ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 31 agosto 2020

Il virus del peccato

Vaccino Coronavirus: si parla di tempi abbreviati, ma i dubbi e le preoccupazioni sono diffuse, anche in Italia.

vaccino COVID 19

La Food Administration, per bocca del suo presidente, Stephen Hahn, dichiara che per arrivare rapidamente all’approvazione del vaccino si dovrà saltare l’ultima fase di sperimentazione. Stephen Hahn ha confermato, in una intervista al Financial Times, di essere pronto ad autorizzare in emergenza il vaccino prima che la Fase tre (quella che prevede studi su larga scala per confermare che un farmaco – o un vaccino – è efficace e sicuro) sia completata. 

Hahn ha tenuto a precisare che il potenziale via libera al vaccino anche con una fase 3 ridotta o assente non deriverebbe dalla volontà di compiacere il presidente Trump. Infatti, alcune fonti di stampa stanno ipotizzando che il presidente vedrebbe di buon occhio un vaccino prima delle elezioni di novembre in quanto potrebbe contribuire alla sua vittoria. In verità, sono stati proprio gli ambienti vicini a Trump a criticare aspramente sia la Russia che la Cina proprio per aver saltato la fase 3 di sperimentazione. 
“Abbiamo una convergenza della pandemia di Covid-19 con la stagione politica, e dobbiamo solo riuscire a superarla e attenerci ai nostri principi fondamentali”, ha detto Hahn. “Questa sarà una decisione di scienza, medicina, e dati. Non sarà una decisione politica”.
Da dove sono nate le speculazioni politiche?
Sabato scorso, il presidente Trump aveva accusato gli elementi del “deep state” presenti presso la FDA di muoversi troppo lentamente nell’approvazione di nuovi trattamenti per il coronavirus nel tentativo di danneggiarlo politicamente. Il giorno dopo, il dott, Hahn e il presidente Trump hanno annunciato congiuntamente l’autorizzazione d’emergenza per l’utilizzo del plasma proveniente da pazienti che sono stati convalescenti a causa del coronavirus. Hahn è stato immediatamente criticato per aver esagerato i suoi benefici.In seguito ha ridimensionato i benefici della cura del plasma.
Ricordiamo che le fasi obbligatorie attraverso cui un vaccino, per essere autorizzato, deve passare sono 3: la fase 1 che consiste nelle verifiche su sicurezza e capacità di indurre risposta immunitaria. Poi si passa alla fase 2, in cui vengono stabilite dosi e schede di somministrazione, e infine la fase 3, ovvero lo studio di efficacia su persone a rischio di infezione. La fase 3 è quella più delicata, più estesa e rigorosa delle tre, può durare non meno di 2-3 anni, 
Importante, inoltre, che sia confermata prima di tutto la sicurezza di un vaccino, prim’ancora della sua efficacia. La ratio è presto detta: se un vaccino combattesse efficacemente il virus, ma ammazzasse un gran numero le persone o causasse loro gravi danni alla salute è ovvio che non sarebbe accettabile. A maggior ragione se il risultato lo si apprendesse sul campo, cioè mediante una somministrazione obbligatoria di un vaccino non testato nella fase 3, o testato in una fase 3 ridotta ai minimi termini dal punto di vista del tempo (per i russi addirittura si è parlato di una fase 3 che è durata solo 7 giorni). 
La ragione della sua eventuale decisione di abbreviare la fase 3, secondo Hahn, è invece legata al criterio che da sempre guida la medicina: in fasi critiche e di emergenza occorre scegliere in base al fatto che i benefici superano i rischi. “La nostra autorizzazione all’uso in caso di emergenza non è la stessa di un’approvazione completa”, ha detto. “Lo standard legale, medico e scientifico per questo è che il beneficio superi il rischio in un’emergenza sanitaria pubblica”. E che negli Stati Uniti sia in corso un’emergenza, lo dicono i dati: i casi confermati di Covid-19, domenica scorsa, hanno raggiunto i sei milioni. Ma nel caso concreto di un vaccino anti-COVID, se i benefici supereranno i rischi lo si vedrà sul campo, cioè sulla pelle dei cittadini, i quali potranno essere esposti a pesanti effetti collaterali o una risposta immunitaria tale da risultare dannosa per l’organismo. 
La situazione potrebbe diventare ancora più grave se si considera il fatto che alcuni politici potrebbero sposare l’obbligatorietà del vaccino anche con una fase 3 abbreviata o assente.  In Italia, ad esempio, Matteo Renzi si è schierato per l’obbligatorietà del vaccino anche se, immaginiamo, con una fase 3 intatta. 
A proposito poi dell’obbligatorietà, bisogna stare attenti poiché essa potrebbe essere diretta (fare obbligatoriamente il vaccino) o indiretta (non è obbligatorio il vaccino, ma non si potrà usufruire di un servizio se non si sarà vaccinati contro il COVID), e quindi più subdola. 
La dichiarazione di Hahn ha suscitato una notevole preoccupazione ed anche allarme tra gli scienziati non solo statunitensi. 
In Italia, scrive il Corriere, Sergio Abrignani, immunologo, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare «Romeo ed Enrica Invernizzi» già aveva espresso le sue critiche sulle procedure altrettanto affrettate utilizzate per il vaccino russo in un’intervista rilasciata al Corriere Salute l’11 agosto. Aveva dichiarato Abrignani: «I russi la gara l’avranno vinta, ma senza seguire le regole scientifiche perché non è possibile sapere se la vaccinazione funziona e soprattutto se ci sono effetti collaterali dal momento che la fase 3 è in genere richiede un anno e mezzo di tempo. Anche accorciando i tempi occorrono almeno 4-6 mesi per dimostrare sicurezza ed efficacia su una platea di migliaia di volontari. Senza i dati di efficacia non si può procedere a una registrazione e a una vaccinazione di massa».
E’ da tener presente, però, che alcuni scienziati, anche italiani, ad esempio il dott. Mario Clerici, non trovano irragionevole quanto detto dal dott. Hahn. 
Alla luce dell’andamento attuale del coronavirus, almeno in Italia, delle cure che via via sono state e saranno sviluppate, delle maggiori conoscenze acquisite sul virus, delle maggiori capacità organizzative di prevenzione messe in campo e dei presidi acquisiti, sia assolutamente necessario, se teniamo alla nostra salute, che tutte le fasi siano rispettate, in particolare la fase 3. 
di Sabino Paciolla

LOREDO, COVID: IL SILENZIO DEI FEDELI ABBANDONATI DALLA CHIESA.


Carissimi Stilumcuriali, dal sito di FatimaOggi, e rilanciato anche da altri siti, come I Soldati del Re, vi offriamo questo articolo di Julius Loredo, che già conoscete, perché presente su Stilum Curiae in diverse occasioni, l’ultima delle quali è questa. Ci sembra un articolo che illustra benissimo lo stato di desolazione della Chiesa in Italia (e forse non solo in Italia), e sul quale sarebbe necessario che non solo noi, ma anche altri, in posizione di responsabilità, volessero riflettere. Se ne sono in grado, se ne hanno il coraggio, e se gli affari correnti e migranti non li accecano. Buona lettura.

§§§

L’altro giorno, durante la Santa Messa domenicale in un’importante parrocchia di Milano, il celebrante ha rivelato un dato agghiacciante: dopo la riapertura, nella diocesi ambrosiana, appena il 30% dei fedeli è tornato a frequentare le chiese, “le famiglie e i ragazzi sono totalmente scomparsi”. La situazione non è molto migliore nel resto d’Italia.
Senza cattiveria, ho pensato: li avete abbandonati durante il periodo più critico della pandemia, adesso loro vi ripagano con la stessa moneta.
La pandemia da COVID-19 ha mostrato il lato peggiore della crisi che, da più di mezzo secolo, attanaglia Santa Madre Chiesa: l’abbandono cosciente e volontario della sua missione salvifica da parte di tanti pastori. Gli italiani sono rimasti sbigottiti quando la CEI ha sospeso il culto pubblico ancor prima che il Governo ne decretasse il blocco, privando così i fedeli dei Sacramenti. Al lockdown sociale si è aggiunto così quello spirituale, assai più implacabile. Abbiamo avuto la bizzarra situazione per cui erano aperti i supermercati e i tabaccai, ma le cerimonie religiose erano proibite. Mentre le persone potevano tranquillamente andare a fare shopping o a comprarsi le sigarette, molti sono morti senza il soccorso del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli infermi. Più di un vescovo ha perfino emanato norme per vietare ai sacerdoti di esporsi assistendo i malati. L’esatto contrario di ciò che la Chiesa ha fatto per duemila anni.
Alcuni sacerdoti coraggiosi, sfidando le imposizioni della CEI, hanno provato a celebrare la Messa con poche persone presenti, o all’aria aperta, in perfetta ottemperanza alle norme sanitarie. Sono stati severamente puniti con multe salate, e perfino minacciati di carcere. Si è arrivato allo scandalo dell’invasione di alcune chiese da parte delle Forze dell’Ordine, con interruzione sacrilega del Santo Sacrificio. Non solo le autorità ecclesiastiche non hanno protestato contro questi atti di persecuzione religiosa, ma si sono effettivamente schierati con il Governo, rimproverando i sacerdoti “ribelli”. Forse, mai nella storia d’Italia la Chiesa si è mostrata così sottomessa allo Stato.
Quando, cedendo al clamore dei fedeli scandalizzati, la CEI ha finalmente cominciato ad alzare un pochino la voce in difesa della libertà religiosa, questa è stata immediatamente zittita da Papa Francesco, che dalla cattedra di Santa Marta ha esortato i vescovi a “obbedire alle disposizioni del Governo”.
A questo atteggiamento servile nei confronti di Cesare dobbiamo aggiungere gli sforzi di tanti pastori nel negare qualsiasi significato spirituale alla pandemia. È una punizione divina? Il pensiero cattolico tradizionale lo avrebbe considerato, almeno come un’ipotesi. È innegabile che la Provvidenza a volte usa, come cause secondarie, eventi naturali come “punizioni” per i peccati dell’umanità. A Fatima, per esempio, la Madonna definì esplicitamente le due guerre mondiali come punizioni. Oggi, tuttavia, questa parola è assolutamente esclusa dal vocabolario cattolico. L’arcivescovo di Fatima, il cardinale Antonio Marto, è arrivato ad affermare: “Parlare di questa pandemia come punizione è ignoranza, fanatismo e follia”. Si rifiutano di parlare di peccato pubblico. Si rifiutano di richiamare i fedeli alla conversione. Si rifiutano, insomma, di compiere il proprio dovere come pastori di anime.
E i fedeli hanno reagito distanziandosene, non riconoscendo più in loro la voce del vero pastore…

Dicono che il silenzio dei sudditi sia una lezione per i Re. Che cosa possiamo dire del silenzio dei fedeli?
Marco Tosatti 
31 Agosto 2020 Pubblicato da  34 Commenti

“Le vittime del virus sono lo zero virgola zero qualcosa, mentre quelli affetti dal virus del peccato siamo il 100%”

“’Se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede’ – scrive san Paolo, o, come diceva il mio parroco don Ignazio: se non è vero quello, io sto qui a fare il bucciotto (cioè, in perugino, il fantoccio). Ecco, mi pare che non sempre si senta annunciare in chiesa che la nostra vita sulla terra è solo una piccola parte della nostra vita vera, che è eterna. A forza di non parlare più di Novissimi a favore della dimensione sociale della fede, la gestione della pandemia sembra essere diventata la prima preoccupazione anche di tanta parte della Chiesa: eppure le vittime del virus anche nei paesi più colpiti sono lo zero virgola zero qualcosa, mentre quelli affetti dal virus del peccato siamo il 100%. Di quel virus si stanno occupando governi ed esperti, mentre dell’altro se non si preoccupa la Chiesa, non si preoccupa nessuno e una parte importante non lo fa.”
Un interessante articolo di Costanza Miriano ripreso dal suo Blog




Sacerdote distribuisce la Comunione con guanti e mascherina, coronavirus, messa

di Costanza Miriano

Quando i nostri figli erano piccoli, uno di loro – non posso rivelare né identità né sesso, pena la radiazione dall’albo nazionale madri, perciò userò il maschile perché la lingua italiana funziona così, mi dispiace per le sindache, le ministre, le assessore – era particolarmente pauroso. Si spaventava tantissimo per ogni cosa che non poteva controllare, a volte vomitava dalla tensione o si rifiutava di fare alcune cose. Adesso è passata (pure troppo), ma mi ricordo il tempo speso a cercare di ragionare con quel figlio. L’esercizio era: proviamo a vedere che succede se si avverano le tue più fosche previsioni. Vai in quel gruppetto e nessuno vuole giocare con te. Allora? Allora troverai altri bambini. E se neanche gli altri? Ne troveremo altri ancora. Oppure: ma se ti lanci che può succedere di grave? Ti rompi un braccio, e allora? Lo ingesseremo, e allora?
Una volta, sinceramente non ricordo quale pericolosissima prova stessimo affrontando (la bici senza ruotine? un giro sul pony?) ci siamo spinti un po’ avanti con il gioco degli “e allora?”, e il figlio in questione ha concluso serafico: “Va be’, tutt’al più muoio. Tanto c’è la vita eterna”.
Credo sia stato l’apice del successo della mia carriera educativa (poi rapidamente precipitata).
Ecco, mi pare che in tempi di virus persone con questa certezza ce ne siano poche in giro. Si è diffuso in giro un terrore così esasperato che è spiegabile solo con il fatto che la morte non è proprio contemplata come possibilità. È la grande rimossa, va tenuta a distanza il più possibile, neppure i vecchi vogliono prepararsi a morire meglio possibile. La vita eterna, poi, è una favoletta a cui crediamo solo noi cattolici tradizionalisti.
Tutto il modo contemporaneo di vivere, pensare, consumare, si regge solo se si è certi che tutta la vita si gioca qui. Tutto il terrore smisurato – letteralmente, cioè oggettivamente non commisurato alle reali dimensioni numeriche del problema – rispetto al virus, tutta l’ossessione per la cura della salute secondo me è spiegabile perché l’ipotesi di morire appare inammissibile. La morte è il grande nemico, l’ultimo, e questo è così da sempre, in tutte le culture, ma adesso che la dimensione trascendentale è generalmente stata cancellata, il solo pensiero della morte non fa più solo paura come è naturale che sia, è proprio intollerabile, non si può pensare.
È ovvio che non sto dicendo che non si debbano fare cose ragionevoli per tutelare la salute propria e degli altri, bisogna essere responsabili perché la vita è un dono di Dio: mio figlio, quello che diceva “tutt’al più muoio”, non lo mandavo a caccia di cinghiali a tre anni, né a sfrecciare in bici senza casco nel buio nel traffico. Allo stesso modo, con la stessa prudenza, essendo ignorante di medicina, io rispetto le regole imposte, pur avendo molti dubbi rispetto ad alcune di esse. Rispetto tutto, ma con sereno scetticismo, nello spirito di dare a Cesare quel che è di Cesare, ma con la ferma, granitica certezza che la durata della mia vita la decide Dio, in pandemia e in ogni altro tempo:  magari è già partito l’embolo che mi ucciderà stasera, o l’infarto di domani, per non parlare dei tumori e dei vasi che volano dalle finestre.
Anche io, se pensassi che la mia vita si gioca tutta sul piano biologico, avrei una paura tremenda, ma quello che Cristo annuncia al mondo è che Lui ha vinto la morte. Avrei voluto che la Chiesa approfittasse di questo speciale momento in cui tutti, ma proprio tutti – non so perché, viste le dimensioni del fenomeno – a causa di una paura corale a livello mondiale hanno cominciato a preoccuparsi della morte, avrei voluto che cogliesse il momento di un colossale, planetario kerigma. Cristo è risorto! È veramente risorto! Ha vinto la morte e può vincere il nostro peccato. Avrebbe dovuto essere uno straordinario momento per un marketing fenomenale, per conquistare i cuori di tante persone smarrite perché costrette dall’onda mediatica a pensare alla morte.
“Se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede” – scrive san Paolo, o, come diceva il mio parroco don Ignazio: se non è vero quello, io sto qui a fare il bucciotto (cioè, in perugino, il fantoccio). Ecco, mi pare che non sempre si senta annunciare in chiesa che la nostra vita sulla terra è solo una piccola parte della nostra vita vera, che è eterna. A forza di non parlare più di Novissimi a favore della dimensione sociale della fede, la gestione della pandemia sembra essere diventata la prima preoccupazione anche di tanta parte della Chiesa: eppure le vittime del virus anche nei paesi più colpiti sono lo zero virgola zero qualcosa, mentre quelli affetti dal virus del peccato siamo il 100%. Di quel virus si stanno occupando governi ed esperti, mentre dell’altro se non si preoccupa la Chiesa, non si preoccupa nessuno e una parte importante non lo fa.
Leggo che tante persone si sarebbero allontanate dalle messe, addirittura il 70% delle persone, non so se sia vero, effettivamente anche io ho notato un calo vistoso alle messe della domenica (chi andava alla messa tutti i giorni invece è rimasto) ma chissà che non sia un altro deciso passo verso la realizzazione della profezia di Ratzinger: andiamo verso una Chiesa più piccola e sempre meno influente nella vita pubblica? Certo, la Chiesa è stata vistosamente maltrattata da questo governo (non dimenticherò mai che durante il lockdown ho dovuto comprare un pacchetto di sigarette perché c’è stato un momento in cui in chiesa potevi andare solo se sul tragitto verso il tabaccaio, così in caso di controlli di Polizia sarei stata a posto), E poi va avanti, incurante di un misuratissimo comunicato CEI, la legge Zan che ci impedirà di fare pubblicamente affermazioni conseguenti al Catechismo, molte scuole cattoliche non ce la faranno a riaprire, si è deciso di rendere l’aborto sempre più facile lasciando le donne sole a casa con una pillola e col loro dolore, eppure sembra che non si abbia il coraggio di alzare la voce. Perché se la dimensione è solo terrena si fanno ragionamenti terreni, e siccome si è deciso che a una certa parte politica non vanno creati problemi in modo da ostacolarne un’altra, si è entrati in una logica politica che non può profumare di eterno.
Ma anche la Chiesa non dovrebbe avere paura di essere impopolare. Tutt’al più muoio, ma se vivere è davvero Cristo, morire è un guadagno. Il punto è aiutarci a vivere Cristo, non a sfuggire alla morte.

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