ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 22 aprile 2018

La tristezza di non essere santi

PERCHE' E' UN "MERCENARIO"



«Perché è mercenario e non gl’importa delle pecore». Un velo di tristezza si è posato sullo sguardo limpido di quel "vecchio" sacerdote: "tutto ciò che gli era stato insegnato, ora viene denigrato dalla neochiesa progressista" 
di Francesco Lamendola   

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Il vecchio sacerdote mi guarda con un sorriso dolce, ma un’ombra di malinconia nello sguardo, e quell’ombra mi colpisce più di un aperto sfogo, perfino più che se lo vedessi piangere e sospirare, perché conosco la sua pazienza, la sua forza e la sua serenità, cui non è mai venuto meno in mezzo secolo di vita consacrata: Perché questo, sai, caro amico, è un momento un po’ così… Questa notte ho fatto un sogno, era quasi un incubo. Tutto il giorno avevo pensato a questi preti, a queste suore… In sogno vedevo e udivo certe cose, che mi lasciavamo profondamente amareggiato; mi son svegliato al suono della mia stessa voce, mentre dicevo: «No, non potete, non così…». E intanto mi guarda con quei suoi occhi azzurri trasparenti, con quel suo sorriso dolce, ma una piega un po’ amara sulle labbra, e io provo una pena profonda, ma più che pena è una sorda collera, una senso di radicale indignazione. Mi guarda e non so che cosa rispondergli; vorrei dirgli qualcosa, qualcosa che lo incoraggi, che gli restituisca quella serenità che ogni giorno, per cinquanta anni, lui ha distribuito ai fedeli, ai frequentatori della piccola chiesa; ma che dire che lui già non sappia, e senza cadere nella banalità più insulsa? Non è più tempo di parole, questo; non è tempo di frasi vuote, di circostanza. Sarebbe come parlare del tempo a bordo di una nave che è stata speronata e che rischia di affondare fra le onde.

In quel momento, un pensiero mi attraversa la mente: quest’uomo anziano, che ha speso la vita prendendosi cura delle pecorelle del gregge di Cristo (senza dire, come diceva don Milani, I careme ne importa, ma dimostrandolo coi fatti, perché la sua porta è sempre stata aperta alle persone con ogni genere di problemi, dai peccatori straziati dal rimorso alle vittime della ossessione diabolica) è, a sua volta, anche lui una pecorella, della quale i suoi pastori, a cominciare dal vescovo, dovrebbero prendersi cura, come della luce dei loro occhi: perché è per merito di ministri come lui che la Chiesa sta in piedi e riesce a fare del bene. Ma so che non è così: so che lo ignorano; e so che il comportamento di tanti pastori è ciò che lo fa soffrire. Allora mi ritorna alla mente quel bellissimo e commovente brano del Vangelo di Giovanni (10, 1-16), nel quale Gesù parla del buon pastore e dei falsi pastori che non amano le pecore, né mai darebbero la vita per difenderle, ma che sono pronti a scappare non appena vedono i lupi avvicinarsi al gregge per rapirle e disperderle:
«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore».

Non si è comportato da buon pastore l’arciprete locale, che non ha mai nascosto la sua diffidenza, per non dire la sua ostilità, nei confronti di questo vecchio, integerrimo sacerdote; né il vescovo, che non lo ha mai degnato di una vista pastorale, e fa finta che non esista nemmeno; e neppure il papa, che non cessa di dare scandalo alle sue pecorelle, ma anche ai pastori del suo gregge, fra i quali vi sono tanti altri sacerdoti come questo: persone degne, spirituali, desiderose solo di aiutare e salvare le anime loro affidate, eppure quotidianamente ostacolate, amareggiate, criticate, perché non sono sufficientemente moderne, sufficientemente in linea con le “riforme” del signor Bergoglio. Quanti sono i sacerdoti e quante le suore, a cominciare dai Francescani dell’Immacolata, ai quali il signor Bergoglio e il suo clero progressista, i Sosa, i Galantino, i Paglia, sono stati e sono quotidianamente di scandalo? Il loro numero è legione, ma non si vedono, tacciono e soffrono in silenzio, come, appunto, i Francescani dell’Immacolata. Non è gente usa ad alzar la voce, a protestare, a far parlare di sé; perciò non li si vede, è come se non ci fossero. Ma ci sono, e dell’anima di ciascuno di essiil neoclero progressista sarà chiamato a rendere conto. Non è giusto che un sacerdote quasi ottantenne, dopo una vita intera spesa nella sua missione di pastore del piccolo gregge, debba essere spinto nella palude dell’angoscia, del dubbio, dell’amarezza, solo perché un gruppo di modernisti si è impadronito del vertice della Chiesa. E non è giusto che vengano rivalutati dei sacerdoti che hanno provocato divisione e sofferenza, come don Lorenzo Milani, o dei vescovi che hanno sparso a piene mani il mal seme di un progressismo fin troppo palesemente ideologico, come Tonino Bello, mentre questi sacerdoti miti e modesti, silenziosi e obbedienti, vengono calpestati tutti i giorni e vengono offesi col silenzio, col disprezzo, con l’insofferenza dei loro superiori gerarchici, i quali si son lasciati conquistare dalle “novità” del mondo: vecchie, in realtà, quanto il mondo, e decrepite nella loro sostanza, sotto il balletto delle mode passeggere.

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Il mercenario quando vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge. E il lupo le rapisce e le disperde: egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 

Ora la “chiesa di papa Francesco” (come se esistesse una chiesa di papa Francesco; come se la Chiesa, con la maiuscola, non fosse sempre e solo di Gesù Cristo!) si è messa in capo di riabilitare tutti i ribelli, gli irrequieti, gli scontenti, che sono stati i precursori della conquista della Chiesa da parte del modernismo. Blaterando della “chiesa dei poveri” (altra espressione priva di senso, cioè eretica, perché la Chiesa è la Chiesa di tutto il popolo di Dio, poveri e ricchi, belli e brutti, bianchi e neri), i progressisti hanno fatto entrare nella Chiesa il cavallo di Troia delle categorie della cultura moderna, laicista, irreligiosa e massonica: hanno distrutto quel che era specifico della vera Chiesa e della visione cattolica del mondo, la capacità di porsi al di sopra del contingente, dell’effimero, dello storicismo, per abbracciare l’infinito e l’eterno. Credono, i progressisti, di aver realizzato un gran progresso: sono convinti che ora il cristianesimo è stato messo nella giusta prospettiva, perché guarda il mondo negli occhi, perché ragiona come il mondo, perché non evade di fronte ai problemi sociali, politici e perfino ecologici; e non vedono che lo hanno distrutto. Il cristianesimo non fuggiva davanti ai problemi della contemporaneità, né fingeva di non vederli: semplicemente, li guardava con l’occhio dell’assoluto, come è giusto che faccia chi ha compreso il Vangelo. Gesù non si faceva assorbire dalle contingenze storiche; non permetteva loro di relativizzare le sue Parole; era Lui che imponeva la prospettiva dell’assoluto alle cose di quaggiù, e chi voleva seguirlo, doveva partire da qui: dalla rinuncia alla contingenza e dalla volontà di abbracciare l’assoluto, facendosi abbracciare da Dio. I progressisti credono, e insegnano, che un Dio così sia un Dio oppiaceo: ma ciò accade perché essi sono diventati, in tutto e per tutto, dei marxisti, malamente travestiti da cattolici, e non lo sanno, o non lo vogliono sapere. Siccome hanno fatto indigestione di materialismo storico, essi pensano, proprio come pensava Marx, che, se non si parla dell’economia, della fame, dello stomaco, si sta tracciando la via verso l’alienazione; e poiché essi vogliono scrollare da sé questa orribile etichetta, di essere stati collaboratori dell’alienazione dell’uomo e, quindi, del suo sfruttamento, si gettano tutti dalla parte opposta: quella del mondo. Pur di liberarsi dal loro complesso di essere cattolici, questi marxisti che non sanno di esserlo preferiscono non parlare nemmeno del Vangelo, ma solo dei rifugiati, dell’accoglienza, dei poveri, della “strada”: sono preti di strada, vescovi di strada, teologi di strada, perfino cardinali di strada. Che bello. Peccato che sia un’assurdità e anche un’ipocrisia, come quella dei comunisti al caviale, dei marxisti con un reddito ad almeno cinque zeri. Oppure dicono che il Vangelo è questo, e lo riducono alle sole opere di misericordia materiale (quella spirituale non conta, per loro): il segno visibile della loro concezione è dato dalle chiese e dalle basiliche trasformate in dormitori e refettori per i “poveri” e i “migranti” (i poveri di spirito non li vedono neppure, e quanto ai poveri di casa nostra, non si può dire che li abbiamo mai commossi tanto come questi stranieri islamici e africani). Potrebbero farli dormire e farli mangiare in altri locali, ma no: devono usare le chiese, proprio perché le chiese sono fatte per pregare, per cercare Dio, per farsi riempire dall’Assoluto, e questo a loro non piace, dà loro fastidio. Quello che vogliono è dare uno schiaffo ai cattolici che, secondo loro, sono tradizionalisti e conservatori, e quindi, va da sé, chiusi, gretti ed egoisti: vogliono impedire loro di entrare in chiesa a pregare, e costringerli a vedere le chiese trasformate in refettori e dormitori. Lo vogliono fare per pura arroganza, per il puro gusto di “fargliela vedere”, per imporre la loro concezione ideologica del Vangelo come prosecuzione della lotta di classe. E siccome lo possono fare, perché hanno dalla loro parte tutto il vertice della neochiesa, o fanno; anche in questo sono moderni: ciò che si può fare, si fa, e tanto peggio per chi non è convinto (proprio come nel caso della neoscienza, ad esempio della bioingegneria): è il primato della prassi sulla dottrina, del fare sul pregare: è il rovesciamento dell’autentico Vangelo.  

«Perché è mercenario e non gl’importa delle pecore» 

di Francesco Lamendola

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