ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 19 maggio 2020

Non si pregherà mai abbastanza per i ministri sacri

Nota sulla comunione eucaristica
https://image-media.gloria.tv/placidus/l/pz1wzko9dqrv1axn0knbtbk7iy6xf9445ja2pq3.jpg (immagine aggiunta)
1. Le disposizioni governative sulla ripresa delle celebrazioni con il popolo sono assolutamente nulle: le autorità civili non hanno alcuna competenza in materia di culto religioso; i rappresentanti della conferenza episcopale non hanno giurisdizione né sui vescovi, né sui sacerdoti, né sui fedeli. Ogni singolo vescovo, purché sia in comunione con il Papa, è sovrano nella sua diocesi per ciò che compete alla sua autorità; in essa non rientra però quanto stabilito dalle rubriche del Messale, che sono legge per tutta la Chiesa e possono essere modificate solo dalla Santa Sede, o di sua iniziativa o in risposta ad eventuali richieste dei vescovi (rescriptive). La Santa Sede, poi, ha facoltà solo sugli elementi non essenziali dei riti, non sulla loro sostanza immutabile.


2. Le rubriche del Messale non dicono nulla circa l’uso di guanti nella celebrazione della Messa. Nel rito tradizionale il vescovo, nella prima parte della Messa pontificale, indossa le chiroteche, ma le ritira prima di accedere all’altare per la parte sacrificale. Da ciò si deduce che secondo la Tradizione ecclesiastica, di cui la liturgia è testimonianza qualificata, l’Ostia consacrata può essere toccata solo con mani nude: la ragione è che dei frammenti possono rimanere attaccati alle dita che la tengono, motivo per cui, dopo la consacrazione del Pane, il sacerdote tiene uniti i polpastrelli del pollice e dell’indice fino a quando, terminata la Comunione, non li purifica nel calice, assumendo poi il vino e l’acqua con cui li ha purificati.


3. L’uso di guanti di lattice, alla luce di quanto appena esposto, è assolutamente da escludere, salvo ammettere l’aberrante idea di purificarli nel calice, che ha contenuto il Sangue di Cristo. Oltretutto il Corpo sacramentale del Signore, essendo quanto di  più prezioso la Chiesa possieda in assoluto, non può certo essere toccato con materiale spregevole che sarà gettato nella spazzatura, ma soltanto dalle mani consacrate del sacerdote, il quale, proprio per questo, se le lava immediatamente prima della Messa e non può usarle se non per atti buoni o indifferenti. Inoltre tutti i vasi sacri, per rispetto di ciò che devono contenere, sono obbligatoriamente dorati; anche da ciò si deduce che il mettere volontariamente le Sacre Specie a contatto con materiali vili è un attentato alla loro sacralità, cioè un atto sacrilego in senso lato.


4. La distinzione tra la sostanza (il Corpo di Cristo) e gli accidenti (le specie consacrate) non risolve il problema. Nell’Eucaristia, per un miracolo permanente dell’onnipotenza divina, persistono sì le apparenze del pane e del vino, ma esse non sussistono più nelle rispettive sostanze del pane e del vino, bensì in quella del Corpo e Sangue del Figlio di Dio fatto uomo e morto sulla croce; il sostrato ontologico (subiectum) cui ineriscono non è più quello proprio, bensì un altro, dal quale sono a tal punto inseparabili che, una volta distrutte le specie, non c’è più il Sacramento. Pertanto il toccare le specie non significa toccare solo gli accidenti, ma toccare la sostanza, benché quest’ultima non sia visibile in se stessa. In alcuni miracoli eucaristici, anche recenti, la specie del pane ha mostrato la realtà: tessuto miocardico di un uomo sottoposto a grave violenza.


5. Per comprendere meglio il punto precedente, può essere utile un’analogia con l’Incarnazione: la natura umana assunta dal Verbo, pur conservando caratteristiche accidentali, sussiste unicamente nella Persona del Figlio, alla quale è unita senza confusione, ma anche senza separazione, ragione per cui la Vergine Maria è davvero Madre di Dio (Theotókos). Da ciò deriva che le stesse qualità (onnipotenza, perfezione, santità ecc.) possono essere attribuite tanto alla natura divina che a quella umana (communicatio idiomatum), le quali sono entrambe oggetto di adorazione. Tutto ciò che, durante la Sua vita terrena, è stato fatto a Gesù, in bene o in male, è stato fatto a Dio; i Giudei, per mano dei Romani, non hanno crocifisso gli accidenti, ma Dio stesso, benché nella carne, in quanto quest’ultima appartiene al Verbo e non sussiste se non in Lui.


6. Il fedele che si trovi ad assistere ad una Messa in cui il sacerdote indossi guanti di lattice per tenere e distribuire il Corpo di Cristo non ne porta la minima responsabilità, in quanto non ha alcuna facoltà di impedirlo e non coopera positivamente a quell’azione, per quanto intrinsecamente cattiva; qualora però possa agevolmente partecipare ad una Messa in cui ciò non avvenga, egli ha il diritto di manifestare così la propria disapprovazione, evitando di assistere a un atto che scandalizza la sua coscienza. Anche la sofferenza di vedere il Signore trattato in modo quantomeno irriverente è una ragione più che valida per andare altrove, potendolo fare, almeno dopo aver tentato di persuadere il sacerdote ad evitare l’uso dei guanti. La carità può suggerire svariati modi di aiutare i ministri sacri, con delicatezza e rispetto, a prendere coscienza della responsabilità che grava su di loro, non solo verso Dio, ma anche verso i fedeli.


7. Né il vescovo né, a maggior ragione, il sacerdote può imporre la comunione sulla mano. La legge universale della Chiesa stabilisce la comunione sulla lingua come la forma normale, alla quale si può derogare solo qualora la conferenza episcopale ne abbia chiesto e ottenuto licenza dalla Santa Sede. Un vescovo o un sacerdote che imponga la comunione sulla mano può essere denunciato alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che ha il compito di intervenire per richiamare l’interessato all’osservanza delle norme vigenti. Nessuno deve sentirsi forzato nella coscienza a subire tale grave abuso; se non ottiene nulla né con la persuasione né con la denuncia, il fedele si astenga dal comunicarsi e ricorra a un sacerdote fidato che lo comunichi nella bocca fuori della Messa. Non è necessario comunicarsi per adempiere il precetto festivo, né la partecipazione alla Messa è imperfetta senza la comunione. Astenersi dalla comunione per non ricevere l’Eucaristia sulla mano non è peccato, dato che non si sta respingendo il Signore, bensì rifiutando un modo di porgerlo che ripugna alla fede ed espone il Sacramento a una profanazione involontaria.


8. In sintesi, le norme emanate circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo non obbligano in nulla nessuno, né sul piano civile, né su quello morale, né su quello canonico; la loro inosservanza, da parte del sacerdote o del fedele, non costituisce peccato, nemmeno veniale, dato che non sussiste alcuna ragionevole ipotesi di un rischio maggiore di contagio se l’Eucaristia è amministrata in modo corretto. Pertanto nessuno deve sentirsi obbligato a comunicarsi in una modalità che la sua coscienza non può accettare; viceversa, chi accetta di farlo perché non può altrimenti accedere al Sacramento non commette peccato, purché abbia la massima cura di evitare la dispersione di frammenti dell’Ostia consacrata. A questo proposito, l’uso di un fazzoletto di lino o di un piattino dorato non risolve il problema, dato che il fedele è tenuto a purificarli subito dagli eventuali frammenti, ma non ne ha né la facoltà né i mezzi, mentre il sacerdote purifica subito, nel calice, patena e piattello.


9. Fin qui la prospettiva si è limitata agli obblighi morali in senso stretto; ciò non esclude tuttavia che lo zelo della fede e l’ardore della carità possano spingersi oltre ciò che è strettamente dovuto e richiedano da alcuni una risposta più radicale: non solo il rigetto assoluto, ma anche l’attiva lotta contro norme totalmente irrazionali e illegali che oltraggiano il Santissimo Sacramento, umiliano la Chiesa e calpestano i diritti dei fedeli. Le conseguenze giudiziarie e canoniche che tale scelta può comportare sono mezzi atti al conseguimento della virtù eroica; in ogni caso, le sanzioni civili o ecclesiastiche in cui si può incorrere non valgono minimamente la tremenda posta in gioco, cioè il rispetto della Presenza Reale e la fede dei cattolici.


10. Lo zelo autentico non è disgiunto da quella prudenza soprannaturale che fa tener conto del fatto che molti sacerdoti possono essere soggettivamente in buona fede, convinti di compiere la volontà di Dio obbedendo a disposizioni superiori che suppongono, benché erroneamente, miranti al bene comune; perciò nessuno deve sentirsi autorizzato a comportamenti ispirati da aggressività o disprezzo. Non dimentichiamo che il giudizio sulle coscienze spetta unicamente a Dio e che le svolte interiori sono sempre possibili, ma richiedono l’aiuto della Sua grazia; è per questo che non si pregherà mai abbastanza per i ministri sacri e per i loro superiori.

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