Nei giorni scorsi ho ricevuto tre lettere (in realtà di più, ma tre particolarmente articolate) da parte di altrettanti lettori che si esprimevano su temi importanti. Tutte e tre avevano come punto di riferimento comportamenti e parole dette – o riferite come tali – del Pontefice regnante. Ve le offro, come materia di riflessione. Mi auguro che non vengano lette solo dalla piccola comunità che frequenta questo blog; perché in realtà, sono richieste e messaggi diretti a chi sta in alto nella gerarchia della Chiesa. Mah! Il messaggio nella bottiglia del web è stato affidato alle onde; speriamo che qualcuno dei tanti chi di dovere lo apra e lo legga.
La prima lettera si riferisce all’incredibile saga della intervista non-intervista di Scalfari, la cui smentita, per quanto delicata, parziale e ambigua non ha trovato posto nelle pagine del quotidiano che l’ha pubblicata. Un comportamento estremamente scorretto (poi parlano di fake news) sia verso il protagonista della sedicente intervista sia nei confronti del lettori: che in assenza di un chiarimento sono necessariamente nella situazione di considerare come vere le cose scritte dal giornale. Nei giorni scorsi su Avvenire è apparso un articolo firmato da un sacerdote molto presente in rete, che potete leggere qui.
Egregio Padre Mauro Leonardi,
ho letto tramite Twitter il suo articolo di oggi sul quotidiano clandestino “Avvenire” dal titolo “Perché un’amicizia non è un’intervista”. Vorrei solo segnalarle che tra Wojtyla e l’ateo Sandro Pertini nacque, in occasione dell’attentato del 13 maggio 1981, una bella, intensa e duratura amicizia. Eppure Sandro Pertini nel 1948 in articoli su “Il Lavoro” di Genova addirittura scriveva “dio” anziché “Dio”!… Ma questa fu sempre un’amicizia RISERVATA, come sono le vere amicizie, mai esibita sui media e soprattutto non generò mai equivoci e ambiguità come l’amicizia reciprocamente manipolatoria di Bergoglio e Scalfari. Wojtyla, come Ratzinger, hanno avuto le loro amicizie, che però non hanno mai necessitato più volte di interventi dell’ufficio stampa della Santa Sede!
Del resto, si rilegga cosa ha scritto sul suo blog di “Repubblica” il 2 c.m. su questa “amicizia” un altro ateo, anzi un superateo come il Prof. Giorgio Odifreddi che ha avuto tempo fa uno scambio epistolare estremamente corretto col papa emerito Benedetto. Articolo che gli è costato la fine della sua collaborazione con “Repubblica”!
La compiango, perché ormai difendere Bergoglio (e il suo cerchio magico) dalle numerose apparenti “gaffes” (peraltro tutte volute e ricercate) sta diventando davvero difficile, specialmente per chi come lei sul suo sito esibisce l’orrore di essere “catholically correct”.
Cordiali saluti
Dr. Paolo
La seconda mi ha destato molta simpatia per l’atmosfera di famiglia in cui mi ha calato. E ha sottolineato un dettaglio interessante della trasmissione della messa del Pontefice nella visita a Padre Pio.
Carissimo Tosatti,
spero mi perdoni per l’incipit così familiare, ma le assicuro che è dettato dalla spontanea confidenza che si è venuta a creare giorno dopo giorno in modo sempre più naturale durante l’ormai quotidiano appuntamento con i suoi articoli. Dapprima me li gustavo per conto mio, poi via via si sono aggiunti anche i miei familiari, amici e, non ultimo, il mio giovane parroco (persona francamente molto in gamba), inizialmente scettico e tutto teso a salvare il salvabile da questo calderone pieno di intrugli pseudoteologici, pseudopastorali, pseudomorali, supercalifragilistichespiralidosi; dovetti trattenere con fatica una sonora, grassa risata quando giorni fa il pio uomo iniziò a farmi battutine dopo aver iniziato anch’egli a leggere regolarmente i suoi articoli, insieme a quelli di Magister, Bergoglionate (pardon: Cronicas..), Cesare Baronio ed altri della famiglia. Come di solito accade di fronte alla verità, o quanto meno all’esposizione della menzogna, dapprima ci si straccia le vesti increduli, poi si comincia pian piano a saggiarne la possibile veridicità, quantunque con sarcasmo e prevenzione; infine, a Dio piacendo, si arriva ad intravedere finalmente un barlume di luce e lì poi non ci ferma più nessuno.
Trovo molto gustoso piluccare quotidianamente le pagine internet per vedere se “il buon Tosatti”, come dice mia ma’ con un sorriso, ha postato qualcosa di nuovo; non però guidati da quella morbosa curiosità di conoscere l’ultimo scandalo, eh…la molla che ci spinge è quella di vedere se manca ancora molto alla fine del tunnel, se qualche anima timorata residente nei piani alti cui sta più a cuore la Fede che la poltrona finalmente si è mossa; o se il buon Jorge si è finalmente svegliato un mattino dal suo personal nightmare.
Per tutto quello che fa, quindi, un sincero e grande Grazie, caro Tosatti, unitamente ad una preghiera che è sicuramente la miglior compagna di viaggio.
Ed eccoci al motivo della mia lettera, ammesso che di motivo si possa parlare, dato che si tratta più di una babbionata, che se tempo addietro ci creava solo una fitta di dispiacere ora si limita a strapparci una risatina sarcastica (in fondo in fondo non così diversa dal dispiacere, che probabilmente abbiamo provveduto a mascherare per renderlo meno fastidioso, avvalendoci di una sorta di firewall psicologico).
Sabato 17 marzo: Bergoglio da san Pio di Pietrelcina; riprese, se non ricordo male (ne sono quasi sicuro), curate direttamente dallo staff televisivo vaticano.
Messa, momento della consacrazione:
Il vescovo di Roma alza l’Ostia e, al momento della deposizione e dell’(eventuale) genuflessione, la telecamera stacca sull’assemblea.
“Ma che ca… perché interrompere visivamente un momento così intenso per inquadrare i fedeli? Ma che senso ha??!
Mmhh, aspetta…mumble mumble…non è che… uhmm… ‘spetta và, che guardiamo come va con l’ostensione del calice.”
Nel momento esatto in cui Sua Franceschitudine abbassa il calice e si accinge alla genuflessione e/o saluto giapponese e/o esercizio motorio per la schiena eccoti di nuovo la telecamera che stacca brutalmente ed inquadra una seconda volta la folla.
Se due indizi fanno una mezza prova non c’è bisogno di aggiungere altro (per di più abbiamo poi notato la stessa reazione infastidita in svariati conoscenti, compresi coloro i quali solitamente si bevono ogni cosa che esce da Saint Marta’s inn come fosse un cordiale post pranzo).
L’unico pensiero che abbiamo avuto, dopo un mezzo sorriso tra il malinconico ed il sardonico, è stato chiederci, al di là degli ordini ricevuti, che cosa stessero pensando in quell’istante gli operatori della televisione vaticana e se magari si stessero vergognando un pochino.
Bene, mi sono dilungato anche troppo; mi scuso per averla annoiata con questa chiacchiera da bar, che forse avrei dovuto ignorare per concentrarmi su quello che davvero conta, ma avevo voglia di condividere con lei questa gag agrodolce tanto per non perdere la voglia di riderci su, che in tempi come questi spesso aiuta!
Le rinnovo il nostro grazie per l’eccellente servizio che rende a noi tutti lettori raddoppiando i saluti da parte di mia ma’, sua affezionata lettrice ed appassionata commentatrice.
Buona e serena giornata,
Joseph
E infine la terza lettera tocca un nervo eternamente scoperto in molti cattolici; e cioè la simpatia di cui sembrano godere certi personaggi in Vaticano, a dispetto delle loro politiche attive contro tutto ciò che è cristiano. Una lettera – giustamente, a nostro parere – indignata. E anche questa speriamo che superi tutti i muri e i cerchi fatati costruiti intorno al Pontefice.
niente è buono o cattivo in sé, ma nel nostro pensiero.. (Amleto: atto II, scena II)
Vorrei ritornare sull’argomento della “celebrazione” di certi personaggi, abortisti, fatta dagli alti gradi del Vaticano, sia perché, profondamente indignato come cattolico, non riesco a capacitarmi, sia perché credo che tale atteggiamento riveli, più di altre clamorose esternazioni, la linea della chiesa attuale e la rivoluzione in atto.
Appartengo alla generazione dell’immediato dopo guerra degli anni ’50. Sono di un paese come tanti di quell’Italia stremata, impoverita, umiliata, raggirata ma piena di speranza. Solo che la speranza non si mangia, non c’era da arrivare a fine mese ma a fine giornata. Non era ancora arrivata la televisione, noi bambini avevamo gli stessi giochi mirabilmente rappresentati nei mosaici di Piazza Armerina, sporchi e malconci con le scarpe rotte e gli inserti metallici sotto le suole, sfiniti dalle scorribande ma liberi, felici, solari. La libertà controllata era una conseguenza, non una scelta. Nessuna delle nostre madri aveva un impiego fisso ma avevano da impiegare il tempo, senza riposo, per necessità, per consuetudine familiare, per provvedere alla casa, alla cena, alla vita, alla dignitosa celebrazione delle feste religiose, nel cibo e nell’abbigliamento, con il sole, la pioggia, il freddo dei geloni, senza sapere che cosa fosse la malattia, anche quando c’era. Una delle occupazioni principali delle donne di paese, prima della tecnologia domestica globale, era lavare i panni al “lavatoio pubblico”. Se ne vedono gli effetti sulle mani di mia madre e delle donne della sua età, quelle che non hanno avuto la fortuna di impiegarsi in parlamento, deformate dall’artrosi ma senza lamenti o rimpianti. I figli, a volte numerosi, partoriti a casa, erano un dono di Dio, da far crescere, senza la pedagogia ideologica allora nascente, ma con la cultura della tradizione, la pratica quotidiana, la divisione chiara tra buono e cattivo, la distinzione netta tra generi, di cui, ovviamente, nessuno metteva in dubbio la inviolabile complementarietà, prima dello sfacelo. Finalmente in Chiesa, decorose, a fare dono a Dio del loro sacrificio. Hanno contribuito in modo oscuro, ma determinante, alla rinascita del Paese.
Poi, negli anni in cui TUTTO doveva essere cambiato (compresa la Chiesa), di cui ricorre una penosa e fasulla celebrazione, hanno continuato la vita di sempre, con profonda dignità. Non se ne sono andate in giro a praticare aborti con pompe da bicicletta e, poi, a riderci su o, infatuate, a manifestare con il gesto del “triangolo fatto con le dita, unendo le punte dei pollici e quelle degli indici…a formare, in mezzo, il vuoto, il varco di libertà attraverso cui passò una rivoluzione..”.. E quale rivoluzione, quale libertà! la libertà della perdita di un’identità, di un compito fondamentale, la emancipazione per totale imitazione del maschio, la confusione dei ruoli, il centralismo del piacere pilotato dalla sessualità, l’esibizionismo triviale e scandaloso, la seduzione letale del potere, la totale delegittimazione della famiglia quale cellula fondante della nostra cultura, fin dall’epoca preromana, ma è solo una piccola parte…
Se “quella” è una grande italiana che cosa dire di queste donne ? Ma poi, per essere grandi agli occhi di Dio, perché a noi cattolici solo quello interessa, non bisogna farsi piccoli ? A sentire certe glorificazioni, che, essendo reiterate, non possono essere frutto del caso, senza ripensamenti, correzioni o compensazioni, viene da percepire i “miasmi dell’Inferno” che hanno impregnato i luoghi del potere dei rampolli di quella rivoluzione che nulla, ma proprio nulla, ha a che vedere con il messaggio Evangelico.
Claudio
MARCO TOSATTI
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