Come si perde la fede e come la si cerca. Il cristiano ha un solo modello: Cristo. Anche il papa va seguito solo se si mantiene nella legge del Signore e se ne trasmette fedelmente il suo Vangelo; se no è solamente un impostore
di Francesco Lamendola
La crisi del modo moderno, o almeno del mondo occidentale moderno, è essenzialmente una crisi di fede. Chi ha perso la fede, ha perso anche la fiducia nella razionalità della vita e nel suo significato, e con ciò ha perso anche l’incanto del mondo e la virtù della speranza.
Conosciamo personalmente una signora di novant’anni, malferma sulle gambe, ma, per tutto il resto, ancora sana e vigorosa, e con la mente perfettamente lucida. In tutta la vita ha sempre fatto del bene e non ha mai fatto del male ad alcuno. Ha imparato, sin dall’infanzia, i metodi naturali usati da sua nonna per curare le distorsioni, i dolori muscolari, le infiammazioni dei tendini e simili: per tutta la vita è andata a raccogliere le erbe necessarie per fare dei decotti da applicare alle parti malate, e ha sviluppato una notevole abilità di massaggiatrice, aumentata ancor più da un certo fluido personale. Non ha mai chiesto denaro: se qualcuno ha voluto farle una modesta offerta, l’ha accettata; quando le pareva troppo, la rifiutava; e a chi non le dava nulla neppure un cesto di susine, peraltro promesso, non opponeva un rifiuto, curava anche quello. Rimasta vedova, i figli, i nipoti e le nuore della sua numerosissima famiglia vanno poco o nulla a trovarla. Lei non si è amareggiata, è rimasta serena e continua a rendersi disponibile a chi si rivolge a lei. Ha perso il marito qualche anno fa, dopo circa settant’anni di vita insieme, tra fidanzamento e matrimonio: si volevano bene, non hanno mai avuto uno screzio. Ora vive sola, si arrangia nonostante un'infermità alle gambe, si muove con l’aiuto di un deambulatore; per tutto il resto, è forte ed efficiente come una donna di quaranta, parla con voce tonante, ragiona benissimo. Ha più buon senso lei che dieci dottori messi insieme. Il segreto della sua forza e della sua serenità? La fede. Prega, e ha sempre pregato, moltissimo. Trova il tempo di dire almeno cinque Rosari al giorno, qualche volta sei o sette, pur essendo molto attiva e dovendosi occupare di ogni faccenda domestica. I suoi genitori le hanno trasmesso un forte sentimento religioso; finito di cenare, suo padre tirava fuori la corona del Rosario e lo recitava insieme alla famiglia. Con la forza della preghiera, quella signora ha affrontato ogni sorta di difficoltà, compresa la solitudine, e ha conservato intatta la sua visione positiva della vita. Questa notte ho sognato che Dio mi chiamava a sé, ci ha detto. Se si tratta di un sogno veritiero, io sono pronta. Anzi, non vedo l’ora di ricongiungermi con mio marito.
Come si perde la fede e come la si cerca: l'esempio "di vita vissuta", delle nostre nonne.
Ecco dunque il segreto della forza morale che ha tenuto insieme la società europea per un millennio e mezzo: la fede cristiana. E ecco la ragione della sua crisi: la perdita della fede. Ora la crisi della fede ha investito in pieno anche il clero, e ha colpito al cuore la stessa Chiesa, la Sposa di Cristo. Cardinali, vescovi e preti senza fede hanno intorbidato e inquinato l’ambiente morale intorno a loro; si sono macchiati di colpe e di disordini morali, e hanno trasmesso un atteggiamento di relativismo, di permissivismo e di indifferentismo religioso. La loro responsabilità è gravissima: le pecorelle si stavamo sbandando, ed essi, invece di richiamarle, ricompattarle e incoraggiarle, le hanno disperse ai quattro venti. Non più tardi di due giorni fa abbiamo udito il papa, il capo della Chiesa, utilizzare l’ambone della Santa Messa per tuonare contro i suoi critici e oppositori e per chiamarli cani selvaggi. È possibile che siamo arrivati a questo punto? Che il clero sia caduto così in basso? E nessuno reagisce, nessuno lo riprende? Riprendere il papa: sissignori. Un pastore che si discosta dalla verità di Gesù Cristo non è più un pastore, ma un lupo travestito da pastore, Gesù non ha mai usato simili espressioni per parlare dei suoi seguaci che non si comportavano secondo il Vangelo. Definire cani selvaggi i cattolici che chiedono di sapere se è vero o non è vero quel che dice monsignor Viganò, accusarli di cercare scandali, quando ormai lo scandalo da un pezzo dentro la chiesa, tutti i fedeli sono scandalizzati, sia sul piano morale, per gl’innumerevoli casi di sodomia e pedofilia del clero, sia sul piano dottrinale, per le incredibili eresie e bestemmie che un numero crescente di vescovi e sacerdoti, Bergoglio compresi, vomitano da alcuni anni a questa parte, apertamente, sfacciatamente, senza timore di Dio e senza timore alcuno di esser ripresi o smentiti, ebbene, è veramente il colmo. Lo scandalo non è dato da chi chiede verità e chiarezza; lo scandalo è dato dai cattivi pastori che confondono la vera dottrina, che si abbandonano a ogni sorta di peccati e che poi si atteggiano a vittime, dicendo che è meglio tacere, pregare, e invece di tacere di pregare accusano altri cattolici di essere istigati dal diavolo, di cercare lo scandalo, e li chiamano cani selvaggi. Mio Dio, che degenerazione. Questo è il punto più basso toccato dalla Chiesa cattolica negli ultimi secoli, e forse nella sua intera storia. Sì: ci sono stati numerosi papi indegni in passato, specialmente nell’alto medioevo, e alcuni anche nel rinascimento; mai nessuno, però, aveva fatto scempio della dottrina come il signore venuto dall’Argentina ed eletto dalla massoneria ecclesiastica, dalla mafia di San Gallo, per fare quel che sta facendo, distruggere la fede e la verità, e aprire le porte al relativismo gnostico e al sincretismo massonico: il tutto dopo aver costretto alle dimissioni, forzatamente e sotto ricatto, il suo predecessore. Ce n’era abbastanza per essere considerato un antipapa vero e proprio. Da parte nostra, preferiamo pensare, semplicemente, che costui non è papa. Se fosse papa, le pecore riconoscerebbero la sua voce, perché le pecore conoscono la voce del buon pastore; ma molte pecore non riconoscono la sua voce, o la odono solo per esser insultate, derise e respinte. Sono cinque anni che fa così, del resto: sin dai primi tempi della sua elezione. Ai cattolici che, a suo parere – il parere di un ultraprogressista e di un neomodernista – non capiscono e non apprezzano le sue “riforme”, da cinque anni non fa che vomitare insulti. Li chiama con gli epiteti più oltraggiosi, mummie, signore e signora piagnisteo, vecchie comari, fomentatori della coprofagia, sgrana rosari, cortigiani lebbrosi, fondamentalisti, religiosi che hanno il cuore amaro come l’aceto, piccoli mostri, cavillatori moralistici, gente vecchia e nostalgica.. Ma può, un papa, parlare così, e rivolgere questi epiteti a dei cattolici, quando non si permette mai un’espressione meno che gentile e rispettosa verso tutti gli altri, i luterani, gli ebrei, gli islamici, gli atei, i radicali, gli abortisti, i fautori dell’eutanasia, i sostenitori dei matrimoni omosessuali? A nostro giudizio, no. Chi parla così non è degno nemmeno di fare il sagrestano nell’ultima parrocchia di provincia; tanto meno di essere papa. Chi parla così cerca la divisione, vuole lo scandalo; e poi ha il coraggio di accusare gli altri di essere seminatori di scandali. Che pensi al suo amico McCarrick, piuttosto, o al suo amico Barros: taccia per davvero e si vergogni. E si dimetta il più presto possibile, per il bene della Chiesa, alla quale sta facendo il male più grande che si possa umanamente farle, mettendo in crisi la fede delle anime.
Bergoglio col suo amico McCarrick: taccia per davvero finalmente e si vergogni. E si dimetta il più presto possibile, per il bene della Chiesa, alla quale sta facendo il male più grande che si possa umanamente farle, mettendo in crisi la fede delle anime.
Ora, se il mondo moderno ha perso la fede che aveva conservato per quasi duemila anni; se il clero ha perso la fede e invece di guidare e rassicurare il gregge, lo turba e lo disperde, il rimedio è uno solo: tornare a Dio, cercare Dio. Ma dove trovarlo, come cercarlo? Spogliandosi di tutto ciò che non è Dio, affinché l’anima resti nuda davanti a Lui, e a Lui solo. Non si torna a Dio, non si trova, né si ritrova, la fede, fino a quando si resta attaccati alle cose del mondo; fino a quando si è schiavi delle passioni disordinate; fino a quando ci si lascia dominare dal diabolico consumismo. In fondo, è un concetto piuttosto semplice, che dovrebbe riuscire intuitivo: come si può pensare o pretendere il contrario? Come si può pensare di trovare la fede, di trovare Dio, se si vive secondo il mondo, in maniera moralmente disordinata, cioè senza timor di Dio? Sarebbe come pretendere di cogliere le rose a gennaio; o come voler ammirare lo spettacolo del plenilunio a mezzogiorno. Dio resiste agli orgogliosi e ai superbi; e si mostra, sì, talvolta, ai peccatori, per redimerli, a patto che in essi vi sia ancora un residuo, un barlume di aspirazione al bene: altrimenti, essi semplicemente non lo vedranno. Per vedere la luce, bisogna avere gli occhi aperti; per udire la musica, bisogna avere gli orecchi aperti. Ma chi si è reso cieco e sordo, sprofondandosi nel fango della palude, non vede e non ode più nulla: i suoi occhi sono chiusi e sono chiusi i suoi orecchi. La palude è quella del disordine morale. Come potrebbero un ladro, un calunniatore, fornicatore, un omicida, trovare la fede e trovare Dio? Se l’anima è coperta di fango, non potrà mai vedere Dio e non potrà mai trovare la fede. La fede è il premio per chi si sforza di vivere secondo Dio. Non è un premio automatico, peraltro: vi è un grande mistero in essa, perché la fede è un dono di Dio, che viene da Dio, non una conquista umana. Tuttavia è indubbio che chi si sforza di vivere secondo la volontà di Duo, facendo quel che Dio ci chiede di fare per mezzo del Vangelo, pone una buona premessa per trovare la fede; mentre vivere nella maniera opposta, disprezzando la legge di Dio e inseguendo i propri piaceri e coltivando i propri desideri egoistici, è la maniera più certa per essere lontani da Dio e quindi per non trovare la fede. Ma Dio, talvolta, si rivela anche ai peccatori, e tocca loro il cuore: vero. Chi siamo noi per penetrare il mistero della Sua provvidenza? Ma proprio perché Dio è perfettamente libero e la fede è un dono perfetto che Lui fa agli uomini, non si dovrebbe tentare la sua pazienza, non si dovrebbe abusare del suo amore. Viene il tempo della giustizia e allora si dovrà rendere conto a Lui di quel che non si è fatto, del bene che si è calpestato e del male che si è praticato. Cosa diranno allora, al suo cospetto, i cardinali usurai, i vescovi affaristi e superbi, i preti sodomiti e pederasti, e tutti i laici immersi nei loro vizi, sprofondati sino agli occhi nella palude delle loro passioni sregolate? Cosa dirà monsignor Galantino, che ha affermato sacrilegamente che Dio risparmiò Sodoma e Gomorra, dando scandalo e inducendo in errore le giovami anime che lo stavano ascoltando? Cosa dirà padre Sosa Abascal, che ha messo in dubbio la Parola di Gesù Cristo sull’indissolubilità del matrimonio, e che implicitamente lo ha accusato di essere un cialtrone e un commediante, perché, negando che il diavolo esiste, ha ridotto i Suoi esorcismi a delle pagliacciate per sbalordire gli ingenui? Come si giustificherà monsignor Paglia, che ha magnificato sino alle stelle Marco Pannella, dicendolo uomo di altissima spiritualità ed esortando tutti a prendere a modello la sua vita: Pannella, il campione del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia e delle unioni sodomitiche? E come si giustificherà il signore argentino, che ha affermato, con lingua biforcuta, che Lutero aveva ragione; che Dio non è cattolico; che i divorziati rispostati sono liberi di decidere in coscienza se fare la Comunione o no; che gli ebrei sono già redenti e quindi che la Redenzione di Cristo, la su Incarnazione, la sua Passione, Morte e Risurrezione non erano necessarie, almeno per loro: e che ora chiama cani selvaggi quanti gli chiedono una parola di verità sul terribile scandalo della pedofilia nelle alte sfere della chiesa cattolica americana?
Come si perde la fede e come la si cerca
di Francesco Lamendola
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IL PAPA CONTRO I CANI SELVAGGI
Mai cani! No, Santità, un Papa non può chiamare “cani selvaggi” il prossimo soprattutto quando si tratta di "cattolici, cristiani, credenti" cani è la definizione spregiativa che gli islamici danno degli infedeli e dei cristiani
di Marcello Veneziani
No, Santità, un Papa non può chiamare “cani selvaggi” il prossimo, soprattutto quando si tratta di cattolici, cristiani, credenti. Cani è la definizione spregiativa che gli islamici danno degli infedeli e dei cristiani. Perfino i più spietati terroristi furono definiti dai pontefici che hanno preceduto Francesco, “uomini delle Brigate rosse”, uomini dell’Isis. Mai cani. Scendere a quei livelli livorosi non è degno di un Santo Padre. Il silenzio e la preghiera erano le risposte più dignitose.
Per carità, non facciamo le anime belle. Sappiamo che verminaio c’è negli intestini della curia e nei bassifondi della Chiesa. Il racket della pedofilia, come la lobby gay a cui lo stesso Bergoglio una volta accennò, sono solo alcuni dei lati oscuri della Chiesa. Quella pedofilia di cui sconcertano le proporzioni, la collegialità, la complicità reciproca, prima che i suoi singoli e frequentissimi episodi. Ma oltre quei giri torbidi che riguardano la sfera sessuale ce ne sono almeno altri due: uno incentrato sul malaffare e l’altro sulla guerra senza esclusione di colpi per conquistare ruoli di potere clericale. Giri che non nascono certo con Papa Bergoglioma sono il lato b della Chiesa, il suo volto corrotto e si presentano con alti e bassi da svariati secoli, con un’accentuazione speciale da quando l’ateismo e il nichilismo hanno corroso anche la fede dentro i sacri portoni della Chiesa. Verrebbe voglia di invocare i cani per risanare la Chiesa ma i cani del Signore, come si chiamarono i Domenicani, a cui appartenne anche il più fulgido Dottore della Chiesa, San Tommaso d’Aquino.
Non caldeggio altre dimissioni papali, auspico sempre miracolosi ravvedimenti. Sento spegnersi la fede e vedo tramontare la civiltà cristiana. Tuttavia, dico ai credenti: i Papi passano, la Chiesa resta. Malconcia, ma resta.
Come ha reagito il partito bergogliano alle accuse precise che sono state rivolte dal dossier Viganò? Da un verso squalificando la fonte, il Monsignore, dall’altro imbarcandosi nel più classico complottismo. Pessima caduta doppia, che elude le domande principali: ma sono fondate o meno quelle accuse, ci sono circostanziate e convincenti risposte a quelle precise testimonianze, si può dimostrare che sono documenti falsi, forzati oppure no, sono tristemente veri? Macché, si reagisce insultando e gridando alla cospirazione, un po’ come facevano i regimi comunisti quando davanti a ogni dissesto, a ogni scandalo, gridavano al complotto delle forze oscure della reazione e così giustificavano sanguinose repressioni. Abbiamo sentito i bergogliani d’ufficio, presenti in tutti i media come unica voce senza contraddittorio, seguire questo indegno canovaccio da bassa politica e da brutto regime. E li abbiamo sentiti gridare all’intreccio tra complotto reazionario e politica sovranista, come ha fatto per esempio lo storico difensore di Bergoglio, Alberto Melloni. Non intendo tornare sul tema lacerante sollevato dal dossier sul cardinale McCarrick e non ho fonti riservate per discuterne la veridicità o meno, ma mi soffermo proprio su questa accusa cruciale: qualcuno vuol dividere la chiesa e buttarla in politica, in senso rezionario e sovranista.
L’accusa di dividere la Chiesa e buttarla in politica mi pare che debba essere ritorta alla “politica bergogliana”.
Risaliamo a quel che è accaduto negli ultimi cinquant’anni o poco più. Il Concilio Vaticano II spaccò la Chiesa in due versanti, i conservatori e i progressisti. Le categorie della politica entrarono nella Chiesa in quella occasione e vi entrarono con lo spirito del tempo, avendo aperto quel Concilio i portoni della Chiesa al soffio dell’epoca e in Italia alle aperture a sinistra. Quella lacerazione perdurò con Papa Paolo VI, si acuì con la liquidazione della messa in latino, la chitarra e i beat in chiesa, il terzomondismo, fino all’annunciato scisma di Levevbre. E con la diffidenza nei fenomeni di devozione popolare, come fu il caso di Padre Pio, fenomeno di populismo religioso, un santo a furor di popolo. I cattolici progressisti del Concilio Vaticano II si sentirono più vicini ai progressisti non cattolici che ai cattolici non progressisti. Una scelta di campo in cui l’essere cattolici diventava una variabile secondaria rispetto all’essere progressisti. La divisione della Chiesa risale a quel preciso momento. E i complotti reazionari, le scelte politiche di destra non c’entrano affatto. L’arrivo di Karol Magno, Giovanni Paolo II, ricucì la frattura, perché quel Papa riaprì le porte ai “conservatori”, al latino, a Lefevbre, a Padre Pio, alla Tradizione e all’Europa, senza chiuderle ai progressisti e agli anticapitalisti. Difese i poveri, gli sfruttati, i disperati, criticò l’Occidente sazio e disperato, senza far perdere alla Chiesa il suo ruolo pastorale e spirituale nel cuore della civiltà cristiana. Su quella linea si inserì anche un Papa filosofo e considerato conservatore, come Ratzinger che ricevette attacchi ben più duri di Bergoglio ma non si sognò mai di definire cani selvaggi i suoi detrattori. E non solo: la Chiesa di Benedetto XVI non fu mai la Chiesa della divisione e non suscitò pulsioni di scissione. Quando arrivò Bergoglio, invece, fu fatta una precisa scelta di campo, sociale, politica, culturale, non dirò dottrinaria per la debolezza teologica di questo pontefice. Una scelta di campo nel linguaggio, nel modo di fare, nella lontananza dal rito, dalla liturgia, dalla tradizione. Il Papa scelse temi, interlocutori, autori da citare, territori e popoli che non appartenevano alla Chiesa, alla civiltà cristiana, che non si ispiravano ai santi, ai martiri, ai padri della Chiesa. E l’idea stessa di chiamarsi Francesco, un papa senza precedenti, fu un preciso segno di rottura. Ora con queste premesse mi pare assurdo invertire la sequenza e accusare i “conservatori” di complottare contro il Papa. È Bergoglio che li ha messi fuori dalla Chiesa, li ha fatti sentire estranei e colpevoli. È Bergoglio che ha spaccato la cristianità, che ha separato la Chiesa presente dalla sua tradizione millenaria, che ha preferito dialogare con i non cristiani, i non cattolici, i non europei, oscillando tra atei, islamici e protestanti e aprendo, seppure in modo contraddittorio, a coppie diverse dalle famiglie. Non a caso Bergoglio è diventato il leader morale di tutte le sinistre, acclamato dai liberal come dai radical, dall’establishment progressista e dagli antagonisti. E sul tema dell’accoglienza è andato ben oltre le aperture dei suoi predecessori, ponendosi drasticamente da una parte, con le Ong, senza mai considerare i disagi, i pericoli e l’arrivo massiccio di islamici.
Non dirò che il Papa si è posto fuori dalla Cristianità e dalla Chiesa, non avrei alcuna autorità per dirlo, e non seguirò la tendenza di alcuni tradizionalisti a scomunicare il Papa, ergendosi essi stessi – in una paradossale eresia ultraprotestante – a tribunale infallibile dell’ortodossia. Però, l’accusa di dividere la Chiesa e buttarla in politica mi pare che debba essere ritorta alla “politica bergogliana” e al suo partito, per tre quarti laico se non laicista. Non caldeggio altre dimissioni papali, auspico sempre miracolosi ravvedimenti. Sento spegnersi la fede e vedo tramontare la civiltà cristiana. Tuttavia, dico ai credenti: i Papi passano, la Chiesa resta. Malconcia, ma resta.
Il Papa contro i “cani selvaggi”
di Marcello Veneziani Il Tempo
Fonte:http://www.marcelloveneziani.com/articoli/il-papa-contro-i-cani-selvaggi/ del 05 Settembre 2018
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/chiesa-cattolica/6721-il-papa-contro-i-cani-selvaggi
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/chiesa-cattolica/6721-il-papa-contro-i-cani-selvaggi
Il termine “papismo” ha disgustose origini. È l’aggettivo dispregiativo utilizzato dalle sette protestanti, specialmente quelle anglicane, per indicare la Chiesa Cattolica Apostolica e Romana. Ciò che effettivamente distingue in maniera esteriore e visibile i cattolici dalle chiese ortodosse o dalle sette protestanti è il papato, centro carismatico simbolo dell’unità della Fede dei credenti sparsi ai quattro angoli del mondo. Il papato non coincide con l’idea (moderna) del centralismo amministrativo, come se Roma fosse l’occhio che sorveglia e domina le varie comunità; è piuttosto il punto sulla terra in cui è custodito il tesoro più prezioso mai esistito, ovvero la Fede. Il Papa non è il padrone della Chiesa come non lo è della Fede: egli è il custode vigile e autorevole del deposito iniziato a caro prezzo dal sangue degli Apostoli, raccoglitori fedeli di quello più prezioso di Nostro Signore. La Chiesa non ha altro tesoro che questo e non ha altro fedele custode che il Papa. Così si esprime il catechismo di San Pio X:
113. Chi è il Papa?
II Papa è il successore di san Pietro nella sede di Roma e nel primato, ossia nell’apostolato ed
episcopato universale; quindi il capo visibile, Vicario di Gesù Cristo capo invisibile, di tutta la
Chiesa, la quale perciò si dice Cattolica-Romana.
II Papa è il successore di san Pietro nella sede di Roma e nel primato, ossia nell’apostolato ed
episcopato universale; quindi il capo visibile, Vicario di Gesù Cristo capo invisibile, di tutta la
Chiesa, la quale perciò si dice Cattolica-Romana.
114. Il Papa e i Vescovi uniti con lui che cosa costituiscono?
Il Papa e i Vescovi uniti con lui costituiscono la Chiesa docente, chiamata così perchè ha da Gesù
Cristo la missione d’insegnare le verità e le leggi divine a tutti gli uomini, i quali solo da lei ne
ricevono la piena e sicura cognizione che è necessaria per vivere cristianamente
Il Papa e i Vescovi uniti con lui costituiscono la Chiesa docente, chiamata così perchè ha da Gesù
Cristo la missione d’insegnare le verità e le leggi divine a tutti gli uomini, i quali solo da lei ne
ricevono la piena e sicura cognizione che è necessaria per vivere cristianamente
116. Il Papa, da solo, può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?
Il Papa, da solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è infallibile come la
Chiesa, quando da Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce dottrine circa la fede e i costumi.
Il Papa, da solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è infallibile come la
Chiesa, quando da Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce dottrine circa la fede e i costumi.
Questa è la dottrina cattolica. Partendo dalla situazione odierna una domanda sorge spontanea: che cosa dunque è andato storto? A mio avviso per cercare di interpretare correttamente la crisi della Chiesa contemporanea occorre liberarsi da alcuni schemi:
-parlare del Papa non è come parlare del capo del governo. A volte applichiamo le categorie politiche per giudicare la Chiesa e la sua gerarchia. Non si può giudicare un Pontefice a seconda del suo partito, delle sue esperienze pregresse, delle sue idee, dei suoi sponsor elettorali o della sua agenda politica. E’ un problema dei fedeli che guardano dal basso la balconata di San Pietro, ma è un problema anche dei porporati che si riuniscono in conclave. Può essere anche un problema del Papa di turno che si affaccia al balcone. Purtroppo termini come “elezioni”, “dimissioni”, “programma” sono entrati a gamba tesa nel lessico dei vaticanisti. In ogni caso non possiamo farci guidare nel nostro giudizio da questi aspetti. Conta solo una cosa: la fedeltà a Cristo e alla Tradizione.
-un Papa è sempre frutto di un ambiente e di un contesto particolare: non è possibile pensare che sia un fenomeno spuntato nel nulla che faccia bene o male rispetto alla storia che lo precede. Un Papa viene eletto da una maggioranza di cardinali con una formazione e sensibilità specifica. Quando si interpreta un pontificato bisogna tenere conto che esso è la conseguenza e non la causa di una situazione ecclesiale ben più ampia. Oggi non si può ritenere Francesco colpevole di ogni cosa, come se fosse un dittatore solo contro tutti.
Altra domanda cruciale: da dove viene fuori questo papismo moderno? Ripeto: tocca tapparsi il naso nell’utilizzare questo termine, ma non se ne trova uno migliore per indicare il fenomeno a cui assistiamo quotidianamente. Non ha nulla a che vedere con la sana fedeltà al Romano Pontefice che è parte integrante della Dottrina Cattolica, come ho già potuto sottolineare poco sopra. È piuttosto un’esasperazione, una degenerazione di un concetto giusto. Come ha fatto questo concetto a guastarsi a tal punto? Provo a raccogliere schematicamente qualche idea ripercorrendo la storia della Chiesa:
Il Concilio di Trento, tra le tante riforme, mette mano alla formazione dei sacerdoti diocesani, fondando seminari e curando sempre meglio la formazione dei candidati al sacerdozio. Come tutte le riforme anche questa ha avuto bisogno di essere portata avanti nella pratica: se il livello di formazione teologica e spirituale dei sacerdoti era generalmente scadente, a chi affidare i nuovi istituti? Parve logico rivolgersi al nuovo ordine dei gesuiti fondati da S. Ignazio di Loyola, precursore del seminario tridentino. Ci fu un’intenzione buona ed un errore di fondo: i gesuiti sono religiosi, i sacerdoti diocesani hanno invece un altro carisma. Applicare una formazione religiosa in un seminario diocesano non è esattamente corretto. Tant’è. I gesuiti diventano dunque i gestori dei seminari diocesani della cattolicità, portando il loro carisma. Si può dire dunque che la formazione ufficiale dei presbiteri diocesani della Chiesa cattolica è stato dato praticamente in appalto ad un ordine religioso con una natura specifica.
Questo appalto durerà fino al Concilio Vaticano II: è vero che i gesuiti non furono più gestori in prima persona dei vari seminari, via via affidati al clero diocesano sempre più formato, ma è anche vero che rimarrà impressa una mentalità, quasi una sudditanza psicologica dal metodo gesuitico. Per fare un sunto dei tratti salienti di questa formazione: teologia manualistica rimasticatura della rimasticatura rimasticata della scolastica del dopo San Tommaso (che paradossalmente c’entra poco con l’Aquinate) e spiritualità improntata sul perenne sforzo del seminarista/sacerdote/semplice fedele alla perfezione, quasi un volontarismo che tiene poco in considerazione l’azione della Grazia, tema tanto caro ai padri della Chiesa e alla spiritualità medievale. Basta leggere i vecchi regolamenti dei seminari diocesani e si trova la scansione della giornata basata sul continuo esame di coscienza e sui processi di perfezione così come vengono insegnati da S. Ignazio.
Questo appalto durerà fino al Concilio Vaticano II: è vero che i gesuiti non furono più gestori in prima persona dei vari seminari, via via affidati al clero diocesano sempre più formato, ma è anche vero che rimarrà impressa una mentalità, quasi una sudditanza psicologica dal metodo gesuitico. Per fare un sunto dei tratti salienti di questa formazione: teologia manualistica rimasticatura della rimasticatura rimasticata della scolastica del dopo San Tommaso (che paradossalmente c’entra poco con l’Aquinate) e spiritualità improntata sul perenne sforzo del seminarista/sacerdote/semplice fedele alla perfezione, quasi un volontarismo che tiene poco in considerazione l’azione della Grazia, tema tanto caro ai padri della Chiesa e alla spiritualità medievale. Basta leggere i vecchi regolamenti dei seminari diocesani e si trova la scansione della giornata basata sul continuo esame di coscienza e sui processi di perfezione così come vengono insegnati da S. Ignazio.
Caro ai gesuiti è il tema dell’obbedienza. Questo passaggio è cruciale per la nostra riflessione. S. Ignazio la spiega così: « […] facciamo quanto ci sarà comandato con molta prontezza, gaudio spirituale e perseveranza, persuadendoci che tutto ciò è giusto, e rinnegando con cieca obbedienza ogni parere e giudizio personale in contrario, in tutte le cose che il superiore ordina… Persuasi come siamo che chiunque vive sotto l’obbedienza si deve lasciar portare e reggere dalla Provvidenza, per mezzo del superiore, come se fosse un corpo morto (“perinde ac cadaver”), che si fa portare dovunque e trattare come più piace”. L’espressione “perinde ac cadaver” porta alle estreme conseguenze il concetto di obbedienza cattolica. Il sapore di questa espressione è fortemente militare e certo si può adattare per una famiglia religiosa come i gesuiti. Avendo però parlato di una commistione secolare tra spiritualità gesuitica e formazione del clero diocesano non si può non riconoscere che questa “esagerazione” sia entrata a far parte del lessico sacerdotale. Il mescolare la vita religiosa con quella secolare è stato un errore dovuto a questo passaggio storico, che si è trascinato per quasi quattro secoli. L’obbedienza per i gesuiti è strettamente legata alla gerarchia, secondo uno schema tipicamente marziale. Non è dunque difficile concludere che mano a mano che si sale nei gradini della gerarchia cattolica e più sia dovuta estrema obbedienza, anche al di là della ragionevolezza (“come un cadavere”).
Ma è sempre stato così? Se si guarda un po’ indietro nella storia stupisce trovare comportamenti da parte del basso clero e a volte di semplici fedeli nei confronti della gerarchia. Non parliamo di rivoluzionari alla Lutero ma di santi. San Pier Damiani così scriveva a proposito di papa Benedetto IX: “Sguazzante nell’immoralità, un diavolo venuto dall’Inferno travestito da prete, apostolo dell’Anticristo, saetta scoccata da Satana, verga di Asur, figliolo di Belial, puzza del mondo, vergogna dell’umanità”. Eppure era il Romano Pontefice. Cosa avrebbero scritto Tornielli o Melloni all’epoca? Cosa direbbero di una donna come Santa Caterina da Siena che si rivolge al Pontefice come se fosse suo fratello quando scrive a Urbano VI: “Soltanto passando attraverso il crogiolo sarete quello che dovrete essere, il dolce vicario di Cristo in Terra! …Fate dunque tutto quello che è in vostro potere acciocché non veniate ad agire secondo la volontà degli uomini, piuttosto secondo la volontà di Dio che altro non chiede, e per lo quale motivo vi ha posto a sì tanto supremo vicariato. Ma voi avete bisogno dell’aiuto di Gesù Cristo Crocifisso e con voi i vescovi che sono chiamati a consigliarvi, perocché molti sono fra loro corrotti e neanco ferventi sacerdoti, liberatevi di costoro, ponete il vostro santo desiderio in Cristo Gesù, ripudiate i sollazzamenti del marciume della corruzione, abbiatelo a distinguere da questo: se non sapete soffrire, non siete degno!Voi fate le veci del dolce Cristo Gesù, e come Lui dovete desiderare soltanto il bene delle anime, dovete bere il calice dell’amarezza, dovete farvi dare il fiele. Oh quanto sarà beata l’anima vostra e mia che io vegga voi essere cominciatore di tanto bene”.
Il fatto di provare un certo disagio leggendo queste parole è un nuovo indizio che qualcosa è andato storto. Se non possiamo sapere il parere dei vaticanisti moderni se fossero vissuti all’epoca, purtroppo non possiamo nemmeno sapere cosa direbbero oggi questi santi. Guardando l’oggi pare che all’epoca si parlasse di peccatucci da probande. Cosa direbbero leggendo le interviste di papa Francesco a Scalfari? Certo non potrebbero dire molto, sarebbero stati cacciati da conventi e congregazioni, forse avrebbero perso la vocazione o anche la Fede. O forse sarebbero stati santi lo stesso, chi lo sa.
Non si vuole demonizzare la Compagnia di Gesù, solo inquadrare il suo ruolo all’interno della Chiesa. Come tutte le istituzioni religiose, anche i gesuiti nascono da mani e mente umana e quindi con il bacillo del peccato originale. Non si può negare la grandiosa storia di santità che contraddistingue questa congregazione. Non si può però nemmeno nascondere il suo contributo perché, passo dopo passo, si è arrivati alle degenerazioni attuali. E’ singolare: tutto parte dai gesuiti nel 1500, tutto pare racchiuso nelle mani di un gesuita pontefice degli anni ’10 del 2000.
Bene: mettiamo insieme i pezzi. Dopo questa breve panoramica non possiamo dunque più stupirci se nessuno oppone resistenza al quotidiano sfacelo della Fede cattolica che sta avvenendo ormai da svariati decenni. Nessun cardinale parla. Qualche vescovo borbotta. Molti preti chiacchierano. Ma davanti ai microfoni tutti muti. Ci chiediamo spesso: perché? Il colpo da maestro di Satana: passare la rivoluzione attraverso l’obbedienza e la riverenza verso l’Autorità, il potere. Attraverso i secoli il demonio ha preparato anello dopo anello la grande e pesante catena che ora stringe la Chiesa quasi soffocandola. Sappiamo per certo che non ce la potrà fare, ma intanto la situazione non è ottimale. Si aspetta sempre di cadere più in basso e poi “qualcosa accadrà”. Ma non succede mai niente. Abbiamo già superato il limite parecchie volte, non si capisce quale sia il punto ulteriormente più basso. Se la dottrina interessa pochi, paiono non spaventare nemmeno i costumi. In queste settimane si è abbattuta una bufera di dimensioni incredibili sulla Chiesa, come abbiamo avuto modo ampiamente di descrivere su Riscossa Cristiana. Ma non succede niente. Papa Francesco si paragona a Cristo in croce circondato da accusatori che latrano come cani. Chiede silenzio e preghiera. Un silenzio che paradossalmente dovrebbe guarire l’omertà. Nemmeno davanti ai dettagli nauseabondi di queste bassezze umane il papismo viene scalfito. Tanti lettori scrivono indignati che il Papa è sempre il Papa, che è tutto un complotto per toglierlo di mezzo, che si manca di carità.
Già: perchè poi tutto viene buttato nello spirituale, o meglio nello spiritualismo. Il legittimo giudizio razionale su un atto esterno compiuto da un’altra persona che ciascun essere umano può formulare davanti ad una determinata situazione, alla luce della Rivelazione e della Tradizione, è subito bollato come peccato. Il che è abbastanza curioso: i peccati veri vengono continuamente derubricati, per le seconde (terze, quarte, quinte…) nozze ci vuole tenerezza e discernimento, per i pederasti occorre preghiera e silenzio ma sulla critica alla gerarchia ci vuole un’ora di confessionale, lo scioglimento della scomunica e una penitenza maiuscola. Si pecca di carità, si vuole attentare all’unità della Chiesa, si monta in superbia (“chi sei tu per giudicare un vescovo o un Papa che come è noto, sono assistiti continuamente dallo Spirito Santo?”). Se non fosse stata per la penetrazione massiccia del “perinde ac cadaver” nei seminari, nel clero e nelle parrocchie a quest’ora non ci sarebbe bisogno di illustrare come l’unità sia subordinata alla verità e che per amore di questa non bisogna aver paura che “gli scandali avvengano”.
Se lo dicono diversi lettori di Riscossa Cristiana si può ben immaginare cosa può succedere sulla pagina Facebook di padre Spadaro (SJ). Se voleste però capire a che livello è il fenomeno papista non perdetevi il sito dell’associazione nazionale dei Papaboys, dove è presente una sezione nominata “attacco al pontificato!” (manca l’H finale da bimbiminkia che ci starebbe proprio bene). Vi si leggono diverse perle del tipo: “Vi abbiamo già detto in numerose occasioni come alcuni ‘corvi’, ‘gufi’ e ‘sfigati della fede’ tentano, ormai in maniera quotidiana e virale, di attentare al Pontificato di Papa Francesco che cerca – quasi da solo contro tutti – di portare avanti una necessaria riforma per la Chiesa, che viene ostacolata però da numerose potenze, prima di tutto mediatiche, poi anche economiche e culturali” .
E’ evidente che il sistema è stato buono e fruttuoso finchè al vertice ci sono stati pontefici fedeli. Non si possono certo demonizzare i nostri vecchi di parrocchia che sono stati cresciuti da parroci alla don Camillo e che sanno a memoria il canto “Bianco Padre”. Chi glielo spiega che Avvenire o Famiglia Cristiana non andrebbero più sostenuti perchè da difensori della cattolicità sono diventati organi di stampa nemici della Chiesa? Chi spiega a coloro che cinquant’anni fa prendevano legnate sulla schiena dai comunisti per aiutare il parroco con l’Azione Cattolica che adesso, per dirla come il Peppone del film: “Reverendo qui si bara, i comunisti siamo noi”?.
Alla luce di questa breve riflessione non è difficile capire che non si sta parlando di un fungo nato ieri sera e che domattina morirà. Il terreno è preparato proprio affinché questi siano i frutti. Dio sa il perchè.
– di Andrea Maccabiani
By Redazione On 6 settembre 2018 · 9 Comments
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