IL SOLE SI OSCURERÀ, LA LUNA NON DARÀ PIÙ LA SUA LUCE, LE STELLE CADRANNO DAL CIELO …
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Prima che tutto questo accada vi saranno molti segni premonitori, lasciati alla percezione ed alla lettura di un uomo purtroppo sempre più incapace a leggere quei segni che oggi sembrano in parte evidenti, in parte sembrano ricorrere tutti, come mi disse in uno dei nostri ultimi colloqui privati il compianto Vescovo e Cardinale Carlo Caffarra.
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In questaXXXIIIdomenica del tempo ordinario,attraverso la narrazione del Beato Evangelista Marco il Santo Vangelo ci dona la Parabola del fico [vedere testo della Liturgia della Parola, QUI].
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L’Evangelista si esprime in uno stile profetico-apocalittico:
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«Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dalle estremità della terra fino all’estremità del cielo» [Mc 13, 27].
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Nei giorni antichi in cui l’Evangelista stilava questo Vangelo, a pochi decenni di distanza dalla morte, risurrezione e ascensione al cielo del Verbo di Dio fatto uomo, si credeva che il ritorno di Cristo Signore nella gloria alla fine dei tempi fosse vicina. Anche il Beato Apostolo Paolo lo credeva, ed inizialmente era convinto di poter essere presente e partecipe su questa terra al ritorno di Cristo Signore alla fine dei tempi.
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Attorno all’anno 52, nella prima delle lettere indirizzata agli abitanti di Tessalonica, il Beato Apostolo parla del ritorno di Cristo Signore; un ritorno indicato col termine greco di παρουσία [parusia], che indica la definitiva e manifesta presenza divina [cf I Ts 4,13-18]. Nell’annunciare ai giudei ed ai pagani il mistero del Verbo di Dio morto, risorto e asceso al cielo, il Beato Apostolo deve fronteggiarsi con le perplessità ed i dubbi di coloro ai quali questo annuncio è rivolto, anche per questo egli scrive:
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«Se infatti crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti» [I Ts 4,14].
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Dopodiché seguita a spiegare:
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«Prima risorgeranno i morti in Cristo, quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così saremo sempre con il Signore» [I Ts 4,16-17].
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Per spiegare la verità di fede della parusia, il Beato Apostolo fa uso di immagini allegoriche che, come le parabole attraverso le quali si esprimeva Cristo Dio, sono utili ed efficaci per trasmettere un messaggio molto profondo: il mistero della vita eterna nella piena comunione con Dio.
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Nel testo della seconda lettera agli abitanti di Tessalonica il Beato Apostolo muta la sostanza del proprio messaggio e comincia a parlare di eventi terribili che precederanno quel giorno che segnerà la fine dei tempi, affermando:
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«Non bisogna lasciarsi ingannare come se il giorno del Signore fosse davvero imminente».
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Procedendo poi a spiegare:
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«Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo!» [II Ts 2,1-3].
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Segue a questo punto quel terribile e drammatico racconto che da sempre dovrebbe farci riflettere, forse però in modo del tutto particolare nel presente che stiamo vivendo:
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«Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi. E per questo Dio invia loro una potenza d’inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità [II Ts 2, 4-12].
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Quella indicata come «uomo iniquo» è figura universalmente conosciuta come Anticristo, del quale narra l’Apocalisse del Beato Apostolo Giovanni [Ap 13,13-14] redatta durante il suo esilio nell’Isola di Patmos, nota anche come il luogo dell’ultima rivelazione.
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Il Beato Apostolo, nella sua opera di evangelizzazione, non manca di ricordare che l’attesa della parusia di Cristo Signore non può certo essere vissuta in uno stato di pigra apatia, ma in modo estremamente attivo e operoso, come siamo esortati a fare nella parabola dei talenti, a noi dati per essere messi a frutto, non per essere sotterrati e poi restituiti tal quali al ritorno del Signore [cf. Mt 25, 14-30].
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Ai tempi del Beato Evangelista Marco si pensava che questo glorioso ritorno di Cristo Signore fosse vicino. Una gloria che circa due secoli e mezzo dopo, il primo Concilio di Nicea imprimerà nell’anno 325 nella nostra professione di fede, nota anche come Simbolo Niceno-Costantinopolitano, dove professiamo la fede nella parusiaacclamando: «… un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine».
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Col trascorrer dei secoli l’attesa della imminenteparusia si è affievolita, non ultimo per il fatto che l’uomo è condizionato al tempo e dal tempo, spesso dimentico che quello del tempo è solo un problema dell’uomo, non di Dio, che è eterno e a-temporale, ossia senza tempo, perché in Dio regna solamente la dimensione eterna.
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La nostra Santa Fede racchiusa nei Santi Vangeli e nelle Lettere Apostoliche ci ricorda, assieme alla nostra Professione di Fede, che la creazione non è eterna, perché eterno è solo il mistero di Dio Creatore e la Parola del Verbo di Dio Cristo Signore, Suo figlio unigenito.
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Il discorso contenuto in questo Santo Vangelonasce da una spiegazione catechetica data ai discepoli da Cristo Divino Maestro, che uscendo dal tempio lo invitano ad ammirare le pietre con le quali era stato costruito. La risposta di Cristo Signore fu anzitutto una profezia sulla futura distruzione del tempio: «In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra» [Mt 24, 2]. Giunti poi sul monte degli Ulivi, Gesù seguitò a rispondere attraverso un discorso interamente incentrato sulla escatologia — termine derivante dal greco ἔσχατον [escaton] che significa “le cose ultime” — ossia la fine del mondo. Il discorso escatologico di Cristo Dio si articola su tre diversi livelli che comprendono la persecuzione dei discepoli fedeli [cf. Mt 13,5-13]; quella grande tribolazione dinanzi alla quale Cristo Dio suggerisce di cercare rifugio sui monti [cf. Mt 13,14-23]; espressione evangelica usata cinque anni fa dal Venerabile Pontefice Benedetto XVI che dopo il proprio atto di rinuncia al sacro soglio affermò che si sarebbe ritirato sul monte a pregare per la Chiesa [cf. discorso all’Angelus del 24.02.2013, testo QUI]. Dopodiché, consumati tutti questi eventi, avverrà la manifestazione nella gloria del Figlio dell’uomo [cf. Mt 13,24-32].
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Cristo Signore, in questa pagina del Beato Evangelista ci rivolge diversi moniti, anzitutto l’invito ad essere sempre vigilanti. E come spesso ripeto nelle mie omelie e catechesi, ed in specie di questi tristi tempi, è bene ricordare che allegorico o metaforico è solo il linguaggio, non sono allegorici e metaforici quei contenuti che costituiscono invece delle certe, innegabili e assolute verità della fede.
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Prima che tutto questo accada vi saranno molti segni premonitori, lasciati alla percezione ed alla lettura di un uomo purtroppo sempre più incapace a leggere quei segni che oggi sembrano in parte evidenti, in parte pare che ricorrano tutti, come mi disse in uno dei nostri ultimi colloqui privati il compianto Vescovo e Cardinale Carlo Caffarra, assieme al quale meditai nel corso di questo lungo colloquio sulla frase: «Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte» [Mc 13, 29].
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La grazia di Dio, tramite i doni dello Spirito Santoda noi accolti e fatti fruttare come preziosi talenti, permetterà sempre di mettere in salvo la nostra anima per la vita eterna, basta essere pronti ad andare verso il Divino Sposo, come ci esorta a fare la Parabola delle vergini stolte e delle vergini sagge [cf. Mc 25, 1-13], che si conclude con l’invito a vegliare in attesa dell’arrivo dello sposo « perché non sapete né il giorno né l’ora» [Mt 25, 13].
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Quest’ultimo monito, riguardo il giorno e l’ora che non sono conosciuti a nessuno se non al Divino Padre, dovrebbe stimolarci a non indugiare a forme di schizofrenico catastrofismo, spesso purtroppo trasferite dalla letteratura delle frange più esaltate di certi pentecostali ed evangelici all’interno della Chiesa Cattolica, tramite il triste e pernicioso cavallo di Troia degli adepti di certi nostri movimenti laicali cattolici che si atteggiano a veri e propri possessori esclusivi del mistero dello Spirito Santo. Compito degli eletti, è quello di crearsi con la propria vita santamente vissuta su questa terra il supremo premio della propria elezione, per poi essere radunati dai quattro angoli della terra e vedere per sempre la luce del Volto di Dio, le cui parole eterne non passeranno mai: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» [Mc 13, 31].
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Laparusia, chiusa quindi nel segreto cuore di Dio Padre, null’altro è che la morte del tempo e la proiezione nell’Eterno Assoluto, dopo che il Divino Giudice, tornato nella gloria, avrà giudicati i vivi e i morti. E questa, ripeto, non è una metafora né un’allegoria poetica — come purtroppo non pochi affermano e insegnano —, ma è una verità assoluta della nostra Santa Fede.
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