ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 27 maggio 2018

Fa tremare i polsi



Oggi 26 maggio il calendario ricorda San Filippo Neri, un grande protagonista dell’epoca d’oro della Controriforma della Chiesa, che diede alla sfida lanciata con arroganza da Lutero anzitutto una risposta di santità. L’eresiarca di Wittenberg venne smentito nei fatti dai grandi santi, dai mistici, dagli asceti, dai semplici e umili preti fedeli alla dottrina.
Tra queste grandi figure c’era quella di San Filippo Neri, grande testimone della Fede, innovatore nei metodi ma fedelissimo ai principi della Tradizione. Ebbe estimatori illustri, come l’amico cardinale Carlo Borromeo. Fu sempre un semplice prete, che dedicava tantissimo tempo alla confessione. Il fatto che girasse per le strade per salvare i bambini dalle fauci dei quartieri romani, lo ha fatto indicare da qualcuno come il primo “prete di strada”. Magari fossero davvero come lui i “preti dì strada”: si presentava sempre con la sua veste talare, era in giro non per fare discorsi o per attirare l’attenzione dei potenti, ma per salvare le anime. Degli onori, anche di tipo ecclesiale, a Filippo non importava nulla: rifiutò persino di diventare cardinale, rispondendo all’offerta della berretta cardinalizia con una frase assai eloquente: «Preferisco il Paradiso».
Mi è venuta in mente questa risposta pensando al recente annuncio fatto dal papa di un nuovo concistoro e alle nuove nomine cardinalizie.

Ormai Bergoglio ci ha abituato a una frequenza assai elevata di concistori, quasi che avesse fretta di portare ad un ampio ricambio del collegio cardinalizio con porpore di sua nomina.
Ognuna di queste tornate lascia stupiti. Spesso non tanto per le nomine fatte, ma per quelle omesse. Solo per stare all’Italia, ormai sono costantemente “saltate” sede tradizionalmente cardinalizie, come quella di Torino o quella – assai prestigiosa – di Venezia. Anche eminenti curiali come monsignor Fisichella ormai vedono allontanarsi forse definitivamente la berretta rossa. Ma forse la mancata nomina più eclatante in questa occasione è stata quella di Milano. L’arcidiocesi di Sant’Ambrogio e san Carlo è da sempre sede cardinalizia. Monsignor Delpini, per tanti anni infaticabile lavoratore nella vigna ambrosiana e dall’anno scorso successore di Scola, non è stato preso in considerazione dal vescovo di Roma. Eppure l’arcivescovo di Milano è a capo della più grande diocesi europea, una delle maggiori al mondo per estensione e numero di anime.
Il papa ha anteposto a lui e ai titolari delle altre grandi sedi storiche italiane l’arcivescovo dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi, il suo vicario per l’Urbe, monsignor Angelo De Donatis, e il curiale sostituto alla Segreteria di stato Angelo Becciu.
È chiaro che il papa – e in particolare un papa come Jorge Mario Bergoglio – è un sovrano assoluto, che mostra di decidere le nomine cardinalizie a propria personale discrezione e secondo i propri criteri, totalmente indifferente verso tradizioni consolidate. È in suo potere farlo e lui lo fa. Si dice che questa prassi stia generando parecchi malumori tra la gerarchia. È comprensibile, umanamente. Ma in fondo, e ciò vale soprattutto per i vescovi che ancora si occupano della cura d’anime, questo non dovrebbe costituire un problema. In fondo a cosa serve l’investitura cardinalizia? Fondamentalmente a una cosa sola: eleggere un nuovo papa. E se Bergoglio – lui sì – è preoccupato di formare un collegio cardinalizio a propria immagine e somiglianza, per avere dopo di lui un Francesco II, e poi magari un III e così via, come profetizzato da Aldo Maria Valli nel suo straordinario romanzo Come la Chiesa finì, i vescovi “scavalcati” possono stare tranquilli e meditare sulle parole del grande santo fiorentino trapiantato a Roma: davvero è meglio il Paradiso, soprattutto se confrontato con quello che aspetta i cardinali in questo momento drammatico della storia della Chiesa, e anche pensando a un prossimo eventuale conclave, che fa tremare i polsi.

– di Paolo Gulisano


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