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sabato 30 novembre 2019

Vatican business

VATICANO E SLOANE AVENUE. C’È UN “GIALLO” IN PIÙ NELL’AFFARE…


Se davvero c’era un’intenzione da parte di papa Bergoglio di mettere un qualche tipo di ordine nell’ingarbugliatissimo mondo dei soldi vaticani, bisogna dire che non sembra che abbia avuto gran successo, a dispetto delle sue dichiarazioni sull’aereo di ritorno dal Giappone, e la scelta di Barbagallo a capo dell’AIF. Augurandogli naturalmente miglior fine di altri laici più o meno eccellenti che hanno cercato di mettere ordine nei pretesti maneggi di soldi, spesso rimettendo le penne. Insomma non pare che la riforma delle finanze sia stata un successo (come del resto sembra incagliata la dilettantesca barca della Riforma della Curia). A quasi sei anni dalla lettera apostolica che dava alla nuova creatura, la Segreteria per l’Economia, praticamente tutti i poteri, siamo di fronte a scandali e dimissioni. 

Questo era, per la memoria di tutti,  il testo della Lettera Apostolica del febbraio 2014:
“E’ stata istituita da Papa Francesco il 24 febbraio 2014, con la Lettera Apostolica Motu Proprio Fidelis dispensator et prudens, quale Dicastero della Curia Romana a cui è affidato il coordinamento degli affari economici ed amministrativi della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.
Tenendo conto di quanto stabilito dal Consiglio per l’Economia, ad essa compete il controllo economico e la vigilanza sugli Enti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano e l’attuazione delle politiche e delle procedure relative agli acquisti e all’adeguata allocazione delle risorse umane.
Con l’approvazione degli Statuti il 22 febbraio 2015, Papa Francesco ha trasferito alla Segreteria per l’Economia alcune competenze precedentemente attribuite alla Sezione Ordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica”.
La storia la conosciamo: ad uno a uno tutti gli enti che la Segreteria – sulla carta – aveva spogliato di soldi e attribuzioni con un’abile opera di persuasione presso il Pontefice hanno recuperato i loro tesoretti e tesoroni e le loro prerogative, e la Segreteria si è ridotta a una specie di duplicato della Prefettura per gli Affari economici, e forse anche con meno poteri.
A questo panorama bisogna aggiungere gli ultimi sviluppi, e l’uscita di scena dal palcoscenico dei soldi vaticani di un altro “Grande Laico” (il terzo, il quarto il quinto almeno…) che se ne va sbattendo la porta o sentendosi sbattere una porta dietro la schiena.
L’uscita di Brülhart da presidente dell’AIF (cioè dell’organismo di controllo e verifica) pare fosse legata alla vicenda “opaca” (così l’ha definito il card. Parolin) dell’acquisto da parte della Segreteria di Stato, con i fondi dell’Obolo del papa, di un edificio a Sloane Avenue a Londra. In cui è coinvolto un affarista, Mincione. Che evidentemente aveva buoni contatti e conoscenze in Vaticano. Sull’affare indaga la magistratura vaticana (che aveva disposto la sospensione di alcuni funzionari e un monsignore) e quella italiana.
L’acquisto di Sloane Avenue, 60, da parte della Segreteria di Stato vaticana è stato formalizzato nel giugno del 2013 (prima che Pietro Parolin fosse nominato Segretario di Stato; all’epoca lo era ancora Tarcisio Bertone). Usando i soldi della sezione economica della Segreteria di Stato, un forziere che non è sotto il controllo di nessuno, se non del Pontefice, del Segretario di Stato e del Sostituto alla Segreteria di Stato.
Ma in realtà – e questa è l’informazione nuova e interessante che siamo in grado di offrire – l’affare era già stato proposto e discusso in precedenza, ai tempi di Benedetto XVI. Ed era stato scartato. Anche perché l’idea era quella di utilizzare per l’acquisto denaro proveniente dal fondo delle pensioni della Santa Sede. E già questa utilizzazione impropria aveva fatto storcere il naso alla Prefettura degli Affari Economici. Ma soprattutto quello che allora fece affondare il progetto, poi ripescato (ma su impulso di chi? Questo sarebbe interessante sapere…) fu il fatto che la Prefettura per gli Affari economici fece un accurato studio del valore degli immobili in quella zona, e vide che il prezzo che si sarebbe dovuto pagare da parte del Vaticano era non solo troppo alto, ma sproporzionato. Fuori mercato. È una delle conclusioni, a quanto pare a cui stanno giungendo anche i magistrati italiani: perché la Segreteria di Stato avrebbe pagato tre quello che valeva uno. E l’operazione fu lasciata cadere. Perché è stata ripresa in seguito? Su impulso di quale alto prelato?
Chi ha convinto papa Bergoglio dell’opportunità dell’affare? Perché chiaramente un’impresa del genere, di quell’importanza, e utilizzando sia soldi della Sezione Economica, sia soldi dello IOR (a quanto ci dicono, dopo un incontro-scontro di prima grandezza fra il neo-sostituto, Pena Parra, e il vertice della banca) non avrebbe potuto realizzarsi né nel 2013 né nei passaggi successivi – l’ultimo sarebbe di qualche mese fa – senza l’avallo del Numero Uno. Che, ci viene detto da ottima fonte, avrebbe proposto al generale Domenico Giani, silurato come Capo della Gendarmeria, di prendere il posto di rené Brülart all’AIF, affiancato da un “supporto” tecnico. Ve la diamo come l’abbiamo avuta, e a ciascuno di fare le sue considerazioni. Vedremo se dall’inchiesta dei magistrati vaticani e soprattutto da quella italiana nasceranno quegli elementi di chiarezza necessaria a scrivere per intero la storia del business londinese…

Marco Tosatti
30 Novembre 2019 Pubblicato da  4 Commenti --

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