ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 24 luglio 2020

La distopia oggi diventa realtà

Pasolini con il film Saló fu profeta della società attuale


Guardate questo video di qualche minuto che chiarisce la profezia di Pasolini sulla società attuale.


Estratto:
“La terribile distopia raccontata nel film di Pier Paolo Pasolini “Salò o le 120 giornate di Salò” è realtà.

 Nel film si raccontava la storia di un gruppo di ragazzi sequestrato da alcuni gerarchi che imponevano loro la peggiore delle condizioni di vessazione e di umiliazione. Spersonalizzati, privati di ogni identità, manifestata questa cosa attraverso la privazione dei vestiti, venivano ridotti a livello animale e costretti a subire ogni tipo di vessazione immaginabile. (…) tutto questo nella incapacità di ribellione. (…) Questa è la rappresentazione della società liquida che Bauman avrebbe raccontato in seguito. Una società, appunto, di individui incapaci di organizzarsi e di rivendicare i diritti e pronti a subire ogni angheria ed ogni umiliazione. L’unica cosa impedita e vietata in questa società in cui apparentemente tutto era permesso era il sacro ed il rapporto tra uomo e donna, la coppia. La famiglia sono il luogo della gratuità. E come diceva Ezra Pound, sono il sacro perché sono ciò che non è in vendita. Le uniche vittime del film sono appunto una coppia, un ragazzo e una ragazza sorpresi ad amarsi ed una ragazza sorpresa a pregare. 

La distopia oggi diventa realtà in un mondo in cui le chiese vengono bruciate, e dove presto sarà impossibile leggere la lettera di San Paolo perché verrà indicata come linguaggio di odio, e ben presto diverrà impossibile parlare della Dottrina Cristiana perché anch’essa sarà paragonabile ad un linguaggio di odio. Allo stesso tempo, nella società la famiglia viene via via attaccata, disgregata, perché come luogo di gratuità non deve più esistere. Con l’utero in affitto anche il figlio diventa qualcosa di mercificabile e quantificabile…..”

Scena dal film di Pasolini: “Salò o le 120 giornate di sodoma”
Scena dal film di Pasolini del 1975: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”

Manifestazione LGBT
Manifestazione LGBT
Di Sabino Paciolla
https://www.sabinopaciolla.com/pasolini-con-il-film-salo-fu-profeta-della-societa-attuale/

“Infected”. Ovvero quando un fumetto targato Ue previde la pandemia

    Un fumetto dell’Unione Europea nel 2012 prevedeva la pandemia. A parte una cosa: lì la salvezza arrivava dalla Ue…
    ***
    La materia è di quelle ad alto tasso di sfruttamento per fini dietrologici, soprattutto in tempi di fake news e corsa contro il tempo per la scoperta del vaccino anti-Covid. Quindi, l’avvertenza è quella di maneggiare con cura.
    Nel 2012 la Commissione Ue diede infatti alle stampe – con finalità di distribuzione quasi totalmente interna, ovvero dedicata ai funzionari – un fumetto dal titolo decisamente esplicito: Infected.
    La trama? Molto interessante, soprattutto se letta alla luce delle polemiche sul laboratorio di Wuhan e sulla levata di scudi cinese contro l’ipotesi di un’indagine indipendente sull’accaduto, definita da Pechino “uno scherzo”.
    Qualcuno, infatti, al Dipartimento per lo sviluppo e la cooperazione internazionale della Commissione Ue deve avere facoltà divinatorie e di preveggenza, visto che l‘intera vicenda del virus che contagia il mondo, raccontata nelle strisce, parte proprio da un bio-lab cinese, dove si compiono esperimenti con agenti patogeni mortali.
    Ed ecco entrare in campo un super-eroe che torna dal futuro ai giorni nostri per mettere in guardia le autorità riguardo il pericolo e per offrire loro un antidoto, atto che lo trasforma immediatamente nel bersaglio di opportunisti che puntano a rubarne la formula per rivenderla ad aziende farmaceutiche private.
    Ma ecco che la trama si dipana ed emerge la location-veicolo del contagio: un wet market cinese, luogo infestato da animali selvaggi senza alcuna norma di tutela o prevenzione e che viene così descritto nel fumetto da quello che dovrebbe essere un alto consigliere delle Nazioni Unite: “Indeed, imagine if you were infected in this market by a new contagious agent… You probably wouldn’t even realise it until the end of the incubation period” (“Infatti, immaginate se foste infettati in questo mercato da un nuovo agente contagioso… Probabilmente non ve ne accorgereste nemmeno fino alla fine del periodo di incubazione”). Un brivido lungo la schiena, in effetti, sale. Calcolando che parliamo del 2011, addirittura quattro anni prima del già visionario e distopico film Pandemic di John Suits.
    E distopico è anche lo scenario che il virus scatena nel mondo, visto che il fumetto racconta delle misure straordinarie di contenimento e prevenzione che vengono messe in campo a livello globale, fra cui uso di massa delle mascherine e soprattutto distanziamento sociale, definite nelle strisce come un qualcosa destinato a rendere la vita di tutti i giorni totally unbearable (assolutamente insopportabile).
    Ma alla fine, almeno, ci salviamo? L’emergenza spinge le autorità europee a una maggiore cooperazione a livello sanitario, qualcosa che richiama molto da vicino il programma comunitario One Health.
    Le immagini finali sono poi dedicate alla presa in carico da parte di un gruppo di filantropi della disperata richiesta mondiale per la scoperta e la distribuzione di un vaccino che sconfigga del tutto la pandemia. Insomma, lieto fine. E affari d’oro, probabilmente.
    Giova sottolineare come, all’inizio del piccolo libretto, la Commissione Ue rimarchi chiaramente come “While the story may be fictional, it is nevertheless intertwined with some factual information“, (“Anche se la storia può essere fittizia, è tuttavia intrecciata con alcune informazioni fattuali”), doverosa presa d’atto del fatto che una storia simile potesse risultare all’epoca paradossale e incredibile.
    E, forse, anche del fatto che qualche notizia sull’esistenza di Dottor Stranamore alle prese con virus e batteri fosse già nota all’epoca. Scrupoli che oggi, invece, non sarebbero più doverosi. Oggi servirebbe invece un disclaimer diverso, se si stesse pensando a una riedizione aggiornata. E non tanto per scongiurare il fiorire di teorie complottistiche di vario genere e natura, ma più che altro per rispondere a una domanda più semplice e terra terra, anche alla luce dell’esistenza di un’agenzia europea per la prevenzione delle malattie infettive: perché Bruxelles, se vogliamo evitare l’accusa tout court di aver dormito, ha quantomeno agito in ritardo e in ordine sparso? Forse non leggono i fumetti di cui curano e finanziano la pubblicazione, così profetica da rasentare il divinatorio? O forse stanno ancora attendendo l’arrivo del super-eroe dal futuro?
    Mauro Bottarelli

    Lawler: Una scioccante prospettiva vaticana sulla pandemia

    Un articolo dello scrittore e giornalista di Phil Lawler pubblicato su Catholic Culture, che vi propong nella mia traduzione.

    Mons. Vincenzo Paglia
    Mons. Vincenzo Paglia
    L’ultimo documento del Vaticano (qui in italiano), una riflessione sulla pandemia di COVID19, è un imbarazzo per i fedeli cattolici.
    La Pontificia Accademia per la Vita, sotto la guida del controverso arcivescovo Vincenzo Paglia, ha prodotto il documento, e l’ufficio stampa vaticano lo ha presentato il 22 luglio con un titolo tanto prolifico quanto la dichiarazione stessa: “Informazioni utili sul Documento della Pontificia Accademia per la Vita: Humana Communitas nell’epoca della pandemia: meditazioni inattuali sulla rinascita della vita”.  Questo titolo è fuorviante; il documento fornisce pochissime informazioni concrete. Ma concedo questo: è “inattuali”. Non c’è mai un buon momento per questo tipo di insulse ruminazioni.
    Anche nel descrivere l’infelice situazione sociale derivante dalla pandemia, la Pontificia Accademia è sdolcinatamente sentimentale (e eccessivamente prolissa):
    Ci ha privato dell’esuberanza degli abbracci, della gentilezza delle strette di mano, dell’affetto dei baci, e ha trasformato le relazioni in paurose interazioni tra estranei, in uno scambio neutrale di individualità senza volto avvolte nell’anonimato dei dispositivi protettivi.
    Aprendo con un’abbozzo dei danni che la pandemia ha arrecato alla comunità umana, il documento osserva:  “Sicuramente siamo chiamati al coraggio della resistenza”. Ma da nessuna parte la Pontificia Accademia ci guida verso la fonte di tale coraggiosa resistenza. Nonostante si estenda ben oltre le 4.000 parole, il documento vaticano non menziona Dio, Gesù Cristo, lo Spirito Santo, la Chiesa, i sacramenti, la preghiera, o anche la carità; nemmeno la parola “cristiano” appare nel testo. C’è certamente un richiamo alla “conversione morale”, ma nel contesto è chiaramente un richiamo alla conversione ideologica piuttosto che religiosa.
    La Pontificia Accademia per la Vita, vedete, considera la pandemia come una condanna per i peccati dell’umanità nei confronti dell’ambiente: “L’epidemia di Covid-19 ha molto a che fare con la nostra devastazione della terra e la spoliazione del suo valore intrinseco”. Ovviamente questa non è un’affermazione scientifica. Ma potrebbe essere presa come un’affermazione religiosa, se la religione in questione è l’ambientalismo.
    Dal Vaticano, però, ci si aspetta un messaggio cristiano: un messaggio di speranza che purtroppo manca in questo documento. Sotto una diversa guida, in un’epoca diversa, la Pontificia Accademia per la Vita avrebbe potuto esortarci a non rimanere paralizzati dalla paura della malattia e della morte, né a considerare qualsiasi interazione con il prossimo come un’imposizione pericolosa. Il documento compie un gesto debole in questa direzione, dicendo che “i semi della speranza sono stati seminati nell’oscurità di piccoli gesti, in atti di solidarietà troppo numerosi per essere contati, troppo preziosi per essere trasmessi”. Ma non cataloga i “piccoli gesti” che i cristiani potrebbero compiere, al contrario fa un grandioso appello alla solidarietà mondiale e alla cooperazione internazionale, stabilendo che l’Organizzazione mondiale della sanità deve avere un “posto privilegiato” nella campagna.
    La pandemia ha colpito la paura – spesso una paura irrazionale – in milioni di cuori. Il Vaticano dovrebbe offrire rassicurazioni e prospettive, ricordando al mondo che la morte non è la più grande tragedia, che la vita ha un senso, che armati dei doni dello Spirito Santo possiamo vincere le nostre paure. Questa prospettiva cristiana manca tristemente in questo documento.
    “Le lezioni di fragilità, finitudine e vulnerabilità ci portano alla soglia di una nuova visione”, ci dice la Pontificia Accademia. Sì, ma solo alla soglia, e questo documento non riesce a farci attraversare, non riesce nemmeno a invitarci alla vita di Cristo. I fedeli, e il mondo in generale, meritano di meglio.
    Di Sabino Paciolla

    A SUA INSAPUTA. IL VESCOVO GESUITA CHE LAVORAVA CON SOROS (10 ANNI).

    24 Luglio 2020 Pubblicato da  23 Commenti


    Marco Tosatti

    Cari amici e nemici di Stilum Curiae, nella strampalata Chiesa in cui ci troviamo le sorprese non mancano mai. Una che ci è sembrata particolarmente gustosa viene dal Guatemala, e ringraziamo Infocatolica per aver diffuso la notizia. Buona lettura. 

    §§§

     A sua insaputa. Sono cose che succedono in Guatemale, dove l’arcivescovo nominato di Santiago del Guatemala ammette di aver fatto parte della Fondazione Soros senza conoscerne l’agenda ideologica. In un dialogo con l’ACI Prensa del 16 luglio, il vescovo De Villa y Vásquez ha deplorato che i suoi legami con la Fondazione Soros Guatemala dalla metà degli anni Novanta e nei primi anni del nuovo millennio possano essere qualcosa che “può, per buoni o cattivi motivi, per buona o cattiva volontà, mettere in ombra quella che è la mia missione di Pastore della Chiesa in Guatemala, in particolare nell’arcidiocesi di Santiago”.
    “Posso dire con molta enfasi che voglio sempre esprimere e difendere le posizioni fondamentali della Chiesa in tutto ciò che ha a che fare con la vita e la dottrina sociale della Chiesa”, ha detto. Il vescovo Gonzalo de Villa y Vásquez è nato a Madrid (Spagna) nel 1954 ed è stato ordinato sacerdote nel 1983. Ha emesso i suoi voti finali nella Compagnia di Gesù (Gesuiti) nel 1993. È stato rettore dell’Università Rafael Landívar dal 1998 al 2004.
    Finora vescovo di Sololá-Chimaltenango (Guatemala), monsignor De Villa y Vásquez si installerà nell’arcidiocesi di Santiago del Guatemala il 3 settembre di quest’anno, succedendo a monsignor Oscar Julio Vian Morales, morto di cancro nel 2018. De Villa y Vásquez è anche presidente della Conferenza episcopale del Guatemala per il periodo 2020-2023.
    Dopo la sua nomina a diventare arcivescovo, e forse persino cardinale, De Villa y Vasquez è salito alla ribalta; ed è emerso che circa vent’anni fa, e per un buon numero di anni, il gesuita ricopriva incarichi di alto livello nell’ormai scomparsa Fondazione Soros Guatemala, parte dell’allora Open Society Institute, ora Open Society Foundations.
    Infatti, l’archivio del sito web della Fondazione Soros del Guatemala indica che l’allora P. Gonzalo de Villa ne fu il primo presidente. Questa fondazione dichiarava come visione istituzionale: “Una società aperta si fonda su quei valori legati alla validità e al rispetto dei diritti umani, alla partecipazione democratica, alla solidarietà, alla tolleranza, all’inclusione, al rispetto delle differenze e alla ricerca del bene comune attraverso il consenso”.
    Il sito web dell’Open Society Institute dichiarava che la Fondazione Soros Guatemala “si concentra sulla formazione della leadership politica e civile, ampliando la partecipazione dei gruppi emarginati alla vita pubblica, migliorando lo sviluppo economico locale e utilizzando l’istruzione e i media per promuovere la tolleranza e facilitare il dialogo tra i diversi settori della società in Guatemala”.
    In un rapporto del 2002, che menziona il nome di P. Gonzalo de Villa come Vice Presidente della Fondazione Soros Guatemala, Open Society Institute descrive i suoi sforzi per espandere l’accesso all’aborto in paesi europei come Croazia, Lettonia, Lituania e Slovacchia. Quell’anno, il rapporto ha osservato, “sono stati forniti finanziamenti per rafforzare la capacità di advocacy locale e regionale, specialmente nei paesi della regione dove i diritti all’aborto sono messi a repentaglio”.
    Lo stesso rapporto rileva che negli Stati Uniti “OSI ha continuato ad educare il pubblico e i fornitori di formazione sulle nuove opzioni di terminazione anticipata. Il sostegno è andato ai centri di formazione Early Options per la formazione dei medici di famiglia nelle procedure di aborto precoce”. Nello stesso anno, l’Open Society Institute, matrice della Fondazione Soros in Guatemala, ha finanziato la National Action League for Abortion and Reproductive Rights (NARAL).
    In un rapporto del 2003, il futuro arcivescovo di Santiago del Guatemala è indicato come vicepresidente della Fondazione Soros Guatemala. Nel documento, l’Open Society Institute nota che ha finanziato la Planned Parenthood Federation, una multinazionale dell’aborto accusata negli ultimi anni di traffico di organi e tessuti di bambini abortiti nei suoi centri, e il Center for Reproductive Rights, che promuove la legalizzazione dell’aborto in vari paesi come El Salvador.
    A proposito di queste relazioni, il vescovo Gonzalo de Villa y Vásquez ha assicurato che “non ricordo, ad essere sincero, che questi argomenti siano apparsi nelle nostre discussioni”.
    “Probabilmente ho letto quella pubblicazione in quell’anno o l’ho vista scorsa, ma non l’ho letta come quella che si prepara a un esame. L’ho visto di scorsa senza entrare nei dettagli”, ha aggiunto.
    Il prelato ha detto di non essere a conoscenza di ciò che Soros stava facendo nei vari Paesi in cui aveva delle fondazioni, cosa che ha scoperto “quando anch’io ho cominciato ad essere più coinvolto nel mondo episcopale del Guatemala”.
    “Più che rimpiangere (di aver fatto parte della Fondazione Soros Guatemala), quello che direi (è che) in quel momento non ero consapevole o almeno non ho memoria di esserlo stato in quel momento”.
    Adesso ovviamente, afferma che di fronte all’aborto e all’ideologia di genere, “la mia prospettiva è quella della Chiesa. Vale a dire, una prospettiva in cui come causa, come progetto, come bandiera, li sentiamo certamente come una colonizzazione, come dice Papa Francesco. Qualcosa che vogliono imporre e che in realtà riescono a imporre in molti Paesi, cambiando la legislazione”.

    E Soros? Era sua insaputa..Mah.

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