SE LI CONOSCI LI EVITI (2) Volonté faceva il pieno in Azerbaijan. Per opere di bene
Abbiamo visto in un precedente articolo come ci sia chi utilizza lo spamming seriale come metodo per rastrellare contatti e convertirli in consensi. L’onorevole ciellino Luca Volonté è uno che ha saputo stare al passo con i tempi facendo il salto di qualità dallo spamming cartaceo (la questua delle giaculatorie a carico del contribuente) allo spamming elettronico con il bombardamento di richieste online di firme (e oboli) targata Citizengo. Attorno a quest’opera di accaparramento dati (e soldi) via etere, poi, si articola tutt’un corollario di iniziative a carattere ricreativo, capaci di catturare tante persone per bene desiderose di offrire il proprio contributo alla buona causa.
Queste persone per bene, tratte in inganno dai marchi di respiro internazionale che evocano immagini di valori, “diritti umani”, famiglie felici e bimbi rosei e pasciuti, si trovano così a investire tempo, denaro ed energie per sostenere un teatrino di cartapesta creato dentro il sistema per puntellare il sistema simulando una opposizione al sistema: insomma, per dare al sistema un pizzicottino che, mentre gli fa il solletico, in realtà lo rinsalda perché offre la parvenza di un democratico pluralismo in cui maggioranza (di sistema) e minoranze (di folklore) convivono pacificamente. Ma null’altro è se non una giostra montata sulla pubblica piazza per tenere buone le teste calde e renderle tiepide, contente e inoffensive.
Capiamo come questa disamina possa generare delusione e scoramento in quanti cerchino un modo per darsi da fare per il bene. Tuttavia non ci pare un buon motivo per tacere i fatti. Soprattutto perché, pur essendo animati dalle migliori intenzioni, costoro rischiano di finire – amara eterogenesi dei fini! – per collaborare alla realizzazione del programma diabolico lungo la via liscia liscia del male minore, minore di un male progressivamente maggiore, sino al male assoluto.
Sotto la regia e la sceneggiatura degli operatori episcopali e dei loro valletti politici, si girano infatti puntate sempre nuove della telenovela “cattolica” del male minore (telenovela che fu spiegata mirabilmente da Mario Palmaro qualche anno fa e che prosegue tale e quale anche oggi con una trama sempre uguale a se stessa).
L’ONOREVOLE CAMBIA LAVORO A reggere le fila di varie iniziative genericamente vendute come pro vita e pro famiglia, come abbiamo visto, è l’onorevole Luca Volonté, ciellino doc con una lunga ininterrotta carriera parlamentare alle spalle – dal 1996 al 2013, nelle fila del democristianismo dai molti nomi – DC fino al 1994, PPI dal 1994 al 1995, CDU dal 1995 al 2002, UDC dal 2002 al 2013 – e dall’unica sempiterna indole. Che è un’indole di compromesso con il male.
Dal 2008 al 2013, in particolare, egli ha rivestito l’incarico di rappresentante italiano presso l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) – l’organismo con sede a Strasburgo posto a tutela dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, nato dal Trattato di Londra del 1949, composto da 47 stati membri – nonché, contemporaneamente, quello di Presidente del gruppo europeo del Partito Popolare (PPE).
Al termine del suo mandato politico, egli rilancia in grande spolvero la Fondazione Novae Terrae, nella quale (e dietro la quale) fa confluire tutta la sua alacre attività ecumenica di uomo delle istituzioni impegnato nella difesa dei valori. Fa di essa una sorta di cabina di regia del democristianismo paneuropeo tanto che, in occasione delle elezioni europee del 2014, sotto l’egida della fondazione, si fa promotore di un manifesto-giuramento, Re-settiamo l’Europa, firmando il quale i candidati si impegnano solennemente a promuovere e difendere i cosiddetti “diritti umani”.
Presenta lui stesso la sua creatura come una «fondazione “di servizio”, sussidiaria» (il parolame ciellino è inevitabile, n.d.r.),ovvero «uno strumento che possa permettere un reale confronto tra coloro che già operano nella promozione e nella difesa di valori umani (…) affinché si possano scambiare “buone pratiche”, ma anche attivare azioni di “mutuo soccorso”» volendo «unire in quest’opera tutti coloro che guardano a questi diritti umani in modo univoco, anche se partono da diverse radici religiose: cristiani cattolici, ortodossi, evangelici, anglicani, musulmani, ebrei, etc.». Prendiamo atto che, tra tutta questa varia umanità, per l’ex onorevole sussiste piena univocità di vedute.
Come che sia, l’ex onorevole ci informa – sentite bene – che «l’attività della Fondazione si concentrerà sulla promozione, organizzazione e finanziamento di conferenze, simposi, congressi, giornate di studio e iniziative culturali similari, (…) realizzazioni di indagini, disamine, ricerche, studi, scambi ed ogni altra forma di pubblicazione o iniziativa editoriale».
Inoltre ci dice – attenzione – che «si effettueranno seminari pubblici e ristretti solo ai membri del comitato scientifico e delle diverse accademie della fondazione [sic!: un ecumenico ed esclusivo club privé per l’euroélite dirittumanista?], sponsorship e partnership negli avvenimenti internazionali su questi temi, creazione e sviluppo di networks diversi (parlamentari nazionali, reti internazionali, uomini cultura e mass media)». Vaste programme. Ma chi, se non lui, può farsene interprete?
Forte della lunga e intensa esperienza politica in sede nazionale e internazionale, il Nostro si butta quindi a tempo pieno alla attività filantropica di promozione dei diritti umani. Di fatto, cambia lavoro. E organizza e sponsorizza un sacco di belle cose, mettendo a frutto tanti preziosi contatti: dalle petizioni ai convegni, dai raduni di piazza ai gran galà.
Giustamente, però, per un impegno del genere sono necessarie parecchie risorse, e le petizioni servono anche a questo, a chiedere un aiuto “concreto” alle persone di buona volontà che ai valori ci tengono.
Va detto però che il Nostro “onorevole” poteva in ogni caso contare anche su altre fonti di approvvigionamento. E a questo proposito ora vi raccontiamo un’altra storia. Una storia sulla quale, incredibilmente, nonostante la sua enormità – non solo per la persona di Volonté, ma anche per le imponenti implicazioni economiche e di geopolitica internazionale – i media hanno steso inizialmente un velo pietoso, in seguito un silenzio tombale. E c’è da chiedersi qualche perché.
MILIONI DI TANGENTI DAL SATRAPO AZERO Sul finire del 2016 salta fuori che, durante il suo mandato in Consiglio d’Europa (memento: si tratta dell’organismo principe posto a tutela dei c.d. “diritti umani”), il solerte ciellino aveva pattuito con il governo dell’Azerbaijan una tangente milionaria allo scopo di orientare il proprio voto e quello del suo partito (il PPE) in appoggio al regime del satrapo miliardario azero Ilham Aliyev, succeduto al potere per diritto ereditario al padre-padrone Heydar Aliyev, governatore dai tempi dell’Unione Sovietica (la famiglia presidenziale comanda ininterrottamente da mezzo secolo).
In particolare, Volonté, in cambio del denaro, avrebbe brigato (con successo) per far bocciare il rapporto Strasser, ovvero una risoluzione di condanna a carico del governo di Baku per il trattamento riservato ai prigionieri politici; e si assumeva l’impegno a svolgere, oltre a questa, una serie indeterminata di azioni a vantaggio del governo azero. Intanto, nel petro-stato continuava la repressione interna contro oppositori politici e organi di stampa, con incarcerazioni a manetta e altre simpatiche iniziative “umanitarie”.
Era previsto, dunque, che Volonté incassasse un milione di euro l’anno per dieci anni (10 milioni di euro in totale). Un nuovo lavoro, insomma, con uno stipendio niente male.
Nella realtà, ha fatto in tempo a incassare “solo” € 2.390.000 (due milioni trecentonovantamila euri) perché nel frattempo la banca del suo paesello nel Ciellistan si è insospettita per l’anomalo flusso di denaro, lo ha segnalato, e la magistratura ha pensato bene di avviare un’indagine per corruzione e riciclaggio a carico dell’insigne cliente, rompendogli così il giochino tra le mani.
La non irrisoria somma è stata accreditata, a partire dal dicembre 2016, nei conti correnti intestati alla società LGV s.r.l. (di cui il Volonté era amministratore unico e la moglie socia per il 100% del capitale) e alla Fondazione Novae Terrae (della quale il Volonté era presidente e legale rappresentante), attraverso una serie di bonifici off shore provenienti da 4 soggetti controllati da società anonime con sede in paradisi fiscali tipo Belize, Seychelles e British Virgin Island.
Secondo quanto si legge nell’atto conclusivo delle indagini su cui si fonda la richiesta di rinvio a giudizio, in cambio della prebenda milionaria egli avrebbe assicurato «nel corso di incontri e riunioni in Azerbaijan e a Strasburgo, il proprio sostegno alle posizioni politiche dello Stato straniero dietro il pagamento di denaro».
Tanto per capirci sul genere di rapporto intercorrente tra il Nostro e il governo di Baku, il primo febbraio 2013, quando il lobbista azero Mammadov gli chiedeva di bloccare la risoluzione presentata contro il suo paese, l’irreprensibile esponente del giussanismo politico gli rispondeva via e-mail: «ogni tuo desiderio è un ordine».
Una strana fiaba a parti invertite, in cui Aladino è musulmano è il genio della lampada è ciellino. E i desideri per i quali l’Aladino lobbista della dittatura petro-islamica sfrega i conti in banca del Volonté come fossero la lampada magica, sono piuttosto chiari: far sparire l’incriminazione dell’Azerbaijan presso il Consiglio di Europa contenuta nel rapporto Strasse sui prigionieri politici perché, dando del paese un’immagine di violenza totale, poteva mettere a rischio eventuali rapporti commerciali, tipo le vendite di gas azero.
Della edificante liaison tra il governo musulmano e deputato ciellino si occupa Report nel novembre 2016 con un articolato servizio – dal titolo Caviar democracy (qui sbobinato, e se ne consiglia caldamente la lettura integrale) – che dà conto di molte delle sue varie e colorite implicazioni.
«Cosa ci facevate con tutti questi soldi?» gli chiede il giornalista di Report. Volonté: «E ma infatti li abbiamo messi… molti di questi li abbiamo lasciati in banca. E li abbiamo spesi dal 2014, dal dicembre 2014 a oggi per sopravvivere, fare petizioni, lanciare iniziative. Di certo non ci siamo arricchiti…». Di certo non “si sono” arricchiti (pluralia majestatis?): è stato un sacrificio altruista.
Agli increduli segnaliamo che quel «fare petizioni» è probabile si traduca con: «Citizengo».
SILENZIO STAMPA (O QUASI) SUI MILIONI DI EURO PER FAVORIRE CHI UCCIDE I CRISTIANI Fin qui, pur con inconsueta parsimonia, la stampa ha dato sommariamente conto della vicenda. A dispetto della straordinarietà dei fatti e di tutte le loro straordinarie implicazioni, l’esposizione mediatica è stata effimera e sottotono, eccezion fatta per la Gabanelli.
Il caso si sgonfia quasi subito, nello strano silenzio di tutte le parti politiche e delle prefiche parlamentari votate allo strillo permanente. Nel silenzio, anche, dei siti e sitarelli più o meno confessionali, ai quali evidentemente non ha fatto troppo caldo né troppo freddo che il cattolicissimo rappresentante italiano in Consiglio d’Europa, messo lì a presidiare il rispetto dei “diritti umani”, si sia messo senza remore, in cambio di fiumi di denaro, al servizio di un regime dispotico e corrotto come quello azero, a maggioranza musulmana, dedito a combattere l’Armenia cristiana già martoriata dall’islam e dal laicismo massonico turco oltre che – sua maxima culpa – tradizionalmente filorussa (Soros ci ha provato a destabilizzarla con un tentativo di rivoluzione colorata, ma non ci è riuscito). Un petro-stato, l’Azerbaijan, che ha offerto molto personale all’ISIS e che è accusato di avere importato da questa, tra torture e mutilazioni di cristiani armeni, i metodi bellici. L’ultima volta è accaduto nel 2017, in una guerra fatta scoppiare praticamente il giorno stesso in cui i Panama Papers mostrarono al mondo come la famiglia Aliyev avesse portato nei paradisi fiscali svariati miliardi, alcuni dei quali provenienti proprio da Baktelecom, la compagnia telefonica azera dai cui conti arrivò il denaro per Volonté
Dal servizio di Report peschiamo a campione un passaggio interessante (domanda del giornalista e risposta di Volonté). «Come pensa di sembrare credibile come commissario dei diritti umani se prende soldi da un paese che li calpesta i diritti umani?». Risposta: «Sì, è una buona domanda».
Evidentemente paghi della spiegazione più che esaustiva, tutti si sono messi buoni e zitti. Anche, e soprattutto, le roccaforti cielline come la Bussola (che ha pubblicato tanti suoi articoli) o Tempi (che bene lo conosce) che, fraternamente solidali, hanno fatto finta di niente.
Peraltro, su tutti i mezzi di comunicazione, sia clericali sia neutri sia anticlericali, il sipario sull’affaire Volonté si chiude restituendo al Nostro una apparente verginità, ovvero con l’annuncio di una clamorosa sentenza di «assoluzione» (non nel merito, ma chi sta a sottilizzare?).
IMMUNITÀ EXTRALARGE, E RITORNO Nel gennaio 2017 un regalone per Volonté arriva dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, che pronuncia una sentenza di non luogo a procedere per l’accusa di corruzione – il riciclaggio (per le «triangolazioni offshore» architettate al fine di «occultare la provenienza dei fondi») resta in piedi – perché tutti gli atti compiuti da un parlamentare nell’esercizio della sua funzione sarebbero coperti da immunità e quindi insindacabili. Il giudice milanese, cioè, grazie a un’interpretazione super-estensiva quanto spregiudicata dell’istituto della immunità, compie l’incredibile miracolo di chiudere il processo per corruzione a carico del deputato ciellino.
Secondo il GUP Giulio Fanales – come ci spiega nelle motivazioni della sua sentenza – la Costituzione consacra «un privilegio legato allo status di parlamentare», che rappresenta «un confine al sindacato giurisdizionale»: un «divieto assoluto» di entrare «nel perimetro dell’attività parlamentare, tenuta al riparo dall’ingerenza esterna dell’autorità giudiziaria». Sicché «ogni indagine in sede processuale volta a valutare l’attività parlamentare si scontrerebbe con il limite invalicabile rappresentato dal divieto costituzionale». Il magistrato tira la coperta della immunità fino a coprire tutte le vergogna di chi riveste lo status di parlamentare, incurante di sovvertire così, clamorosamente, la ratio dell’istituto.
Facciamo notare, per inciso, come la sentenza miracolosa provenga da quel tribunale di Milano che con Tangentopoli ha storicamente incarnato, e persino ingegnerizzato, il primato della magistratura sulla politica. In questo caso è avvenuto l’esatto contrario e sarebbe bello sapere perché.
Dopo l’annuncio di questa incredibile decisione, nessuno parla più del caso Volonté. Come dicevamo, il sipario cala su un Volonté riabilitato. Eppure abbiamo scoperto che ci sono stati fior di sviluppi sotto il profilo giudiziario.
Infatti l’8 giugno 2017 si è pronunciata la Corte di Cassazione su impugnazione della Procura: ha cassato la sentenza di non luogo a procedere, restituendo gli atti al tribunale di Milano per l’ulteriore corso del processo. Il giudice supremo nelle motivazioni ha sbugiardato l’interpretazione acrobatica del GUP riguardo all’istituto della immunità.
La sentenza della Cassazione sul caso Volonté
La Cassazione sottolinea come l’immunità non possa mai trasformarsi in un privilegio personale ma, poiché è posta a salvaguardia delle prerogative del Parlamento (a tutela della autonomia delle istituzioni parlamentari), «garanzia e funzione sono inscindibilmente legate tra loro da un nesso che, reciprocamente, le definisce e le giustifica». E oggetto della contestazione, nel caso in esame, afferma la Corte, «non è il voto né le valutazioni politiche a fondamento dello stesso, bensì l’accordo illecito che si cela dietro il voto e, in particolare, la compravendita della funzione parlamentare», ossia «la indebita compromissione della funzione pubblica realizzata dall’imputato».
La pubblica funzione, cioè, è stata fatta oggetto di mercimonio. Ecco perché, secondo la Corte Suprema, il Volonté deve essere giudicato, oltre che per il riciclaggio, anche in ordine al reato (continuato) ex art. 318 c.p., per «avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, commesse fino al 31 dicembre 2014, indebitamente ricevuto per sé e per terzi somme di denaro…per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, asservendo la propria funzione pubblica ad interessi privati e del Governo dell’Azerbaijan». In questo modo – dice la Corte – «l’imputato avrebbe anche violato i doveri di fedeltà, correttezza ed onestà derivanti anche dalla risoluzione n. 1903 adottata dalla Assemblea del consiglio d’Europa».
Ecco, di questo passaggio nessuno ha detto nulla; per la cronaca Volonté è, tuttora, pressoché integro et illibato.
Invece, il processo a suo carico è pendente e le prove sembra proprio che non manchino. L’informazione italiana, compresa quella cattolica, è davvero strana.
IL GRAN BALLO DEL TIP TAP Nel conflitto cruento tra musulmani e cristiani, quindi, Volonté ha preso le parti dei primi, facendosi profumatamente ricompensare l’opera di fedele sostegno istituzionale a un tiranno straniero. Tutto questo, alla faccia degli elettori in quota cattolica e per la gioia di un satrapo senza scrupoli. Deve essersi trattato di una questione di «libertà religiosa», per la quale i ciellini, come si sa, hanno una sensibilità particolarmente spiccata…
E così, il nostro eroe ha salvato l’Azerbaijan da una condanna per violazione dei diritti umani potenzialmente disastrosa, sia sotto il profilo politico sia sotto quello economico. Dice la Gabanelli: «È importante evitare una risoluzione di condanna perché sporca la reputazione, e rende più difficili anche gli accordi commerciali».
Accordi commerciali? Già…
Guarda caso, proprio in quel periodo era in ballo la questione della TAP, l’oleodotto che parte da Baku e approderà in Puglia. La TAP altro non è che la parte finale di un impianto titanico (che attraversa tutta l’Anatolia con il nome di TANAP) per portarci il gas dei pozzi offshore del Caspio azero.
Qualcuno dice che un’immagine vale più di mille parole. Una mappa di oleodotti vale mille immagini. Ecco la mappa della TAP:
Come si può vedere, tutte le strade portano a Baku. Per fare la TAP, hanno abbandonato la pipeline dal nome verdiano-babilonese, il Nabucco. Ma, soprattutto, la TAP toglie dalle scatole quella immane seccatura geopolitica che è il gas russo: il South Stream, il gasdotto che dalla Russia doveva arrivare in Europa evitando le turbolenze ucraine a stelle e strisce, è un progetto morto, con grande scorno della nostra SAIPEM che si era aggiudicata il mega-appalto. La UE lo sa e lo predica apertamente: bisogna affrancarsi dalla dipendenza dall’idrocarburo russo; ponti d’oro dunque al gas azero, benedetto dagli USA.
Si tratta del solito plurisecolare gioco di accerchiamento della Russia – pensateci: la creazione di due stati islamici europei, Bosnia e Kosovo (grandi fornitori di miliziani ISIS) ha lo stesso senso: puntare quell’estroflessione della Russia che è la Serbia – con relativo strangolamento. Funzionò allo stesso modo alla fine della Guerra Fredda: gli USA cucinarono una vera e propria guerra economica per paralizzare le esportazioni di gas russo.
Preferire il gas azero della TAP a quello russo significa obbedire al comandamento dell’Ordine Mondiale di demonizzare la Russia, e cioè l’opposto simmetrico di quanto detto da Nostra Signora a Fatima.
Ecco che forse comincia a delinearsi il ruolo di Volontè. La TAP si può fermare per uno starnuto del governatore Emiliano, una manciata di olivi e qualche ecofascista terrone scalmanato. Figuriamoci se ci si mette pure il fatto che il gas arriva da una satrapia abituata a vomitare sui diritti umani. Ve le vedete, le prefiche grilline se salta fuori che razza di mostri vi sono in Azerbaijan? Ambientalismo! Diritti umani!
Dice L’Espresso: «Attraverso documenti e testimonianze, le indagini milanesi accertano che proprio Volontè ha avuto un ruolo cruciale nel salvataggio del regime azero, che rischiava una condanna per violazione dei diritti umani, disastrosa per le possibili ricadute politiche ed economiche».
Appunto: bisognava cosmetizzare la petro-tirannia azera sino a farla diventare – a suon di tangenti milionarie – un Paese accettato in quell’Europa che, tramite il rapporto Strasser, stava per censurarne l’orrore. Bisognava stendere una foglia di fico sui “diritti umani” per far fluire i milioni di metri cubi di idrocarburi filo-americani via TAP.
PETRODOLLARI, OPERE DI BENE E LETTERA D’AFFETTO EPISCOPALE Il disegno che si profila è madornale e passa per casa nostra sottoforma di oleodotto. Eppure, nessuno dice nulla di nulla. Dai fatti raccontati, che sono cronaca, possiamo forse desumere qualche ipotesi e porci qualche domanda.
L’Azerbaijan confina con la Georgia, l’Armenia, la Turchia, l’Iran. Ma soprattutto confina col Ciellistan, ed entrambi gravitano stretti nell’orbita dell’impero americano e dei suoi Consoli milanesi, più o meno sospetti di avere a che fare con la CIA. Come, del resto, si dice anche del Tribunale di Milano dai tempi di Tangentopoli.
Passando poi dai grandi scenari geopolitici al micromondo prolife e profamily, ci chiediamo: le girandole di Citizengo, i gran gala, le manifestazioni di piazza e tutte le occasioni ricreative del circuito Novae Terrae, per le quali chiedono l’obolo a noi comuni mortali, da chi sono finanziate?
«Di certo non ci siamo arricchiti» con i petrodollari armeni, ci assicura Volonté, il nostro agente azero a Strasburgo. Gli vogliamo credere, è un onest’uomo. Ma chi, allora, si è arricchito?
Forse nemmeno monsignor Luigi Negri lo sa, e forse non conosceva tutte le prodezze compiute dal suo amico quando, il 29 maggio 2013, a conclusione di quel mandato parlamentare che tante soddisfazioni aveva fruttato, gli indirizzava la lettera affettuosa di cui ripubblichiamo alcuni stralci:
«Caro Luca, (…) sento il dovere di coscienza di farti pervenire questa lettera. La diffusione pubblica di essa la lascio integralmente a te.
Non ho nessuna difficoltà che circoli dove è opportuno anzi utilissimo che ci racconti (…).
La tua è stata una grande testimonianza di appartenenza alla chiesa nella storia che la provvidenza ci aveva riservato, e un grande lavoro perché i valori di verità, di giustizia e di libertà fossero non soltanto affermati ma anche, per quanto possibile, effettivamente perseguiti (…). Questo tuo lavoro coraggioso, intelligente e costruttivo è stato ripagato con la tua estromissione dalle liste nelle ultime elezioni politiche; liste in cui sono entrati poi coloro che non avevano certo vissuto la loro responsabilità politica come l’avevi vissuta tu.
Non tocca a me intervenire sulla specifica vicenda, che rimane comunque per tanti come me una vicenda amara, voglio solo dirti tutta la mia profonda e grata ammirazione per la tua vita, per la tua testimonianza, per quell’impegno in difesa dei valori non negoziabili che certo continuerai, in modo nuovo ma non meno efficace e costruttivo (…)
Auguro a questo tuo nuovo lavoro grande successo, come è stato per questa fase che oggi, e non per colpa tua, si chiude. Il Vangelo ci dice che quando non siamo accolti è meglio uscire da queste case e scuotere la polvere dai nostri piedi (…).
Sei maturato in questi anni di lavoro e di confronti anche duri, e questa maturità devi decidere di metterla in modo nuovo al servizio della stessa battaglia che continua. Io intendo essere semplicemente il testimone di questa gratitudine che con me hanno moltissimi che ti hanno conosciuto e seguito in questi anni, e si sono arricchiti del tuo lavoro e della tua testimonianza (…)».
Non abbiamo commenti sulle vellutate parole del Monsignore, così irascibile con gli altri, ma chissà perché così amorevole nei confronti del correligionario ciellino. Quando il Monsignore gli fa gli auguri per il «nuovo lavoro», viene da chiedersi se sapeva qualcosa della Baku Connection del suo amico. Se sì, vogliamo chiederci se sapesse che il governo dell’Azerbaijan, come passatempo, è dedito a trucidare i cristiani armeni.
Abbiamo cercato di illustrare un panorama degli intrallazzi consumati dietro a tante iniziative paludate che si fanno scudo di nobili intenti umanitari e cristiani per raccogliere consensi e denari. Dentro questa scatola capiente, in cui è contenuta varia mercanzia – firme, petizioni, feste, tangenti, convegni, viaggi in Europa e in stati centrasiatici – tutto si tiene. Ognuno, ovviamente, è libero di aderire a ciò che vuole e di investire dove vuole il proprio tempo e il proprio denaro, ma forse può godere di un po’ più libertà conoscendo il contenuto dell’esercizio e non solo l’insegna luminosa esposta nella pubblica via.
sulla copertina del documento esibito da Volonté è scritto: «Citizengo, Novae Terrae, un aiuto vero per i cristiani perseguitati»
– di Elisabetta Frezza e Roberto Dal Bosco
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.