l mondo è un libro scritto da Dio. Il cristiano è colui che, mediante il lume della ragione naturale, dopo aver riconosciuto l’esistenza di Dio e con l’aiuto della "religione naturale" cerca di avvicinarsi all’unico e vero Dio
di Francesco Lamendola
Siamo abituati, dai banchi del liceo, ad ammirare l'espressione galileiana, sebbene un po' enfatica e barocca, il gran libro della natura. L'espressione si trova nel Saggiatore, e Galilei la formula nel contesto di questa affermazione:
La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l’universo, ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.
In realtà, Galilei non si limita a paragonare la natura a un libro scritto in caratteri matematici, ma opera una distinzione, che è una separazione, fra il Libro della Parola di Dio, la Bibbia, e il libro della natura, che è anch'esso opera di Dio: ma se il primo è scritto in maniera da adeguarsi alla mentalità dei tempi, e quindi deve essere adeguatamente interpretato, il libro della natura parla un linguaggio che è di per sé evidente e universale, evidente beninteso per gli scienziati, i quali ne conoscono i caratteri.
La conclusione, sconcertante sotto il profilo teologico, è che mentre lo scienziato, se applica correttamente le sue conoscenze e i giusti procedimenti d'indagine, non può sbagliare nel decifrare il libro della natura, il credente, quando legge la Bibbia, e specialmente quando legge episodi e situazioni afferenti l'ambito della natura, effettivamente può cadere in errore, perché può non saperne interpretare adeguatamente il vero significato. Ne deriva che mentre il sapere scientifico è certo, il sapere teologico, e quindi la dottrina cattolica, che ne è il nucleo, diventa un sapere incerto e storicizzato, cioè soggetto a continua revisione.
Il cristiano è colui che, mediante il lume della ragione naturale, dopo aver riconosciuto l’esistenza di Dio, sempre con l’aiuto della religione naturale, cerca di avvicinarsi all’unico e vero Dio, in mezzo a una foresta di false divinità: e lo trova nel Dio annunciato da Gesù Cristo, nonché in Gesù Cristo medesimo.
Tre secoli prima di Galilei, Guglielmo di Occam aveva separato la scienza dalla fede, praticamente azzerando l'opera gigantesca di tutta la filosofia medievale, culminata nella Summa theologica di san Tommaso d'Aquino. Secondo Guglielmo di Occam, Dio, l’anima e i grandi misteri della religione possono essere conosciuti solo mediante la fede, mentre il mondo della natura viene conosciuto per mezzo dell’indagine scientifica e razionale, che utilizza l’esperienza. A partire da quel momento, nella cultura europea si affaccia l’idea che fede e ragione sono due cose diverse, che devono seguire percorsi diversi e hanno contenuti diversi; fino ad allora, invece, la ragione umana aveva concepito se stessa come strumento di conoscenza non separatamente, ma unitamente alla fede, cioè come un modo per giungere là dove giunge anche la Rivelazione cristiana: al riconoscimento della Verità suprema, che è Dio. Per l’uomo medievale, dunque, non vi sono due libri distinti, quello della natura e la Bibbia, ossia la Scrittura per eccellenza, ma un unico libro, quello della Rivelazione, che parla di Dio sia per mezzo della natura, sia per mezzo della Parola. Dio, infatti, è Egli stesso il Verbo, cioè la Parola, il Pensiero; non c’è una rivelazione a parte per gli scienziati, e soprattutto non c’è una scienza per gli scienziati, che sia distinta e separata da quella delle cose divine. L’uomo è uno, la Rivelazione è una, e perciò anche i mezzi che Dio porge agli uomini per giungere a Lui sono riconducibili a uno solo, l’Amore. Mediante l’Amore, che trova la sua espressione più alta nella Redenzione da parte di Gesù Cristo, pagata al prezzo del suo sangue, ma che incomincia sin dalla Creazione, perché la Creazione è, in se stessa, un atto d’amore, Dio chiama gli uomini a Sé, avendoli dotati degli strumenti razionali per riconoscerlo, servirlo e adorarlo. Dio, quindi, parla anche per mezzo della natura, ma non si tratta di un altro linguaggio, e tanto meno di un altro discorso, rispetto a quello contenuto nella Parola, cioè nella Bibbia: è sempre lo stesso Dio, è sempre la stessa fede nel medesimo Dio; e l’assenso alla fede è un atto di libera corresponsione dell’uomo verso Dio, che a sua volta è reso possibile dalla fede, dono di Dio e non conquista dell’uomo. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, dice Gesù ai suoi Apostoli. Similmente, non è l’uomo che giunge alla conoscenza e al riconoscimento di Dio, con le sue sole forze; e tuttavia, la ragione naturale, che è un dono di Dio, il più grande che Egli abbia fatto all’uomo, è un potente ausilio per avvicinarsi alla Verità, beninteso alla condizione che essa venga rettamente usata, e non rivolta contro la luce che il Creatore ha acceso nell’anima umana mediante la Rivelazione.
La ragione stessa è un dono di Dio e serve per innalzare l’uomo verso la verità ultima; non sia mai che essa diventi un laccio o una pietra d’inciampo sulla strada che conduce l’uomo alla verità, cioè a Dio. Eppure, proprio questo è avvenuto nella cultura moderna: a partire da Guglielmo di Occam e, ancor più da Galilei, la ragione naturale si è distaccata da Dio e ha preteso di far da sé, riducendo le questioni scientifiche a questioni “laiche”, e cioè cacciando Dio fuori dalla natura; per poi giungere sovente alla negazione di Dio, non avendone trovato prove convincenti nella natura.
Scriveva Ugo di San Vittore (circa 1096-1141), venerato come beato dalla Chiesa cattolica, uno dei più importanti pensatori del XII secolo a livello europeo, nonché prestigioso esponente della Scolastica, nel trattato De tribus diebus (I tre giorni dell’invisibile luce), un’opera teologica scritta verso il 1123 (cap. IV; traduzione dal latino a cura di Sofia Vanni Rovighi, in Grande Antologia Filosofica Marzorati, Milano, 1973, vol. IV):
Questo mondo sensibile, infatti, è quasi un libro scritto dal dito di Dio, cioè creato dalla virtù divina, e le singole creature sono come figure, non inventate dall’arbitrio dell’uomo, ma istituite dalla volontà divina per manifestare la sapienza invisibile di Dio. Ma come un analfabeta, quando vede un libro aperto, scorge i segni, ma non capisce il senso, così lo stolto e l’”uomo animale”, che non capisce le cose divine (1 Cor. 15, 46). in queste creature visibili vede l’aspetto esteriore, ma non ne capisce interiore significato. Colui che è spirituale, invece, ed è capace di valutare tutte le cose, mentre considera di fuori la bellezza dell’opera, vi legge dentro quanto mirabile sia la sapienza del Creatore. Pure, non vi è nessuno a cui le opere di Dio in appaiano mirabili, anche se l’insipiente mira in esse soltanto l’aspetto esteriore, mentre il sapiente da ci che vede fuori scorge il pensiero della divina sapienza, così come se di una ed identica scrittura uno lodasse il valore o la forma dei segni, l’altro il senso ed il significato.
La posizione di Guglielmo di Occam, è quasi inutile dirlo, viene presentata, nella cultura moderna, in termini incondizionatamente positivi, come il primo passo verso la concezione moderna della scienza, quasi come un preannuncio della “rivoluzione scientifica” operata da Bacone, Galilei, Cartesio, Leibniz, Newton. Per essa, infatti, è evidente che la visione dell’uomo si è arricchita con il distacco della scienza dalla fede, in quanto la scienza, svincolata dal “fardello” della teologia, ha guadagnato in autonomia e ha potuto slanciarsi vittoriosamente alla conquista dell’ignoto. Peccato che questa convinzione sia prettamente auto-referenziale, vale a dire che poggia solo ed esclusivamente sull’apprezzamento che la cultura moderna fa di se stessa, stabilendo da sé, senza contraddittorio alcuno, ciò che è desiderabile e vantaggioso, e rifiutando ogni impostazione diversa dalla propria. Pertanto, proviamo a verificare se le premesse siano giuste e condivisibili; e solo dopo averlo fatto, potremo dire se la scienza moderna, a partire da Guglielmo di Occam, abbia davvero rappresentato un progresso nella storia del pensiero, oppure se non abbia rappresentato, invece, un regresso, nel qual caso, dopotutto, aveva ragione Ugo di San Vittore.
La verità è una; dire che ce ne sono parecchie, ma identiche, è semplicemente una proposizione priva di significato. Come per le religioni: non tutte le religioni si equivalgono, di fatto, parlare di religioni al plurale è un controsenso: o le religioni sono tutte false, oppure una è vera e le altre sono false.
Dunque, vediamo. L’idea moderna di scienza si basa sul fatto che non vi sia alcuna verità precostituita, e che la ricerca della verità sia compito esclusivo della ragione umana, del tutto svincolata dalla teologia e della fede. Ma è vero? È vero che la scienza, liberata dai dogmi religiosi, marcia più in fretta, e meglio, e svela l’ignoto in maniera più efficace? Prima di procedere, dobbiamo precisa meglio il concetto di “dogma religioso”. Il dogma non è, come lo vede, appunto, la mentalità moderna, un laccio, o una trappola, o una camicia di forza, entro cui costringere la ragione; niente affatto: il dogma è un principio fondamentale di una religione, sul quale si regge tutto il resto e dal quale, pertanto, non è possibile prescindere. È l’equivalente del postulato nella geometria: senza postulati, la geometria diventa impossibile, vale a dire diventa una scienza contraddittoria; ma una scienza intrinsecamente contraddittoria non è più una scienza, bensì una pseudo scienza, un sapere il quale pretende di affermare delle cose razionalmente contraddittorie, perché inconciliabili. Il dogma, pertanto, non è l’arcigno cane da guardia di un sapere chiuso e geloso, arroccato a difesa di se stesso: è, da un lato, la base su cui si regge l’edificio, come lo sono le fondamenta di una casa, o come l’architrave su cui si regge il soffitto; dall’altro, è la garanzia del principio di non contraddizione, cioè la garanzia che il sapere insegnato e tramandato non è intrinsecamente contraddittorio, e tanto meno illogico.
La verità esiste, perché è Dio ed è garantita da Dio; non una verità qualsiasi, ma proprio la verità garantita dal solo Dio che è vero. Questa verità è la verità del cristianesimo.
A questo punto, dobbiamo farci coraggio e prendere di petto una questione ulteriore, quanto mai spinosa sotto il profilo del politicamente corretto. Abbiamo detto che il dogma è un principio fondamentale di una religione; ma ora dobbiamo precisare che non tutte le religioni si equivalgono. Tanto per cominciare, non possono essere tutte vere, sempre per rispetto del principio di non contraddizione: se A è una affermazione vera, e B è affermazione diversa e contraria ad A, non è possibile che sia A che B siano egualmente vere: una delle due deve necessariamente essere falsa. Pertanto, parlando in maniera rigorosa, non si dovrebbe neanche dire: le religioni, al plurale, perché se una religione è vera, le altre, affermanti delle cose diverse e inconciliabili con essa, non sono vere, ma false. Di fatto, parlare di religioni al plurale è un controsenso: o le religioni sono tutte false, oppure una è vera e le altre sono false. Ora, la ragione naturale, che tutti possediamo, ci guida al riconoscimento che esiste Dio e che Dio ha creato tutte le cose; inoltre, che non ha voluto regnare sull’universo in solitudine, ma creare un essere intelligente, capace di riconoscerlo, di adorarlo e servirlo. Fin qui, la ragione naturale. Essa deve perciò valutare le religioni, che pretendono di essere Rivelazione divina, partendo dal presupposto che una di esse è vera, ma non lo sono anche le altre, perché se esistessero due religioni egualmente vere, dovrebbero dire esattamente le stesse cose, il che non si vi verifica. Esistono, semmai, delle religioni sincretiste o delle religioni talmente liberali, da accogliere anche la dottrina di altre religioni: ma proprio per questo, cioè per il fatto di includere anche altre dottrine, non sono uguali a queste, perché propongono le loro verità, insieme alle proprie, mediante una somma che ne fa qualcosa di profondamente diverso. Per esempio, è inutile dire che, fra i 330 milioni di dèi dell’induismo, c’è posto anche per il Dio cristiano: quell’anche, infatti, attesta che l’induismo non è un doppione del cristianesimo, semmai può essere un doppione di qualsiasi altra religione, accogliendole tutte, ad infinitum. E del resto, se fosse un doppione, che senso avrebbe? Non c’è alcuna necessità di due religioni uguali, perché non ha senso parlare di due verità identiche. La verità è una; dire che ce ne sono parecchie, ma identiche, è semplicemente una proposizione priva di significato. Ebbene: il cristiano è colui che, mediante il lume della ragione naturale, dopo aver riconosciuto l’esistenza di Dio, sempre con l’aiuto della religione naturale, cerca di avvicinarsi all’unico e vero Dio, in mezzo a una foresta di false divinità: e lo trova nel Dio annunciato da Gesù Cristo, nonché in Gesù Cristo medesimo. Io sono la via, la verità e la vita; nessuno può giungere al Padre se non per mezzo di me.
Un dogma e non è una camicia di forza, ma un trampolino per avvicinarsi sempre più alla verità. La verità è Dio, e la natura è opera di Dio; dunque è assurdo voler vedere nella natura qualcosa di distinto dalla verità divina.
Da ciò deriva che la verità esiste, perché è Dio ed è garantita da Dio; non una verità qualsiasi, ma proprio la verità garantita dal solo Dio che è vero. Questa verità è la verità del cristianesimo. Ma Dio è anche il creatore del mondo, ed è un creatore amorevole: non ha creato il mondo per noia, ma per amore: un amore così grande, da offrire suo Figlio in sacrificio, per mano degli uomini, affinché gli uomini potessero giungere veramente fino a Lui. Questo è un dogma e non è una camicia di forza, ma un trampolino per avvicinarsi sempre più alla verità. La verità è Dio, e la natura è opera di Dio; dunque è assurdo voler vedere nella natura qualcosa di distinto dalla verità divina. Se si guarda alla natura come a una realtà immanente, che è possibile capire solo con strumenti immanenti e con una ragione rivolta unicamente all’immanenza, non si giunge alla verità, ma si cade nell’errore. La ragione stessa, dono di Dio, serve per innalzare l’uomo verso la verità ultima; non sia mai che essa diventi un laccio o una pietra d’inciampo sulla strada che conduce l’uomo alla verità, cioè a Dio. Eppure, proprio questo è avvenuto nella cultura moderna: a partire da Guglielmo di Occam e, ancor più da Galilei, la ragione naturale si è distaccata da Dio e ha preteso di far da sé, riducendo le questioni scientifiche a questioni “laiche”, e cioè cacciando Dio fuori dalla natura; per poi giungere sovente alla negazione di Dio, non avendone trovato prove convincenti nella natura. È significativo che la fede, per secoli, abbia alimentato la scienza; quando questa, in nome della ragione, se ne è distaccata, ha cominciato a non capire più nulla e accecata dalle sue vantate “conquiste” è impazzita sempre di più. Sicché ora l’uomo si trova in balia d’una scienza impazzita e quanto mai pericolosa, tale da mettere in pericolo la sua esistenza. È la nemesi di una scienza che ha voluto fare senza Dio e perfino contro Dio; una scienza che ha preteso di svelare l’ignoto, ma ora minaccia di distruggerci.
Il mondo è un libro scritto da Dio
di Francesco Lamendola
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