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martedì 30 luglio 2019

Una strana “chiesa nella Chiesa”

Gesuiti: sono forse loro la “chiesa nella Chiesa” vista in molte profezie?



Cari Amici, avendo ricevuto molte segnalazioni e richieste di approfondimento, o di specificare meglio l’articolo pubblicato qui dal sito le Cronache di Papa FrancescoPerché un gesuita rimane gesuita anche da papa? un testo che riporta a fondo il collegamento ai nostri Dossier sui Gesuiti pubblichiamo un nuovo articolo, possiamo dire a “reti unificate”. Infatti, nella vigilia della festa liturgica di sant’Ignazio di Loyola, insieme con l’amico Atanasio, ecco alcune riflessioni sulla tragica caduta della Compagnia di Gesù, diventata una strana “chiesa nella Chiesa”. Ci auguriamo – e preghiamo – che il Santo Fondatore della Compagnia rimetta in riga i suoi “soldati”, per il loro stesso bene e di quello di molte anime, nell’assoluta certezza che la Chiesa, invece, – nonostante ciò che si vede e che solo un cieco può negare – è al sicuro, nei Sacratissimi Cuori di Gesù e Maria.

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Una Compagnia che era diventata una “chiesa nella Chiesa”.
Al già ricco e corposo Dossier sui Gesuiti realizzato dal sito di Cooperatores Veritatis, vorrei fare alcune piccole considerazioni: la Compagnia di Gesù fu creata da un Capitano d’armi, non dimentichiamolo mai, in un momento storico difficile per la Chiesa in cui c’era l’avanzata protestante che stava minacciando seriamente l’autorità petrina e l’unità della Chiesa stessa. C’è una corrente interna alla Chiesa che, ragionevolmente, afferma ancora oggi come certe fondazioni Dio le voglia per determinate azioni e compiti specifici, terminati i quali cesserebbe anche l’utilità di tale fondazione. Questa fu la corrente che vide benevolmente la chiusura della Compagnia nel 1773… e definì un danno la sua riabilitazione.
C’è di vero che ci fu molta cospirazione contro la Compagnia che in quegli anni si batteva, piuttosto, contro l’Illuminismo, il Giansenismo, contro anche una certa esasperante autorità delle varie monarchie che rendevano i cittadini sempre più poveri e carenti dei diritti più fondamentali della sopravvivenza. Tuttavia è anche vero che il “Gesuita” alla fine operava per conto proprio e non propriamente con le intenzioni emanate dai Pontefici sulle questioni sociali.
Non è un segreto ricordare come la Compagnia non andasse affatto d’accordo con gli altri Ordini quali Francescani, Domenicani e persino con il Clero locale tanto da aver richiesto ed ottenuto, dai Pontefici, il privilegio di non sottostare all’autorità del vescovo diocesano, ma di poter agire liberamente solo “in obbedienza al Papa”, anche se di fatto finivano per concludere gli affari più confacenti alla loro propria missione.
Insomma, una Compagnia che era diventata una “chiesa nella Chiesa”?
Questo particolare ci consente, oggi, di riflettere bene anche su certe affermazioni profetiche di mistici approvati dalla Chiesa, quando si parla di una “falsa, doppia chiesa…”. Un gesuita diventato Pontefice potrebbe, e senza troppo forzare il pensiero, condurci a vedere questa amletica faccia del gesuitismo contemporaneo che è, però, una “chiesa nella Chiesa”, si legga qui. Del resto, la vecchia saggezza popolare (quando il popolo era davvero saggio) con una breve espressione sapeva riassumere la verità: per questo il generale dei Gesuiti fu chiamato il “papa nero”, perché fu individuata ben presto, nella Compagnia, un’altra chiesa con il suo “papa”.
E così c’è anche di vero che, dopo la loro riabilitazione nel 1814, la Compagnia, divenne una sorta di filtro a favore del Modernismo nella Chiesa. Lo scrivono loro stessi con queste parole: “Ripartono praticamente da zero. Il contesto europeo è decisamente cambiato. Anche la “nuova” Compagnia è diversa dalla precedente.” e dicono essi stessi ancora, sulla questione del Gioberti: “Il gesuita moderno di Vincenzo Gioberti del 1846 è l’espressione massima della campagna antigesuitica in Italia, dove, i rapporti tra Chiesa e Stato sono inaspriti dalla “questione romana” e la Compagnia è accusata (non a torto) di essere uno dei principali ostacoli alla realizzazione dell’unità nazionale. L’opera del Gioberti consolida e diffonde gli stereotipi che circolano intorno all’immagine dei gesuiti. Si parla di gesuitismo politico, si designa la Compagnia di Gesù come “la milizia […] più fida alleata e complice dello straniero”. La critica giobertiana, per quanto esagerata e accesa nei toni, individua nella divaricazione tra l’ispirazione originaria e geniale di Ignazio e un certo atteggiamento scaltro dei gesuiti moderni i germi della decadenza della Compagnia, contribuendo a innescare quel processo di rinnovamento che culminerà nel tempo del Concilio Vaticano II” (dal sito ufficiale).
Si faccia attenzione a quest’ultima frase in grassetto: la rivisitazione storica dei fatti non nega che il testo del Gioberti fosse un falso, come fu detto per molti anni, ora si parla di “esagerazione e di toni accesi” e si finisce per girare quella critica a vantaggio di un “certo atteggiamento scaltro dei gesuiti moderni”, grazie ai quali sarebbe stata individuata la divaricazione di quei germi della passata decadenza della Compagnia, a vantaggio di un vero rinnovamento attribuito così al concilio Vaticano II. Ecco lo sdoganamento alla riabilitazione di tutti quei gesuiti il cui pensiero fu condannato dalla Chiesa come quello di Teilhard de Chardin che si vuole riabilitare e, naturalmente, l’opera di rinnovamento modernista di Pedro Arrupe che si vuole canonizzare e del quale Jorge Mario Bergoglio fu giovane adepto, ed oggi accanito sostenitore: “la ‘nuova’ Compagnia è diversa dalla precedente. … a dirlo, ripetiamolo, è il sito ufficiale dei Gesuiti tanto da affermare che “la nostra storia arriva ai giorni nostri tinta di mistero“. In tal contesto dovrebbe riuscire ad essere più comprensibile l’articolo del giornalista americano Dominic Lynch dal quale siamo partiti per questo approfondimento.
_019 GESUITI STUDIO 2Nella “nuova” Compagnia e nella nuova ricostruzione storica che i Gesuiti oggi fanno di se stessi, tutto è letto alla luce della nuova svolta data oggi dal primo Papa gesuita della storia della Chiesa. Dalla metà dell’anno 2013 anche il sito è cambiato, è stato rinnovato ponendo le nuove basi per una rilettura del gesuita moderno, naturalmente in chiave positiva avendo, questo era ovvio, quale maggior garante proprio il Papa al quale essi stessi devono sottomettersi.
Se andassimo, infatti, a studiare bene gli eventi di tutta questa corrente già dalla fine dell’800, si potrà riscontrare che la “nuova” Compagnia è davvero diversa dalla precedente, non ha saputo più fare nulla di grande e di utile per la Chiesa tranne, forse, la rivista la Civiltà Cattolica che – nell’arco di quel tempo e prima della fondazione dell’Osservatore Romano – fu davvero l’unica Voce autorevole della Chiesa e per il Papa. Ma poi… da loro sono state emanate direttive moderniste e conflitti con i Pontefici come, per esempio, il famoso incontro di Giovanni Paolo II che lo induceva quasi, quasi, a sciogliere nuovamente la Compagnia, questa volta quella “nuova” ri-fondata da Pedro Arrupe e che tante spine mise nel fianco del pontificato di Paolo VI. Mi permetto di segnalare questo passaggio integralmente tratto dal famoso libro del padre Malachi Martin I Gesuiti, scritto nel 1987, l’Autore, che lasciò la Compagnia per rimanere “cattolico” – come disse lui stesso – incardinato al clero diocesano anche con il ruolo di esorcista, è deceduto nel 1999, ecco cosa scrive in tempi, diremo, non sospetti:
  • “… chi comanda nella Chiesa cattolica? Chi stabilisce a quali leggi i cattolici devono credere e quale morale devono praticare? Qual è il fine della Chiesa cattolica nel mondo?
  • Le risposte ad entrambe le domande sono, per quanto riguarda il papato, chiare e note. L’autorità di comandare e d’insegnare discende attraverso la struttura gerarchica dal papa ai vescovi, ai preti, ai laici. E il solo fine della Chiesa in questo mondo è di fare in modo che ogni individuo abbia i mezzi per raggiungere la vita eterna di Dio dopo la morte. È un fine esclusivamente ultraterreno.
  • Per molti gesuiti, d’altra parte, l’autorità centralizzata della Chiesa, la struttura di comando attraverso la quale è esercitata e i suoi fini sono oggi inaccettabili. Le prerogative tradizionali di questo papa, Giovanni Paolo II, e di ogni altro papa, sono discutibili.
  • Al posto di una Chiesa gerarchica, i gesuiti mirano a una Chiesa composta di piccole comunità autonome — «il popolo di Dio», come viene chiamato, o «la Chiesa del popolo» associate fra di loro dalla fede, ma assolutamente non da una autorità centrale e centralizzante quale il papato pretende di essere.
  • Al fine ultraterreno della Chiesa tradizionale la Compagnia di Gesù ha sostituito una lotta tutta terrena per la liberazione di una classe della società: la liberazione di quella moltitudine che soffre per ingiustizie sociali, economiche e politiche.
  • Per i gesuiti il modo con cui parlare della lotta di classe è una questione importante e delicata. La nuova missione della Compagnia — perché di questo si tratta — li mette praticamente (e in qualche caso, volontariamente) in una situazione di alleanza con la lotta di classe marxista. Lo scopo di entrambi è di stabilire un sistema socio-politico che condizioni l’economia delle nazioni attraverso una ridistribuzione generale delle risorse e delle ricchezze della terra; e, nel processo, mutare i sistemi di governo in atto fra le nazioni.
  • Alla Compagnia non conviene però dichiarare esplicitamente i propri fini. Ciò significherebbe perdere la guerra ancor prima di averla dichiarata. Per coprire questa realtà, l’espressione corrente fra i gesuiti e coloro che nella Chiesa simpatizzano con questa nuova missione è una frase estrapolata dal suo contesto originale che è un documento pubblicato nel 1968 da una conferenza di vescovi cattolici tenuta a Medellin, in Colombia: «Esercitare un’opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi».
  • Ciò non vuol dire che la Compagnia sia diventata a un certo punto ufficialmente marxista. Non è così. Tuttavia, il fatto nudo e crudo è che molti gesuiti desiderano un cambiamento radicale del capitalismo democratico occidentale a favore di un socialismo che sembra inevitabilmente assumere il sapore di un comunismo totalitario. Ed è un fatto che non mancano influenti gesuiti che a titolo personale parlano frequentemente della nuova crociata…”.
Ripetiamolo: questa analisi da parte di Padre Malachi, che ben conosceva il terzo segreto di Fatima, vedi qui, segretario del cardinale gesuita Augustin Bea e costretto a lasciare la Compagnia perché “la nuova non era più quella fondata da sant’Ignazio…”, è stata scritta nel 1987 e sfidiamo davvero chiunque ad affermare che ciò che è stato analizzato ieri non è quanto stiamo vivendo oggi.
In una delle tante interviste di Bergoglio inserite poi nelle sue biografie, divenuto pontefice, disse di aver letto un libro, nel 1980, che ritenne molto interessante: Marxismo: una prospettiva cristiano-americana, ebbene sono andato a verificare di cosa trattasse e chi ne fosse l’autore, ed ecco la sorpresa. L’autore è Arthur F. McGovern un gesuita, naturalmente, che arriva a difendere il marxismo in quanto Marx aveva delle idee fondamentalmente buone e tutte indirizzate alla difesa dei poveri e che non tutto il marxismo era da dichiarare come falso e che Marx aveva un profondo assetto del pensiero squisitamente umanistico. L’aspetto interessante è ciò che riporta lo stesso Malachi Martin nel suo libro già sopra citato, ecco le sue parole:
  • “McGovern vede in Gesù, come viene ritratto nel Vangelo di san Luca, un esempio di rivoluzione. Quello di san Luca è «un vangelo sociale», dice, citando Gesù in appoggio alla sua causa. «Sono venuto a portare una buona novella per i poveri, a liberare gli infelici, a riscattare i prigionieri».
  • «Vedete», aggiunge McGovern, «quante volte Gesù parla della povertà; s’identifica con la povera gente; critica coloro che caricano pesi sulle spalle dei poveri». Chiaramente, quindi, Gesù riconosce l’esistenza della «lotta di classe» e sostiene «la rivoluzione».
  • Consciamente o inconsciamente, come molti gesuiti moderni e molti attivisti cattolici, McGovern ha finito per mettere da parte millequattrocento anni di interpretazione cristiana e cattolica della Bibbia. Ha reinterpretato il Vangelo e la missione salvifica del figlio di Dio in un senso economico, un senso mondano e non sovrannaturale, un senso non cattolico. Il resto non è che una conseguenza”.
E non è forse questo pontificato una di queste conseguenze che stiamo vivendo? E di quali conseguenze si parla? Ecco una chiara descrizione sempre dalle parole di Padre Malachi, in tempi davvero non sospetti:
  • “Se col tempo il movimento è diventato mondiale, è soprattutto in America Latina che la strana alleanza tra gesuiti e marxisti si dimostrò per la prima volta efficace nella pratica. Fu laggiù che la nuova missione gesuita, che comportava niente meno che la trasformazione del volto socio-politico dell’Occidente, coinvolse la vita della gente molto più profondamente di quanto McGovern e i teorici del suo stampo potessero prevedere. Rapidamente, decine di gesuiti cominciarono a lavorare, con la passione e lo zelo tipici del loro Ordine, per il successo dei comunisti… (…)
  • Ispirati dall’idealismo che vedevano nella teologia della liberazione, incoraggiati dall’indipendenza insita nella nuova idea di Chiesa come gruppo di comunità autonome, i gesuiti ritennero che fosse permesso, persino incoraggiato, tutto ciò che aiutava il nuovo concetto di «Chiesa del popolo».
  • Tali uomini erano il sogno e l’ideale dei veri teologi della liberazione. Perché erano i combattenti, i quadri che facevano passare la teologia di liberazione dalla teoria a quella che chiamavano praxis — la realizzazione della rivoluzione popolare per la liberazione economica e politica. Da questa praxis, insistevano i teologi della liberazione, dal «basso fra il popolo», sarebbe derivata la nuova teologia che avrebbe sostituito la vecchia imposta un tempo in modo autocratico, dall’alto, «dalla gerarchia della Chiesa romana»… (..)  i nuovi concetti gesuiti che riguardano l’autorità della Chiesa, e il fine della Chiesa nel mondo, rappresentano una svolta della più profonda natura. Per la Compagnia di Gesù, la massima autorità per quanto riguarda la fede e la morale non risiede più nella Chiesa cattolica romana con il suo papato e la sua gerarchia mondiale, ma nel «popolo di Dio». Ciò ha fatto sì che nessun dogma e nessuna legge morale della Chiesa cattolica abbiano potuto sfuggire alla sfida e alla negazione da parte di qualche gesuita, a cominciare da quelli di rango più alto e che godevano di maggior considerazione.
  • In ciò i gesuiti sono stati imitati da una miriade di gruppi, cattolici e non cattolici, mossi dalle più diverse ragioni per sostenere questa nuova Chiesa, «il popolo di Dio», contro la Chiesa gerarchica romana. Ma sono stati i gesuiti che hanno aperto la strada e hanno fornito gli esempi più cospicui di questo nuovo atteggiamento verso il pontefice romano e i dogmi”.
La panoramica descritta da Padre Malachi procede spedita e, dopo aver citato altri soggetti come il gesuita Karl Rahner e dopo aver sollevato altre questioni, conclude il quadro con queste riflessioni di una attualità sorprendente o forse, arrivati a questo punto, non dovrebbe più sorprendere:
  • “Certamente, in questi tempi, la Compagnia di Gesù non è sola nella sua guerra contro il papato. Altri gruppi l’hanno imitata — cattolici e non cattolici, religiosi o secolari — ciascuno con le proprie ragioni per affermare che una nuova Chiesa, il «popolo di Dio», ha sostituito la vecchia, gerarchica Chiesa cattolica romana. Ma sono stati i gesuiti che hanno aperto la strada, che hanno offerto gli esempi maggiori e più efficaci di questo nuovo atteggiamento nei confronti del pontefice e dei dogmi stabiliti da Roma; e sono loro che continuano a darsi da fare ai più alti livelli di quella che non si può chiamare che politica teologica.
  • Fu così che l’attuale padre generale della Compagnia di Gesù, Peter-Hans Kolvenbach, poteva promettere con solenne fiducia davanti ai gesuiti che lo avevano eletto come capo dell’Ordine nel 1983 — l’anno prima che Karl Rahner ritornasse a Dio — che, fra le altre cose, si sarebbe impegnato a perseguire quella giustizia che i gesuiti volevano, senza lasciarsi distrarre «dai gemiti e dalle lamentele dei papi»…”.
Che strana coincidenza! Trent’anni esatti dopo l’affermazione e la promessa del “papa nero” Kolvenbach, saliva sulla sede di Pietro il primo gesuita della storia, quali “gemiti e lamentele”avrebbe potuto mai rivolgere alla “sua” stessa Compagnia?
Eppure nelle tante biografie si scorge un Bergoglio molto recidivo nella compagnia della Compagnia… C’è del vero perché Bergoglio fu fatto passare come “nemico della Teologia della Liberazione”, è per questo che Giovanni Paolo II lo fece vescovo giacché fu proprio Kolvenbach a bocciarne la candidatura. Scrive Marcantonio Colonna [Sir Henry Sire – storico e docente universitario – sul saggio “Il Papa Dittatore”]: “Il testo della relazione non è mai stato reso pubblico, ma il seguente resoconto è stato rilasciato da un sacerdote che ha avuto accesso ad essa prima che scomparisse dall’archivio dei gesuiti. Padre Kolvenbach accusava Bergoglio di una serie di difetti, che vanno dall’uso abituale di linguaggio volgare alla doppiezza, alla disobbedienza nascosta sotto una maschera di umiltà e alla mancanza di equilibrio psicologico. Nell’ottica di una sua idoneità come futuro vescovo, la relazione ha sottolineato che come provinciale era stata una persona che aveva portato divisione nel suo ordine”… (qui la fonte).
Resta così da capire se fu ingannato lo stesso Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires che lo indicò a Roma da promuovere, o che forse non la pensava già come il giovane Bergoglio tutto attratto dalla nuova teologia del popolo che, nel frattempo, prendeva il posto di quella della liberazione, si legga qui. Promozione dunque che giunse nel 1992 e nel 1998 gli diventa successore Primate d’Argentina.
Nel caso specifico della carriera di Bergoglio potrebbe suonare anche come una beffa ed ironia, o paradosso se volete, che nel 2001 Giovanni Paolo II lo crea cardinale del titolo “San Roberto Bellarmino”, il gesuita Dottore della Chiesa che ha combattuto duramente contro l’eresia Protestante, eccellente lavoratore nella Compagnia a difesa della sana Dottrina soprattutto durante i lavori del concilio di Trento, mai nominato da Bergoglio né prima e neppure in sei anni da pontefice.
“Papisti che odiano il Papa (cioè che odiano i predecessori del felice gesuita Regnante), evangelizzatori che hanno perso la fede”
A fornire altri elementi interessanti alle tesi qui esposte c’è l’articolo di Sabino Paciolla, dal titolo indubbiamente in tema: I Gesuiti sono cattolici? – vedi qui – dove leggiamo quanto segue:
L’Incertezza Passionale: Dentro i Gesuiti americani pubblicato recentemente è una rappresentazione eccentrica ma convincente del collasso della diserzione della Società di Gesù: Papisti che odiano il Papa, evangelizzatori che hanno perso la fede. Privati ​​della loro ragion d’essere come Gesuiti, rispondono o mettendo fine alla loro esistenza come Gesuiti (i disertori sono più numerosi dei membri attivi negli Stati Uniti) o indugiando a una voluta imbecillità in cui alle questioni che dividono in modo esplosivo non è mai permesso di emergere… (..) uomini capaci e senza scopo, irrimediabilmente compromessi dallo spergiuro.
La traiettoria del declino non è difficile da ricostruire, e la storia dei Gesuiti, sebbene più drammatica, differisce poco da quella di altri ordini progressisti religiosi nei decenni successivi al Concilio Vaticano II. Si è visto il liberalismo promuovere la tolleranza e il rispetto reciproco nelle comunità secolari pluraliste. Tuttavia, essendo puramente negativo nel contenuto e procedurale nell’applicazione, si rivelò letale quando importato in un ordine volontario come la Società di Gesù, un ordine sia dottrinalmente esclusivista sia rigidamente gerarchico. Quasi da un giorno all’altro la fanteria leggera del Papa divenne un battaglione in cui ogni uomo decise da sé quale guerra stava combattendo. Il risultato fu un incubo istituzionale: confusione e codardia al vertice; disperazione, rabbia e disillusione nei ranghi. (..) Un accademico gongola: “La Società non ha venduto la sua anima alla ‘Restaurazione’ di Giovanni Paolo II”. Un altro studioso Gesuita, uno storico di Chiesa, classifica Giovanni Paolo II come “probabilmente il peggior Papa di tutti i tempi”, aggiungendo: “Non è uno dei peggiori Papi; lui è il peggiore. Non fraintendetemi.” Gli intervistati chiariscono che il loro disprezzo per il Papa è basato quasi interamente sulla sua intransigenza, la sua riluttanza a imitare la propria adattabilità in materia di dottrina”.
Dello stesso spessore è l’analisi: Il tradimento dei gesuiti (dalla Scure di Elia, febbraio 2019). Consigliamo anche l’articolo di Francesco Agnoli, da La Nuova Bussola Quotidiana, che conferma, seppur indirettamente, questo ricco Dossier di Studi sulla storia che stiamo vivendo:  I papi e i gesuiti: quanti cartellini gialli. E ancora, Francesco Agnoli con un nuovo articolo atto a dare man forte alla nostra trilogia sul gesuitismo modernista. “Giovanni Paolo I richiamava i tanti gesuiti affascinati da Massoneria, dottrine marxiste, politica, sociologia e sociale, più che a Cristo stesso, per poi radicare questo errore in un fatto: l’allontanamento dalla “solida dottrina”…” clicca qui per l’articolo: Papa Luciani e la guerra di dottrina con i Gesuiti.
Don John Hunwicke ex anglicano convertitosi alla Chiesa Cattolica, è stato Rettore della facoltà di Teologia al College di Lancing (Inghilterra) e Ricercatore Anziano Associato alla Pusey House di Oxford. Di recente ha rilasciato una intervista alla sede GloriaTv – vedi qui testo e video – nella quale dichiara quanto segue:
  • Papa Francesco chiede “parresia”, dialogo, ma non apprezza quando questo avviene. Come esempio, cita il recente concistoro coi cardinali, durante il quale Francesco ha approvato la canonizzazione del cardinale Newman (†1890). Ma l’incontro è durato solo trenta minuti. Per Hunwicke, questo non è il comportamento di qualcuno che crede davvero nella parresia, ma piuttosto l’azione di un uomo “ansioso di portare avanti la propria agenda, senza permettere ogni sorta di discussione che sarebbe dovuto avvenire prima”.
Ricordiamo che papa Francesco ha interrotto il tradizionale incontro periodico con tutti i cardinali (concistoro) dal 2016, dopo l’episodio dei Dubia.
È ben corretto concludere con una controparte, segnalando l’uscita del libro “I gesuiti. Dal Vaticano II a papa Francesco”, dello storico Gianni La Bella. L’aspetto interessante è che, la stessa presentazione fatta da Avvenire, tende ad addolcire i dissapori e le incomprensioni tra Pedro Arrupe e i Papi come Paolo VI e Giovanni Paolo II, non più negandoli come si faceva fino a sei anni fa, ma riconoscendo che questi c’erano, ci sono stati, ma nulla di importante al confronto dell’amor che li univa… Del resto serviva ora qualcosa che potesse ripresentare i Gesuiti con un volto “nuovo”, dopo tutti questi anni di misteri e di silenzi intervallati seriamente solo dai libri di Padre Malachi Martin, che sono stati sempre però “censurati” dalla stampa gesuita, negando un confronto diretto ed onesto. Insomma, seppellire un certo passato riabilitando un Teilhard de Chardin, e tentare di portare agli altari Pedro Arrupe, magari anche con Karl Rahner, sembra proprio essere ora la loro arma vincente, una specie di «sanatio in radice» (canoni 1161-1165).
E tuttavia le promesse del Cristo al suo sant’Ignazio, non deluderanno. Questa è l’unica speranza che abbiamo, insieme al trionfo del Cuore Immacolato di Maria.

https://cooperatores-veritatis.org/2019/07/30/gesuiti-sono-forse-loro-la-chiesa-nella-chiesa-vista-in-molte-profezie/

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