Non avremmo immaginato, in un’unica vita, di assistere alla quantità di cambiamenti, follie, ribaltamenti di prospettiva di cui ci è toccato essere testimoni. Negli ultimi anni, negli ultimi, fatali mesi, abbiamo sommato esperienze – quasi tutte negative – che, in altre epoche, avrebbero richiesto generazioni. Come sempre, le novità arrivano dagli Stati Uniti e si diffondono fulmineamente, come veri e propri contagi, nel resto del mondo americanizzato. L’ultima moda, l’ultima stravagante invenzione prescrive di inginocchiarsi per otto minuti e quarantasei secondi, il tempo in cui il povero George Floyd è stato costretto a terra dal poliziotto che lo ha fermato e poi soffocato.
L’orgoglioso uomo d’Occidente ha finalmente trovato qualcosa dinanzi a cui inginocchiarsi. Non è un Dio, ma una para-ideologia obbligatoria, l’antirazzismo. Mettiamo le carte in tavola: nessuno, tanto meno un poliziotto, può soffocare fino alla morte qualcuno sino a ucciderlo. La tutela della legge e dell’ordine ha sempre un limite, il rispetto della vita altrui, con l’ovvio limite della difesa della propria e di quella dei cittadini indifesi. Quanto alla motivazione razzista della condotta dell’agente bianco, l’episodio non è certo il primo, ma le statistiche attestano che gli atti di violenza poliziesca in America trascendono le razze a cui appartengono protagonisti e vittime.
Nello specifico, la pattuglia che ha fermato il povero Floyd, che stava acquistando sigarette con una banconota che il venditore riteneva contraffatta, era formata da tre agenti, uno bianco – l’accusato di omicidio – e due asiatici. Entrambi non si sarebbero mossi in difesa di Floyd, il che è grave, ma non sostiene l’accusa di omicidio a sfondo razziale. C’è di più: il capo della polizia della città di Minneapolis è un nero, anzi afroamericano, come è obbligatorio dire. Gli incidenti che rendono incandescente, prerivoluzionario, il clima degli Usa, hanno causato numerosi morti tra commercianti assaltati, manifestanti e poliziotti, diversi dei quali afroamericani.
Le dimostrazioni si sono risolte in vandalismi e distruzioni, ma soprattutto saccheggi. Ne hanno fatto le spese supermercati, negozi di quartiere, vetrine di lusso dei marchi più conosciuti, oltre a numerosissimi sportelli bancari automatici. Il comando della rivolta, dietro la quale si muovono certamente organizzazioni non governative “umanitarie”, settori politici e comunità etniche e razziali, ha obiettivi politici – in novembre ci saranno le elezioni presidenziali e quelle legislative – molti manifestanti di ogni etnia sono certo in buona fede, ma è un fatto che i disordini si sono trasformati in puro nichilismo distruttivo. Diciamola tutta: sono la dimostrazione più evidente del fallimento del modello economico, sociale e multiculturale americano.
Gli Usa sono un paradiso per alcuni, un luogo dove il pane è duro per molti e per tantissimi un vero inferno. Ecco dove e come finisce il sogno americano, l’american way of life. I poliziotti, bianchi, neri, ispanici, asiatici, sono violenti perché violenta è la società in cui operano. Milioni di americani sono detenuti, e diverse prigioni sono gestite da privati. L’imprenditore carcerario è una figura impressionante, niente affatto pittoresca, come i cacciatori di taglie e i fornitori di cauzioni per chi incappa nel sistema giudiziario.
I saccheggi sono il corollario dei tumulti quando manca un obiettivo politico preciso, ma diventano qualcosa di più profondo, la spia di un malessere sociale enorme, se coinvolgono tanto i generi alimentari e altri beni primari, quanto il denaro e la razzia di beni di lusso. Hanno rubato di tutto, indubbiamente con la regia criminale delle bande che sono parte del panorama esistenziale di interi quartieri sottratti alle leggi.
Segno non di debolezza del sistema, ma del fatto che la violenza, il contropotere, l’appartenenza per tribù etniche, è in America elemento centrale nel modo di vivere della sedicente patria della libertà. Il problema razziale non è stato mai risolto per molti motivi. Uno è il fatto che alla tradizionale contrapposizione tra maggioranza bianca e minoranza di colore, si sono sovrapposte, negli ultimi cinquant’anni, enormi ondate migratorie provenienti da ogni altro angolo del pianeta, a cominciare dal Centro e Sud America e dall’Asia. Gli Usa si sono trasformati in una torre di Babele in cui – letteralmente – nessuno parla più una lingua comune.
L’unico denominatore comune è il denaro, la ricerca della ricchezza, che scatena lotte, invidia sociale alimentata da diseguaglianze intollerabili, la volontà di ottenere il successo – che in America significa esclusivamente possedere molto denaro – con le spicce, con la violenza e l’ingiustizia. Nulla di strano: così sono nati, sono diventati grandi e potenti gli Usa. Hanno sottratto terra e pascoli agli indiani nativi, non si sono fatti scrupolo – da protestanti devoti – di praticare la schiavitù nelle sterminate piantagioni agricole, abolendola solo dopo una guerra e a seguito del sorgere della civiltà industriale che aveva bisogno di operai, non di braccianti. Lo stesso Floyd, la vittima, ha trascorso anni in carcere per rapina ed era uno dei milioni di americani a cui il Coronavirus ha sottratto il lavoro.
È significativa la circostanza che una banconota da venti dollari abbia dato la stura a una serie di eventi che attestano l’assoluta assenza di principi morali dell’intera società. Evidentemente il commerciante non poteva rifiutare il pagamento per paura di reazioni: ha chiamato la polizia, il cui intervento ha avuto gli esiti che conosciamo. È una società intrisa di violenza, con scarso rispetto della vita umana e assoluta sfiducia reciproca, specie se l’Altro appartiene a un diverso gruppo etnico. Le razze esistono, eccome e la reazione della società americana ne è la dimostrazione. Il potere americano ha seminato vento, adesso raccoglie tempesta. Ha diffuso, nelle università private, ogni sorta di idee, dal femminismo più esacerbato alla teoria del genere e all’uguaglianza-equivalenza, ha propagato la cultura della droga e quella dell’odio per qualsiasi autorità.
Pur nel darwinismo sociale liberista, ha costruito una gabbia in cui gli impieghi, le carriere, le funzioni, gli studi, seguono un doppio binario. Da un lato, domina il denaro: per i ricchi, porte aperte a prescindere e successo assicurato dall’inizio; per tutti gli altri, vige la “discriminazione positiva”, ovvero quote prefissate per razza, sesso, adesso anche per orientamento sessuale.
Nel tentativo di assicurare una certa giustizia distributiva, si sono creati nuovi ghetti, nuove burocrazie, nuovi centri di potere, dunque anche ulteriori esclusioni. I vecchi valori americani – Dio, la famiglia, la legge, l’ordine, la stessa Patria – sono diventati carta straccia per un numero crescente di immigrati, estranei per provenienza, cultura (e incultura), religione. Nuove muraglie sono state erette, specie nei grandi centri urbani, divisi in tribù reciprocamente ostili, in cui la legge del sangue – respinta dalla legge e dalla cultura ufficiale – riaffiora nelle bande, nelle divisioni territoriali, nelle identità rivendicate come unico patrimonio comunitario.
Su tutto, il motivatore universale, il dollaro misura di tutte le cose. Sulle banconote è stampato un motto surreale: in god we trust, noi confidiamo in Dio. Un Dio pret-a-porter, fai da te, simboleggiato dall’infinito numero di confessioni, sette, non solo cristiane, che rendono l’America un labirinto spirituale. Bene o male, un fragile equilibrio è rimasto fintantoché l’egemonia bianca anglosassone ha retto, sia pure tra ingiustizie e macroscopiche contraddizioni: agli americani di certe razze era chiesto di morire in guerra per lo zio Sam, ma non avevano pieni diritti politici e spesso non potevano frequentare gli stessi ambienti dei bianchi. Adesso il tappo è saltato, e l’enorme quantità di armi che circolano fa presagire che il ritorno alla normalità non sarà facile né rapido. Un numero crescente di tribù, di minoranze ostili armate circola per il paese.
I poliziotti sono a loro volta vittime: la loro vita è costantemente in pericolo e sanno di non essere più supportati dal potere. Il rischio è che diventino imbelli, corrotti – un po’ per necessità e molto per convenienza – e che, come già avviene per l’esercito, il reclutamento finisca per privilegiare personalità disturbate, borderline, settori marginali della popolazione per i quali la divisa resta uno strumento di affermazione sociale. Dietro di loro, migliaia di quartieri e città “difficili”, ghetti etnici, il denaro da ottenere in fretta e a ogni costo come unico obiettivo comune, la diffusione endemica di sostanze stupefacenti. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso, giacché la cultura della droga venne diffusa nelle università dagli anni 60 con la complicità attiva dei servizi segreti.
La cosmogonia cristiana narra di una felice condizione umana originaria, seguita dalla volontà di diventare come Dio, fino a suscitare la collera del creatore allorché gli uomini intesero costruire un palazzo elevato sino al cielo. “Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. (…) Questo è l’inizio della loro opera e quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. Il Signore li disperse su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. (Genesi, 11, 1-9)
I riferimenti veterotestamentari restano assai forti in America: impossibile che non occupino la riflessione di milioni di americani di ogni origine. L’incomprensione reciproca, la confusione di lingue, genti, modi di essere, è il naturale esito della folle scommessa multiculturale, multirazziale, multi religiosa priva di un centro di equilibrio e senza valori condivisi dalla maggioranza. Lo stesso sbandierato antirazzismo è un anti valore: si è contro qualcuno, non “per “qualcosa.
Eppure, è diventato, in queste settimane, la parola d’ordine emotiva, utilizzata per giustificare i disordini, che hanno fatto tabula rasa innanzitutto della ridicola parola d’ordine del distanziamento sociale. Chi manifesta, cerca la folla, la contiguità; chi ha come obiettivo commettere reati – violenze, furti, saccheggi – preferisce l’anonimato della massa.
Diventa farsesco, nella remota provincia dell’impero chiamata Italia, attaccare la destra in piazza perché senza mascherine, ravvicinata, sudata, come ha detto lo scrittore “sinistro” Gianrico Carofiglio, e applaudire freneticamente i tumulti d’Oltreoceano. Si sono distinte le Sardine, il cui nome evoca un pesce assai facile a cadere nella rete, ginocchioni a pugno chiuso. Pugno di mosche, presumiamo.
Il caso Floyd ha dimostrato a chi ha occhi per vedere e cervello per ragionare, quanto sia fragile la nostra civilizzazione e fino a che punto è pervenuta la riduzione a gregge cretinizzato dai riflessi unificati, pavloviani. Impressiona l’immagine di artisti, sportivi, finti e veri intellettuali, gente di buona fede e nessuno spirito critico, prostrati in ginocchio.
È non solo l’immagine icastica, ma il racconto, il ritratto simbolico del tempo che ci è toccato di vivere e soffrire. È vietato dire che chi grida in strada contro la polizia e poi distrugge negozi, assalta l’esposizione di Louis Vuitton o il centro di vendita di Apple, aggredendo selvaggiamente chi difende se stesso e il suo pane, è l’esercito del crimine. È chiaro – ma bisogna aver conservato l’uso degli occhi in un tempo di ciechi, anzi di non vedenti – che i loro padroni e mandanti ci vogliono in ginocchio di fronte ai loro piani criminali di dominazione, di ingegneria sociale, di riconfigurazione dei cervelli, o di ciò che ne resta. In ginocchio, come schiavi (gli schiavi in molte società, dovevano portare una maschera) o come, nel buio passato da cui il magnifico progresso ci ha liberato, ci si poneva davanti a Dio.
Ecco il nuovo Dio: un mondo folle, violento, dominato da un’oligarchia che ci ha reso schiavi e adesso, con il pretesto dell’omaggio a un poveraccio morto per venti dollari con su scritto il sacrilego motto “in God we trust”, pretende l’omaggio più servile. Abbiamo visto immagini da vomito: agenti della Guardia Nazionale americana in ginocchio di fronte ai manifestanti, donne che baciavano le scarpe dei nuovi guerriglieri urbani del Bene e dell’Antirazzismo. Chi ha messo in piedi questa disgustosa ordalia è il Foro di San Paolo, che dal 2000 riunisce la galassia del sinistrismo politico, culturale e religioso, foraggiato da ONG come quelle legate a George Soros e ad altri membri della plutocrazia, i re del denaro.
La via è tracciata e non è affatto quella del paradiso multi, pluri e trans ad uso dei gonzi inginocchiati. Hanno minato lo spirito della libertà e il criterio della democrazia, corrono spediti verso un super stato mondiale in cui ci saranno solo schiavi e iper padroni, ricchissimi e poveri, ceti dirigenti onnipotenti e masse indottrinate pronte a inginocchiarsi al fischio del padrone, felici di seguire gli slogan del momento sotto pena di scomunica sociale.
È l’incredibile neo comunismo oligarchico, utopia di miliardari decadenti con pose progressiste. Nella solita America, chiamano sindrome FOMO (fear of missing out, il timore di perdersi qualcosa), un’ansia patologica caratterizzata dalla necessità di rimanere attaccati alle mode altrui, di essere esclusi da eventi o contesti sociali di massa, considerati gratificanti. E’ sempre più facile manipolare masse di neo alfabeti a cui non interessa leggere, informarsi seriamente, indifferenti o addirittura plaudenti alla repressione più o meno violenta contro chi si oppone alla dittatura riciclata in giustizia da sofà e a parole d’ordine ripetute a pappagallo, più gradite quanto più generiche ed in grado di attivare il facile registro emozionale di cervelli addormentati
Nessuno di questa massa amorfa si inginocchierà dinanzi al vile assassinio del capitano di polizia in pensione David Dorn, nero anch’egli, settantasettenne, che era accorso in aiuto di un amico commerciante, colpito da un giovane bianco. La sua agonia, ripresa con un apparato telefonico, non risveglierà alcun senso di umanità o commozione. La mandria progressista non si inginocchia dinanzi alle vittime, a loro volta costrette in ginocchio, assassinate per decapitazione o sgozzate dai gentiluomini dell’Isis. Nessuna manifestazione, nessun ginocchio a terra per i milioni di sudamericani affamati, impoveriti e senza cure in mano a governi narco marxisti.
Non ricordiamo folle ginocchioni in ricordo delle vittime del terrorismo, tutt’al più ridicole infiorate nelle piazze. In Italia, conclamati assassini sono in cattedra ad impartire lezioni e non pochi sono ospiti graditi di salotti televisivi e kermesse culturali. Sono tutti in piedi orgogliosi di sé, e vogliono noi in ginocchio, a chiedere perdono, supplicanti, impauriti per peccati che non abbiamo commesso. Vogliono che ci sentiamo colpevoli di qualsiasi cosa, del passato e del presente, sino alla confessione finale, l’autocritica di matrice comunista: siamo razzisti, fascisti, maschilisti, omofobi, violentatori eccetera eccetera.
Ebbene, resteremo soli, ma non ci inginocchieremo davanti all’orda. Saremo sempre dalla parte delle vittime, manifesteremo empatia a tutti i George Floyd del mondo, di tutte le razze, bianchi, neri, donne, uomini di qualunque credenza religiosa, vittime di ingiustizia, in un mondo nel quale siamo tutti potenziali vittime di assassini a cui troveranno attenuanti, esimenti, giustificazioni. Ma in ginocchio no, solo davanti a Dio! Un potere formidabile dall’intelligenza sopraffina è riuscito a farci prostrare di nostra volontà.
Brutti, pessimi tempi. Se potremo scegliere, chineremo il capo dinanzi al Cristo di Lepanto o al Cristo morto di Andrea Mantegna. Davanti ad altri uomini, mai, e quando capiterà di morire, che avvenga con la testa alta e lo sguardo diritto.
Roberto Pecchiolihttps://www.ricognizioni.it/la-nuova-moda-di-inginocchi-dagli-usa-al-resto-dellimpero/
Una sinistra inginocchiata alla propria ideologia
Se non fosse solitamente allergica a chiunque si genufletta davanti a Dio (salvo che si chiami Allah), se non fosse tetragona a qualsiasi legge di natura, questo bisogno della sinistra radical di inventarsi ciclicamente un feticcio farebbe quasi tenerezza. Rivelerebbe un bisogno di altro da sé, un anelito a una qualche forma di trascendenza.
E invece no. La scena dei parlamentari del Pd, la solita Laura Boldrini in testa, inginocchiati nell’aula di Montecitorio per scimmiottare i colleghi dem americani, fa letteralmente pena. Non tanto e non solo per la strumentalizzazione di una vicenda certamente tragica, cui il tentativo di farne un uso politico non rende giustizia alcuna. Soprattutto, perché l’apparente espiazione di una presunta colpa collettiva suona così terribilmente ipocrita quando sottintende (a sproposito, peraltro) il dito puntato verso la metà avversaria del mondo da risultare insopportabile.
Hanno cancellato uomo e donna (salvo quando c’è da combattere battaglie epiche sulla declinazione della carta intestata). Hanno sdoganato la compravendita dei bambini (protestassero quanto gli pare ma è così). Hanno teorizzato (e codificato) il diritto a morire anche per mano altrui. Hanno negato qualsiasi legittimità a quel diritto naturale sul quale si fonda l’uguaglianza degli uomini su questa terra, e adesso si prostrano in una sceneggiata accusatoria, in attesa del prossimo vitello d’oro.
Li abbiamo visti occultare le nostre opere d’arte e voltarsi dall’altra parte di fronte a donne calpestate in ossequio all’islam. Li abbiamo visti rinnegare la libertà di pensiero in nome della lotta alla presunta omofobia. Li abbiamo visti in piazza al venerdì al seguito di una ragazzina svedese contro l’uomo cattivo che ha provocato il riscaldamento globale. Li abbiamo visti difendere il più spregiudicato e oppressivo dei regimi, che ha regalato al mondo il coronavirus. E adesso rieccoli al razzismo, perché c’è da contrastare la rielezione di Donald Trump e un bel movimento globale in nome di un uomo nero ucciso dalla polizia cittadina agli ordini di un sindaco democratico in uno Stato governato dai democratici non fa una piega…
E così, il nuovo totem è servito. Una sola preghiera: le vostre sceneggiate fatele fuori dal Parlamento. Preservate almeno le istituzioni, che sono o dovrebbero essere la casa di tutti. Se credete in un aldilà, genuflettetevi davanti a Dio perché accolga l’anima del povero George Floyd, che ora è ciò che conta. Se non ci credete, un consiglio: lasciate stare le ginocchia, perché senza la dimensione verticale prostrarsi è soltanto indice di sudditanza al feticcio ideologico di turno. E vi fa essere più ridicoli di quanto sembrate. Il che non è facile.
di Claudia Passa
George Floyd o Martin Luther King ??
Siamo davvero approdati nel regno del surreale, ma nel tempo postmoderno del paradosso citazionista era abbastanza prevedibile. Credo che il caro defunto George non si sarebbe di certo aspettato un funerale di tale livello emozionale, simile a quello mandato in onda a reti unificate su tutti i networks del mondo occidentale civilizzato, ma soprattutto “globalizzato”.
In due settimane dalla morte di Floyd, le violente manifestazioni di piazza hanno insinuato una percezione di odio radicale in buona parte dell’opinione pubblica nei confronti della polizia. Mentre i sovversivi bruciavano le macchine della polizia e la mazzolavano di lanci di pietre e mattoni, i “manifestanti pacifici” definivano i poliziotti fascisti e razzisti. I tempi dei poliziotti “primi soccorritori”accorsi per salvare vite umane l’11 settembre sono lontani anni luce, quando i funerali degli eroi della polizia venivano glorificati in diretta mondiale.
La “sinistra” progressista sta ora scatenando una vera guerra civile, estremizzandola con l’appoggio alle minoranze etniche emarginate, soprattutto nere, santificando il maschio nero, diventato eroe per caso, e mostrando tutto il suo disprezzo per il bianco forte, violento, eterosessuale, magari però anche padre di famiglia, colpito dopo il Covid da ulteriore disoccupazione e malessere economico.
Un apartheid al contrario, che invita alla demonizzazione delle forze dell’ordine, per difendere truffatori e ladri, ricorre alla legge della giungla, pur di assicurarsi le prossime presidenziali, sprona alla vendetta e alla ritorsione, pur di riprendersi la Casa Bianca.
Migliaia di persone hanno affollato il George Floyd Memorial a Houston, mentre la cauzione di Derek Chauvin veniva aumentata a $ 1 milione alla prima udienza.
Entering the burial grounds of George Floyd as family and friends say their final goodbye. #GeorgeFloydFuneral
Ora ad essere santificato è il corpo di George Floyd, durante il suo funerale, trasmesso in diretta, con cori gospel, musica e tributi di lacrime e fiori. Non importa se l’evento tragico della sua morte si era manifestato durante il suo arresto per truffa e intimidazione verso un commerciante, che svolgeva onestamente il proprio lavoro.
“Ora è il momento della giustizia razziale“, dice Biden nel discorso tenuto al suo funerale, citando le Scritture ed evocando la lotta della nazione degli anni ’60 per i diritti civili.
Biden, il presunto candidato alla presidenza democratica, ha rivolto poi le sue osservazioni sulla figlia di Floyd, Gianna di 6 anni, “Troppi bambini neri come lei hanno dovuto chiedere cosa è successo ai loro padri … Perché, in questa nazione, gli americani neri si svegliano sapendo che possono perdere la vita solo per vivere la loro vita?”.
Ricordando anche Thurgood Marshall, il primo giudice della Corte Suprema afroamericana, Biden ha affermato che è arrivato il momento per il paese di “dissentire dall’indifferenza” e condannare le testimonianze di razzismo. La sua educazione cattolica gli ha insegnato che la fede richiede di lavorare per la giustizia. E poi, rivolgendosi a Gianna “tuo padre avrà cambiato il mondo”.
Tanti poi gli applausi per il reverendo e attivista per i diritti civili Al Sharpton durante l’elogio funebre … la morte di George Floyd “non è stata solo una tragedia, è stato un crimine”, ha declamato.
Al Shartpton ha accusato Trump di non aver usato: “Nemmeno una parola per il calvario di George Floyd”. Parole di ringraziamento per Barack Obama e accuse nei confronti della Nfl, la Lega football statunitense, perché dal 2017 nessuna squadra ha più offerto un contratto al quarterback Colin Kaepernick.
"We are not fighting some disconnected incidents. We are fighting an institutional systemic problem that has been allowed to permeate since we were brought to these shores. And we are fighting wickedness in high places.”— @TheRevAl #GeorgeFloydFuneral #BLM
Le radici della protesta afroamericana contro la violenza gratuita della polizia affondano nell’allora quarterback dei San Francisco 49ers. Era il 2016, terza partita di preseason, Kaep rimase seduto durante l’inno, fu l’inizio della rivolta, degli “inginocchiamenti” sulle note di “Stars and Stripes”, ma anche la fine, della sua carriera. Complotto o solo talento in declino?
Proprio il gesto di inginocchiarsi è diventato uno dei simboli della protesta. Anche al Congresso i Dem con la speaker Nancy Pelosi tra le prime file, si sono inginocchiati per rendere omaggio a George Floyd. E le proteste sono rimbalzate immediatamente anche in Italia.
Gruppo in interno di #deputatiPD capitanati da @lauraboldrini in ginocchio. Addolorati e disperati per la sorte degli italiani in crisi economica gravissima ?No? Allora per le bugie di Pechino sul covid? No? Per il razzismo in America? Dai, #noncicredo
La protesta si è fatta globale nel giro di 24h, altro che le lotte per i diritti civili di Martin Luther King! A Londra i manifestanti hanno imbrattato la memoria di Winston Churchill …
La Francia estrae con forza $ 500 miliardi ogni anno da 14 nazioni africane come “Imposta coloniale ” ma tutto il mondo tace … ora è il momento di glorificare l’eroe di turno, con una campagna antirazzista al contrario, il colpevole dello sfruttamento delle minoranze nere, non è stato il colonialismo rapace delle potenze occidentali, ma la polizia americana, braccio armato del potere certo, violenta e brutale certo, ma l’ultimo anello dell’imperialismo occidentale, di cui gli Usa sono i leaders indiscussi.
"Evil prevails when good men stay silent". This is very honorable of u Billy ! The Cameroonian government is really enjoying the massacre of it´s citizen, while the world silently watches on. France is the main sponsor and abettor of the genocide in SCameroons. STOP the war @UN twitter.com/billyb2009/sta …
African Union’s ambassador to the United States Arikana Chihombori-Quoao fired for criticizing the FRANCE for maintaining neo-colonial policies that are meant to keep Africa poor.#StopFrenchHegemonyInAfrica@dieLinke @dwnews @hrw @nytimes @theIRC
pic.twitter.com/2E1yEPejMm
“Babylon Berlin”, memorabile affresco noir dell’epoca weimariana, ha rappresentato il crollo della democrazia più avanzata d’Europa e all’avvento del Nazismo. Stessa dimensione chimerica di oggi, col mondo intrappolato nel virus letale: edonismo trasgressivo, dissolutezza della vita, decadenza dei costumi, sex, drug & crime, magnetismo di controllo su masse e individui, apparente calma piatta prima della tempesta, mossa però da una ribollente strategia della tensione in crescita esponenziale, e ricerca funzionale del capro espiatorio.
Allora il conflitto fra forze democratiche sempre più afone e il nazismo in ascesa, la disastrosa crisi economica di fine ’29 e le rivalità per la conquista del potere fra le ricostituite gerarchie politiche. Legate al Presidente Hindenburg e agli Junker prussiani da una parte, e il movimentismo armato nazista dall’altra, forte nelle urne e nelle piazze, fino al compromesso del 1933, quando industriali e Stato Maggiore puntarono sul cavallo vincente #Hitler.
Con accenti parossistici, nella Weimar 2020, la postdemocrazia di oggi viene governata in misura crescente dalle potenti oligarchie delle lobby e dei mass media, non più da regole democratiche.
La pandemia sembra aver prodotto uno dei “maggiori trasferimenti di ricchezza nella storia“, in favore di corporations e multinazionali, con Wall Street che raggiunge le vette auspicate, mentre l’economia reale langue, trascinando nel baratro piccole e medie imprese, milioni di disoccupati e benessere delle famiglie.
Gli Stati Uniti stanno segnando uno tsunami di fallimenti, i dati federali mostrano che la nazione dovrà affrontare un tasso di disoccupazione del 13,3%, con 42,6 milioni richieste di disoccupazione, mentre le fortune dei miliardari statunitensi sono aumentate di $565 miliardi tra il 18 marzo e il 4 giugno. Il popolo americano sta diventando sempre più povero, i ricchi sempre più ricchi.
Si sarebbe pensato che la “sinistra” americana e le istituzioni politiche progressiste sarebbero state le prime ad allarmarsi per questa crisi sociale, ma probabilmente ridistribuire la ricchezza, temperare l’avidità dei ricchi, prendersi cura dei lavoratori, e lottare per le pari opportunità e la vera giustizia non sembra siano le principali preoccupazioni delle forze politiche americane.
La realtà americana suggerisce il contrario. Invece di unirsi in una feroce battaglia contro Wall Street, e impegnarsi in una dura lotta di classe contro disagi e discriminazione economica, la “sinistra” sta investendo le sue potenti energie in una “guerra civile”, per i propri fini elettorali, più che in una battaglia economica a sostegno della classe media, sempre più proletarizzata.
Le violente manifestazioni contro il razzismo sono semplicemente il solito scambio dei “diritti cosmetici” con i “diritti sociali”, per popoli “superflui”… lavoro, lavoro, lavoro, è quello che dovrebbero chiedere, ed è quello che il capitale non vuol più dare, nel tempo dell’automazione forzata dell’IA.
La storia ci insegna che il “fascismo” vince sempre quando ci sarebbero le migliori condizioni per una rivoluzione democratica, quando il sistema spinge per un conflitto razziale per altri fini, fino a provocare un’ulteriore frammentazione della società americana e dell’occidente globalizzato. Siamo costretti a subire l’ennesima strategia della tensione, che potenzierà infine lo status quo neoliberista di sempre.
Rosanna Spadini 10.06.2020
Sesso con la mascherina
Il sesso senza baci, qualcosa di impensabile e relegato nell’ambito della prostituzione viene indicato come parte della nuova normalità.
Il coronavirus come un evento ‘shock and awe’ ha cambiato repentinamente comportamenti e modi di vivere che sembravano immutabili, ha stravolto con la forza della paura e con il timore ancestrale delle malattie, la vita di milioni di persone. La medicalizzazione della vita sessuale iniziata nell’800 e descritta da Michel Foucault ha così raggiunto un nuovo livello, la separazione tra la funzione riproduttiva e quella erotica era iniziata in quell’epoca come pratica eugenetica, le pulsioni dovevano essere sottomesse a rigide regole affinché la discendenza fosse geneticamente perfetta. La separazione tra affettività e sessualità si manifesta adesso fortemente con la mascherina, il corpo divenuto portatore di malattie e simbolo di imperfezione va censurato, nessuna relazione gioiosa, nessun affetto, l’asetticità della clinica rimanda a rapporti malati tra corpi imperfetti, l’eugenetica ottocentesca appare nuovamente come la soluzione desiderabile, la medicina è la nuova normalità in attesa che il transumanesimo con la manipolazione dei corpi diventi la soluzione per il futuro.
Il coronavirus come un evento ‘shock and awe’ ha cambiato repentinamente comportamenti e modi di vivere che sembravano immutabili, ha stravolto con la forza della paura e con il timore ancestrale delle malattie, la vita di milioni di persone. La medicalizzazione della vita sessuale iniziata nell’800 e descritta da Michel Foucault ha così raggiunto un nuovo livello, la separazione tra la funzione riproduttiva e quella erotica era iniziata in quell’epoca come pratica eugenetica, le pulsioni dovevano essere sottomesse a rigide regole affinché la discendenza fosse geneticamente perfetta. La separazione tra affettività e sessualità si manifesta adesso fortemente con la mascherina, il corpo divenuto portatore di malattie e simbolo di imperfezione va censurato, nessuna relazione gioiosa, nessun affetto, l’asetticità della clinica rimanda a rapporti malati tra corpi imperfetti, l’eugenetica ottocentesca appare nuovamente come la soluzione desiderabile, la medicina è la nuova normalità in attesa che il transumanesimo con la manipolazione dei corpi diventi la soluzione per il futuro.
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