 circa – Nicomedia, 23 aprile 303), venerato come santo megalo martire da quasi tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi, rappresenta uno dei casi più sconcertanti fra le agiografie dei santi cristiani di tutti i tempi.
Il suo nome è familiare in ogni casa e in ogni città, regni e repubbliche lo adottarono come loro protettore; ordini cavallereschi a lui si ispirarono; chiese a lui dedicate sorsero ovunque, introducendo il suo culto in ogni borgo. L’iconografia del soldato in armatura che combatte contro il drago, che rappresenta Satana, è a tutti nota.
Tuttavia, a fronte di una popolarità così vasta e universale, la sua biografia presenta enigmi e incertezze dovute ad informatori non attendibili oppure a varie descrizioni della sua Passio che paiono più leggende che fatti realmente accaduti.
Le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii. Era originario della Cappadocia (regione dell’odierna Turchia), figlio del persiano Geronzio e Policromia, che lo educarono cristianamente. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell’esercito dell’Imperatore Diocleziano, dove si distinse per il suo valore, tanto da meritare di essere introdotto fra le guardie del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie.
Subì il martirio proprio sotto Diocleziano (in alcune versioni, invece, avvenne sotto Daciano, Imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani. Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano.
All’invito dell’Imperatore di sacrificare agli dei, egli si negò, fu allora fustigato, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione: il Signore gli apparve, annunciandogli che la sua passione sarebbe durata sette anni, avrebbe subito tormenti che non gli avrebbero fatto alcun male, sarebbe morto tre volte e per tre volte sarebbe risorto, prima di affrontare il martirio definito e raggiungere quindi il Paradiso.
Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, martirizzati a fil di spada; entrò poi in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l’imperatrice Alessandra, che venne martirizzata. A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocento sessant’anni e le battezzò.
E giunse la sua ora: venne decapitato, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, che furono trasferite probabilmente durante l’invasione persiana all’inizio del VII secolo o poco dopo con l’arrivo dei musulmani in Palestina. Sulla sua tomba le grazie si moltiplicarono e da allora non si contano i miracoli avvenuti per intercessione di san Giorgio.
Le sue spoglie riposano in una cripta sotto la chiesa cristiana, di rito greco-ortodosso, nella città di Lod, in Israele; mentre il suo cranio, trovato in Cappadocia da Papa Zaccaria (744-752), è venerato nella celebre basilica di San Giorgio al Velabro di Roma, costruita nel IX secolo.
Quando si legge il capitolo 6 della Lettera agli Efesini di san Paolo, dove il soprannaturale sovrasta i destini della terra, i riferimenti ivi presenti non possono non invitarci a ricondurli alle imprese di san Giorgio Martire: «Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male […] Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio» (Ef 6, 10-17).
Nel 1969, a motivo di una tradizione agiografica di san Giorgio che non soddisfaceva gli appetiti scientifici dell’età contemporanea, più attenta al razionale che al soprannaturale, la Chiesa di Roma ha deciso di declassare il santo nella liturgia a memoria facoltativa… ma la devozione dei fedeli, nonostante tutto, è continuata e continua. Te Deum per Alfie, ora cittadino italiano, testimone davanti al mondo che il drago si può vincere. (Cristina Siccardi)
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