ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 17 febbraio 2020

Quel granellino di sabbia

La lezione (politica, religiosa e morale) del Coronavirus



(Antonio Socci, Lo Straniero – 16 febbraio 2020) La vicenda del coronavirus ci dà diverse lezioni. La prima dovrebbe impararla il regime comunista cinese. Ad impartirla è stato – secoli fa – il grande Blaise Pascal in un suo pensiero sull’estrema fragilità del potere umano che pur si considera onnipotente.

Scriveva Pascal: “Cromwell stava per devastare tutta la cristianità: la famiglia reale sarebbe stata perduta, mentre la famiglia di lui sarebbe stata per sempre potente, se un granellino di sabbia non gli si fosse ficcato nell’uretere. Roma stessa stava per tremare di fronte a lui; ma appena quella pietruzza si è andata a conficcare là, egli è morto, la sua famiglia è decaduta, tutto è tornato in pace e il re è stato rimesso sul trono”.
La riflessione pascaliana sottolinea le minuscole dimensioni di quel granellino di sabbia, capace però di abbattere i sogni di gloria di un despota che si riteneva avesse il mondo ai suoi piedi. Una considerazione analoga si può applicare alla Cina comunista, un totalitarismo che si è imposto e consolidato, nei decenni, facendo milioni di vittime.
La Cina di Xi Jinping, grazie all’Occidente, è diventata la prima economia mondiale e ora impone i suoi voleri e i suoi interessi geopolitici in tutti i continenti. Il suo dittatore ha avanzato pretese imperiali e addirittura ha sottomesso a sé le religioni quasi mettendosi al posto di Dio.
Ma è bastato un microscopico virus, di dimensioni impercettibili, perché quella grande potenza venisse destabilizzata, se non messa in ginocchio.
Nella storia ci sono città e civiltà umane, floride e potenti, di colpo annientate dalla potenza della natura. Come ricorda Leopardi nella “Ginestra” contemplando i luoghi dove sorgevano Pompei ed Ercolano: “or tutto intorno/ una ruina involve”.
Il poeta invita a meditare chi s’illude sulla potenza umana: “A queste piagge/ venga colui che d’esaltar con lode/ il nostro stato ha in uso, e vegga quanto/ è il gener nostro in cura/ all’amante natura. E la possanza/ qui con giusta misura/ anco estimar potrà dell’uman seme”.
La riflessione leopardiana sulla natura matrigna, che “può con moti/ poco men lievi ancor subitamente/ annichilare in tutto” sarebbe specialmente preziosa oggi che l’ideologia ecologista si sta prepotentemente trasformando in una religione che adora la Natura come buona e incorrotta e depreca la presenza umana come minaccia alla stessa innocente Madre Terra.
E’ la stessa chiesa bergogliana ad aver aperto le porte a questa idea: si ricorda l’incredibile rito per la Pachamama (la Madre Terra) tenuto in Vaticano e addirittura in San Pietro durante il recente Sinodo sull’Amazzonia.
Del resto – come osserva José Antonio Ureta – nella stessa Esortazione post-sinodale, papa Bergoglio, “citando abbondantemente la sua enciclica Laudato Si’ – ribadisce la sua cosmovisione ‘teilhardiana’ e New Age di un universo in cui ‘tutto è collegato’ (n° 41) e tesse le lodi al misticismo indigeno che porta gli aborigeni non solo a contemplare la natura, ma a sentirvisi così intimamente legati da ritenerla una madre (n° 55). Del resto, la Madre Terra viene ben due volte citata nell’Esortazione (n° 42)”.
E’ il caso di ricordare che per la vera dottrina cattolica il titolo di Madre spetta alla Madonna e alla Chiesa. Lo stesso Cantico di san Francesco è una lode al Signore, non alla “Madre Terra”. Anzi, il santo non parla di “Madre Terra”, ma di “sorella madre terra”, perché – se ci dà di che nutrirci e in questo è materna – è sorella in quanto decaduta e minata come noi dal male e dalla morte (“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, / la quale ne sustenta e governa”).
In qualche modo in san Francesco già troviamo la natura leopardiana come madre e (sorella) matrigna, madre perché è stata creata “buona” da Dio, sorella matrigna perché anch’essa corrotta dal male come noi (il peccato originale). Del resto basta vedere gli orrori che avvengono nel mondo animale, con la quotidiana e feroce lotta per la sopravvivenza, per comprenderlo.
Così – come madre matrigna – l’ha sempre conosciuta la storia umana. L’umanità, che dalla natura ha tratto nutrimento, è stata sempre minacciata e devastata non solo da eruzioni vulcaniche, inondazioni, terremoti, intemperie e bestie feroci, ma anche e soprattutto è stata funestata da epidemie che hanno fatto stragi immense.
La più famosa e terribile del Novecento, la spagnola (che forse arrivò anch’essa dall’oriente) nel 1918 ha fatto decine di milioni di vittime. Molto più della Prima guerra mondiale.
Quindi il coronavirus dovrebbe indurci ad abbandonare la visione idilliaca della Natura che oggi porta a un’irrazionale venerazione della Madre Terra.
A ben vedere tutte le patologie che portano alla morte gli esseri umani sono “natura” e la storia della medicina non è che una strenua lotta contro la nostra dolorosa sorte naturale.
La stessa civiltà è il tentativo di rendere “ a misura d’uomo” la natura (per esempio difendendoci dal caldo, dal freddo, dalla penuria e dalla fatica). Pure i (continui) cambiamenti climatici (oggi tanto chiacchierati) seno sempre stati d’origine naturale (perlopiù causati dal sole).
Perciò, se è vero – ed è giusto ripeterlo – che l’uomo non deve devastare il suo ambiente, è anche vero che l’umanità deve difendersi dalle mortali aggressioni della natura e difendere la natura medesima dal suo caos devastatore.


#Coronavirus, preghiamo la Madonna di Sheshan

Quello che sta accadendo in Cina, e che sembra poter stravolgere il mondo intero, è una tragedia apocalittica.
Riportiamo la preghiera di Papa Benedetto XVI alla Madonna di Sheshan, nella trascrizione musicale e nell'adattamento di suor Danuta Conti.

«Arrivederci, miei cari.
Addio, Wuhan, la mia città natale.
Spero che, dopo il disastro,
ti ricorderai che qualcuno ha provato a farti sapere la verità il prima possibile.
Spero che, dopo il disastro,
imparerai cosa significa essere giusti.
Mai più brave persone
dovrebbero soffrire di paura senza fine e tristezza indifesa.»

Su internet abbiamo trovato questa testimonianza, che vi proponiamo per la sua bellezza, invitandovi alla preghiera:

«“In tutta la Cina, la gente parla della morte del dottor Li Wen Liang”, scrive su Facebook il professor Stefano Biavaschi.

“Fu il medico cristiano che scoprì per primo il coronavirus e venne perseguitato dalle autorità per aver lanciato l’allarme sui pericoli”, ricorda Biavaschi.



Come è noto, nel dicembre del 2019 era stato perfino arrestato. Rilasciato si era sempre preso cura dei pazienti fino a quando anche lui non è stato infettato.

Li Wen Liang è morto lasciando una moglie, anch’essa infetta, oltre che incinta di 8 mesi del loro secondo figlio.

“Prima di morire”, ricorda Biavaschi, “il dottor Li Wen Liang ha lasciato uno scritto nel quale, in modo profondamente toccante, ha detto come gli sarebbe mancata la sua famiglia, la sua amata Wuhan, ed ha citato 2 Tim 4,7-8: ‘ho combattuto la buona battaglia, ho finito la gara, ho mantenuto la fede’”.

Nato a Beizhen, il 12 ottobre 1986, morto a Wuhan il 7 febbraio 2020, questo medico oculista dell’ospedale centrale di Wuhan, fu uno dei primi medici a riconoscere la pericolosità della polmonite di Wuhan, lanciando l’allarme sul coronavirus il 30 dicembre 2019.

Il 3 gennaio 2020, la polizia di Wuhan lo ha convocato ammonendolo per “aver detto commenti falsi su Internet”.

Subito dopo il regime comunista cinese si è accorto dell’errore e il dottor Li Wen Liang era tornato al lavoro in ospedale ma ha contratto il coronavirus da un paziente infetto, contagio che lo ha portato alla morte.

Dopo il suo decesso, il governo cinese ha dichiarato di aver aperto un’inchiesta sull’accaduto e intanto il medico cristiano è diventato un eroe nazionale, almeno per il popolo, considerando che il governo nazionale comunista è sostanzialmente ateo e reprime con la forza quasi tutto ciò che riguarda le fedi presenti nel popoloso paese asiatico.

Il dottore ha offerto un’eredità che lascerà sempre un segno nel cuore del popolo cinese. Si è preso cura dei pazienti e ha cercato di fermare la diffusione del coronavirus sapendo che molto probabilmente sarebbe stato infettato. Il dottor Li Wen ha scelto di donare la sua vita per cercare di salvare quella di altri.

Ecco il testo che ha lasciato

“Non voglio essere un eroe.
Ho ancora i miei genitori, i
miei figli, la mia moglie incinta che sta per partorire e molti dei miei pazienti nel reparto.
Sebbene la mia integrità non possa essere scambiata con la bontà degli altri, nonostante la mia perdita e confusione,
dovrei procedere comunque.
Chi mi lascia scegliere questo paese e questa famiglia?
Quanti reclami ho?
Quando questa battaglia sarà finita, guarderò il cielo,
con lacrime come la pioggia.

Non voglio essere un eroe.
Ma come medico,
non riesco a vedere questo virus sconosciuto che fa
male ai miei coetanei e a così tante persone innocenti.
Anche se stanno morendo,
mi guardano sempre negli occhi, con la loro speranza di vita.

Chi avrebbe mai capito che stavo per morire?
La mia anima è in paradiso,
guardando il letto bianco,
su cui giace il mio stesso corpo,
con la stessa faccia familiare.
Dove sono i miei genitori?
E la mia cara moglie,
la signora che una volta ho avuto difficoltà a inseguire?

Combattere fino all’ultimo respiro.
C’è una luce nel cielo!
Alla fine di quella luce c’è il paradiso di cui spesso la gente parla.
Ma preferirei non andarci.
Preferirei tornare nella mia città natale a Wuhan.
Ho la mia nuova casa lì,
per la quale devo ancora pagare il prestito ogni mese.
Come posso rinunciare?
Come posso rinunciare?
Per i miei genitori perdere il figlio quanto deve essere triste?
Per la mia dolcezza senza suo marito, come può affrontare le vicissitudini del suo futuro?

Me ne sono già andato
Li vedo prendere il mio corpo,
metterlo in una borsa,
dentro la quale giacciono molti connazionali.
Andati come me,
spinti nel fuoco, nel focolare,
all’alba.

Arrivederci, miei cari.
Addio, Wuhan, la mia città natale.
Spero che, dopo il disastro,
ti ricorderai che qualcuno ha provato a farti sapere la verità il prima possibile.
Spero che, dopo il disastro,
imparerai cosa significa essere giusti.
Mai più brave persone
dovrebbero soffrire di paura senza fine e tristezza indifesa.

‘Ho combattuto la buona battaglia, ho finito la gara.
Ho mantenuto la fede.
Ora c’è in serbo per me la corona della giustizia” (Li Wen Liang).»

[Articolo di MATTEO ORLANDO]

DISPACCI DALLA CINA. CORONAVIRUS, OMBRE CINESI E VATICANO

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il Maestro Aurelio Porfiri ha inviato i suoi Dispacci, incentrati ovviamente sull’epidemia che dalla Cina terrorizza il mondo, e con un accenno naturalmente all’incontro storico fra il “Ministro degli esteri” vaticano e il suo omologo cinese. Buona lettura.
Ombre cinesi
Siamo nel pieno dell’epidemia del coronavirus, o COVID-19, come è stato ufficialmente battezzato. In Cina i numeri suggeriscono una ecatombe, e prliamo solo dei numeri ufficiali, in quanto le cifre sono senz’altro diverse da quello che ci viene detto. Ci si continua ad interrogare sui silenzi del governo cinese. Il ben informato Guido Santevecchi, sul “Corriere della Sera” del 17 febbraio in un articolo firmato con Marta Serafini informa che la leadership cinese sapeva già da tempo del coronavirus ma che c’è stata la solita manovra per cercare di fare passare la cosa sotto silenzio: “«Il 7 gennaio, ho dato ordini verbali e istruzioni sulla prevenzione e il contenimento del coronavirus». Così ha detto Xi Jinping il 3 febbraio in un discorso ai dirigenti comunisti, per sottolineare che non perse tempo nell’intervenire. Le parole del segretario generale sono state pubblicate ora sulla rivista del Partito Qiushi, che significa «Cercare la Verità».  Ed è una Verità controversa questa. Perché finora la narrazione ufficiale datava al 20 gennaio il primo intervento di Xi nella crisi. Bisogna ricordare che il primo caso di «polmonite misteriosa» a Wuhan era stato scoperto a inizio dicembre e che per giorni e settimane la Cina aveva taciuto.  Prima comunicazione da Pechino all’Organizzazione mondiale della sanità il 31 dicembre.  Fino al 20 gennaio a Wuhan parlavano di «45 casi», sempre di «infezione misteriosa».  Il 18 gennaio gli epidemiologi dell’Imperial College di Londra spiegarono che i conti non tornavano: i contagi non potevano essere meno di 1.700, una questione di semplici calcoli statistici considerando che a Tokyo erano stati scoperti tre casi di coronavirus, importato da Wuhan. Il 20 gennaio la Cina ammise la gravità dello scoppio del coronavirus: era già epidemia, con 4 morti e oltre 200 contagiati, ma la Commissione sanitaria nazionale assicurava ancora che «era prevenibile e contenibile».  La stampa di Pechino riferì che quel 20 gennaio il compagno segretario generale aveva presieduto una seduta del Politburo e aveva osservato: «È assolutamente cruciale fare un buon lavoro di prevenzione e controllo epidemiologico, la sicurezza e la salute della popolazione sono la priorità massima».  Il 21 gennaio il Partito-Stato il Partito-Stato disse ai quadri delle lontane province cinesi: «Chi nascondesse informazioni sul virus sarebbe punito severamente e inchiodato per l’eternità alla colonna dell’infamia». Il professor Zhong Nansnhan, l’esperto che aveva lavorato ai tempi della Sars, dichiarò che il misterioso coronavirus partito dal mercato del pesce e degli animali di Wuhan a fine dicembre «salta anche da persona a persona».  Ancora il 23 gennaio, con 25 morti ufficiali, la tv statale non parlava della situazione già tragica di Wuhan, preferiva aprire il tg con le immagini di Xi in ispezione in una lontana provincia, osservava che l’entusiasmo del leader «contagiava la folla». E il leader faceva gli auguri di Buon Capodanno lunare al popolo cinese.  Ma dal 24 gennaio, Wuhan veniva messa in quarantena: 11 milioni di abitanti chiusi in casa, aeroporto e stazione ferroviaria chiusi.  Il 28 gennaio Xi ricevette a Pechino il capo dell’Organizzazione mondiale per la sanità e proclamò: «L’epidemia è un demone, noi non permetteremo a un demone di restare nascosto… fin dall’inizio il governo cinese ha dato prova di apertura e trasparenza per diffondere nel tempo più breve le informazioni sul virus». Ma quale inizio? Ora, stranamente Qiushi rivela che Xi Jinping aveva dato le prime istruzioni il 7 gennaio. Dunque sapeva già allora, 13 giorni prima dell’allarme generale”. Questa ricostruzione del Corriere della Sera ricalca altre simili offerte da altri giornali, come La Repubblica.
Eppure, da parte di organizzazioni ufficiali si offre una narrativa diversa, come quella offerta dal Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore generale della World Health Organization, che così viene riportato dal “South China Morning Post” di Hong Kong, parlando della leadership del partito comunista cinese in questa crisi: “We have met the [Chinese] president. We have seen the level of knowledge he has on the outbreak. Don’t you appreciate that kind of leadership? We don’t say anything to please anyone”. E questa non è la prima dichiarazione entusiastica in questo senso, anche se nella comunità internazionale i dubbi sul modo in cui la crisi è stata gestita sono molti. E questi dubbi riguardano anche i veri numeri di contagi e morti, l’origine del virus, la presunta emarginazione di coloro che tentavano di denunciare questa malattia misteriosa già nei primi giorni del contagio.
Intanto il ministro degli esteri vaticano ha incontrato il suo omologo cinese, un incontro definito come storico e in cui si è parlato sicuramente dell’accordo provvisorio firmato nel settembre 2018. Molte voci si sono sollevate per criticare quell’accordo, in quanto sono di queste giorni notizie di sopressioni di chiese, vescovi ridotti a dormire per strada, cattolici costretti ad aderire all’associazione patriottica, spinte per fare in modo che le religioni siano in linea con le direttive del partito comunista, ateo e materialista. Ma non sappiamo cosa si sono detti i due ministri, tranne alcune dichiarazioni ufficiali, così come non sappiamo cosa dice l’accordo segreto. A chi conviene? Questa domanda dovrebbe essere in cima a tutte le nostre preoccupazioni.
17 Febbraio 2020 Pubblicato da  Lascia il tuo commento --
Il ritorno del drago

Il governo barcolla.
Zingaretti minaccia la crisi.
Renzi dice a Conte di stare tranquillo.
Conte è sempre più patetico.
I Cinquestelle sono morti, eccetto che per dire idiozie (le dicono anche da morti).
Le sardine agonizzano.
Mattarella parla di elezioni, sebbene in autunno.
Mattarella si scopre anticomunista d’attacco prima di morire.
Un magistrato italiano dice che esporre l’effige del Duce non è reato.
Dall’altra parte, la Lega, con Giorgetti, sul Corriere della Sera dice di essere un “partito serio e affidabile” (come Berlinguer!) e che mai abbandonerà UE ed euro.
La Meloni si scopre conservatrice american style.
Perfino Bergoglio ha dovuto fare un passo indietro dopo 1000 in avanti.
Ma che sta succedendo?
Ho come l’impressione, che un grande cambiamento stia iniziando a realizzarsi.
L’eterno ritorno delle identiche cose.
Torna il Grande Centro!
E’ forse un caso che Mario Draghi ha finito il suo incarico alludendo vagamente al fatto che forse bisognerebbe tornare a stampare moneta sovrana?
Non è che per caso Draghi è il drago che mette tutti d’accordo?
A questo punto, care amiche e amici, cosa si fa?
Ognuno dovrà fare i conti con la propria coscienza.
Proprio come nella Chiesa.
Ogni giorno che passa, la morsa della verità dei fatti si stringe intorno al collo degli illusi.
Per quanto ci riguarda, noi i draghi li combattiamo fino alla fine.
Noi stiamo dalla parte di San Giorgio. Sempre. Non c’è cecità, compromesso e illusione che tenga.
Lo dico a tutti prima di tutti: verità e libertà sempre.
Anzitutto da chi ci ha distrutto e ci vuole annientare.
Il drago è il nemico.

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