ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 28 maggio 2018

Ci si è allontanati dal messaggio

Il mondo è cambiato. E ci si è allontanati dal messaggio

E’ in crisi anche la Chiesa cattolica, ma non perché non sia più credibile o sia ormai impraticabile il suo messaggio, ma perché ci si è allontanati da esso

Certo, non sono dei gran bei giorni questi. Soprattutto quello di ieri, soprattutto per l’Irlanda. Ma un male che accade in Irlanda è un male che riguarda tutti noi, anche se non siamo irlandesi.

Come noto, ieri, in Irlanda, si è tenuto un referendum con il quale si chiedeva se abrogare o meno l’8° emendamento della Costituzione. Il risultato ha visto la netta vittoria degli abrogazionisti, seguirà dunque una legge che legalizzerà l’aborto. 


Ecco cosa dice l’ottavo emendamento: “Lo Stato riconosce il diritto alla vita del nascituro e, nel rispetto dell'eguale diritto alla vita della madre, garantisce nelle sue leggi il rispetto e, per quanto possibile, per mezzo delle sue leggi, la difesa e la rivendicazione di tale diritto”.

Come si può vedere, l’Irlanda risultava essere, almeno fino a ieri, tra le poche nazioni al mondo a riconoscere il diritto alla vita del nascituro “nel rispetto dell’eguale diritto alla vita della madre”. Ora tutto questo sarà cancellato. Il risultato della consultazione ci dice che anche l'Irlanda si è finalmente unita alle altre nazioni europee che si sono date da fare per ottenere un fallace “traguardo di civiltà”. In quel Paese, dopo l’approvazione del matrimonio omosessuale del 2015, il risultato di ieri rappresenta l'estinzione dell'ultima cosa che ha reso l'Irlanda un bel paese rispetto ai suoi vicini. Da oggi, invece, l’Irlanda è solo un'altra “piccola” tragedia.

Uno dei gruppi che si sono battuti per mantenere l’emendamento ha dichiarato: "Quello che gli elettori irlandesi hanno fatto ieri è una tragedia di proporzioni storiche. Tuttavia, un errore non diventa giusto semplicemente perché la maggioranza lo sostiene". Ed a ragione. Nessuna legge, come nessun referendum, può cancellare quello che è un diritto naturale, il diritto alla vita, un diritto fondamentale su cui si incardinano tutti gli altri diritti. Una legge che legalizza l’aborto non riduce il dolore, anzi, lo aggrava.

Certamente si rifletterà sulle cause che hanno portato a questo risultato. Tra queste, un ruolo di primo piano è attribuibile alla marea montante di una scristianizzazione della società occidentale. 

Inoltre, la data di ieri segna un’ulteriore tappa dell’inarrestabile declino, se non della morte, di quel "cattolicesimo culturale", cioè di quella espressione pubblica della fede che il papa santo Giovanni Paolo II così riassunse: "Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta".

Si parlava prima delle cause. Forse, sarebbe anche il caso di parlare delle colpe, comprese quelle della Chiesa. Ha fatto un certo scalpore la presa di posizione di una associazione di sacerdoti, che conta oltre 1.000 membri, che in un comunicato , tra l’altro, ha dichiarato: Siamo anche consapevoli, e ci viene costantemente ricordato nel nostro ministero, che la vita umana è complessa, perché crea situazioni che sono più spesso grigie che in bianco e nero e che richiedono da noi un approccio pastorale sensibile e non giudicante. Inoltre, in quanto leader di un’associazione composta da uomini non sposati e senza figli, non siamo nella posizione migliore per essere in alcun modo dogmatici su questo tema”.

Chiaro? Sacerdoti che di fronte alla possibilità della liberalizzazione dell’aborto dicono che “la vita è complessa”, le “situazioni non sono bianche e nere ma grigie”, “non bisogna essere giudicanti” e che, essendo sacerdoti, non possono essere “dogmatici su questo tema”.

Ma se il 25 maggio ha segnato una data infausta per Irlanda, in Italia, il 22 maggio scorso ha segnato il quarantennale dalla approvazione della legge 194, quella che ha legalizzato l’aborto. Diverse sono state le interviste fatte a varie personalità, sia laiciste, vedi Emma Bonino, sia cattoliche.

Una mi ha colpito in particolare, quella a Lucetta Scaraffia, storica, collaboratrice dell’Osservatore Romano, il giornale del Vaticano, nonché direttrice di “Donna Chiesa Mondo”, l’inserto dell’Osservatore Romano che si occupa delle donne.

In una intervista sul Corriere della sera del 22 maggio scorso, alla seguente domanda: “Professoressa Scaraffia, lei da cattolica è contraria alla legge 194 sull’aborto?”, la Scaraffia ha risposto: “Io sono contraria all’aborto, e favorevole alla sua depenalizzazione. La 194, quando è stata fatta, era una buona legge”. Ed alla domanda: “Dall’ultimo rapporto sulla 194 risulta però che tra i giovani sia in aumento l’uso del preservativo maschile”, la Scaraffia ha risposto: “Speriamo. Io credo che questo sia anche per motivi ecologici, per non farsi avvelenare dagli ormoni della pillola anticoncezionale”.

Ricordavamo al tempo del referendum del 1981 le posizioni di tanti cattolici assolutamente contrari all’aborto ma fermamente favorevoli alla legge che lo legalizzava perché, si diceva, si è in democrazia, e dunque bisogna rispettare il diritto degli altri (sic!!!). La sorpresa di oggi è che queste persone le troviamo come direttori dei mezzi di comunicazione del Vaticano.

Ed allora, è vero che i tempi sono cambiati, ma è altrettanto vero quello che nel 1987 il filosofo Augusto Del Noce disse a Vittorio Messori a proposito della crisi della società: E’ in crisi anche la Chiesa cattolica, ma non perché non sia più credibile o sia ormai impraticabile il suo messaggio, ma perché ci si è allontanati da esso”.

Sabino Paciollasabato 26 maggio 2018


Fonte:
CulturaCattolica.it

Irlanda addio

    «Un’infanzia infelice irlandese è peggio di un’infanzia infelice qualunque, e un’infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora». Le parole  dell’amato Frank McCourt in Le ceneri di Angela mi frullano nella testa dopo che  anche l’Irlanda ha detto sì all’aborto. L’ha detto in modo fragoroso, con una vittoria dei sostenitori del cosiddetto «diritto all’aborto» (66,4% per il sì, 33,6% per il no) che nessuno aveva ipotizzato in misura così schiacciante. E se un paese vota così c’è un perché.
Nella maggior parte dei commenti le espressioni di giubilo si sprecano. Si parla di giorno storico, di un’epoca nuova che si apre, specie per le donne, di un’Irlanda che volta pagina eccetera. Di fatto viene meno la tutela del nascituro. Ma sembra che importi a pochi.
Il premier, Leo Varadkar,  ha detto che la vittoria del sì al referendum sull’aborto «rappresenta il compimento di una rivoluzione silenziosa che è iniziata dieci, venti anni fa». E in effetti è così.
Il voto a favore delle nozze omosessuali e l’ascesa politica di un omosessuale dichiarato e militante come Varadkar avevano già fatto capire da che parte tirasse il nuovo vento. E la Chiesa lì a guardare, intimidita e ancora stordita dallo scandalo pedofilia. Ma il risultato del referendum, viste le dimensioni della sconfitta dei pro-life, è qualcosa di più di una conferma. Sembra proprio che l’Irlanda abbia cambiato anima.
E mentre dall’estero fioccano le congratulazioni di esponenti politici stranieri, riparte il dibattito nell’Irlanda del Nord, dove a opporsi all’aborto ormai sono solo i protestanti della destra unionista al potere a Belfast e dove il divieto per ora resta, anche se le donne nordirlandesi, in quanto suddite britanniche, possono andare ad abortire altrove nel Regno, facendosi poi rimborsare le spese dal sistema sanitario nazionale.
Non stupisce che dopo il risultato del referendum i commenti siano quasi tutti improntati all’entusiasmo. Tra le poche eccezioni un dolente articolo  https://www.lifesitenews.com/opinion/across-the-land-of-st.-patrick-night-has-fallen  che nel sito LifeSiteNews parla di «notte scesa sulla terra di San Patrizio» e, prendendo spunto dalla prossima visita di papa Francesco, ripercorre utilmente la storia del rapido processo di secolarizzazione in Irlanda a partire da un’altra visita papale, quella di Giovanni Paolo II nel 1979.
In trentanove anni l’isola di smeraldo ha cambiato volto dal punto di vista culturale e religioso, tanto che l’Irlanda che accoglierà Francesco nel prossimo agosto, per l’incontro mondiale delle famiglie, ha ben poco a che fare con quella che accorse per dare il benvenuto a Giovanni Paolo II.
Nell’articolo si rievoca il trionfo di Wojtyła in quei giorni: un milione e 250 mila persone, un quarto della popolazione, presenti alla messa di apertura della visita nel Phoenix Park di Dublino. Più di 250 mila alla funzione vicino al confine irlandese quella sera stessa. E poi centinaia di migliaia di persone per le strade di Dublino mentre il corteo papale si dirigeva verso la residenza presidenziale. Davvero fu qualcosa di più di un benvenuto. In quei giorni l’Irlanda si strinse attorno al papa per ribadire un’identità, per riaffermare con orgoglio la propria peculiarità di nazione cattolica.
La visita fu un grande successo e la Chiesa d’Irlanda si congratulò con se stessa e con tutti i fedeli, ma in realtà quei giorni di festa segnarono la fine di un’epoca. Proprio da quel momento in poi l’Irlanda cattolica incominciò a declinare, a perdere le sue sicurezze, e la secolarizzazione prese piede a ritmi sempre più accentuati. Quindici secoli di fedeltà stavano per venir meno. Quando l’aereo papale lasciò l’isola, un’ombra incominciò a scendere sopra l’Irlanda: il paese aveva reso gli onori al papa ma, in fondo, anche a se stesso. Ora stava per nascere un paese diverso.
È vero che i tassi di frequenza alle messe e alle altre cerimonie religiose sono ancora tra i più alti d’Europa, ed è vero che qui, molto più che in Italia, è facile vedere famiglie numerose. Ma l’anima irlandese è cambiata. E certamente la Chiesa ha più di una responsabilità: poiché controllava quasi tutto (giornali, scuole, ospedali) si era illusa di poter continuare così.
Una svolta determinante fu segnata dai casi di pedofilia emersi a partire dal 2005, quando il governo decise di rendere noto il Rapporto Ferns sugli abusi del clero. A poco a poco l’enorme dimensione del fenomeno pedofilia emerse in modo sempre più chiaro, come dimostrarono altri tre drammatici documenti: il Rapporto Ryan e il Rapporto Murphy del 2009 e il Rapporto Cloyne del 2011. Ne venne fuori una Chiesa profondamente malata e la sua credibilità ne risultò minata in modo devastante.
Benedetto XVI non rimase a guardare: sguinzagliò i suoi ispettori e li mandò ovunque, con il compito di portare alla luce la verità, smascherare insabbiamenti e complicità, rincuorare i fedeli, aiutare le vittime, rivedere le procedure, aprire un processo di rinnovamento spirituale e morale. Il 19 marzo 2010, nel giorno di San Giuseppe, il papa scrisse una lettera a tutti i cattolici d’Irlanda. Si apriva con queste parole: «Cari fratelli e sorelle della Chiesa in Irlanda, è con grande preoccupazione che vi scrivo come Pastore della Chiesa universale. Come voi, sono stato profondamente turbato dalle notizie apparse circa l’abuso di ragazzi e giovani vulnerabili da parte di membri della Chiesa in Irlanda, in particolare da sacerdoti e da religiosi. Non posso che condividere lo sgomento e il senso di tradimento che molti di voi hanno sperimentato al venire a conoscenza di questi atti peccaminosi e criminali e del modo in cui le autorità della Chiesa in Irlanda li hanno affrontati».
Davvero Benedetto XVI mise in pratica quella che i giornali chiamarono la «tolleranza zero». Tanto mite nei modi quanto deciso nella sostanza, pretese la verità e non ammise zone d’ombra. Circa le cause del disastro, nella lettera ai cattolici irlandesi scriveva: «Solo esaminando con attenzione i molti elementi che diedero origine alla presente crisi è possibile intraprendere una chiara diagnosi delle sue cause e trovare rimedi efficaci. Certamente, tra i fattori che vi contribuirono possiamo enumerare: procedure inadeguate per determinare l’idoneità dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa; insufficiente formazione umana, morale, intellettuale e spirituale nei seminari e nei noviziati; una tendenza nella società a favorire il clero e altre figure in autorità e una preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa e per evitare gli scandali, che hanno portato come risultato alla mancata applicazione delle pene canoniche in vigore e alla mancata tutela della dignità di ogni persona. Bisogna agire con urgenza per affrontare questi fattori, che hanno avuto conseguenze tanto tragiche per le vite delle vittime e delle loro famiglie e hanno oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione».
Tuttavia, per quanto incisiva, l’azione di Benedetto XVI non riuscì a ristabilire la fiducia tra gli irlandesi e la Chiesa cattolica. Certamente il processo di secolarizzazione ci sarebbe stato lo stesso, anche senza lo scandalo pedofilia, perché questo è comunque lo spirito del tempo. Ma lo scandalo determinò una ferita che resta sanguinante.
E poi naturalmente c’è stato tutto il resto. Come ovunque in Europa, è arrivata la società aperta, ma qui tutto ha preso l’aspetto di uno tsunami, vista la situazione precedente e la rapidità della trasformazione. Se nel 1979, l’anno della visita di Giovanni Paolo II, l’Irlanda poteva ancora considerarsi in tutto e per tutto un’isola (cultura chiusa, orgogliosa, appartata, refrattaria agli influssi esterni), nel giro di una ventina d’anni ecco la globalizzazione economica e sociale, ecco i nuovi mass media, Internet,  i viaggi, gli scambi, l’irrompere del virtuale. Una popolazione prevalentemente rurale e povera diventa  urbana e ricca. Il salto economico è stupefacente, lo sviluppo tumultuoso.
Il risultato referendario è figlio di tutto questo, di questa storia che non si può dimenticare e che qualcosa dovrà insegnare.
Il 25 e 26 agosto papa Francesco sarà a Dublino per l’incontro mondiale delle famiglie e ascolteremo le sue parole. Da quasi un anno, in preparazione dell’evento, l’icona ufficiale dell’incontro sta girando per l’intera Irlanda, di parrocchia in parrocchia. Rappresenta la sacra famiglia, la resurrezione della figlia di Giairo e le nozze di Cana.
Aldo Maria Valli
Tornare alla Chiesa militante







Tornare alla Chiesa militante: è stato questo il vibrato e coinvolgente appello, lanciato da mons. Athanasius Schneider, Vescovo ausiliario di Astana (Kazakistan), al Rome Life Forum svoltosi gli scorsi 17 e 18 maggio a Roma presso l’Angelicum, alla vigilia dell’VIII Marcia per la Vita.
La vita dei cristiani sulla terra è una lotta. Quando non c’è battaglia, non c’è Cristianesimo. Quando non c’è combattimento, non esiste una vera Chiesa di Dio, non esiste davvero la Chiesa Cattolica. Il dovere cristiano è quello di combattere il peccato e le tentazioni del mondo, compresi gli errori all’interno della Chiesa stessa, cioè l’eresia e l’ambiguità nella Dottrina.
Ma come oggi il cattolico può e deve vivere il proprio stato di miles Christi, di soldato di Cristo? Ecco cosa ci risponde mons. Schneider…

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