Marco Tosatti
Non sappiamo ancora come andrà a finire la saga di Alfie Evans. Forse avrà un lieto fine, forse terminerà in tragedia. Ma alcune cose le possiamo già dire e vedere. La prima: hanno vinto Alfie, Thomas e Kate e i dottoroni dell’Alder Hey Hospital hanno perso, confermando quello che da sospetto si sta trasformando in certezza. E cioè che nel caso del piccolo hanno capito poco, e hanno sbagliato molto. Secondo loro tolti i supporti Alfie avrebbe dovuto morire in breve tempo. Tredici ore dopo è ancora vivo. I medici sono “gobsmacked”, ha detto Thomas, del fatto che sia ancora vivo e stia respirando. “Sbalorditi”.
Quindi, e questo ci sembra che sia chiaro, hanno cercato di ucciderlo: nelle intenzioni del giudice Hayden, che speriamo – ma non ci speriamo troppo – venga ripagato per la sua straordinaria caparbietà nel voler negare diritti primordiali naturali ai genitori e figlio – e in quelle dell’Alder Hey Hospital. E se capiamo l’ospedale – se Alfie dovesse arrivare in Italia, e persino migliorare, beh questo costituirebbe una patente mondiale di incapacità all’ospedale e al National Healts System, il giudice proprio non riusciamo a comprenderlo. Ci mancano degli elementi. Certo, la patente di incapaci sarebbe tanto più bruciante perché verrebbe dal sud dell’Europa, dall’Italia, a cui gli anglosassoni, e non solo loro, guardano con un razzismo e con pregiudizi che tutto il loro politically correct non riesce a mascherare neanche un po’.
Comunque vada, che Alfie viva o muoia – Dio non voglia – ha dimostrato che quelli che si sono schierati dalla sua parte avevano ragione; e che forse se invece di questa assurda battaglia che non so se definire più orwelliana o kafkiana ci si fosse adoperati per aiutarlo prima, le chances sarebbero state ancora maggiori. E che non era un problema di ideologie, di radicalismi religiosi o ideologici; ma di pura e semplice difesa di diritti naturali.
Che invece stranamente vengono attaccati dal partito dei boia, a cui si sono inscritte di recente – anche stamattina – alcune figure di commentatrici pensierose e filosofiche. Che, naturalmente, non hanno figli. Posso dire una cosa? Ciascuno ha il diritto di pontificare su quello che vuole; ma vedere gente che non ha avuto figli, e non sa che cosa sia averli, non idealmente, ma nella pelle, nelle notti perse, nelle ansie, nelle gioie, e che da un bel pulpito ne discetta con sapienza e brillantemente, mi provoca fenomeni di orticaria. Mi viene in mente un’amica inglese, che mentre durante il parto si lamentava per le doglie, e fu rimproverata da una suora che la accompagnava. “You try, bloody virgin!” le rispose. “Provaci tu, dannata vergine!”. Ecco, è quello che vorrei dire. E vorrei che i soloni sterili facessero come la suora in questione: tacessero.
Questo è l’articolo in spagnolo.
Aristotele contro la Marzano. È la felicità che vince
don Francesco Capolupo
Quale sarà lo stile di vita di un cittadino della polis? Il fine ultimo per Aristotele è certamente sapere cosa vuol dire essere buoni, ma anche e soprattutto diventare buoni. L’etica, per il Nostro, non è un elenco di norme ma deve mirare a rintracciare qual è il fine della vita umana. Esso è la felicità: la ricchezza o il piacere possono essere dei fini, ma in realtà sono più propriamente tappe verso la felicità. Ciò che differenzia l’uomo dal resto è la ragione: il bene sarà allora vivere secondo ragione. L’uomo non sceglie di essere felice ma solo i mezzi che possono condurlo alla felicità. Il piacere è un bene, non il bene: tanto sarà migliore quanto migliore è l’attività che lo accompagna. Per questo motivo Aristotele distingue tra felicità e felicità compiuta. Nella vita secondo ragione risiede la virtù: ciò che fa si che l’uomo sia permanentemente uomo. La felicità può essere allora definita come attività dell’anima secondo virtù.
A leggere l’articolo della prof.ssa Marzano viene da pensare che oltre ad una massiccia dose di “irrazionalità”, la nostra non abbia mai studiato Aristotele ed il pensiero greco in genere, perché occupare una cattedra di filosofia morale senza i presupposti morali del pensiero ellenico grida vendetta di fronte a Dio e al mondo.
Sorprendono gli schizzi di profondo rancore che la Nostra nutre nei confronti della lotta per la salvaguardia della vita e sorprendono a tal punto da costringere ad alcune riflessioni.
La professoressa si stupisce che ci siano persone che per difendere la vita “mettano in discussione l’accesso alle ivg o l’approvazione di suicidio assistito e accanimento terapeutico“; si stupisce in, estrema sintesi, che ci siano persone che affermano il diritto a vivere. Filosoficamente, esiste il diritto alla felicità che non è la possibilità di crearsi una propria felicità a scapito dell’esistenza altrui come la prof.ssa Marzano vuol far credere ma esercitare la virtù,come ci ricorda Aristotele, senza confondere l’oggetto del nostro agire (il sommo bene) con gli strumenti (piacere, beni, etc.). Perché dovremmo salvare la vita ad Alfie? Per affermare il diritto a difendersi da una ingiusta condanna a morte, per affermare il diritto ad essere genitori per suo padre e sua madre, visto che hanno dato la vita ad Alfie e altro non fanno che reclamare la possibilità di educarlo, amarlo, fin quando non sarà la Natura (Dio) a dire che la sua esistenza terrena sia compiuta. Per quale assurda ipotesi un bambino straniero dovrebbe diventare italiano (come auspica la Marzano) sulla base del luogo di nascita se poi alla pari non riconosciamo a milioni di bambini il diritto di nascere (aborto)? Il diritto a vivere? Le tesi della prof.ssa Marzano mancano delle più elementari basi di gnoseologia e logica, avendo come risultato che una morale fondata sul personalismo avulso dalla metafisica (in fin dei conti dalla verità) conduce all’ideologia dell’odio, dello scarto, di un relativismo gretto e barbaro che ha i suoi modelli più scabrosi nell’eugenetica nazista e nell’odio gulaghista del comunismo sovietico.
Il diritto di Alfie a vivere corrisponde al suo diritto alla felicità, non come esercizio del piacere (come vorrebbe la Marzano) ma come adeguamento alla Verità.
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