ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 24 dicembre 2018

La carta d’identità del cattolico

È arrivata anche la letterina di monsignor Nicola Bux. Eccola!
Di nuovo buon Natale a tutti!
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Caro Gesù Bambino, o Gesù, tu sei il Verbo, tu sei la Sapienza, perché per tuo mezzo tuo Padre ha creato tutte le cose, perciò tu sei il Pensiero che abbraccia ogni cosa, sei cattolico. Solo tuo Padre ti conosceva e vedeva, ma nella Notte Santa ti ha rivelato come suo Figlio, cioè ti ha reso visibile al mondo perché il mondo ti vedesse e potesse essere salvato da quel peccato nel quale era caduto a causa del primo uomo.  Nessuno ti aveva mai visto, perché nessuno aveva mai visto Dio, ma tu uscendo dal seno del Padre e venendo nel mondo, proprio tu ce ne hai fatto l’esegesi.

Senza di te, nulla è stato fatto, eppure il mondo non ti ha conosciuto. Sei venuto tra i tuoi fratelli ebrei ma non tutti ti hanno accolto. Anche nella Chiesa da te voluta, c’è chi non vuole nominarti per non dividere. Perciò, ispira al papa e ai vescovi di parlare al mondo della fede in te, della vita in te – la vita morale – e della vita eterna con te, non delle migrazioni, della ecologia e degli altri problemi di questa terra, su cui non hai dato loro alcuna competenza e alcun mandato. Spiega ai teologi che tutto ciò che scrivono, le loro esegesi, servono alla Chiesa se la mettono di fronte alla tua Presenza, quella che tanti cercano e vorrebbero incontrare nella bellezza della liturgia quando è rivolta a te e non all’uomo. Così, quelli che non credono, saranno colpiti e si convertiranno alla verità, che sei tu. Per questo sei nato e sei venuto nel mondo, lo hai detto al culmine della tua passione. Ora, amato Gesù, ti chiedo di aiutarci a capire che non v’è altro Nome – il tuo – nel quale possiamo essere salvati, e per questo – ha detto il tuo Apostolo – ogni ginocchio deve piegarsi in terra, così come si piega in Cielo e persino sottoterra. Ma nella Chiesa, in ossequio al pensiero di moda che si è allontanato dalla fede, c’è chi vuole imporre di non inginocchiarsi perché non saremmo schiavi. Ahi, quanti padroni – dice sant’Ambrogio – finiscono per avere coloro che rifiutano l’unico Signore! Allora ti chiedo che la Madonna e san Giuseppe, i pastori e i Magi, tutti i personaggi del presepio, particolarmente il bue e l’asino, che non solo si inginocchiarono ma si prostrarono profondamente davanti a te, ricordino a quei tuoi ministri che hanno tolto gli inginocchiatoi dalle chiese, che solo il diavolo non si inginocchia perché, come ha detto un padre del deserto, non ha le ginocchia. Chi impara a credere impara a inginocchiarsi, una fede o una liturgia che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi, sono ammalate in un punto centrale. Per questo il divieto di inginocchiarsi appare come l’essenza stessa del diabolico. O Gesù, come non inginocchiarsi davanti alla tua umiltà, giunta fino alla morte di croce? E pensare che nella liturgia celeste descritta dall’Apocalisse, l’inginocchiarsi – proskynein – ricorre 24 volte. Per questo il piegare le ginocchia alla tua presenza, di te Dio vivente, è irrinunciabile. Dunque, ti prego di far tornare l’inginocchiatoio nelle chiese, per aiutare l’uomo moderno a capire che per amore sei venuto a salvarci dal peccato, a convertirsi e ad adorarti.

Tutto ciò che accadde alla nascita di Gesù [rivelazioni celesti] Prodigi inauditi: Maria SS. cadde in estasi per più di un'ora!





468. Il palazzo, che il supremo Re dei re e Signore dei signori teneva pronto per alloggiare nel mondo il suo eterno Figlio incarnato per gli uomini, era la più povera ed umile grotta, dove Maria santissima e Giuseppe si ripararono, rifiutati dagli alberghi e dalla pietà naturale degli stessi uomini. Questo luogo era così abietto e disprezzato che, quantunque la città di Betlemme fosse così piena di forestieri da mancare locande dove alloggiare, nessuno si degnò di occuparlo né di abbassarsi fino ad esso, e certamente non era adatto se non ai maestri dell'umiltà e della povertà: Cristo nostro bene e la sua purissima Madre. Essendo così abbandonato, la sapienza dell'eterno Padre lo riserbò ad essi, consacrandolo con gli ornamenti della nudità, della solitudine e povertà, primo tempio della luce, casa del vero sole di giustizia, che presto sarebbe nato per i retti di cuore dalla candidissima aurora Maria, nel mezzo delle tenebre della notte, simbolo di quelle del peccato, che coprivano tutto il mondo.

469. Maria santissima e Giuseppe entrarono in questo alloggio preparato per loro e, per lo splendore che emanavano i diecimila angeli che li accompagnavano, poterono facilmente riconoscerlo povero e solitario come lo desideravano, con grande consolazione e lacrime di gioia. Subito i due santi pellegrini, genuflessi, lodarono il Signore e lo ringraziarono per quel beneficio, che già sapevano essere stato disposto dagli imperscrutabili giudizi dell'eterna sapienza. Di questo alto mistero fu più capace la divina principessa Maria, perché nel santificare con i suoi piedi quella piccola grotta, sentì una pienezza di giubilo interiore che la sublimò e vivificò tutta. Pregò il Signore che rimunerasse con liberalità gli abitanti della città, i quali, con l'averla respinta dalle loro case, le avevano procurato tanto bene quanto ne attendeva in quell'umilissimo luogo. Questo era tutto fatto di macigni naturali e rozzi senza alcuna particolarità ed era tale che gli uomini lo giudicarono adatto solo come rifugio di animali; l'eterno Padre, però, l'aveva destinato ad essere abitazione e riparo del suo stesso Figlio.

470. Gli spiriti angelici, che come milizia celeste custodivano la loro Regina e signora, si ordinarono in schiere, come facenti da corpo di guardia nel palazzo reale. Nella forma corporea ed umana che avevano assunto, si facevano vedere anche dal santo sposo Giuseppe. Infatti, era davvero opportuno che in quella circostanza egli godesse di questo favore, sia per alleggerire la sua pena scorgendo così dovizioso e bello quel povero alloggio con le ricchezze del cielo, sia per sollevare ed animare il suo cuore ed elevarlo ancora di più, in modo che si trovasse disposto agli eventi che il Signore preparava per quella notte in un luogo così disprezzato. La grande Regina ed imperatrice del cielo, che già era informata del mistero da celebrarsi, voleva pulire con le sue stesse mani quella grotta, che ben presto doveva servire da trono regale e sacro propiziatorio, affinché a lei non mancasse l'esercizio dell'umiltà e al suo Figlio unigenito quel culto che era quanto in tale occasione poteva preparargli come ornamento del suo tempio.

471. Il santo sposo Giuseppe, attento alla maestà della sua divina sposa, di cui ella per la sua umiltà sembrava dimenticarsi, la supplicò di non privarlo di quel compito, che in quel momento spettava a lui. Affrettandosi, incominciò a pulire il suolo e gli angoli della grotta, ma non per questo l'umile Signora evitò di fare lo stesso insieme con lui. Tuttavia, essendo presenti i santi angeli in forma umana visibile e - a nostro modo d'intendere - trovandosi come mortificati alla vista di così devota contesa di umiltà della loro Regina, subito con santa emulazione si misero ad aiutarla o, per meglio dire, in brevissimo spazio di tempo ripulirono e spazzarono quella grotta, riempiendola tutta di fragranza. San Giuseppe accese del fuoco con gli attrezzi che a tale scopo aveva portato con sé. E poiché il freddo era grande, vi si avvicinarono per riceverne un po' di sollievo; mangiarono il povero cibo che avevano portato con incomparabile gioia delle loro anime, sebbene la Regina del cielo e della terra, essendo prossima l'ora del suo parto divino, fosse tanto assorta e rapita nel mistero che non avrebbe mangiato niente, se non si fosse frapposta l'obbedienza al suo sposo.

472. Una volta terminato di mangiare, ringraziarono il Signore come facevano sempre. Dopo essersi trattenuti per breve tempo in tale ringraziamento e nel parlare tra loro dei misteri del Verbo incarnato, la prudentissima Vergine, che sapeva già vicina l'ora del suo felicissimo parto, pregò il suo sposo Giuseppe di ritirarsi a riposare e a dormire un poco, perché la notte era già molto avanzata. Il santo uomo ubbidì alla sua sposa e le chiese che ella pure facesse lo stesso; a tal fine aggiustò e preparò con i panni portati con sé una mangiatoia piuttosto larga, posta in terra per gli animali che vi si riparavano. Lasciando così sistemata in questa sorta di letto Maria santissima, il santo Giuseppe si ritirò in un angolo della grotta, dove cominciò a pregare. Subito fu visitato dallo Spirito divino e sentì una forza soavissima e straordinaria da cui fu rapito ed elevato in un'estasi in cui gli fu mostrato tutto ciò che avvenne in quella notte nella fortunata grotta, perché non riprese i sensi fino a che non lo chiamò la divina sposa. Il sonno di san Giuseppe fu più sublime e più felice di quello di Adamo nel paradiso terrestre.

473. La Regina delle creature, nel luogo in cui si trovava, fu nel medesimo tempo mossa da una forte chiamata dell'Altissimo con un'efficace e dolce trasformazione, che la sollevò al di sopra di tutte le cose create, e sentì nuovi effetti del potere divino; questa estasi fu infatti una delle più belle ed ammirabili della sua santissima vita. Immediatamente andò elevandosi sempre più con nuove luci e qualità che le diede l'Altissimo, simili a quelle che in altre occasioni ho raccontato, per giungere con esse alla visione chiara della Divinità. Così disposta, le fu aperto il velo e vide intuitivamente il medesimo Dio con tanta gloria e pienezza di conoscenza, che nessun intelletto angelico ed umano può spiegarlo, né adeguatamente intenderlo. Fu rinnovata in lei la cognizione dei misteri della divinità ed umanità santissima del suo Figlio, che in altre visioni le era stata data, e le vennero nuovamente manifestati altri segreti racchiusi in quell'archivio inesauribile del cuore di Dio. Io non possiedo termini sufficienti e adeguati per manifestare ciò che di questi misteri ho conosciuto con la luce divina, perché la loro abbondanza e fecondità mi rende povera di espressioni.

474. L'Altissimo rivelò alla sua Madre vergine che era già tempo di uscire nel mondo dal suo talamo verginale e in quale modo questo si doveva compiere ed eseguire. La prudentissima Signora conobbe in questa visione le ragioni e i fini altissimi di così ammirabili opere e di così grandi misteri, sia da parte del Signore, sia per ciò che riguardava le creature, per le quali erano immediatamente ordinati. Ella si prostrò dinanzi al trono regale di Dio; rendendogli grazie e gloria, e dandogli magnificenza e lode a nome proprio e di tutte le creature per tanta ineffabile misericordia e degnazione del suo immenso amore, chiese a sua Maestà nuova luce e grazia per operare degnamente nel servizio e nell'educazione del Verbo incarnato, che ella avrebbe stretto nelle sue braccia ed alimentato col suo latte. La divina Madre fece questa preghiera con profondissima umiltà, perché comprendeva l'altezza di un così nuovo mistero, quale era l'allevare e il comportarsi come madre verso Dio fatto uomo, ma anche perché si reputava indegna di tale compito, all'adempimento del quale i più alti serafini erano inadatti. Umilmente e prudentemente la Madre della Sapienza pensava e ponderava ciò. Inoltre, poiché si abbassò sino alla polvere e si annientò tutta alla presenza dell'Altissimo, sua Maestà la innalzò e le diede nuovamente il titolo di Madre sua, comandandole che, come madre vera e legittima, esercitasse questo ufficio e ministero e che lo trattasse come Figlio dell'eterno Padre e unitamente come figlio delle sue viscere. Ben a ragione si poté affidare tutto questo a una simile madre, ed in questa affermazione intendo racchiudere tutto ciò che non posso spiegare a parole.

475. Maria santissima rimase in questa estasi più di un'ora, quella immediatamente precedente il suo parto divino. Uscendo quindi da questa visione beatifica e proprio mentre riprendeva i sensi, riconobbe e vide che il corpo del bambino Dio si muoveva nel suo grembo verginale, distaccandosi da quel luogo naturale, dove aveva dimorato nove mesi, e già stava per uscire da quel sacro talamo. Questo movimento del bambino non solo non provocò alla Vergine madre dolore o pena di sorta, come alle altre figlie di Adamo ed Eva in tale situazione, ma anzi la riempì tutta di giubilo e gioia incomparabili, dando origine nell'anima e nel corpo verginale di lei a effetti così alti e divini da sorpassare ogni pensiero creato. Ella rimase nel corpo tanto spiritualizzata e talmente bella e rifulgente, che non pareva neppure una creatura umana e terrena. Il volto, bellissimo, emanava raggi di luce, come un sole. L'espressione era assai grave, piena di maestà ammirabile, e il cuore infiammato e fervido. Stava genuflessa nella mangiatoia, con gli occhi sollevati al cielo, le mani giunte e strette al petto, lo spirito immerso nella Divinità e tutta divinizzata. In questa posizione, sul finire di quell'estasi divina, l'eminentissima Signora diede al mondo l'unigenito del Padre e suo, il nostro salvatore Gesù, Dio e uomo vero, a mezzanotte, in giorno di domenica, nell'anno cinquemilacentonovantanove dalla creazione del mondo, come la Chiesa romana insegna, giacché questo conto mi è stato rivelato essere quello certo e vero.

476. Le altre circostanze e condizioni di questo divinissimo parto, benché tutti i fedeli le suppongano miracolose, pur non avendo avuto altri testimoni che la stessa Regina del cielo e i suoi vassalli, non si possono sapere tutte nei dettagli eccetto quelle che il Signore stesso ha manifestato alla sua santa Chiesa nel suo insieme o ad anime particolari in diversi modi. Ora, poiché in questo credo ci siano delle differenze e poiché la materia è altissima ed in tutto venerabile, avendo io manifestato ai superiori quanto conobbi circa questi misteri per scriverli, mi fu nuovamente ordinato di consultare la divina luce e domandare alla Regina del cielo, mia madre e maestra, e ai santi angeli che mi assistono e risolvono le difficoltà che mi si presentano, alcuni particolari utili alla maggiore spiegazione del parto sacratissimo di Maria, madre di Gesù nostro redentore. Avendo adempiuto questo comando, mi fu manifestato che accadde nella seguente maniera.

477. Al termine della visione beatifica e dell'estasi della Madre sempre vergine, nacque da lei il sole di giustizia, Figlio dell'eterno Padre e suo, bellissimo, rifulgente e puro, lasciandola ancor più divinizzata e consacrata nella sua integrità e purezza. Infatti, non divise, ma penetrò il chiostro verginale, appunto come i raggi del sole che, senza danneggiare una vetrata cristallina, la penetrano lasciandola più bella e risplendente. Prima però di spiegare il modo miracoloso in cui tale cosa avvenne, dico che il bambino Dio nacque solo e puro senza quella membrana che chiamano secondina, nella quale vengono ordinariamente alla luce gli altri bambini ed in cui sono avvolti nel grembo delle loro madri. Non mi trattengo nel dire la causa da cui poté avere origine l'errore che si è introdotto di credere il contrario. Basta sapere e supporre che, nella generazione del Verbo incarnato e nella sua nascita, il braccio onnipotente dell'Altissimo prese e scelse dalla natura tutto quello che apparteneva alla verità e sostanza della generazione umana, affinché il Verbo, fatto uomo vero, si definisse realmente concepito, generato e nato come figlio dalla sostanza della sua Madre sempre vergine. Tuttavia, quanto alle altre condizioni che non sono essenziali, ma accidentali alla generazione e alla nascita, riguardo a Cristo e alla sua Madre santissima non solo devono essere escluse quelle che hanno dipendenza dalla colpa originale o attuale, ma anche molte altre, che non derogano alla sostanza della generazione o della nascita e negli stessi confini della natura contengono qualche impurità o superfluità non necessaria a far sì che la regina del cielo si chiami madre vera e Cristo nostro Signore figlio suo e nato da lei. Infatti, questi effetti del peccato o della natura non erano necessari ne per la verità dell'umanità santissima, né per la missione di redentore e di maestro; e ciò che non era necessario per questi tre fini e la cui mancanza peraltro risultava a maggior gloria di Cristo e della sua Madre santissima, si deve negare in entrambi. D'altra parte, con l'Autore della natura e della grazia e con colei che fu sua degna Madre, preparata, adornata e sempre favorita ed abbellita, non si devono limitare i miracoli necessari a tal fine, dato che la divina destra continuò in tutti i tempi ad arricchire questa grande Signora di grazie e di doni, compiendo in lei col suo potere quanto non fu mai possibile in un'altra semplice creatura.

478. Conformemente a questa verità, il fatto che ella fosse vergine nel concepire e partorire per opera dello Spirito Santo, restando poi sempre vergine, non le impediva di essere vera madre. Inoltre, anche se la natura senza sua colpa avrebbe potuto perdere questo privilegio, sarebbe mancata alla divina Madre una tanto rara e singolare eccellenza e, affinché ella non ne rimanesse priva, gliela concesse il potere del suo Figlio santissimo. Il bambino Dio avrebbe anche potuto nascere con la detta membrana come gli altri, ma questo non era necessario per nascere come figlio della sua legittima Madre e perciò non la portò con sé dal materno grembo verginale; d'altra parte, questo parto non pagò alla natura neppure gli altri tributi di minor purezza, che normalmente si versano. Non era giusto che il Verbo incarnato passasse per le leggi comuni ai figli di Adamo, anzi, era come conseguente al miracoloso modo di nascere che questo fosse privilegiato e libero da quanto avrebbe potuto essere materia di corruzione o di minor purezza. Inoltre quella membrana non si doveva corrompere fuori dal grembo verginale, essendo stata così vicina e unita al suo corpo santissimo ed essendo parte del sangue e della sostanza materna; neppure era conveniente custodirla e conservarla, o che toccassero ad essa le condizioni ed i privilegi che furono comunicati al corpo divino per uscire penetrando quello della sua Madre santissima. Il miracolo col quale sarebbe stato necessario disporre di essa se fosse uscita dal grembo, si poté operare meglio lasciandola dentro.

479. Dal talamo verginale, dunque, il bambino Dio nacque solo e senz'altra cosa materiale o corporea che lo accompagnasse. Ne uscì, però, glorioso e trasfigurato, perché la Sapienza infinita dispose ed ordinò che la gloria dell'anima santissima ridondasse e si comunicasse al corpo del bambino Dio al momento di nascere, partecipandogli le doti di gloria, come avvenne poi sul Tabor alla presenza dei tre apostoli. Questa meraviglia non fu necessaria per penetrare il chiostro verginale e lasciarlo intatto, perché senza queste doti Dio avrebbe potuto fare altri miracoli, in modo che il bambino nascesse lasciando vergine la Madre, come dicono i santi dottori, i quali non conobbero altro mistero in questa natività. Tuttavia, la volontà divina fu che la prima volta la beatissima Madre vedesse il suo Figlio, uomo-Dio, glorioso nel corpo, e ciò per due fini. Il primo consistette nel far sì che, alla vista di quell'oggetto divino, la prudentissima Madre concepisse l'altissima riverenza con la quale doveva trattare il suo Figlio, vero Dio e vero uomo. E anche se era stata prima informata di tutto ciò, il Signore dispose che con tale mezzo le venisse infusa nuova grazia, corrispondente all'esperienza che faceva della divina eccellenza del suo dolcissimo Figlio e della sua maestà e grandezza. Il secondo fine di questa meraviglia fu premiare la fedeltà e santità della divina Madre, affinché i suoi occhi purissimi e castissimi, che si erano chiusi a tutte le cose terrene per amore del suo Figlio santissimo, lo vedessero subito nel nascere con tanta gloria e ricevessero quel godimento in premio della loro felicità e castità.

480. L'evangelista san Luca dice che la Madre vergine, avendo partorito il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, ma non spiega chi lo mise fra le sue braccia dopo che fu uscito dal grembo, perché questo non era nel suo intento. I ministri di quest'azione furono i due principi sovrani san Michele e san Gabriele, i quali, poiché assistevano in forma umana corporea al mistero, nell'istante in cui il Verbo incarnato, penetrando per virtù propria il talamo verginale, uscì alla luce, dalla dovuta distanza lo presero nelle loro mani con incomparabile venerazione. Poi, come il sacerdote mostra al popolo l'Ostia sacra perché l'adori, così appunto questi due ministri celesti presentarono agli occhi della divina Madre il suo Figlio glorioso e rifulgente. Tutto questo successe in un breve spazio di tempo. Ora, nel momento in cui i santi angeli presentarono il bambino Dio a sua Madre, il figlio e la madre santissimi si guardarono reciprocamente, rapendo ella il cuore del dolce bambino e restando nel tempo stesso elevata e trasformata in lui. Il Principe celeste dalle mani dei santi arcangeli parlò alla sua felice Madre e le disse: «Madre, assimilati a me, perché, per l'esistenza umana che mi hai dato, voglio darti da oggi in poi una nuova esistenza di grazia più sublime, che, pur essendo propria della semplice creatura, assomigli al tempo stesso alla mia per imitazione perfetta». Rispose la prudentissima Madre: «Attirami, o Signore; e dietro di te correremo al profumo dei tuoi unguenti». Qui si compirono molti degli arcani misteri del Cantico e tra il bambino Dio e la sua Madre vergine intercorsero altri divini colloqui di quelli che vi sono riferiti, come: Il mio diletto è per me e io per lui. La sua brama è verso di me. Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe. Come sei bello, o mio diletto, quanto grazioso!. Per riferire tutti gli altri misteri che avvennero sarebbe necessario prolungare questo capitolo più di quel che conviene.

481. A Maria santissima, con le parole che udi dalla bocca del suo dilettissimo Figlio, furono palesati anche gli atti interiori della sua anima santissima unita alla Divinità, affinché, imitandoli, si assimilasse a lui. Questo beneficio fu il più grande che la fedelissima e fortunata Madre ricevette dal suo figlio, vero uomo e vero Dio, non solo perché da quell'ora le fu continuo per tutta la vita di lui, ma anche perché egli fu l'esempio vivo su cui ella modellò la sua vita, con tutta la somiglianza possibile tra colei che era semplice creatura e Cristo. Nello stesso tempo, la divina Signora conobbe e sentì la presenza della santissima Trinità e udì la voce dell'eterno Padre che diceva: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. E la prudentissima Madre, tutta divinizzata fra così eccelsi misteri, rispose dicendo: «Eterno Padre e Dio altissimo, Signore e creatore dell'universo, datemi di nuovo la vostra licenza e benedizione, per ricevere con essa nelle mie braccia l'atteso dalle genti e insegnatemi ad adempiere, nel ministero di madre indegna e di schiava fedele, la vostra divina volontà». Udì subito una voce che le diceva: «Prendi il tuo Figlio unigenito, imitalo e allevalo, ma ricorda che dovrai sacrificarlo a me quando io te lo chiederò. Nutrilo come madre e veneralo come tuo vero Dio». Rispose la divina Madre: «Ecco l'opera delle vostre mani divine: ornatemi con la vostra grazia, affinché il vostro Figlio e mio Dio mi accetti per sua schiava e, resa adeguata dal vostro grande potere, io non manchi nel suo servizio; non sia temerarietà che l'umile creatura tenga nelle sue mani ed alimenti col suo latte il suo stesso Signore e creatore».

482. Terminati questi colloqui così pieni di divini misteri, il bambino Dio sospese il miracolo, o tornò a continuare quello con cui sospendeva le doti della gloria del suo corpo santissimo, rimanendo questa ristretta nell'anima, e si mostrò senza tali doti nel suo essere naturale e passibile. Inoltre, la sua Madre purissima lo vide in questo stato e con profonda umiltà e riverenza, adorandolo nella posizione in cui ella si trovava, cioè genuflessa, lo ricevette dalle mani dei santi angeli. Quando l'ebbe preso fra le sue, gli parlò così: «Dolcissimo amore mio, luce dei miei occhi ed anima della mia anima, siete venuto al mondo in un buon momento, o sole di giustizia, per scacciare le tenebre del peccato e della morte. Dio vero da Dio vero, riscattate i vostri servi, e ogni mortale veda colui che gli reca la salvezza. Ricevete per la vostra gloria la vostra schiava e supplite alla mia inadeguatezza nel servirvi. Rendetemi, o Figlio mio, così come volete che io sia verso di voi». Subito dopo la prudentissima Madre si rivolse al Padre, offrendogli il suo Unigenito: «Altissimo creatore di tutto l'universo, ecco l'altare e il sacrificio gradito ai vostri occhi. D'ora in poi, Signore mio, guardate il genere umano con misericordia e, quantunque meritiamo il vostro sdegno, è pur tempo che esso si plachi per riguardo del Figlio vostro e mio. Si plachi ormai la giustizia e la vostra misericordia sia magnificata, perché a tal fine il Verbo divino si è vestito di una carne simile a quella del peccato e si è fatto fratello dei mortali e dei peccatori. Per questo titolo li riconosco come figli e prego per essi dall'intimo del mio cuore. Infatti, se voi, o Dio onnipotente, mi avete resa Madre del vostro unigenito senza che io lo meritassi, perché questa dignità è superiore a tutti i meriti delle creature, devo in parte anche agli uomini la mia incomparabile fortuna, giacché per essi sono Madre del Verbo incarnato passibile, redentore di tutti. Non negherò a essi il mio amore, la mia sollecitudine e la mia premura per la loro salvezza. Accogliete, Dio eterno, i miei desideri e le mie preghiere a questo proposito, che è ad un tempo di vostra compiacenza e volontà».

483. La Madre della misericordia si rivolse anche a tutti i mortali e parlando con loro disse: «Si consolino gli afflitti, si rallegrino gli sconsolati, si rialzino i caduti, si plachino gli inquieti, risuscitino i morti, si allietino i giusti, esultino i santi, ricevano nuovo giubilo gli spiriti celesti, si confortino i Profeti e i Patriarchi del limbo e tutti i popoli lodino e magnifichino il Signore, che ha rinnovato le sue meraviglie. Venite, venite, o poveri; avvicinatevi, o fanciulli, senza timore. Tengo nelle mie mani fatto agnello mansueto colui che si chiama leone, fatto debole l'onnipotente, sottomesso l'invincibile. Venite per trovare la vita, accorrete per acquistare la salvezza, avvicinatevi per conseguire il riposo eterno, poiché lo possiedo per tutti, vi sarà dato gratuitamente e ve lo comunicherò senza invidia. Non vogliate essere tardi, né duri di cuore, o figli degli uomini. E voi, o dolce bene dell'anima mia, datemi quel bacio tanto bramato da tutte le creature». Così dicendo la felicissima Madre avvicinò le sue divine e castissime labbra per fare tenere ed amorevoli carezze al bambino Dio, il quale le attendeva da lei come suo vero figlio.

484. Tenendolo così nelle sue braccia, la Regina delle creature fece da altare e da sacrario, dove i diecimila angeli in forma umana adorarono il loro Creatore fatto uomo. Inoltre, poiché la beatissima Trinità assisté in modo speciale alla nascita del Verbo, il cielo fu lasciato come deserto dai suoi abitanti, perché tutta quella corte invisibile si trasferì alla felice grotta di Betlemme per adorarvi il suo creatore in quell'aspetto nuovo e peregrino. Fu allora che in sua lode gli angeli intonarono quel canto nuovo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama e con dolcissima e sonora armonia lo ripeterono, stupefatti per le nuove meraviglie che vedevano poste in atto e per l'ineffabile pnidenza, grazia, umiltà e bellezza di una giovane donna di quindici anni, degna depositaria e ministra di tali e tanti misteri.

485. Già era tempo che la prudentissima ed accorta Signora chiamasse il suo fedelissimo sposo san Giuseppe, il quale, come ho detto prima, era rapito in un'estasi divina, in cui conobbe per rivelazione tutti i misteri del sacro parto che in quella notte si celebrarono. Conveniva, tuttavia, che anche con i sensi del corpo vedesse, toccasse, venerasse e adorasse il Verbo incarnato prima di qualsiasi altro mortale, perché egli solo era fra tutti eletto come dispensatore fedele di così eccelso mistero. Uscì dall'estasi per volontà della sua divina sposa e, ripresi i sensi, la prima cosa che vide fu il bambino Dio nelle braccia della sua Madre vergine, appoggiato al suo sacro volto e adagiato sul suo petto. Qui lo adorò tra le lacrime con profondissima umiltà. Gli baciò i piedi con tale giubilo ed ammirazione che gli sarebbe venuta meno la vita, se questa non gli fosse stata conservata dalla forza divina, ed avrebbe perso i sensi, se in quella circostanza non gli fosse stato necessario farne uso. Dopo che il santo Giuseppe ebbe adorato il bambino, la prudentissima Madre chiese licenza al suo medesimo Figlio di sedersi e lo avvolse in fasce e pannicelli, che il suo sposo le porgeva con incomparabile riverenza, devozione e delicatezza. Così fasciato, la stessa Madre divina lo depose nella mangiatoia, dopo aver posto un po' di paglia e di fieno su una pietra per adagiarlo nel primo letto che Dio fatto uomo ebbe sulla terra al di fuori delle braccia di sua madre. Subito da quelle campagne venne con somma prontezza, per volontà divina, un bue. Entrato nella grotta si unì all'asinello che la medesima Regina aveva portato. Ella comandò loro di adorare, con la riverenza di cui erano capaci, il loro Creatore e di riconoscerlo tale. Gli umili animali obbedirono al comando della loro Signora e si prostrarono davanti al bambino, lo riscaldarono col proprio fiato e gli prestarono l'ossequio negato dagli uomini. Così, Dio fatto uomo fu avvolto in panni e posto nella mangiatoia, fra gli animali, adempiendosi miracolosamente la profezia che dice: Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende.
MORTIFICAZIONE
In ginocchio da Te, la virtù dell'umiltà
L’umiltà è come la carta d’identità del cattolico, specie quello che vuole riferirsi ad una spiritualità vicina al monachesimo, all’ideale del cavaliere cristiano. Inginocchiarsi esprime la voglia di tornare a Dio per mostrare che “l’altro” non è nulla per noi e che riconosciamo le nostre colpe ed è la porta che condice all'umiltà.

                                     Hugo van der Goes, Adorazione dei Re
L’umiltà è come la carta d’identità del cattolico, specie quello che vuole riferirsi ad una spiritualità vicina al monachesimo, all’ideale del cavaliere cristiano. Meister Eckhart diceva: “Dio opera maggiormente in un cuore umile, perché è là che trova la maggiore possibilità di operare, trovandovi la maggiore somiglianza con se stesso“. Certo, dobbiamo anche esser attenti a riconoscere che l’umiltà può avere il suo lato negativo, può divenire in alcuni “superbia dell’umiltà”, il voler ostentare umiltà per esaltarsi agli occhi degl’altri, un pericolo che il caustico giornalista Roberto Gervaso così descrive: “Di tutte le forme d'orgoglio l'umiltà è la più calcolatrice”. O Romano Battaglia: “L'umiltà è la prerogativa di coloro che conoscono i propri limiti... e li amano”. François de la Rochefoucauld infine osservava: “L'umiltà spesso non è che una finta sottomissione, di cui ci si serve per sottomettere gli altri; è un artificio dell'orgoglio che si abbassa per esaltarsi; e benché si trasformi sotto mille spoglie, non è mai meglio camuffato e più ingannevole di quando si nasconde sotto la maschera dell'umiltà”.
Plinio Corrêa de Oliveira ci ha insegnato l’importanza della contemplazione sacrale sulle cose del mondo, cioè l’avere uno sguardo sempre capace di leggere tutto nella prospettiva soprannaturale. Si può applicarlo pensando ad una canzone di Gianni Morandi di molti decenni fa, In ginocchio da te. I primi versi dicono: “Ritornerò in ginocchio da te, l’altra non è niente per me, ora lo so, ho sbagliato con te, ritornerò in ginocchio da te”. A parte il riferimento a “l’altra”, sono molto più spirituali questi versi che quelli di molti canti liturgici nelle nostre chiese. Il nostro continuo ritorno a Dio, non può che essere in ginocchio. L’atto dell’inginocchiarsi, nella liturgia e nella preghiera privata, è proprio un segno fondamentale del proprio desiderio di creatura di mostrare sottomissione al Creatore, il desiderio di farsi nulla per far sorgere il tutto. Questa voglia di tornare a Dio per mostrare che “l’altro” non è nulla per noi e che riconosciamo le nostre colpe è la porta che ci conduce all’umiltà. Solo chi si tiene in questo stato riesce a vedere quello che la superbia tiene fatalmente nascosto. E si deve mantenere questo stato di umiltà specialmente se si è consapevoli di trovarsi in stato di peccato anche grave. San Giovanni Paolo II ben diceva quando affermava: “Il Signore tanto ama l'umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi. Perché? Perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili”. Non sarebbe bello se fossimo capaci di trasformare i nostri peccati, o meglio la meditazione sugli stessi, come un mezzo di elevazione spirituale?
Il domenicano Marie-Dominique Philippe poteva dire: “L'umiltà, quando diventa una virtù divina, fa tabula rasa: non si accontenta più di vincere l'orgoglio, di appiattirne gli eccessi; scava l'abisso della piccolezza, perché l'Amore di Dio possa riempirlo della sua presenza, per attirare questo amore con maggiore violenza ed audacia”. Ecco, l’umiltà ci svuota di ciò di cui siamo pieni per riempirci di ciò di cui siamo vuoti, diremmo con Sant’Agostino. Per questo bisogna tornare a inginocchiarsi più spesso. E invece si vada in chiesa ad osservare e si nota come molta gente preferisce stare in piedi, in momenti in cui ci si dovrebbe inginocchiare davanti la Maestà di Dio. Solo chi riconosce la Sua Signoria sarà poi capace di non inginocchiarsi davanti agli uomini. Invece si vedono persone prostrate davanti agli uomini per convenienza e che facevano volentieri a meno di mostrare questa adorazione verso Dio. Lo scrittore francese Jean Guitton affermava: “Credere in Dio significa credere in un essere inintelligibile, ma di cui si conosce la capacità di ascolto. Ecco cosa significa inginocchiarsi”. Quando si è in grado di scavare dentro se stessi si è anche in grado di aprire uno spazio in cui un dialogo vero può prendere corpo. Fëdor Dostoevskij poteva affermare: “Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo”. Proprio quello: se non ti inginocchi davanti a Dio presto ti inginocchierai davanti agli uomini.
Una delle qualità principali della Messa Tridentina è quella di essere una “messa scomoda”. Si sta così spesso in ginocchio e su panche a volte senza i cuscinetti. Ma è meglio così, anzi si cerchi di aumentare la scomodità, perché proprio in questo annientamento risiede la nostra possibilità di conversione. In un blog (coraggiodellacastità.blogspot.com) è citato questo pensiero sulla mortificazione del Cardinale Desiré Mercier: “La mortificazione cristiana ha per fine la neutralizzazione degli influssi maligni che il peccato originale esercita ancora sulle nostre anime, anche dopo che il battesimo ci ha rigenerati. La nostra rigenerazione in Cristo, anche se annulla completamente il peccato che è in noi, ci lascia tuttavia molto distanti dalla rettitudine e dalla pace originali. Il concilio di Trento riconosce che la concupiscenza, ovvero la triplice brama della carne, degli occhi e dell’orgoglio, si fa sentire in noi anche dopo il battesimo, al fine di esercitarci alle gloriose lotte della vita cristiana. E’ questa triplice bramosia che la Scrittura chiama tanto il vecchio uomo, opposto all’uomo nuovo, che è Gesù vivo in noi e noi stessi vivi in Gesù, quanto la carne ovvero la natura decaduta, opposta allo spirito ovvero la natura rigenerata dalla grazia sovrannaturale. E’ questo vecchio uomo ovvero questa carne, cioè tutto l’uomo con la sua duplice vita morale e fisica, che bisogna, non annientare – perché è cosa impossibile nella vita presente – ma mortificare, cioè ridurre praticamente all’impotenza, all’inerzia e alla sterilità di un morto; bisogna impedirgli di fare il suo frutto, che è il peccato, e annullare la sua azione in tutta la nostra vita morale. La mortificazione cristiana deve dunque abbracciare tutto l’uomo, estendersi a tutte le sfere di attività in cui la nostra natura è capace di insorgere. Tale è l’oggetto della virtù della mortificazione: ne indicheremo ora la pratica, percorrendo successivamente le manifestazioni molteplici in cui si traduce nella nostra vita”. Ricordiamo che una delle forme più importanti di mortificazione è proprio quella di inginocchiarsi, perché si umilia la propria dignità ma per elevarla alla sua vera e sola natura.
In un videomessaggio del 2009, Benedetto XVI affermava: “Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza. Agli uomini che non possono concepire che Dio sia puro amore, egli dirà sempre che la vita vale la pena di essere vissuta e che Cristo le dà tutto il suo senso perché Egli ama gli uomini, tutti gli uomini. La religione del Curato d'Ars è una religione della felicità, non una ricerca morbosa della mortificazione, come a volte si è creduto: "La nostra felicità è troppo grande; no, no, non lo capiremo mai" (Nodet, p. 110), diceva. O ancora: "Quando siamo in cammino e vediamo un campanile, questa visione deva far battere il nostro cuore come quella della casa dove dimora il suo amato fa battere il cuore della sposa" (Ibidem)”. Insomma, la mortificazione, l’inginocchiarsi non sono un fine in se stessi, ma sono il mezzo per estirpare in noi quanto c’è di male per aprire un sentiero per la gioia più autentica e vera.
Aurelio Porfiri

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