ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 17 febbraio 2020

“Munus” primaziale?

“Querida Amazonia”. Quando finalmente Francesco agisce da papa



(s.m.) Ricevo e pubblico. L’autore, già docente di sociologia della religione all’Università di Firenze e alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, filosofo e storico di formazione, è da anni ben conosciuto e apprezzato dai lettori di Settimo Cielo.

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La svolta della esortazione. Papa Francesco tra deriva sinodale e primato
di Pietro De Marco
Riflettendo in questi ultimi giorni sul corposo evento costituito dalla esortazione “Querida Amazonia” e dalla sua eco europea, ho maturato la convinzione ch’esso sia il primo atto in cui il sommo pontefice Francesco ha esercitato il suo “munus”.
Il “munus” dei papi è, com’è noto, fungere da vicari di Cristo, da fondamento della Chiesa universale (“tamquam saxum immobile” per sant’Ambrogio), da custodi e maestri della fede e della verità.
Com’è avvenuto anche a me di osservare, Francesco ha largamente esercitato la sua “potestas legifera, iudicialis et exsecutiva”, secondo un progetto variamente giudicabile, a mio avviso  perché strumentale alla costruzione di un corpo episcopale, nel mondo, e di funzionari, al centro,  ordinati alla realizzazione del suo programma di riforme, di una sua personale posizione ideologica post-conciliare, in vesti di pastoralità e evangelizzazione. Programma e posizione in cui il “bonum ecclesiae” era e resta difficilmente visibile, anzi sistematicamente quasi frainteso e  stravolto. Ovvero l’esercizio delle “potestates” è apparso come separato dagli obblighi del “munus”, dalla stessa coscienza di esserne portatore.
Il giudizio sul significato della “Querida Amazonia” si dipana sul filo del paradosso, ha bisogno del contesto per decifrarvi la “intentio auctoris” (se non proprio “legislatoris”), è fatto insomma per contrariare il giurista. Ma, mi permetto di ricordare il “dictum” di Carl Schmitt, “Sovrano è chi decide dello stato di eccezione”. La congiuntura ecclesiastica (di portata universale) è stata in effetti segnata tra l’estate del 2019 e il febbraio 2020 da un emergenza drammatica, di cui si sono fatti interpreti Benedetto XVI, ovvero il  vescovo emerito Joseph Ratzinger, e il cardinale Robert Sarah. Mentre nella Chiesa universale, permeata dal tifo di media estranei ad ogni logica istituzionale e sovrannaturale, si dispiegava l’insulsa chiacchiera sul confronto innovatori/reazionari, progresso/chiusura. Categorie estranee alla vita della Chiesa e solo falsificanti (in sé non vi è alcun progresso nella Chiesa, come non vi è nel dogma), tanto peggio se usate al suo interno.
In questa congiuntura, costituita da un essenziale dossier di atti formali (i due sinodi amazzonico e germanico, la lettera alla Chiesa tedesca) e di potenti e codificate attese relative al ministero sacerdotale, interviene la “Querida Amazonia”. L’esortazione non dà spazio, né convalida, alle attese. La sua ermeneutica è peraltro impossibile senza che la si sovrapponga al documento finale del sinodo amazzonico e alle istanze, formulate in varie sedi e generi letterari, del sinodo tedesco. Leggendo la “Querida Amazonia” contrastivamente (e valorizzandone la ricezione) la “intentio legislatoris” è invece accessibile.
Perché considerarla il primo atto di papa Jorge Mario Bergoglio che è coerente e conseguente al “munus” primaziale?
a) Perché essa si esercita, fosse solo in negativo (“e silentio”), la responsabilità del “custos et magister fidei”, nello sgangherato, cattolicamente umiliante, coro di modernizzatori del corpo mistico;
b) perché si esercita facendo fronte, com’è dovere di Pietro, a pressioni inaudite di alcune Chiese nazionali, anzitutto la tedesca, che si ergono a interpreti della natura stessa della Chiesa (sinodalità) e dei suoi veri bisogni (alterazione del sacerdozio ministeriale), a guide della chiesa universale, in termini di pressione politica e massmediale, condotta senza mezzi termini.
La presunzione del “far vedere a Roma chi comanda” ha risvegliato in papa Bergoglio (già nella lettera alla Chiesa tedesca del 29 giugno 2019) almeno la sana reazione di non voler essere lo zimbello di alcuno. Ma credo che la grazia di Cristo, di cui egli è vicario in terra, lo abbia assistito nel conferirgli forza e decisione. A maggior ragione assistito perché la sua cultura ecclesiale, su cui ho insistito spesso criticamente, e di cui anche la “Querida Amazonia” è intrisa, era fatta per renderlo assolutamente cedevole di fronte alle ragioni riformistiche, tedesche e latino-americane, e della cosiddetta opinione pubblica ecclesiale ed estraecclesiale.
L’unica cosa di cui i sostenitori europei dell’aggiornamento e della modernizzazione non hanno tenuto conto è la profonda, e leggibilissima fin dagli inizi del pontificato, antipatia di papa Francesco per le cerchie e i salotti teologici progressisti, per gli episcopati in Mercedes o in BMW, per le organizzazioni caritative con grandi apparati e patrimoni, per le Chiese nazionali che preoccupate di prendere finanziamenti si riorganizzano con la consulenza di consulenti aziendali.
Non appare in Bergoglio una compiuta, solida dottrina della Chiesa, né ecclesiologica né canonistica, ma della Chiesa egli possiede comunque una visione soprannaturale, quella che dà origine al radicale imperativo dell’evangelizzazione. Con questo solo strumento, passionale e istintivo, ma palese nella lettera alla Germania e nell’esortazione “Querida Amazonia”, e con l’ausilio di una grazia attuale, ha detto no. È stato papa. Non possiamo che gioirne. Ad un altro momento l’analisi del potenziale distruttivo che gli atti amazzonici, così come sono, continuano  portare in se stessi.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 16 feb

“Querida Amazonia”, l’ambiguità sistematica e due Chiese che si fronteggiano

Un mio nuovo libro
Aldo Maria Valli, Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (Chorabooks, 2020)
Dopo la pubblicazione di Querida Amazonia noto che nello schieramento conservatore (lo chiamo così per farmi capire, ma in realtà dovrei dire nello schieramento veramente cattolico) c’è soddisfazione per il fatto che nell’esortazione il papa non dice una sola parola su celibato sacerdotale e sacerdozio per le donne. Al di là delle ipotesi circa i motivi della scelta papale (vero ripensamento o solo riposizionamento strategico?), molti esclamano “scampato pericolo!” e altri si spingono a ringraziare lo Spirito Santo. Ora, non vorrei fare la solita cassandra, ma mi sembra che non sia il caso di essere tanto soddisfatti. In realtà quella che vince è solo l’ambiguità, secondo il ben noto modello Amoris laetitia. Con l’aggravante che qui l’ambiguità è ancora più accentuata, perché non è neppure chiaro se e fino a che punto Francesco assuma il documento finale del sinodo.
Siamo alle solite. Il papa apre processi, per usare un’espressione alla quale è affezionato, lasciando che siano poi i singoli episcopati a regolarsi davanti ai casi concreti. Ma così Pietro abbandona la Chiesa alla confusione e abdica al proprio ruolo di roccia.
La conferenza stampa di presentazione di Querida Amazonia nella sala stampa della Santa Sede ha avuto un che di surreale. I relatori hanno infatti sostenuto che l’esortazione post-sinodale del papa ha confermato la disciplina del celibato sacerdotale, ma che nello stesso tempo il percorso verso l’ordinazione di uomini sposati è ancora aperto. Siamo nel pieno di quella che tante volte mi sono permesso di definire la Chiesa del “sì, ma anche no”, del “no, ma anche sì”.
Col passare del tempo, la teorizzazione di questa ambiguità sistematica si fa sempre più definita, e la parola chiave è sinodalità. Non a caso, nella conferenza stampa il cardinale Michael Czerny, uno dei due segretari speciali del sinodo amazzonico, sostenendo che la questione dei viri probati non è “chiusa” e rimane “irrisolta”, ha detto che tutto ciò fa parte del “processo sinodale”.
Il sinodo dei vescovi, nato dopo il Concilio Vaticano II come strumento per aiutare il papa a governare la Chiesa, si sta così trasformando in un alibi non tanto per rivoluzionare la Chiesa (come qualcuno per altro vorrebbe), ma per lasciarla in un cronico stato di incertezza e di indeterminatezza, in modo tale che non ci sia mai una parola definitiva.
Così la contraddizione non è più un ostacolo da superare attraverso l’esercizio dell’autorità, ma uno stato che l’autorità fa proprio. E l’incertezza non va più affrontata e risolta, ma assunta come caratteristica naturale dell’insegnamento e del magistero papale.
Sono rimasto colpito dal fatto che, nel commentare Querida Amazonia, un osservatore abbia scritto un articolo intitolato E se avessimo capito male? Ora, io sono il primo a riconoscere che spesso i documenti della Chiesa non sono di facile e immediata comprensione, ma ormai i vaticanisti sono obbligati a comportarsi quasi da indovini. Come aruspici, ci dobbiamo muovere fra i testi alla ricerca di segni, per capire non solo che cosa vogliono dire, ma quale sia il loro grado di autorità. E in tutto ciò evidentemente c’è qualcosa che non funziona, perché la prima forma di carità che il successore di Pietro dovrebbe esercitare, per confermare i fratelli nella fede, è la chiarezza, è la limpidezza del suo insegnamento.
Su Duc in altum ho cercato di seguire passo passo il processo sinodale amazzonico, che sotto tanti aspetti si è intersecato con il cammino sinodale tedesco, e così ne ho tratto un piccolo libro che ho voluto intitolare Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (edito da Chorabooks), perché mi sembra che il dato saliente in questa fase sia l’estrema divisione all’interno della Chiesa cattolica. La teoria dell’aprire processi, qualunque cosa voglia dire, ha condotto a una frammentazione non più sostenibile. E non è vero, come ha sostenuto di recente il cardinale Parolin, che i cattolici si scontrano per questioni di potere. Dire così significa avere una visione solo politica della Chiesa e non cogliere il profondo disagio di tanti fedeli. In realtà i cattolici si scontrano sui contenuti di fede, e in gioco non c’è tanto il potere quanto la Verità.
Ripercorrere, come faccio nel libro, ciò che è avvenuto durante il sinodo amazzonico (Pachamama compresa) non vuol dire, allora, provare un gusto perverso nel rinfocolare le polemiche, ma cercare di offrire un contributo, per quanto piccolo, verso una presa di coscienza della posta in gioco.
Occupandosi dell’ambiguità come metodo ormai strutturale del “nuovo paradigma” amazzonico-germanico, don Alberto Strumia scriveva ieri su Duc in altum che si tratta qualcosa di inaccettabile, perché Gesù ha insegnato “Sia invece il vostro parlare: sì, sì, no, no”, e “il di più viene dal Maligno”. Nella nostra santa Madre Chiesa cattolica non può esserci spazio per l’ambiguità. E sbaglia di grosso chi ritiene che mediante questa “liquidità” la Chiesa possa raggiungere meglio il mondo. In realtà su questa strada la Chiesa non fa che sposare la falsa sapienza del mondo, incentrata sull’idea che la verità non esista e che cercarla sia inutile.
E come definire tutto questo se non un suicidio? D’altra parte, i dati provenienti da Brasile e Germania, per citare le due realtà alla testa dei processi sinodali ai quali abbiamo assistito negli ultimi tempi, ci dicono che lì la situazione della Chiesa cattolica è fallimentare, con una continua emorragia di fedeli.
Non tutti comunque sono disposti ad assistere passivamente al pervicace tentativo di suicidio. La resistenza continua.
Aldo Maria Valli

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