Giornata di studio non di chiacchiere per capire la crisi nella Chiesa
La “Fondazione Lepanto” con il professor Roberto de Mattei e “Corrispondenza Romana“, il 23 giugno ha guidato “una qualificata giornata di studio sul tema Vecchio e nuovo Modernismo: radici della crisi nella Chiesa“. Noi eravamo presenti e, davvero con l’aiuto di Dio, la giornata è stata una vera pioggia di Grazia, perciò proveremo a sintetizzarla per i nostri lettori.
Ci teniamo a precisare subito che non è stato una conferenza “contro” qualcuno, non è stato un incontro di “chiacchiere”, non è stato un “processo a Bergoglio”, ma una vera giornata di studio che, attraverso gli interventi di grandi, ma anche davvero piccoli ed umili professori e studiosi dei vari temi affrontati, hanno aiutato ad approfondire sulla grave crisi che stiamo vivendo, anche ripercorrendo le varie tappe della storia della Chiesa.
In questo link: Come la Chiesa cadde nella mani dei neomodernisti, trattammo già in parte alcuni di questi argomenti, ma la giornata di studio di ieri, è stata decisamente molto più qualificata dei nostri poveri mezzi, e noi siamo così felici di poter riempire i tanti vuoti lasciati in sospeso, attraverso l’intervento di persone esperte, sì, ma anche molto umili e molto generose per tentare di completare quadri storici complessi che si stanno riflettendo oggi nella crisi della Chiesa che tutti stiamo vivendo, con immensa sofferenza.
Il professor Roberto de Mattei, al termine del suo intervento, dopo aver disegnato una vasta panoramica sul Modernismo e il neo-modernismo, ha concluso con queste parole che facciamo nostre:
“Il problema che affrontiamo non è una questione astratta, ma tocca concretamente il modo di vivere la nostra fede, in un momento storico descritto da Benedetto XVI, alla vigilia della sua rinuncia al pontificato, con queste parole: “Come sappiamo, in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi”
Io credo che alle origini della abdicazione di papa Benedetto ci sia stata anche la consapevolezza di avere perso questa sfida, a causa della inadeguatezza della “ermeneutica della continuità”, un’impostazione teologica che fa proprio l’errore che vuole combattere. Al neo-modernismo, che si presenta come un’interpretazione soggettiva e mutevole della dottrina cattolica, bisogna opporre non un’ermeneutica di senso contrario, ma la pienezza della dottrina cattolica, che coincide con la Tradizione, mantenuta e trasmessa non solo dal Magistero, ma da tutti i fedeli, “dai vescovi agli ultimi laici”, come esprime la celebre formula di sant’Agostino. Il sensus fidei ci impone di rifiutare ogni deformazione ermeneutica della verità, appoggiandosi sulla Tradizione immutabile della Chiesa.
Non basta tuttavia limitarsi ad affermare che la dottrina della Fede è immutabile, bisogna aggiungere che essa non è impraticabile e non ammette eccezioni sul piano della prassi.Bisogna ricomporre la dissociazione che i neo-modernisti hanno operato tra la dottrina e la prassi, restituendo alla Verità e alla Vita l’inscindibile unità espressa dalle quelle Parole di Gesù Cristo che ci indicano la sola Via possibile nell’oscurità dell’ora presente (Gv, 14, 6)”.
Così, ad aprire i lavori di studio è stato il dott. Joseph Shaw, presidente della Latin Mass Society e segretario della Federazione Internazionale Una Voce, il quale ha concluso il suo intervento con le parole del Vescovo San Vincenzo di Lerins, non estrapolate come leggiamo spesso, ma inclusive di domande che anche oggi ci interpellano:
“..oggi, ci riuniamo per studiare e discutere alcune di queste questioni fondamentali. Lungi dall’essere una distrazione dall’attuale crisi che si verifica a tutti i livelli, nelle diocesi e nelle parrocchie di tutto il mondo, credo che sia l’unico approccio che possa affrontare i nostri problemi pratici in modo costruttivo, e conferisce significato e peso a tutte le cose sensate che vengono dette sulle questioni meno fondamentali, specifiche, che si spostano di giorno in giorno come le dune di sabbia nel deserto.
Le questioni di cui ci occupiamo oggi sono importanti, e il nostro scopo oggi è di aprire, o di far progredire, il dibattito su di esse, piuttosto che chiuderlo. Non abbiamo una serie di conclusioni prestabilite, non miriamo a produrre una dichiarazione congiunta, e non abbiamo chiesto ai nostri oratori di limitarsi ad un unico punto di vista. Desideriamo approfondire, discutere, fare luce, in modo tale che alla fine contribuiremo a fornire una base intellettuale e culturale su cui possa essere costruita una difesa coerente e attraente della Fede, una difesa che sia la prova contro un’intera gamma di errori molto alla moda. Lo facciamo in tutta umiltà, come teologi, filosofi e storici, non semplicemente disposti, come dice la frase convenzionale, a sottoporre il nostro giudizio al giudizio della Chiesa, ma mirando soprattutto a portare alla luce, a chiarire, e raccomandare a tutti gli uomini di buona volontà non le nostre speculazioni, ma questo stesso giudizio della Chiesa. Nelle parole di san Vincenzo di Lerins:
- “Ora nella stessa Chiesa cattolica facciamo la massima attenzione a mantenere ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti …. Ci atterremo alla regola se seguiamo l’universalità, l’antichità, il consenso. Seguiremo l’universalità se riconosciamo che la fede, che tutta la Chiesa nel mondo confessa, è vera; l’antichità, se non ci allontaniamo in alcun modo delle interpretazioni che chiaramente i nostri antenati e padri hanno proclamato; consenso, se nell’antichità stessa continuiamo a seguire le definizioni di tutti, o quasi tutti, vescovi e dottori allo stesso modo …
- Cosa farà il cristiano cattolico, se una piccola parte della Chiesa si è staccata dalla comunione della Fede universale? … Preferirà la salubrità di tutto il corpo all’arto morboso e corrotto. Ma se un nuovo contagio provasse ad infettare tutta la Chiesa, e non solo una parte di essa? Quindi, si prenderà cura di attenersi all’antichità che non può essere ora fuorviata da alcun inganno di novità. Ma cosa accadrebbe se nell’antichità stessa due o tre uomini, o potrebbe essere una città, o addirittura un’intera provincia, venissero rilevati per errore? Quindi prenderà la massima cura per preferire i decreti degli antichi Consigli generali …. Ma cosa succede se si verifica qualche errore e riguardo a questo non si trova nulla di questo tipo? Quindi deve fare del suo meglio per confrontare le opinioni dei Padri …. E qualunque cosa troverà che è stata approvata e insegnata, non solo da uno o due, ma da tutti ugualmente e con un solo consenso, apertamente, frequentemente e con insistenza, che lo prenda senza la minima esitazione”…”
Alla domanda “Collegialità: una nuova dottrina?” è intervenuto padre Albert Kallio, un domenicano, anch’egli canadese, relatore a congressi teologici in Francia e negli Stati Uniti, docente di Filosofia presso il monastero benedettino di Silver City in New Mexico, Stati Uniti. Il suo intervento è stato davvero magistrale partendo da una panoramica storica ed ecclesiale su questa “collegialità” che l’allora cardinale Montini, diventato poi papa col nome di Paolo VI, e guidando il Concilio Vaticano II, portò questa collegialità alle estreme conseguenze, quelle conseguenze che oggi stiamo vedendo anche nel caso della conferenzaepiscopale tedesca, vedi qui, attraverso la quale è chiaro cosa sta facendo papa Francesco oggi: portare tutti i Vescovi ad una unità in decisioni PASTORALI DISSOCIATE DALLA DOTTRINA. Che vi piaccia o meno, come stringiamo noi, una unità nella falsità, unità nell’eresia, unità nell’apostasia. Padre Albert Kallio, riporta che:
- “…i sostenitori della collegialità ammettono che è una nuova dottrina, come per esempio il domenicano p. Yves Congar, che, in un articolo scritto nel 1951, sembra aver inventato egli stesso il termine per tradurre la parola russa: “sobornost” . Scrive allegramente nel 1963, dopo la Prima Sessione del Concilio:
- L’idea della “collegialità episcopale” ha, nel giro di pochi mesi, conquistato l’opinione teologica. La parola stessa è diventata quasi una sorta di talismano magico … L’annuncio del Concilio, quindi la sua celebrazione, ha permesso e innescato questa ascesa trionfale dell’idea e della parola. Tutto ad un tratto, la scena della Chiesa era cambiata…”
Naturalmente noi qui stiamo sintetizzando gli interventi per i quali rimandiamo poi ai testi integrali (e ai vari video) che possono essere richiesti a “Corrispondenza romana” e che a breve – una volta resi pubblici – potremo offrirvi tutti in formato pdf.
E’ intervenuto anche il prof. Enrico Maria Radaelli (che salutiamo con affetto anche per la sua amicizia e pazienza verso di noi) sul tema «Romano Amerio e il modernismo».Radaelli, che rilasciò a noi una interessante intervista che vi invitiamo a leggere qui, è docente di Filosofia dell’estetica e direttore del Dipartimento di Estetica dell’Associazione Internazionale «Sensus Communis» di Roma, è discepolo di Romano Amerio e autore di diversi saggi, tra cui La Chiesa ribaltata, Street Theology e Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, vedi qui. Il professor Radelli ha fatto un intervento mirato ad evidenziare questa infiltrazione del Modernismo all’interno del Magistero pontificio degli ultimi Papi a partire da Giovanni XXIII, il testo integrale lo trovate qui, noi inseriamo questo passaggio che riteniamo ben sintetizzare il tutto:
“…tutti i Papi che si sono susseguiti sul Trono di Pietro dopo Pio XII hanno compiuto in piena coscienza un secondo peccato, correlato a quello, che è di aver utilizzato appositamente, e non affatto casualmente, ma con un disegno machiavellico, il grado di insegnamento appena inferiore al dogmatico, quello di ‘magistero pastorale’, o ‘ordinario e autentico’, e di averlo utilizzato proprio per le sue due precise caratteristiche:
1), di non essere dogmatico, ossia di non essere punto infallibile e irriformabile, e con ciò di avere la prerogativa di non chiamare in causa Dio, la qual cosa rassicura i suoi utilizzatori sulla propria vita, ben sapendo che non si chiama impunemente Dio a controfirmare una propria asserzione se quell’asserzione non è più che vera (nel pronunciamento dogmatico Dio è chiamato direttamente in causa con l’uso del plurale maiestatico papale, il “Noi” dei due Soggetti: il Soggetto papale e il Soggetto divino);
2), però di essere ancora esigente, di fronte a tutta la Chiesa e a ogni singolo fedele, di una obbedienza forte, qual è in ogni caso quella del ‘religioso ossequio’ di fronte ad affermazioni e insegnamenti che comunemente vengono ritenuti nella Chiesa ‘verità connesse’, ovvero verità direttamente discendenti dal dogma, come in effetti sono sempre state le verità insegnate prima che il Modernismo fosse riuscito a intronizzarsi dove mai avrebbe potuto con mezzi leciti.”
Molto interessante è stato anche l’intervento dell’Abbé Claude Barthe che ha parlato sul tema «La riforma liturgica, specchio del progetto conciliare». Sacerdote diocesano in Francia, Barthe collabora con numerose testate, tra le quali L’Homme nouveau. Di lui è stata pubblicata recentemente, presso l’editore Solfanelli, Storia del Messale Tridentino. Padre Barthe viene subito al cuore del problema, ed esordisce facendo comprendere come, l’attuale magistero pontificio, una “una ecclesiologia ecumenica come tentativo di compromesso con la modernità…” e specifica:
- “L’introduzione dell’esortazione apostolica Amoris lœtitia, per evitare che la dottrina presentata sia invalidata come non conforme alla dottrina precedente, riutilizzava, senza usare espressamente il termine, la categoria nuova di “insegnamento pastorale”, ossia l’insegnamento volontariamente non dogmatico, inaugurato dal secondo concilio vaticano…
- Questo concilio ecumenico atipico aveva creato dei vuoti ecclesiologici, così come il capitolo VIII di Amoris lœtitia, circa mezzo secolo dopo, ha creato dei vuoti morali. In entrambi i casi si può dire che gli organi di insegnamento hanno perso terreno, a causa di una pressione liberale che si è esercitata con forza sempre crescente e hanno tentato una transazione con la modernità.
- Molto concretamente, al Vaticano II la Chiesa è stata presentata come se non fosse più l’unica società soprannaturale, l’unica Sposa di Gesù Cristo, ma come se esistessero altre entità ecclesiali che avevano una certa esistenza soprannaturale, imperfetta ma reale…”
E’ intervenuta anche la dott.ssa Maria Guarini – con la quale ci sia concesso di sottolineare la profonda amicizia che ci lega personalmente – che ha fatto il punto della situazione su «L’applicazione del Summorum Pontificum», il cui testo trovate qui. Laureata in teologia ed esperta in Comunicazione e nuove tecnologie, la dott.ssa Guarini è autrice di saggi quali, La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, e guida il sito “chiesaepostconcilio“.
La dott.ssa Guarini è entrata subito nel vivo del problema delle due forme della Messa – definita un solo rito in due forme: Antica (straordinaria) e Moderna (ordinaria quella detta Paolo VI) – le quali invece hanno delle diversità nella sostanza nei due Messali, differenze atte a PROTESTANTIZZARE il rito della messa moderna, differenze che stanno permettendo – al pontificato di oggi – di fare questi stravolgimenti con annessa l’intercomunione coi protestanti … La Guarini infatti, e a ragione, sottolinea:
“Oggi appare ben chiaro come tutto l’impianto delle innovazioni e l’apparato concettuale che lo sottende sia fondato, già in nuce, su un’idea rivoluzionaria di Chiesa di conio vaticansecondista, che non fa altro che citare all’infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l’un l’altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni – ormai vere e proprie rotture – si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all’interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz’alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione. Nel contesto in esame l’innovazione non espressa, ma che è alla radice di tutto, è la collegialità…
(…) Il nocciolo del problema è che oggi, a partire dal concilio ‘pastorale’, nessun papa si è più pronunciato, né – per come stanno ora le cose – più si pronuncerà ex cathedra (e dunque impegnando l’infallibilità). E ciò anche in virtù del nuovo paradigma di ‘tradizione vivente’ in senso storicista che assegna la facoltà di riformare la Chiesa alla Chiesa del presente, secondo la ratzingeriana ermeneutica della riforma intesa come rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa che cambia ad ogni epoca, commisurata alla cultura del tempo e realizza la lettura del Vangelo sulla base di quest’ultima, anziché viceversa. Per cui, mentre da un lato il card. Burke può dire che l’esortazione Amoris Laetitia non è Magistero perché non riafferma l’insegnamento costante della Chiesa e non implica adesione de fide, dall’altro il papa ha potuto decretare la pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell’AL dei vescovi argentini e della lettera papale loro indirizzata, spuri rispetto all’insegnamento costante delle chiesa. E così il card. Schönborn può affermare che l’AL è Magistero e come tale va accolta e il credente vi si deve adeguare. A livello individuale una coscienza ben formata sa a Chi deve obbedire. Ma finché non si recupererà la giusta collocazione del soggetto-Chiesa rispetto all’oggetto-tradizione, la confusione continuerà a regnare sovrana con gravi conseguenze per la salus animarum.”
E’ intervenuto anche il dott. John Lamont, filosofo e teologo canadese, che ha insegnato in numerose Università e seminari ed è autore di molte opere, come il libro Divine Faith, una difesa ed una descrizione completa dell’interpretazione tomista della rivelazione divina e della virtù teologale della fede. Il suo intervento è stato mirato ad approfondire la: “Nouvelle théologie” e neomodernismo.
Dopo aver percorso un excursus chiaro ed anche facile persino agli ignari dell’argomento, e dopo aver descritto l’origine dell’eresia Modernista tra i domenicani quali padre Marie-Dominique Chenu e la schiera dei Gesuiti dei quali abbiamo trattato noi qui nei nostri Dossier, il dott. Lamont sottolinea anche le responsabilità della Chiesa la quale, pur denunciando il Modernismo con la famosa Pascendi Dominici gregis di san Pio X, di fatto non si preoccupò troppo di dare l’affondo alle giuste condanne onde evitare il proliferare sotterraneo dell’eresia modernista, la quale trovò così tutto il tempo – e tutto il campo libero – per poter lavorare e prepararsi ad una affermazione proprio attraverso UN CONCILIO e Pontefici che, pur non necessariamente essi stessi modernisti, ne avrebbero sposato – in sostanza – l’essenza delle novità, delle aperture, del concetto di una “chiesa nuova”… Infatti il dott. Lamont conclude il suo intervento con queste osservazioni che noi stessi abbiamo fatto in moti articoli apologetici:
“Il terzo fallimento fu l’azione debole del magistero di fronte a una rinascita del modernismo.Di fronte a un così grave pericolo dottrinale, il dovere di papa Pio XII era di emettere un insegnamento che avrebbe risolto definitivamente la questione. Avrebbe dovuto identificare chiaramente le tesi moderniste a cui si opponeva in Humani Generis, anatemizzandole e quindi scomunicato qualsiasi prete che non avesse sottoscritto questo anatema. Questo è ciò che il magistero dovrebbe fare in caso di eresia; e la mancata adozione di tale azione sostiene l’affermazione secondo cui le posizioni condannate non sono in realtà eretiche. Una simile azione avrebbe reso difficile o impossibile la riabilitazione dei teologi modernisti nel Vaticano II. Invece, Pio XII emise una condanna non infallibile, e quindi adottò la procedura che era stata usata nel caso di Chenu, Charlier e Draguet; infliggendo pene minori ai teologi sospettati di eresia – Congar, de Lubac e altri – indipendentemente dall’accuratezza di questi sospetti, e senza procedere contro di loro legalmente, stabilendo la loro colpevolezza o innocenza con mezzi giuridici e agendo di conseguenza. Nel lungo periodo questa disciplina è servita solo a pubblicizzare le sue vittime, a dar loro credibilità e a screditare i loro critici, indipendentemente da quanto valide e consolidate fossero le critiche. Va detto che in qualche modo Pio XII stava seguendo la guida di San Pio X, che non fece condanne ex-cathedra del modernismo nonostante la definisse la sintesi di tutte le eresie.
Nelle circostanze attuali non c’è molta speranza che le autorità della Chiesa agiscano per correggere gli errori dei loro predecessori nell’affrontare il modernismo. Se e quando tale azione verrà presa, la lezione da trarre dalla storia della “nouvelle théologie” è che l’obiettivo di tale azione non dovrebbe essere né pietà né severità, ma legalità.”
E’ intervenuto anche il prof. don Alberto Strumia che ha svolto una relazione sul tema «Oltre il relativismo. Condizioni per un costruttivo rapporto tra scienza e fede». Sacerdote a Bologna, don Strumia è stato professore ordinario di Fisica e Matematica presso le Università statali di Bologna e Bari. Attualmente è docente incaricato di Filosofia della Scienza, di Filosofia della Natura e di Logica presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna.
Su «Il papa eretico: tra teologia e prassi giuridica» è intervenuto Valerio Gigliotti, professore associato di Storia del diritto medioevale e moderno presso l’Università di Torino, dove insegna Storia del Diritto italiano ed europeo, Diritto comune e Storia della Giustizia in Europa. Il prof. Gigliotti è autore di La tiara deposta. La rinuncia al papato nella Storia del diritto e della Chiesa e del prossimo volume L’errore di Pietro. I limiti all’autorità papale tra storia e diritto.
“Dunque, spiega il Gigliotti, rinuncia e deposizione: due atti dotati di una potenza profondamente novatrice e sovversiva che irrompono nella storia e interrompono l’ordine naturale della successione apostolica alla cattedra di San Pietro, la quale, di regola, si apre con la morte del Papa…” e, procedendo in un excursus storico tra Diritto Canonico e Vangelo, Patristica ed ecclesialità, ha spiegato come ci siamo trovati davanti a: “Due atti connotati da una forza giuridica ‘modificatrice’ che sono anzitutto accomunati dal carattere della eccezionalità: mai, nella tradizione canonistica della Chiesa cattolica, si è pensato a rendere prassi ‘istituzionale’ tanto la rinuncia al Papato quanto la deposizione del Papa…”
Desidero, conclude il Gigliotti, richiamare qui, quale sintesi del lungo percorso dottrinale e giuridico compiuto sul tema dei limiti all’autorità del Papa, le autorevoli parole con le quali Papa Benedetto XVI spiegava questa realtà, durante l’Anno Sacerdotale del 2010, riflettendo sul ruolo della gerarchia, e anche del Papato, all’interno dell’ordinamento della Chiesa:
- Negli ultimi decenni, si è utilizzato spesso l’aggettivo “pastorale” quasi in opposizione al concetto di “gerarchico”, così come, nella medesima contrapposizione, è stata interpretata anche l’idea di “comunione”. E’ forse questo il punto dove può essere utile una breve osservazione sulla parola “gerarchia”, che è la designazione tradizionale della struttura di autorità sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del Sacramento dell’Ordine: episcopato, presbiterato, diaconato. Nell’opinione pubblica prevale, per questa realtà “gerarchia”, l’elemento di subordinazione e l’elemento giuridico; perciò a molti l’idea di gerarchia appare in contrasto con la flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria all’umiltà del Vangelo.
- Ma questo è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso della realtà “gerarchia”. L’opinione comune è che “gerarchia” sia sempre qualcosa di legato al dominio e così non corrispondente al vero senso della Chiesa, dell’unità nell’amore di Cristo.
- Ma, come ho detto, questa è un’interpretazione sbagliata, che ha origine in abusi della storia, ma non risponde al vero significato di quello che è la gerarchia. Cominciamo con la parola. Generalmente, si dice che il significato della parola gerarchia sarebbe “sacro dominio”, ma il vero significato non è questo, è “sacra origine”, cioè: questa autorità non viene dall’uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la “gerarchia”, non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo: è legato a Lui in comunione con gli altri membri del sacro Ordine, del Sacerdozio. E anche il Papa – punto di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione della Chiesa – non può fare quello che vuole; al contrario, il Papa è custode dell’obbedienza a Cristo, alla sua parola riassunta nella “regula fidei”, nel Credo della Chiesa, e deve precedere nell’obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa. Gerarchia implica quindi un triplice legame: quello, innanzitutto, con Cristo e l’ordine dato dal Signore alla sua Chiesa; poi il legame con gli altri Pastori nell’unica comunione della Chiesa; e, infine, il legame con i fedeli affidati al singolo, nell’ordine della Chiesa.(Udienza 26 maggio 2010)
- Parole che si stagliano su un fondamento di Ragione e Verità e che ci permettono, se meditate, di leggere con uno sguardo rivolto alla storia, i ‘rischi’ a cui è esposta la Chiesa in caso di un esercizio ‘personalistico’ del ministero – di ogni ministero -, ma anche i ‘segni’ che nel presente possono illuminare e nutrire una profonda riflessione sull’ufficio del Romano Pontefice, nel suo ruolo di guida della Chiesa nel cammino verso la Salvezza e la pienezza dei tempi.”
Ripetiamo, questa è una sintesi della ricca giornata di Studi e ci scusiamo se forse abbiamo “sintetizzato troppo” o se, da altri punti di vista, abbiamo dimenticato qualcuno o involontariamente omesso qualcosa. Quanto abbiamo qui postato è atto a dimostrare il vivo e vasto interesse per la comprensione della situazione che stiamo vivendo, senza che vi sia da parte di nessuno, alcun attacco contro qualcuno o contro un Pontefice. Ribadendo, da parte nostra, il rischio di entrare in un vicolo cieco con la storia del “papa non papa”… come abbiamo spiegato anche qui.
Invitiamo e sollecitiamo i nostri Lettori a comprendere quanto sia importante lo studio e l’approfondimento dei temi che vi offriamo, non perché siamo dei cattolici del “fai da te”, anzi al contrario, proprio perché siamo in collegamento gli uni con gli altri, studiosi, professori, sacerdoti e laici impegnati non “contro qualcuno”, ma sempre a favore delle Anime nella difesa della vera Fede. Come i Comandamenti non sono “contro” la libertà degli uomini, così la difesa della Vera Fede è sempre qualcosa a favore delle persone, in difesa proprio della loro libertà perché, LA VERITA’, si esprime nella carità e LA CARITA’ ha la sua prima vera espressione nella Verità.
Il pubblico in sala ha seguito le relazioni con grande interesse, ponendo domande in particolare sul Vaticano II, sul Novus Ordo Missae e sulla deposizione di un papa che cade in eresia.
Ci teniamo infine a ringraziare di tutto cuore tutti i Partecipanti, ma in particolare ci sia concesso di esprimere grande e profonda gratitudine al professore Roberto de Mattei e ai suoi Collaboratori e Collaboratrici, che in questo – come in altre iniziative simili – ci hanno messo, e ci mettono cuore ed anima, il proprio tempo e il proprio nome affinché si torni davvero a quel “sensus fidei” che per duemila anni ha davvero caratterizzato il vero “popolo di Dio” e l’intera Chiesa, ed oggi purtroppo offuscato da questa protestantizzazione della neo-chiesa che prepotentemente, ed inesorabilmente, avanza e che si arresterà, noi lo crediamo fortemente, col Trionfo del Cuore Immacolato di Maria.
Laudetur Jesus Christus
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