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sabato 25 luglio 2020

“Può” e non “deve”?

L’autunno in chiesa, una normalità lontana

La Presidenza della Cei ha scritto ai vescovi dando indicazioni prive di reali ragioni sanitarie e poco rispettose dei sacramenti, riguardo a Cresima, Battesimo e Unzione degli infermi. Silenzio completo anche sulla modalità di ricevere la Comunione: perché si continua a rifiutarla sulla lingua?





Autunno. Una stagione magnifica. Gli eccessi climatici dell’estate si moderano, i colori si attenuano ed emergono le sfumature, le giornate si accorciano e si allunga il tempo della riflessione. Meno male che il buon Dio continua a regalarci queste meraviglie, perché a rovinare la prossima stagione ci si è messa la Conferenza Episcopale Italiana. O meglio, la Presidenza. La quale ha scritto una lettera a tutti i nostri vescovi per «aprirsi a nuove forme di presenza ecclesiale». Che, tradotto dal curialese alla lingua comune, significa che le cose non torneranno alla normalità.

La Presidenza avverte l’urgenza «di progettare, con le dovute precauzioni, un cammino comunitario che favorisca un maggior coinvolgimento dei genitori, dei giovani e degli adulti, e la partecipazione all’Eucaristia domenicale». Ben venga. Il problema è che quando si va agli aspetti pratici, si rimane come minimo perplessi.

La lettera rassicura che, riguardo alla celebrazione dei sacramenti, «non ci sono impedimenti a celebrare con dignità e sobrietà». Poi però si raccomanda una cosa alquanto curiosa e poco rispettosa del sacramento. Per la Cresima, per esempio, «oltre ad assicurare il rispetto delle indicazioni sanitarie, in questa fase l’unzione può essere fatta usando un batuffolo di cotone o una salvietta per ogni cresimando». Stessa precauzione «per le unzioni battesimali e per il sacramento dell’Unzione dei malati».

“Può” e non “deve”, è vero; però, come diceva il buon Biscardi, la domanda sorge spontanea: per quale ragione bisogna utilizzare il batuffolo di cotone? Una delle poche cose certe sul coronavirus è che la trasmissione avviene mediante droplets (goccioline), trasmesse per via aerea, oppure tramite le mani, allorché queste, entrando in contatto con una persona infetta, vengono poi portate agli occhi o in bocca. Il vescovo e il sacerdote, dopo aver compiuto l’unzione e aver rimosso il crisma, l’olio dei catecumeni o quello degli infermi dal pollice, non possono semplicemente detergersi le mani? Dov’è il problema reale? In chi riceve l’unzione? Ma anche in quel caso, se proprio si vuole, dopo aver rimosso gli oli santi con un cotone (che al termine della celebrazione il sacerdote dovrà debitamente bruciare), ci si può detergere la parte toccata dal ministro.

Inoltre, la situazione nella quale il ministro e i fedeli si vengono a trovare nel momento del “contatto sacramentale” non rientra tra le situazioni di “contatto stretto” definite dal Ministero della Salute (vedi qui). Ma allora, perché privarsi di un aspetto del sacramento così significativo, come quello del contatto? I sacramenti sono infatti dei contatti rituali, che esprimono e realizzano quella prossimità che Dio ha voluto stabilire con l’uomo. Il Figlio ha preso una natura umana con un corpo, e mediante questo corpo ha voluto trasmettere la grazia. Basti pensare a tutti gli episodi evangelici nei quali Gesù tocca o si fa toccare. Il sacramento, che prolunga la medesima azione salvifica del Verbo incarnato, mantiene consapevolmente lo stesso linguaggio corporeo e tattile, scelto dal Salvatore.

Se dunque, da un lato, non c’è una reale ragione sanitaria e, dall’altro, ben più profonde ragioni teologiche esigono il linguaggio del contatto, davvero non si comprende perché si debba sacrificare questo elemento così importante del rito.

La lettera della Presidenza informa inoltre che ancora si stanno attendendo le indicazioni ministeriali riguardo ai cori e i cantori (sic), mentre si saluta con favore «la possibilità dei familiari di partecipare insieme alle celebrazioni, stando in uno stesso banco». Meglio tardi che mai; il comitato scientifico ha impiegato mesi per capire che non ha alcun senso separare in chiesa chi vive sotto lo stesso tetto, nella stessa camera o nello stesso letto. Per fortuna esistono gli esperti...

Colpisce invece il silenzio della lettera riguardo alla modalità di ricevere la Comunione. Praticamente la cosa più importante e urgente da ristabilire, visto che comporta contemporaneamente un abuso giuridico nei confronti del fedele, al quale viene rifiutata l’Eucaristia, per il solo fatto di volerla ricevere sulla lingua (vedi qui e qui), e un aumento del rischio reale di dispersione dei frammenti e di profanazioni. Invece, su questo punto, niente. E, anche in questo caso, sulla base di quali evidenze scientifiche si continua a proseguire in questa erronea direzione?

Evidentemente il coronavirus e la sua protratta “emergenza” servono a molti, anche a livello ecclesiale. Quello che non si è riusciti ad imporre per decenni, lo si è fatto nel giro di poco tempo. Difficile che certi personaggi mollino sulla questione. Si è provato a scrivere ai vescovi, alla Congregazione per il Culto (ed è bene continuare a farlo): picche. Rivolgiamoci direttamente al buon Dio e alla Santa Vergine, che ascoltano le suppliche di quanti li invocano con perseveranza, fiducia e umiltà.

Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/lautunno-in-chiesa-una-normalita-lontana

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