ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 16 novembre 2018

L'invidia dei falliti

Vescovi italiani vogliono rovesciare la Summorum Pontificum



I vescovi italiani hanno suggerito durante il loro incontro autunnale in corso di abolire il Motu Proprio Summorum Pontificum, riferisce MessaInLatino.it (16 novembre).

L'arcivescovo di Gorizia Carlo Radaelli, di 62 anni, ha detto che Benedetto XVI "sbagliava" a scrivere nella Summorum Pontificum che il Vecchio Rito non era mai stato abrogato. Invece Radaelli afferma che la Messa Romana è stata abolita da Paolo VI. Secondo lui, il Motu Proprio di Benedetto sarebbe nullo e non valido.


Diversi prelati sostengono le affermazioni di Radaelli, tra loro il modernista don Luigi Girardi, che gestisce l'Istituto Romano della liturgia pastorale, il vescovo di Novara Franco Brambilla, 69, e un vescovo anonimo dell'Italia meridionale.

Radaelli e Brambilla sono stati entrambi nominati da Benedetto XVI.

Foto: © Joseph Shaw, CC BY-NC-SA#newsXiznlekpse
CEI: "Va abrogata la messa antica, papa Ratzinger ha sbagliato".
Le voci che ci erano giunte sono state confermate: a Roma, in occasione dell'Assemblea della CEI, si è provato a colpire il motu proprio di Benedetto XVI. E quindi lui stesso, che ebbe così cara quella riforma, tanto da affrontare impavido un'opposizione assatanata. 

Che cosa è accaduto? 

Mons. Redaelli, vescovo di Gorizia (che sappiamo avere conseguito la laurea in diritto canonico presso la Pontificia Università Gregoriana) ha asserito che il Messale Antico di Giovanni XXIII era stato abrogato da Paolo VI (e ciò contrariamente a quanto dichiarato da Benedetto XVI nel Motu Proprio) e che quindi il Summorum Pontificum, essendo errate le premesse giuridiche da cui muove i passi, è inefficace nella parte in cui afferma la continuazione di validità del messale antico e ne riconosce l'immutata vigenza ai giorni nostri. Per tale motivo, il motu proprio è un "non-sense" giuridico e la liturgia "tridentina" non è stata legittimamente ristabilita dal motu proprio e non può considerarsi liberalizzata.

Con la conseguenza, sperata dai vescovi più ostili, di una cancellazione totale e senza deroghe di tutti i centri messa nati e fioriti dopo il 14.09.2007

Al che rispondiamo da giuristi professionisti, non semplici dottori in legge in tutt'altre faccende impegnati come l'Eccellenza: quand'anche fosse stata errata la premessa del motu proprio di una liturgia antica numquam abrogata (ed errata non era, come dimostra, a tacer d'altro, la preesistente facoltà di celebrarla con il regime dell'Indulto), il dato essenziale è che il Summorum Pontificum esprime una ratio legis inconfutabile: ossia che la forma straordinaria sia d'ora innanzi liberamente utilizzabile; sempre per le Messe private, e su richiesta di un gruppo stabile per quelle pubbliche. Sicché la critica di Mons. Redaelli, se pur fosse fondata (e non lo è), non avrebbe alcuna incidenza sul diritto canonico vigente dopo il 2007.

A quell'intervento da causidico si è affiancato quello ancor più ostile di Girardi, rettore dell'istituto di liturgia pastorale di Santa Giustina di Padova (uno degli epicentri  delle aberrazioni postconciliari), imbottito della peggiore ideologia dello "aggiornamento".

Scevro di cognizioni giuridiche ma colmo di tracotanza liturgistica (la nota facezia che circola in Vaticano è che la differenza tra un liturgista e un terrorista è che con il secondo, di solito, si può trattare...), il Girardi ha spiegato che il Summorum Pontificum è pernicioso dal punto di vista della pastorale, poichè contrario alle indicazioni conciliari dei Padri che richiedevano (a suo dire) una modifica radicale all'antico messale. Il che per inciso non è per nulla vero, come dimostra la lettura della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che ad esempio non prevede che il prete debba stare girato verso il popolo e al n. 36 prescrive categoricamente: «L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini».

A dare manforte al liturgista hanno parlato anche un Vescovo pugliese e mons. Brambilla, vescovo di Novara, che seppur in maniera più elegante ha sferrato  un colpo comunque duro contro il motu proprio. 

Certo, dopo essersi preoccupati di cambiare le traduzioni inveterate del Gloria e del Padre Nostro, senza che nessuno ne sentisse la necessità (ah, ovviamente non è stato ancora modificato il "per voi e per tutti": quello sì palesemente in contrasto con la versione originale, ossia con le parole stesse di Nostro Signore che disse: "per voi e per molti"), perché mai le Loro Eccellenze dovrebbero perder tempo ad analizzare i veri motivi della grave crisi di fede in cui sta vivendo la Chiesa Italiana (fuga dai seminari, abbandono della tonaca di molti sacerdoti, crollo della pratica,  episodi terribili di omosessualità e pederastia, altari delle teste mozze, crollo dell' 8xMille alla Chiesa Cattolica, solo per citare alcuni esempi)? 

L'urgenza del momento era, a quanto pare, scagliarsi contro la liturgia antica ed auspicarne la messa al bando.

C'è qualcosa di sinistramente psicopatico in tutto ciò ed è l'invidia del fallito: nel crollo delle proprie utopie, nel gelo dell'inverno in cui si è tramutata la radiosa 'primavera conciliare', è troppo doloroso guardare in faccia la realtà ed ammettere onestamente i propri errori. Meglio allora cercare di distruggere quel poco che ancora funziona, come lo zelo ed il decoro delle celebrazioni in rito antico e il fiorire delle vocazioni negli istituti religiosi tradizionali. Il caso dei Francescani dell'Immacolata e l'odio per la liturgia immemoriale sono un chiaro esempio di questa insana frenesia di naufraghi impazziti, che cercano di capottare le poche zattere che ancora galleggiano, anziché pensare a salirvi sopra o a costruirne di nuove.


Roberto ed Enrico 

E così il Padre Celeste non ci induce in tentazione ma rischiamo che ci abbandoni ad essa?

Cari amici,
leggo della "messa a punto" della nuova traduzione del "Padre Nostro" che, come mi spiegò fin dall'asilo Suor Giuseppina, è la preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato.
Se ho capito bene il Padre, adeguandosi un po' al politicamente e religiosamente corretto, non ci induce più in tentazione ma, comunque, corriamo il rischio che ci abbandoni ad essa.
Dio ci abbandona? Ohibò! Questa è nuova!
Magari una riflessione teologica in più sarebbe stata necessaria...

Comunque immaginiamo la confusione prossima ventura:
1) a Messa i cattolici praticanti imparano il nuovo testo;
2) a Messa altri cattolici praticanti continuano a recitare il testo tradizionale;
3) a Messa i cattolici che partecipano solo a Battesimi, Matrimoni e Funerali continuano a recitare il "vecchio" testo;
4) coloro che dissentono (praticanti o meno) si mettono a recitare il Pater in latino.

Caspita! Che minestrone.
Più in generale se un fedele assiste ad una messa in San Pietro nella quale si fa uso del latino (sorvoliamo sugli strafalcioni che si odono negli ultimi anni...) reciterà il Padre Nostro in un modo, se va in parrocchia in un altro.
Si può dire "bah" o si rischia la scomunica?
Nel dubbio credo che il quarto punto sia quello che fa per me :-)
Buona giornata 
R.

p.s. Nessuno osi mettere mano al testo latino...chissà che cosa verrebbe fuori: desinenze sbagliate, casi inventati :-)
http://ilblogdiraffaella.blogspot.com/2018/11/e-cosi-il-padre-celeste-non-ci-induce.html

TERREMOTO IN VATICANO !!! VORREBBERO FARCI CAMBIARE IL MODO DI RECITARE IL PATER NOSTER, SEMPLICEMENTE ASSURDO! DON NICOLA BUX CI SPIEGA PERCHE’…

Prendiamo dunque il versetto in questione dal testo originale greco: “καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν”.

La parola di interesse è “εἰσενέγκῃς” (eisenekes), che per secoli è stata tradotta con “indurre”, ed invece nella nuova traduzione vediamo “non abbandonarci” (come i cavoli a merenda).

Il verbo greco “eisenekes” è l’aoristo infinito di “eispherein” composto dalla particella avverbiale eis (‘in, verso’, indicante cioè un movimento in una certa direzione) e da phérein (‘portare’) che significa esattamente ‘portar verso’, ‘portar dentro’.

Per di più, è legato al sostantivo peirasmón (‘prova, tentazione’) mediante un nuovo eis, che non è se non il termine già visto, usato però qui come preposizione.

Tale preposizione regge naturalmente l’accusativo, caso di per sé caratterizzante il “complemento” di moto a luogo.

Anzi, a differenza di quanto accade ad esempio in latino e in tedesco con la preposizione in, eis può reggere solo l’accusativo.

Come si vede, dunque, il costrutto greco presenta una chiara “ridondanza”, ossia sottolinea ripetutamente il movimento che alla tentazione conduce, per cui è evidentemente fuori luogo ogni traduzione – tipo “non abbandonarci nella tentazione” – che faccia invece pensare a un processo essenzialmente statico.

Il latino “inducere”, molto opportunamente usato da san Girolamo nella Vulgata (traduzione della Bibbia dall’ebraico e greco al latino fatta da Girolamo nel IV secolo), essendo composto da ‘in’ (‘dentro, verso’) e ‘ducere’ (‘condurre, portare’), corrisponde puntualmente al greco eisphérein; e naturalmente è seguito da un altro in (questa volta preposizione) e dall’accusativo temptationem, con strettissima analogia quindi rispetto al costrutto greco.

Quanto poi all’italiano indurre in, esso riproduce esattamente la costruzione del verbo latino da cui deriva e a cui equivale sotto il profilo semantico.

Dunque la traduzione più giusta, che rimane fedele al testo è quella che è sempre stata: “non ci indurre in tentazione”. Ogni altra traduzione è fuorviante, e oserei dire anche grottesca.

Don Nicola Bux

Pater Noster qui es in caelis,

Sanctificetur nomen tuum,

fiat voluntas tua,

sicut in caelo et in terra.

Panem nostrum cotidianum da nobis hodie,

et dimitte nobis debita nostra,

sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;

et ne nos inducas in tentationem,

sed libera nos a malo.

Amen.

GRAZIE DON BUX PER L’ESAUSTIVA SPIEGAZIONE !!!!
IL FESTIVAL DI "FEDE E CULTURA"
Uno spettro si aggira per la Chiesa: la gnosi
L’eresia gnostica è camaleontica, si camuffa, è sfaccettata, liquida e difficile da inquadrare. Aggira gli ostacoli e così si ripresenta nella storia, uscendo dai percorsi carsici. Ed è tornata a insidiare la Chiesa per cambiarla dall'interno. Se ne parlerà al Festival di Fede e Cultura
Parafrasando le prime parole del Manifesto di Marx, possiamo chiederci se uno spettro si aggiri nella Chiesa: la gnosi. Le vecchia eresia, mai veramente vinta, colpisce ancora? Contro di essa hanno combattuto Ippolito, Giustino, Ireneo, Clemente, Agostino. Contro la gnosi catara hanno lottato Innocenzo III, San Domenico, Simone de Montfort. San Tommaso ha combattuto la gnosi con le sue Summae, e San Bonaventura ha lottato contro Gioachimiti e Spirituali dentro l’ordine francescano. A Trento i Padri conciliari hanno contrastato la gnosi presente nella Riforma. Pio X si è cimentato con la gnosi modernista. Domanda: chi lotta oggi contro la gnosi?
L’eresia gnostica è camaleontica, si camuffa, è sfaccettata, liquida e difficile da inquadrare. Aggira gli ostacoli e così si ripresenta nella storia, uscendo dai percorsi carsici. Si traveste da cristianesimo e vuole trasformare la Chiesa dell’interno. Basta poco a sostituire la parola Logos con la parola Gnosi, ma San Giovanni dice che in principio era il Logos e non la Gnosi. Questa vuole una salvezza senza conversione, si oppone all’ordine del creato, disprezza la legge, odia matrimonio e procreazione e celebra la sessualità sterile, separa il corpo dallo spirito e ritiene poter essere puri anche nella lussuria, trasforma il Messaggio in una formula esoterica che, conosciuta, è in grado di salvarci, vuole riplasmare la realtà, cerca il nuovo contro la tradizione, contrappone spirito e lettera, annuncia un futuro millenaristico, pensa ad una evoluzione dei dogmi.
Marcione, nel secondo secolo dopo Cristo, fondò una Chiesa gnostica. Egli pensava che al Dio del Vecchio Testamento, creatore, legislatore, giudice, si fosse contrapposto il Dio del Nuovo Testamento, mansueto, pietoso e misericordioso. La legge antica del Decalogo sarebbe stata sostituita ed annullata dalla legge nuova delle Beatitudini, sicché sarebbe stato possibile essere di Cristo non rispettando le Tavole della Legge. Un cristianesimo non normativo ma guidato dalla spontaneità leggera dello Spirito, una Chiesa carismatica non appesantita dalla legge e dal diritto. Una Chiesa spirituale senza la pesantezza della dottrina in quanto espressione non del Logos ma della Gnosi. Una Chiesa in perenne rivoluzione dentro se stessa perché non soggetta alla camicia di forza della autorità ma alla amorevolezza della carità e della misericordia. Una Chiesa ove nessuno condanni più nulla, per non assomigliare al falso dio del Vecchio Testamento. Una Chiesa aperta al futuro in quanto tale, non attenta a conservare il proprio passato. Aperta a tutti e non gelosa dei propri confini.
Quando nella storia della Chiesa cambiamo i paradigmi filosofici e teologici, bisogna sempre chiedersi se dietro non ci siano anche cause spirituali e religiose, se non ci siano delle eresie, l’adorazione di falsi dei o false adorazioni di Dio, oltre che falsi concetti. Se si dice che la dottrina evolve, che le barriere dottrinali tra le religioni vanno abbattute, che bisogna correre verso una unica religione perché in fondo adoriamo tutti lo stesso Dio, se si celebra la religione dell’umanità con al centro l’uomo e non Dio, se si rovescia il rapporto tra la dottrina e la prassi, tra la norma e la situazione, tra la legge e la coscienza, tra la contemplazione e l’azione, se ci si appella alla Madre Terra anziché al Creatore, se si accetta la sessualità volutamente sterile come fosse un valore, se si coltiva una visione pagana della natura anche se di un paganesimo evoluto e sofisticato, se si crede che la salvezza possa aggirare il deposito della fede custodito e trasmesso fedelmente dalla Chiesa … allora vuol dire che da tempo non solo è cambiato un paradigma di pensiero, un modo di vedere le cose per cui oggi si accetta quanto ieri si condannava e si insegna quanto ieri si vietava, ma vuol dire che dalle fessure è entrato uno spirito nuovo di tipo religioso.
Lungo il tempo la gnosi si è concretizzata anche in movimenti sociali, culturali, politici. Tutti i messianismi politici hanno uno sfondo gnostico. Tutti i movimenti rivoluzionari pure. La gnosi illuminista ha dissacrato la religione, quella romantica ha distrutto la legge morale sull’altare del sentimento, quella comunista ha distrutto la verità sostituita dalla prassi politica, quella del Sessantotto ha colpito l’autorità. Tutte hanno distrutto l’ordine e prodotto un futuro sulle macerie dell’ordine, ossia un disordine. Anche la Chiesa può vivere il disordine, se si affida al sincretismo, se inverte il rapporto tra pastorale e dottrina, se consulta la situazione sociale di oggi prima del Vangelo di sempre, se cede al sentimento e rinuncia alla ragione, se nega la giustizia con la misericordia, se nega, per dirla con il cardinale Caffarra, che la logica della Provvidenza divina conduca ogni uomo al suo fine, rispettando la condizione naturale della creatura medesima.
Stefano Fontana
Stefano Fontana sarà ospite del 7° Festival Nazionale di Fede e Cultura (PROGRAMMA E ISCRIZIONI) che si terrà a Verona il 25 novembre prissimo al Centro "Fortunata Gresner". 

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