Attenzione: parla Gaenswein. E si sente l’eco di Benedetto
(immagine tratta da) https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_settembre_12/padre-georgla-pedofilia-l-11-settembre-chiesa-a4e2959e-b653-11e8-83fc-d7dcaceaa02b.shtml |
Meritano attenzione le parole pronunciate dall’arcivescovo Georg Gaenswein, prefetto della Casa pontificia e segretario particolare di Benedetto XVI, durante la presentazione alla Camera dei deputati del libro di Rod Dreher L’opzione Benedetto.
Con la crisi degli abusi sessuali, ha detto Gaenswein, la Chiesa sta vivendo il suo 11 settembre. Non abbiamo avuto aerei contro la basilica di San Pietro, ma la Chiesa è profondamente scossa e ferita.
Nel libro di Dreher c’è la proposta, per uscire dalla crisi della Chiesa, di seguire l’esperienza delle comunità benedettine, secondo una formula tanto semplice quanto radicale: quaerere Deum, cercare Dio nella preghiera, proprio come fecero i monaci che in questo modo, alzando lo sguardo verso l’assoluto e ponendosi seriamente la questione della verità, riuscirono a gettare le basi della civiltà occidentale. La stessa proposta fatta da Benedetto XVI a Parigi, in un famoso discorso: una scelta che ovviamente implica l’abbandono del tentativo di piacere al mondo adottandone il pensiero intriso di soggettivismo, relativismo morale e indifferenza verso la questione della verità.
Il paragone tra la crisi degli abusi e l’11 settembre 2011, il crollo delle Torri gemelle di New York, è forte, ma Gaenswein non ha esitato a proporlo. Sono stati il rapporto del Gran Giurì della Pennsylvania e il caso McCarrick, ha spiegato l’arcivescovo, a fargli venire in mente il parallelo. Certo, non abbiamo avuto chiese crollate, ma il messaggio insito negli scandali è «ancor più terribile di quanto avrebbe potuto essere la notizia del crollo di tutte le chiese della Pennsylvania insieme alla basilica del santuario nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington».
Fu proprio lì, nel santuario, che Benedetto XVI nel 2008 parlò di «profonda vergogna” per gli abusi, un lamento che tuttavia «non riuscì a contenere il male».
Certamente Joseph Ratzinger aveva ben chiara la questione. Nel 2010, nel viaggio verso Fatima, disse che la persecuzione più pericolosa per la Chiesa non è quella che viene da fuori, ma quella che viene dall’interno della Chiesa stessa, e nel 2005, poco prima di diventare papa, nelle meditazioni per la Via Crucis parlò esplicitamente della «sporcizia» che c’è nella Chiesa e dell’autocelebrazione dei chierici, che ignorano Dio.
Allora Dio ha abbandonato la Chiesa?
Gaenswein nella sua analisi non fa sconti. Da tedesco, conosce bene la devastante realtà della Chiesa cattolica nel suo paese. Una Chiesa «morta da tempo», segnata dalle drammatiche cifre relative agli abbandoni e dal fatto che, tra coloro che ancora restano, meno del dieci per cento va a messa ogni domenica.
Che Chiesa è mai questa? E pensare che i primi cristiani sfidarono l’imperatore e accettarono la morte pur di rivendicare il diritto alla messa domenicale.
«Prima della venuta di Cristo – disse tempo fa l’arcivescovo di Utrecht, il cardinale Willem Jacobus Ejik, citando il Catechismo (n. 675) – la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il “mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità».
Il fatto che Gaenswein abbia ricordato queste parole di Ejik sembra piuttosto eloquente.
Quelle di Rod Dreher, in un quadro simile, assomigliano dunque alle istruzioni per costruire una specie di arca. L’alluvione non può essere arginata in alcun modo. L’Occidente cristiano sarà invaso dalle acque di altre filosofie, altre culture, altre fedi, altre visioni. Anche la Chiesa ne sarà travolta, ma un piccolo resto si salverà, e la sua salvezza non sarà dovuta a chissà quali manovre, ma alla preghiera umile, sincera, costante, fiduciosa. Proprio come si fa in tanti monasteri nascosti e proprio come sta facendo Benedetto XVI da quando ha rinunciato all’esercizio attivo del pontificato.
Quanto c’è di Ratzinger nelle parole di Gaenswein? Probabilmente molto, considerando la vicinanza e la consuetudine fra il papa emerito e il suo segretario. D’altra parte, l’arcivescovo non si esprimerebbe in un certo modo se non sentisse di avere l’avallo di Benedetto. E l’eco della voce di Benedetto è percepibile piuttosto chiaramente quando l’arcivescovo dice: «Per molti, tutto porta a credere già oggi che la Chiesa di Gesù Cristo non potrà più riprendersi dalla catastrofe dei suoi peccati che rischia quasi di inghiottirla». Ma la Chiesa non è morta e questo è un tempo di grazia, perché «alla fine a renderci liberi non sarà un particolare sforzo qualsiasi, ma la verità, come il Signore ci ha assicurato».
Aldo Maria Valli
https://www.aldomariavalli.it/2018/09/11/attenzione-parla-gaenswein-e-si-sente-leco-di-benedetto/
IL CARD. WUERL ANNUNCIA IN FORMA INDIRETTA LE SUE DIMISSIONI. DOMANI IL VERTICE DEI VESCOVI USA DAL PAPA.
Il cardinale di Washington, Donald Wuerl, in una lettera ai sacerdoti afferma che a breve incontrerà il Pontefice per discutere il tema delle sue dimissioni, peraltro formalmente già consegnate tre anni fa, quando compì 75 anni. È molto probabile – questa è un formula di cortesia nei confronti del papa – che la decisione di lasciare la guida della diocesi sia già presa.
Nella sua lettera il porporato, nell’occhio del ciclone per la copertura di abusi e di preti abusatori a Pittsburgh, e per la complicità con il suo predecessore e mentore, il card. Predatore McCarrick, parla di un’azione “così che la Chiesa dell’arcidiocesi che tutti amiamo possa muoversi in avanti”. Il porporato afferma che c’è bisogno di “portare guarigione e un nuovo inizio al servizio di questa Chiesa”.
Nella sua lettera il cardinale ha scritto, che dopo l’incontro avuto con i suoi sacerdoti all’inizio del mese, “Era chiaro che qualche decisione, prima piuttosto che dopo, da parte mia è un aspetto essenziale, così che questa Chiesa possa muoversi avanti”. Dopo che è stato reso pubblico il Rapporto del Grand Jury di Pennsylvania, la posizione di Wuerl era diventata critica. Si erano avute proteste per strada davanti alla cattedrale di San Matteo e al santuario dell’Immacolata Concezione per chiedere le sue dimissioni. La testimonianza di mons. Viganò – che accusava chiaramente Wuerl di mentire – aveva aggravato la sua posizione, e una petizione per chiedere le sue dimissioni aveva raccolto diverse migliaia di firme.
Un suo passo indietro appare quasi ovvio. Ma non risolve completamente il problema. Infatti Wuerl è stato fatto membro della Congregazione per i Vescovi, nomina che insieme alla fiducia di cui gode presso il Pontefice regnante con il card. Blase Cupich, altra creatura di McCarrick, gli offre un ruolo predominante nella scelta dei vescovi per gli Usa. Si corre il rischio di riproporre con Wuerl la stessa situazione che papa Bergoglio aveva creato con McCarrick: e cioè quella di una persona che senza cariche ufficiali gestisce nomine e promozioni scavalcando sia il Nunzio – che ad esse è preposto – che gli organismi della Conferenza Episcopale. Insomma, storie di amici…E i fatti di questi giorni ci mostrano con chiarezza di che tipo di amici si tratti.
Domani il vertice della Conferenza episcopale Usa, con in più il card. Sean O’Malley, sarà finalmente ricevuta dal Pontefice regnante. A differenza di Wuerl e Cupich il card. Daniel Di Nardo e mons. Gomez hanno dovuto aspettare qualche settimana per avere una risposta alla loro richiesta di vedere il papa. Di Nardo aveva annunciato il 16 agosto di voler chiedere un incontro, dopo la tempesta suscitata dalla rivelazioni del Grand Jury e su McCarrick.
Il Comitato Esecutivo dei vescovi, aveva detto il cardinale, ha stabilito tre obiettivi: “Un’indagine nelle questioni relative all’arcivescovo McCarrick; l’apertura di nuovi canali confidenziali per raccogliere lamentele contro i vescovi; e patrocinio per una soluzione più efficace delle future lamentele”.
Come diversi vescovi hanno dichiarato, la testimonianza di mons. Viganò renderebbe necessario rendere pubblico il dossier McCarrick, e i documenti in possesso della Segreteria di Stato, della Congregazione per i vescovi e dell’arcidiocesi di Washington. Un bel test di prova – oltre alle parole – per la trasparenza della Chiesa in quest’epoca.
Marco Tosatti
12 settembre 2018 Pubblicato da wp_7512482 5 Commenti --
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.