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giovedì 11 giugno 2020

Non l’avesse mai fatto...

Affari vaticani. La rivincita di Pell sulla segreteria di Stato


Hanno destato scalpore, il 5 giugno, l’arresto e la chiusura in cella, in Vaticano, di Gianluigi Torzi, il finanziere accusato di aver estorto 15 milioni di euro alla segreteria di Stato, nelle sgangherate battute finali dell’acquisto di un costoso edificio a Londra, voluto nel 2014 dalla stessa segreteria di Stato con denari prelevati in buona misura dall’Obolo di San Pietro.

Le indagini sono nella fase istruttoria e il processo non è stato ancora fissato. Ma ai vertici della curia vaticana è già guerra. Il sostituto segretario di Stato Edgar Peña Parra è nel mirino di uno degli indagati, Mauro Carlino, che a sua volta è stato segretario del precedente sostituto Giovanni Angelo Becciu, oggi cardinale prefetto della congregazione per le cause dei santi. Becciu, che nel 2014 diede il via all’affare, è stato fatto segno di critiche dal suo diretto superiore di allora, il cardinale segretario d Stato Pietro Parolin, mentre Angelo Perlasca, altro indagato di primo piano, accusa Parolin di aver anche lui approvato l’operazione.
Tutto fa presagire che il processo non risparmierà nessuno. E verosimilmente affinché non si verifichino in futuro altri disastri del genere, prodotti da operazioni fuori controllo e da esecutori incompetenti e inaffidabili, è stato varato in Vaticano il 1 giugno un severo rafforzamento delle regole riguardanti i contratti pubblici stipulati dalla Santa Sede, compresi quelli “immobiliari”, con trasparente riferimento all’operazione di Londra.
I capisaldi di questa riforma dei codici vaticani sono la centralizzazione dei contratti, da qui in avanti facenti capo soltanto all’APSA, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, o al governatorato della Città del Vaticano, e la tenuta di un unico albo dei professionisti ammessi alle operazioni, di cui deve essere certificata la assoluta correttezza. Il tutto sotto la supervisione della segreteria per l’economia e del revisore generale dei conti.
Questa razionalizzazione e centralizzazione dei poteri, a fronte di un disordine amministrativo i cui danni sono da tempo sotto gli occhi di tutti, è stata accolta in Vaticano da un generale coro di approvazione, non si sa però quanto sincero.
Si è trattato, infatti, della messa in opera di quella stessa riforma che era stata avviata coraggiosamente, all’inizio dell’attuale pontificato, dal cardinale George Pell, nominato nel 2014 da papa Francesco prefetto della neocostituita segreteria per l’economia, ma che subito era stata avversata e poi rovesciata del tutto, in larga misura proprio dalla segreteria di Stato e dai suoi dirigenti e funzionari oggi finiti sotto indagine.
Pell lasciò Roma nel 2017 alla volta dell’Australia, incalzato in patria da accuse di abusi sessuali che gli hanno procurato una condanna a sei anni di carcere, confermata in appello ma infine cancellata del tutto dalla corte suprema australiana, che lo scorso 7 aprile, martedì santo, ha rimesso in libertà l’innocente cardinale.
Ma in quell’anno 2017 le riforme avviate in Vaticano da Pell erano già state in gran parte demolite. Non solo. Nel giugno di quello stesso anno fu cacciato con metodi brutali anche il revisore generale dei conti, Libero Milone. il quale tre mesi dopo – in un’intervista congiunta a Corriere della Sera, Wall Street Journal, Reuters e Sky TV – additò proprio in Becciu il dirigente della segreteria di Stato che più di tutti aveva voluto la sua cacciata e non mancò di lamentare anche i silenzi del papa, che già dalla primavera dell’anno precedente rifiutava di riceverlo e persino di rispondere a ogni sua richiesta d’incontro.
In effetti, non era un mistero che Francesco avesse fatto inversione di marcia già poco dopo aver chiamato Pell a mettere ordine nelle finanze vaticane.
Al cardinale australiano il papa aveva inizialmente affidato la centralizzazione dei patrimoni di tutti gli uffici di curia, comprese le cospicue somme, mai fatte comparire nei bilanci pubblici della Santa Sede, amministrate da un onnipotente ufficio della segreteria di Stato al quale obbediva anche l'APSA, la cassaforte dei beni mobili e immobili del Vaticano.
E Pell non era andato per il sottile. Presto squadernò in pubblico l'ammontare dei denari non contabilizzati in possesso della segreteria di Stato e di altri uffici vaticani, 1,4 miliardi di dollari, ovviamente rivendicandone il controllo, e diede per imminente l'assorbimento dell'APSA nella propria segreteria.
Non l’avesse mai fatto. Senza far rumore, i centri di potere messi sotto assedio da Pell fecero barriera e poi contrattaccarono. Col papa che ascoltava ed esaudiva sempre di più loro invece che il cardinale australiano. E col segretario di Stato Parolin, nel frattempo aggiunto da Francesco agli otto cardinali suoi consiglieri nel governo della curia e della Chiesa, a tirare le fila della controffensiva.
Oggi però le sorti si sono rovesciate. Il cardinale Pell, restituito alla sua libertà in Australia nei giorni di Pasqua, ha avuto anche la sua Pentecoste, con la pubblicazione alla vigilia di questa festività dei nuovi codici vaticani sugli appalti, finalmente in linea con le sue riforme tanto osteggiate.
Mentre la segreteria di Stato è ora nel gorgo di un’indagine che ha già fatto cadere alcuni funzionari di media grandezza ma che domani potrebbe colpire anche suoi alti dirigenti di oggi e di ieri, dopo averne già offuscata la fama, anche in vista di un futuro conclave.
Quanto a Francesco, s’è rimesso al passo con i tempi, addirittura anticipando di testa sua – nella conferenza stampa sul volo di ritorno dal Giappone – la condanna per corruzione degli uomini delle segreteria di Stato invischiati nell’acquisto del palazzo di Londra.
Ma se appena si torna indietro al 26 dicembre del 2018, nel pieno delle festività natalizie e delle operazioni londinesi, si scopre che ospite del papa a Santa Marta fu proprio, con la famiglia, quel Gianluigi Torzi che ora è dietro le sbarre in una cella della gendarmeria pontificia.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 11 giu

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