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martedì 27 agosto 2019

E' peccato baciare il rosario?

Se è peccato baciare il rosario



Atei dichiarati e preti bergogliani, laicisti e gesuiti del nuovo corso, clericali e anticlericali s’indignano uniti per i richiami di Matteo Salvini alla Madonna, al Rosario e al Crocifisso e lo trattano come un blasfemo indemoniato che si avventa sui simboli religiosi per trarre basso profitto elettorale. Già la composizione del fronte, atei e papisti, vescovi e miscredenti, dovrebbe creare imbarazzo. Abbiamo visto sui giornali battute e vignette contro Salvini che mettevano in bocca alla Madonna frasi così scurrili e dissacranti da far capire che non si tratta affatto di una difesa della fede e della Beata Vergine ma solo di un volgare attacco al Nemico Assoluto, prendendo in giro cristi e madonne.

Vorremmo andare al di là della becera polemica e soffermarci sul tema vero, la presenza di simboli religiosi e di richiami alla fede nella vita politica. Già due mesi fa notavo che per noi italiani non è una novità. Un partito ha campato al potere per mezzo secolo chiedendo di mettere una croce sulla Croce, ha usato il richiamo cristiano per scopi elettorali: lo slogan “in cabina elettorale Dio ti vede Stalin no”, diventò il biglietto da visita della campagna per il voto democristiano. Il Fronte Popolare nel ’48 fu sconfitto per l’uso vincente dei simboli religiosi nei comizi, nei simboli elettorali. Certo, erano sobri i De Gasperi e i Moro nei loro richiami alla fede e nessuno poteva dubitare che fossero credenti. Più evidente era il clericalismo di Andreotti pur allusivo, curvo e curiale.
In quegli anni c’era un fenomeno ancor più imbarazzante: non era solo la Dc a usare i simboli della fede per prendere voti e credenti ma erano le parrocchie, le diocesi a trasformarsi in comitati elettorali, distribuivano santini e impartivano istruzioni per il voto: è accaduto per decenni e in certe zone d’Italia ha continuato al tempo di Prodi e dell’Ulivo. E pure ora con Bergoglio… Persino dai pulpiti si facevano prediche mistico-elettorali per far votare Dc e certi candidati. A nulla valeva il richiamo di altri cattolici, di destra o di sinistra, missini e monarchici, liberali e socialisti, alla neutralità della Chiesa. Scherza coi fanti ma lascia stare i santi. Ma i filistei e i farisei, gli ipocriti, fingono ora di non ricordarsi.
Nel tempo a noi più vicino, a evocare i simboli religiosi in politica per difendere la nostra civiltà in pericolo è stata un’atea devota come Oriana Fallaci, e come lei altri giornalisti e intellettuali ex di sinistra che agitavano simboli religiosi per difendere l’Occidente minacciato. Siamo sempre nell’ambito della religio instrumentum regni, seppure in un rango più alto.
Ma la mescolanza di politica e religione è connaturata alla storia della civiltà. Non siamo islamici e remoto è il sogno medievale della teocrazia, ma il primo a usare come simbolo vincente la Croce in politica non fu un democristiano ma l’Imperatore Costantino quando vide in cielo un sostegno alla sua battaglia: In hoc signo vinces, con questo segno, la Croce, vincerai. E poi secoli di crociate, di regni e poteri ispirati da Dio. Persino il nostro laico stato moderno, la monarchia costituzionale italiana, nacque con una formula che sembra salviniana, perché riassume religione e populo sovrano: Per grazia di Dio e volontà della Nazione. Così s’insediò Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, nonostante la Chiesa.
L’esibizione di rosari e invocazioni alla Madonna nella bassa politica può infastidire i credenti. Dedicare al cuore immacolato della Vergine il ventre sporco della politica quotidiana personalmente non mi piace, è chiaramente strumentale.
Però c’è anche un altro modo di vedere le cose. Viviamo nell’epoca della scristianizzazione, la civiltà cristiana è sull’orlo del collasso, il nichilismo, il materialismo ateo e dall’altro versante il fanatismo islamico, avanzano paurosamente. E noi dovremmo ritirare nella sfera intima, privata, personale i segni della fede e i simboli della nostra civiltà, disincarnare la fede, salvo poi riusarla a sostegno delle politiche pro-migranti? Ratzinger sostenne la visibilità della fede, proseguendo sul piano pastorale la lezione di Giovanni Paolo II; sul piano teorico era stato il giurista cattolico Carl Schmitt a scrivere sulla visibilità del cattolicesimo. L’idea che esibire i simboli della fede sia atto osceno in luogo pubblico, e magari esibire la propria sessualità e omosessualità non solo sia lecito ma sia un esercizio di liberazione e di diritti, è una vera e propria perversione e un segno di morte della cristianità.
Cosa nuoce di più alla fede cristiana, l’ostensione dei simboli religiosi e il loro richiamo in contesti pubblici, politici, o la rimozione obbligata di quei simboli, la cancellazione astiosa nei luoghi comunitari e nelle cerimonie pubbliche di tutto ciò che richiama la nostra civiltà cristiana, la nostra identità, tradizione e provenienza? Fa più male alla fede chi bacia in pubblico la croce o chi la nasconde, la calpesta, ne fa la caricatura?
Quando vedi la campagna infame di tre parlamentari del Pd contro una giornalista del tg2, Marina Nalesso, che conduce il telegiornale con la croce al collo, come se il crocifisso sia un messaggio elettorale pro-Lega; o quando senti il grillino Nicola Morra arrivare a pensare che Salvini esibisce un rosario e così lancia un segnale alla ‘Ndrangheta (argomentazione a cui non si può replicare, se non chiamando la neuro), ti dici: ma in che modo rovesciato, in che gabbia di matti e miserabili, ci troviamo a vivere?
Il discorso serio da fare, invece, è sulla separazione o meno tra sacro e profano, tra religione e politica, tra fede visibile o interiorizzata, come vorrebbe il protestantesimo. Se perfino un canto di Natale, un presepe a scuola, una medaglietta della Madonna al collo, magari tenero retaggio dell’infanzia e dell’amore materno, costituiscono un attentato alla laicità dello Stato e ai diritti dei non credenti o dei credenti in altre religioni, allora aspettatevi che quei simboli soppressi nei luoghi pubblici rispuntino poi in forma pop nell’arena politica. Non auspichiamo che la religione scenda al rango di politica, ma che la politica salga sul piano dei valori e dei principi.
Dal punto di vista religioso si potrebbe azzardare l’ipotesi manzoniana che la Provvidenza si serva anche degli strumenti più impensati, delle occasioni più strane e delle persone più imprevedibili per rianimare la fede, i simboli e la devozione spenta. Magari dietro la becera diatriba tra madonnari e iconoclasti, riaffiora quell’Immagine, si riprende il confronto con la dimensione del sacro, si rivede il Crocifisso, e la Madonna, il Rosario e le figure dei Santi. E le icone, già al solo evocarle e figurarle, ci prendono per mano e ci portano lontano. Leggete Pavel Florenskj per capirne il significato. Magari qualcuno crede di usare la fede nelle sfide terrene; e invece è la Provvidenza che sta usando loro, come ignari veicoli della fede. Volesse il cielo…
MV, La Verità 26 agosto 2019
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L’abuso dei rosari, sì. Ma dovremmo preoccuparci di più delle scelte bioetiche
                                          Matteo Salvini (Foto LaPresse)
Mettiamola dal lato dei cattolici italiani. Dal lato di quella minoranza che mantiene la frequenza della Messa domenicale, che tenta di orientare la vita secondo un senso religioso ricevuto o acquisito, che prova perfino a riferirsi a un quadro essenziale di principi, la cui trasmissione attende dalla chiesa, che è disponibile a manifestare il proprio sentirsi cristiani nell’educazione dei figli e in opere concrete di aiuto al prossimo, che riesce a mobilitarsi in manifestazioni di piazza, come è stato per i due Family day del 2015 e del 2016. Quest’area, che non è la maggioranza degli italiani, ma nemmeno un circolo isolato, ha assistito negli ultimi mesi, soprattutto negli ultimi giorni, all’ostentazione da parte del leader della Lega dei simboli più cari alla religiosità popolare: in occasione non di celebrazioni sacre, bensì di eventi politici e istituzionali. E ha contestualmente assistito alla pesante critica rivolta a Salvini da esponenti significativi della realtà ecclesiale italiana, di strumentalizzazione, se non di uso blasfemo.

Il livello della polemica politica è tale che non ci si meraviglia se, a un vicepremier che bacia la corona del Rosario nell’Aula del Senato fa da pendant il presidente della commissione Antimafia, per il quale in Calabria il Rosario è uno dei simboli della ndrangheta; la questione è troppo seria per essere liquidata in poche battute, ma l’equazione del pentastellato Morra si qualifica da sé. Né ci si meraviglia dell’ira laicista esplosa dentro e fuori quell’Aula alla mera comparsa di quei simboli: per ribadire il divieto di riferirsi a Dio nella vita pubblica, comunque si manifesti, quasi come se fosse una bestemmia. Ma dal direttore di Civiltà cattolica ci si aspetta qualcosa di più: uno sforzo di analisi invece che un anatema, in linea con la tradizione di quella testata… E non è solo Civiltà cattolica, vi è un orientamento diffuso nella comunicazione ecclesiale, che si percepisce al di là della sua connotazione di ufficialità.

I Pontefici hanno sempre insegnato che i criteri di valutazione della linea di un partito, o di un governo, o di una iniziativa politica sono quelli elaborati dalla Dottrina sociale della chiesa
: che continua a restare “parte integrante della concezione cristiana della vita”, come la definiva San Giovanni XXIII nell’enciclica Mater et magistra. Essa non indica soluzioni concrete, ma prospetta principi di riferimento, criteri di giudizio e direttive di azione, il cui filo conduttore, prima ancora del dato confessionale, sono l’adesione a una sana antropologia e la verifica ex fructibus.

Non è complicato valutare l’anno abbondante di governo gialloverde alla stregua di questi criteri; nel “contratto” che lo ha fondato, poiché le questioni attenenti alla vita e alla famiglia sono fra le più divisive in assoluto, è stata concordata una moratoria: non rivedere, neanche in parte, le norme fortemente ostili introdotte dai Governi della precedente legislatura, dal divorzio breve e facile alle unioni same sex, fino alle dat, ma nemmeno andare oltre.
I cattolici hanno pieno titolo a mostrarsi delusi sulla tenuta della tregua, che non vi è stata. Basta ricordare tre vicende: la prima è l’ordinanza n. 207/2018 con cui la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della disposizione del codice penale che sanziona l’aiuto al suicidio, ha messo in mora il Parlamento affinché, entro il 24 settembre 2019, vari una normativa sostanzialmente eutanasica, lasciando intendere che altrimenti provvederà la stessa Consulta. Vi è stata la lodevole proposta di legge di qualche deputato leghista, per evitare l’inserimento del suicidio medicalizzato nel Sistema sanitario nazionale, ma il vertice della Lega non ha fatto nulla perché tale proposta pervenisse nell’Aula della Camera. Né oggi il tema è minimamente evocato fra le questioni importanti: la crisi di governo rischia di lasciarla al destino di una grave decisione già nella sostanza anticipata.

La seconda è la Determina con la quale a fine febbraio l’Aifa-agenzia italiana del farmaco ha inserito la molecola TRP-triptorelina fra i medicinali erogabili a carico del Servizio sanitario nazionale: da somministrare, sotto controllo medico, ad adolescenti ritenuti affetti da DG-disforia di genere, al fine di procurare loro un blocco temporaneo, fino a un massimo di qualche anno, dello sviluppo puberale, con l’ipotesi che ciò “alleggerisca” in qualche modo il “percorso di definizione della loro identità di genere”. E’ uno strumento per la riaffermazione dell’ideologia del gender in danno del minore, in spregio alle preoccupazioni di ordine scientifico e giuridico espresse da realtà qualificate. Qui il governo è stato parte in causa, dal momento che Aifa opera sotto la vigilanza dei ministeri della Salute e dell’Economia. Vi è stato qualche cenno di agitazione, qualche interrogazione presentata, poi è calato il silenzio.

La terza è l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri – il 28 febbraio –, fra gli altri, di un disegno di legge delega di riscrittura del codice civile, con la previsione degli accordi prematrimoniali, che riducono il matrimonio a un contratto come tanti altri che, come per la somministrazione di un servizio, disciplina le modalità di conclusione prima ancora di iniziare, in un’ottica mercantilistica consacrata in clausole negoziali. Questo per non dire, al di fuori delle decisioni romane, della deriva libertaria inspiegabilmente imposta dalla guida leghista della Regione Lombardia.

Lo spazio complessivo dedicato a queste voci dagli opinion maker della realtà ecclesiale italiana è stato minimo, del tutto incomparabile con la questione immigrazione, che ha polarizzato, al di là dei simboli, la critica al governo, e in particolare al vicepremier Salvini, peraltro spesso aspra, emozionale, senza quelle distinzioni che fanno cogliere la complessità dei fenomeni, e per questo alla fine non incisiva.

Vi è però un ulteriore dato di riflessione. Salvini – al di là delle intenzioni, per le quali dovrebbe comunque valere il “chi sono io per giudicare?”, e al di là del necessario equilibrio fra la propria fede e la sua ostentazione – riempie lo spazio dell’uso in calo di simboli della fede popolare. Sarei curioso di sapere se egli conosce la radice e il senso della devozione al Cuore Immacolato di Maria, come e perché essa nasce, quale importanza abbia oggi per la Chiesa e per il mondo, quanto essa sfugga ad appropriazioni politiche. Quel che è certo è che però si tratta di una pratica religiosa poco diffusa. Far riferimento a essa provoca l’effetto di risvegliare l’attenzione remota di fedeli che non ne sentono più parlare: oggettivamente cattura un segmento di elettorato, non esteso ma da sommare ad altri.

La reazione negativa dei media ecclesiali ci sta tutta. Ma non si svolge alcun orientamento se ci si ferma alla demonizzazione. Se non ci si domanda quanto l’abbandono di preziosi territori di fede – la devozione al Cuore Immacolato lo è – lasci spazi che vengono occupati, se pur in modo distorto. In quest’ottica, la risposta, al posto della quotidiana scomunica, potrebbe essere ridare senso a quel bene prezioso che è la fede in Italia, uscendo dalla sovrapposizione della realtà ecclesiale nazionale a una megaonlus orientata quasi monotematicamente – questa è la percezione - sull’accoglienza dei migranti. Tornando alla politica, l’alternativa alle manifestazioni religiose di Salvini, comunque apprezzate da una parte del popolo dei cattolici, non è il silenzio dei “cattolici democratici”, né il timore che nelle istituzioni o nelle piazze si dica o si faccia qualcosa di cattolico, ma il coraggio di riprendere a applicare la Dottrina sociale cristiana.

Il prezzo del tratto ecclesiale su vicende come il “caso Salvini”, è l’accentuazione dell’irrilevanza della presenza pubblica dei cattolici in Italia. E non dipende dalle corone del Rosario che il capo della Lega ostenta.


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