ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 29 settembre 2020

Segno di una pulizia cominciata?

Becciu, Zen e la crisi di fede nei pastori

L'immagine della Chiesa che sta uscendo in questi giorni, dopo il siluramento del cardinale Becciu è tutt'altro che edificante. Ma più che la corruzione a creare scandalo è l'incapacità dei nostri pastori di giudicare tutto questo alla luce della fede. Non abbiamo bisogno di papi e vescovi che siano bravi politici ed economisti, ma di pastori santi.





In questi giorni abbiamo letto su tutti i giornali paginate di articoli dedicati al caso Becciu, il potente cardinale di curia costretto da papa Francesco a dimettersi giovedì scorso da prefetto della Congregazione per la Causa dei santi e a perdere i diritti del cardinalato. Abbiamo letto ampi servizi dedicati ai misfatti, veri o presunti, del cardinale caduto improvvisamente in disgrazia; abbiamo riflettuto su analisi e infiniti retroscena – spesso in contrasto tra loro - sulla gestione delle finanze vaticane; abbiamo ascoltato i lamenti di quanti si sentono traditi dalle mancate riforme di papa Francesco e il giubilo di chi invece vede nel “nemico” umiliato un incoraggiante segno di una pulizia cominciata.

Diciamo che nell’insieme ne esce un quadro ben poco edificante di ciò che si muove nella Curia vaticana, ma anche di quei vaticanisti che ormai agiscono da braccio armato di questa o quella banda diffondendo notizie e dossier a comando. Una situazione che lascia ovviamente sgomenti molti cattolici.

Ma a ben vedere la cosa che più scandalizza – nel senso letterale del termine – non è tanto la situazione di corruzione o di latrocinio che regna in Vaticano, ma l’incapacità di leggere tutto questo alla luce della fede.

Provo a spiegarmi: problemi di corruzione nella comunità cristiana ce ne erano anche al tempo di Gesù. Lo prova il Vangelo di Giovanni (capitolo 12) quando Giuda Iscariota – il discepolo «che poi doveva tradirlo» - si lamenta dell’«olio profumato di vero nardo» che Maria “spreca” lavandoci i piedi di Gesù. «Ci si poteva ricavare trecento denari per darli ai poveri», dice Giuda, antesignano della teologia della liberazione. Gesù gli risponde a tono rimettendo in ordine la gerarchia tra Egli stesso e i poveri; ma per il nostro discorso è interessante la notazione di Giovanni, che senza tanti giri di parole, afferma che a Giuda in realtà dei poveri non importava nulla, ma diceva così «perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro».

Impossibile credere che Gesù non sapesse chi fosse Giuda e come agiva (o desiderava agire) con la cassa comune, ma non perse tempo a cambiare segretario per l’economia o a istituire una commissione per studiare una riforma che evitasse ruberie. Gesù anche in questo caso propone un giudizio che nasce dal riconoscimento che Egli è il significato ultimo dell’esistenza di ciascuno di noi: «Lasciala fare…, i poveri li avrete sempre con voi, ma non sempre avete me». Se si vive costantemente alla presenza di Cristo, anche l’aspetto morale si sistema.

Quello che dunque maggiormente addolora è vedere i nostri pastori, la gerarchia della Chiesa, coloro che dovrebbero dare l’esempio, avvitarsi in discussioni e polemiche infinite sull’olio di nardo senza mai alzare lo sguardo su Cristo. È una conferma di quello che tante volte Benedetto XVI ha detto a proposito della crisi morale, che alla radice è prima di tutto crisi di fede. È il punto su cui nei suoi ultimi libri ha insistito anche il cardinale Robert Sarah, rivolgendosi direttamente ai sacerdoti.

Il problema da cui nasce il tutto è proprio la mancanza di fede, che porta come conseguenza il tentativo di risolvere i problemi secondo logiche puramente umane. Sia ben chiaro: le riforme sono necessarie, un Papa deve anche saper governare la Curia, le istituzioni devono sapersi adattare alle esigenze della realtà. Ma c’è una grande differenza tra il saper usare degli strumenti avendo chiaro che il fine è la costruzione del Regno di Dio, e trasformare gli strumenti in fini.

Interessante che il cardinale George Pell abbia detto in questi giorni che papa Francesco «è stato eletto per ripulire le finanze vaticane». Speriamo che non intendesse questo in senso assoluto, ma appare oggi evidente che molti cardinali – se non tutti – hanno votato e usato papa Francesco per motivi molto terreni: chi per ripulire le finanze, chi per riformare la Curia romana, chi per promuovere un’agenda progressista.

Il risultato, dopo i primi anni in cui sembrava che ci fosse soddisfazione per tutti costoro, è l’attuale tutti contro tutti, peraltro proprio all’interno della Corte che lo stesso papa Francesco si è scelto. Inevitabile quando Cristo rimane tutt’al più un richiamo morale che resta sullo sfondo.
Così nella Chiesa prevalgono logiche politiche, la stessa Chiesa viene ridotta a partito con le diverse correnti che si combattono senza esclusione di colpi. Un esempio chiaro lo abbiamo avuto anche in questi giorni, con un Papa tutto impegnato a risolvere le vicende economiche a modo suo (facendo saltare la testa del cardinale Becciu) ma che non ha trovato il tempo per ascoltare il cardinale cinese Joseph Zen su questioni decisive per la fede cattolica (non solo dei cinesi).

Ma si può scegliere un Papa per ripulire le finanze o per qualsiasi altro obiettivo che non sia l’incremento della fede del popolo cristiano? Quello di cui abbiamo bisogno è di pastori santi, che pensino anzitutto alla fede propria e del gregge che è loro affidato, che si preoccupino anzitutto della salvezza delle anime. Il resto viene di conseguenza. C’è bisogno di pastori che abbiano lo sguardo fisso su Cristo e aiutino tutti noi a sollevare lo sguardo.

P.S.: Non per niente “Solleviamo lo sguardo” è il tema della Giornata della Bussola che si svolgerà sabato prossimo, 3 ottobre. Le iscrizioni per partecipare di persona sono chiuse, ma tutti potranno seguire la Giornata in streaming dal nostro sito (qui il programma).

Riccardo Cascioli
https://lanuovabq.it/it/samaritanus-bonus-una-risposta-della-chiesa-ai-dubia

Caso Becciu: si manifesta a tutti la fine del pontificato
Tutto comincia, giovedì 24 settembre, quando la Sala Stampa Vaticana comunica che: “il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu”. “Jorge Mario Bergoglio – commenta Massimo Franco – lo ha «degradato» in un amen, togliendogli il cardinalato e sbarrandogli le porte di un futuro Conclave. Frase standard, inappellabile: «Lei non ha più la mia fiducia», sebbene pronunciata con una punta di sofferenza. E pensare che il pontefice lo aveva promosso due anni fa, dopo averlo tenuto fino al 2018 come sostituto segretario di Stato, una sorta di «ministro dell’Interno»” (Corriere della Sera, 27 settembre 2020).
Molti giornalisti bene informati, esprimono le loro perplessità sulla consistenza dei presunti reati attribuiti a Angelo Becciu, affermando come Giuseppe Rusconi, che l’immagine della Chiesa diviene “sempre più opaca nell’opinione pubblica; sempre più grave il turbamento del popolo cattolico, già messo a dura prova nella sua fedeltà negli ultimi anni da ogni sorta di scandali finanziari, sessuali, dottrinali” (Rosso Porpora 26 settembre).  Aldo Maria Valli, sul suo blog, pone alcune domande: “com’è possibile arrivare a una sentenza (come di fatto è il comunicato della sala stampa della Santa Sede) senza che prima ci sia stato un processo? Possibile che il superiore diretto di Becciu in Segreteria di Stato, il cardinale Parolin, non sia mai stato informato delle scelte operate dal sostituto?” (Duc in altum, 25 settembre 2020)
Il 26 settembre su Stilum Curiae, il blog di Marco Tosatti, un autore che si cela sotto lo pseudonimo di “Pezzo Grosso” scrive che non bisogna guardare a Becciu che è il dito, ma a ciò che il dito indica. E ciò che il dito indica è la prospettiva strategica di portar la Chiesa in “sacro default”. Il termine fa capire che Pezzo Grosso è un economista: il default è l’insolvenza, che porta alla bancarotta. “La chiesa fallita finanziariamente chiude i battenti, non può più fare evangelizzazione, viene assorbita dall’Unesco. Riuscire a realizzare il “sacro default” rapidizza molto di più la fine delle Chiesa di quanto si possa fare con teologie progressiste varie, con apostasie, scismi, eresie di ogni genere. Il messaggio che ho interpretato dalla cacciata umiliante di un fedele servitore di Bergoglio, quale Becciu, è quello del sacrificio necessario per chiudere i battenti con un “sacro default”.
Lo stesso giorno Tosatti pubblica un intervento di Lucetta Scaraffia, una intellettuale cattolica disorientata, che scrive: “Come qualcuno ha notato, quel che succede è più simile alle grandi purghe politiche dei regimi totalitari che a un serio e ponderato ricorso alla giustizia. Sono ormai molti anni, da quando cioè Benedetto XVI ha messo mano a una riforma dello Ior, la banca vaticana, che si susseguono scandali, fughe di notizie, arresti improvvisi, processi farsa. Dietro questo fuoco di sbarramento costituito da “operazioni di pulizia” è difficile capire cosa succede veramente”. Tosatti aggiunge alcune considerazioni di carattere psicologico e comportamentale. “Questo Pontefice, i cui sbalzi di umore repentini, fortissimi e con connotazioni anche verbali molto forti non sono un segreto per nessuno, in Vaticano, ha ormai una piccola lista di decapitazioni al suo attivo, piccole e grandi, da record. Vogliamo ricordare i funzionari della Congregazione per la Dottrina della fede mandati via senza motivo, il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Matthew Festing, il generale Domenico Giani, e altri ancora, e adesso il fedelissimo Becciu”.

Il declinante pontificato bergogliano sta assumendo i tratti della più cupa tragedia shakespeariana” – scrive Matteo Matzuzzi su Il Foglio del 26 settembre. – “Partito con il vento in poppa, con cardinali oranti che sentivano la brezza dello Spirito soffiare sulle vele della Barca di Francesco e correvano a dirlo a giornali e televisioni, è ridotto ora al tutti contro tutti”.
Anche per Marco Politi “la fase finale del pontificato bergogliano è già cominciata” (Il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2020); di “declino di un pontificato” scrive Antonio Socci su Libero del 27 settembre, mentre La Verità dello stesso giorno titola in prima pagina un articolo di Lorenzo Bertocchi “Jorge Bergoglio, il fallimento di un papato”.
Il caso Becciu si inquadra dunque in quelle che su Corrispondenza Romana del 3 luglio definivamo “le incognite della fine di un pontificato”, scrivendo che l’epoca del Coronavirus ha definitivamente posto fine agli ambiziosi progetti pontifici per il 2020, consegnandoci l‘immagine storica di un Papa solitario e sconfitto, immerso nel vuoto di una spettrale piazza san Pietro.

Nella partita Becciu-Pell ora è il cardinale australiano in attacco

Cari amici di Duc in altum, torniamo sul caso Becciu. Lo facciamo con questo articolo, che vi propongo nella mia traduzione, di padre Raymond J. de Souza per il National Catholic Register. Padre de Souza riassume la vicenda mettendo in evidenza il ruolo di Becciu in contrasto con quello del cardinale Pell, il quale, ormai pienamente riabilitato, è tornato in Vaticano e potrà ora parlare con il papa.
***
Una conseguenza importante, anche se non primaria, dello sbalorditivo licenziamento del cardinale Angelo Becciu è che porta a completamento da parte del Vaticano ciò che è stato compiuto dall’Alta Corte australiana in aprile, ovvero la totale riabilitazione del cardinale George Pell.
Mentre il cardinale Pell arriva a Roma, dopo tre anni trascorsi in Australia, il contrappunto tra il ritorno del cardinale e la caduta del cardinale Becciu è degno di un romanzo.
“Il Santo Padre è stato eletto per ripulire le finanze del Vaticano: deve essere ringraziato e bisogna fargli le congratulazioni per i recenti sviluppi”, ha affermato il Cardinale Pell in riferimento al licenziamento del suo confratello cardinale. “Spero che l’opera di pulizia continui sia in Vaticano sia nello Stato di Victoria in Australia”.
Sebbene il licenziamento di un cardinale curiale in sé non abbia precedenti, potrebbe anche essere la prima volta che un altro cardinale si congratula con il Santo Padre per averlo allontanato. Ma forse non è sorprendente, poiché lo stesso cardinale Becciu, nonostante l’autodifesa in senso contrario, ha riconosciuto che il cardinale Pell lo considerava un corrotto.
Nessuna ragione è stata ufficialmente fornita per le “dimissioni” di Becciu, ma lo stesso cardinale sardo, pur dicendosi innocente, ha confermato che gli è stato chiesto di farsi da parte. La maggior parte delle interpretazioni collega il provvedimento al coinvolgimento del cardinale Becciu in dubbie transazioni immobiliari quando, nel ruolo di sostituto (vicecapo) presso la Segreteria di Stato dal 2011 al 2108, era ancora più potente di quanto non fosse di recente. In quella veste fu coinvolto nell’affare del palazzo londinese, vicenda nota in tutto il mondo per la cattiva gestione finanziaria da parte del Vaticano, e ci sono accuse secondo le quali Becciu avrebbe dirottato fondi destinati alla beneficenza del papa verso investimenti controllati da membri della sua famiglia.
Il cardinale Becciu afferma di essere stato licenziato – piuttosto sommariamente, in effetti – da papa Francesco per un trasferimento di fondi per lacarità del Vaticano (100 mila euro) a un ente di beneficenza cattolico gestito da un suo fratello. Sostiene che tutto si è svolto in modo regolare e si dichiara disponibile a collaborare nelle indagini.
Ma il cardinale Becciu non è stato solo licenziato dal suo incarico curiale. Papa Francesco lo ha anche sollevato dai “diritti associati al cardinalato”, il che significa che non voterà in un futuro conclave e potrebbe effettivamente scomparire dal ministero pubblico. Vuol dire quasi certamente che, sebbene né il Vaticano né il cardinale Becciu lo abbiano indicato come tale né per ora sia stato mosso alcun addebito, è stato commesso un crimine, canonico o civile o entrambi.
La rimozione dei diritti cardinalizi può riguardare infatti un futuro procedimento penale. Un cardinale può essere giudicato solo dal papa. Ecco perché, ad esempio, l’arcidiocesi di New York doveva essere specificamente autorizzata da papa Francesco per indagare sull’ex cardinale Theodore McCarrick. Senza i suoi diritti cardinalizi, il cardinale Becciu potrà affrontare ogni possibile accusa dei magistrati vaticani in modo normale.
La dichiarazione di congratulazioni del cardinale Pell – di per sé molto insolita – indica lo sfondo di questo drammatico sviluppo.
Nel 2014 il cardinale Pell fu nominato prefetto della Segreteria per l’Economia: una sorta di ministro delle finanze e tesoriere della Santa Sede. Immediatamente avviò riforme radicali volte alla trasparenza e alla responsabilità, con controlli finanziari adeguati e audit esterni. L’allora arcivescovo Becciu, che come sostituto – il “capo di stato maggiore” del Papa – vedeva quotidianamente il Santo Padre e dirigeva gli affari quotidiani della Segreteria di Stato, reagì ferocemente.
Riferisco una nota personale: nell’aprile 2016, essendo a Roma, passai dagli uffici del cardinale Pell per quello che era stato programmato come un saluto a un buon amico. Al mio arrivo, il cardinale e il suo staff erano impegnati in una riunione di crisi, perché avevano appena ricevuto una lettera dell’arcivescovo Becciu che annullava la verifica esterna allora in corso, fulcro delle riforme del cardinale Pell. L’ufficio del cardinale era stato completamente esautorato, ma il prefetto era sereno. Sapeva dell’opposizione dell’arcivescovo Becciu, ma non era eccessivamente preoccupato, poiché l’arcivescovo non aveva l’autorità per annullare l’audit. Era un goffo tentativo di ostruzionismo che sarebbe fallito.
Tuttavia, di fronte alla scelta tra il suo riformatore finanziario e la vecchia guardia vaticana, papa Francesco scelse quest’ultima. Appoggiò il suo capo di gabinetto circa l’annullamento dell’audit, dando così un colpo quasi fatale agli sforzi del riformatore Pell.
Quell’umiliazione pubblica della Segreteria per l’Economia si aggravò poi nel luglio 2016, quando furono modificati gli statuti che ne autorizzavano il mandato e una parte della sua autorità fu eliminata. Non essendo stato informato in anticipo, il cardinale Pell fu colto di sorpresa. L’arcivescovo Becciu aveva bloccato il cardinale Pell, annullato l’audit, fermato le riforme e distolto il Santo Padre dal suo originale entusiasmo riformista.
Il tempo stava per scadere. In Australia stava arrivando l’operazione “Get Pell”, con la polizia di Victoria impegnata nel costruire accuse di abusi sessuali contro il cardinale. Così nel giugno 2017 il cardinale Pell, ex arcivescovo di Melbourne e Sydney, prese un congedo dalla Segreteria per l’Economia e tornò in Australia per rispondere alle false accuse. Non sarebbe tornato come prefetto, poiché il suo mandato era scaduto mentre era ingiustamente incarcerato a Melbourne.
Appena dieci giorni prima che il cardinale Pell venisse incriminato dalla polizia di Victoria, l’arcivescovo Becciu licenziò il revisore generale del Vaticano, la cui istituzione fu un’altra fondamentale riforma voluta dal cardinale Pell. Con il cardinale tornato in Australia e l’arcivescovo Becciu che distruggeva le sue riforme, il trionfo del sostituto sembrava completo.
Ma proprio mentre il cardinale Pell era in prigione, iniziò la sua rivincita. Nel dicembre 2019 una serie di articoli sul Financial Times parlò di uno strano affare immobiliare vaticano a Londra, con ingenti somme di denaro impiegate in modo irregolare e registrate in modo improprio a Roma. L’arcivescovo Becciu era diventato cardinale e quindi godeva delle garanzie dovute alla sua autorità, ma le serie domande poste sulle sue decisioni riguardavano il suo ruolo precedente. Ci furono arresti di altri funzionari e alcuni dipendenti laici furono licenziati.
Ad aprile, l’Alta Corte australiana finalmente – e all’unanimità – affermò ciò che era stato evidente dall’inizio, ovvero che il cardinale Pell era innocente. Nell’esaminare la logica delle sentenze dei tribunali di grado inferiore, l’Alta Corte chiarì che qualcosa non aveva funzionato nella giustizia australiana.
Dopo aver riconquistato la libertà, il cardinale Pell rilasciò interviste sottolineando che le rivelazioni giornalistiche sull’affare di Londra avevano confermato che lui e la sua squadra erano sulla strada giusta.
Con la pandemia che ha interrotto gran parte della sua regolare attività, il papa evidentemente ha deciso di utilizzare il tempo a disposizione per tornare di nuovo a occuparsi delle riforme finanziarie. Papa Francesco ha preso appuntamenti chiave e ha rilanciato ciò che aveva fatto nel 2014 a favore delle riforme del cardinale Pell, ma aveva poi sconfessato nel 2016.
E ora il cardinale Becciu è caduto, ed è una grande caduta. Mentre insiste sulla sua innocenza e chiede al Santo Padre la possibilità di dimostrarlo, papa Francesco in realtà ha già emesso un giudizio sul suo caso.
Un congedo potrebbe essere una misura precauzionale in attesa di ulteriori indagini. Un licenziamento, aggravato dall’espulsione dall’esercizio cardinalizio, è già una condanna perentoria.
Raymond J. de Souza

SUPER EX: ROMA VATICANA ASSOMIGLIA A UNA CORTE PAGANA…

29 Settembre 2020 Pubblicato da  8 Commenti

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, raro ma prezioso Super Ex (Ex di Movimento per la Vita, Ex di Avvenire e di altre scatole nominalmente cattoliche) ci ha voluto mandare la sua riflessione sul caso Becciu. Lo ringraziamo molto, e ci affrettiamo a condividerla con voi…Buona lettura. 

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Dio vede davvero tutto e l’onestà paga, prima o poi, non solo nell’aldilà, ma anche su questa terra.
Se Bergoglio credesse a questa antica convizione propria di tutti gli uomini che abbiano un po’ di senso religioso, non avrebbe impostato il suo pontificato sulla furbizia machiavellica. Credendo invece soprattutto in se stesso, nella sua astuzia, nella sua presunta capacità di attrazione delle masse ecc.., ha giocato sin dall’inizio una partita ardita, ma molto pericolosa. Poggiando su due pilastri: il sostegno del mondo nemico della Chiesa, e quindi favorevole alla sua rivoluzione, e quello degli uomini che sono nella Chiesa ma non vi appartengono, cioè gli arrivisti, i bertoniani-becciuani di ogni risma.
Il problema di questa strategia è che i furbi sono e rimangono tali: collaborano con chi ricopre la massima carica, non per fede, non per rispetto, non per senso del dovere, ma per il loro interesse. E fanno i loro affari, pestando piedi a destra e a manca, imperversando in maniera crescente, in proporzione all’anarchia religiosa ed etica permessa dal Capo. Alcuni di questi furbi, poi, possono essere maliziosi ed astuti come o più del loro superiore: è allora, dopo essere stati utili e potenti per molti anni, che diventano improvvisamente scomodi; che è bene eliminarli, imputandogli una colpa presunta, oppure anche vera (ma sino ad ora volutamente ignorata e coperta).
Bergoglio ha governato 7 anni con il pugno di ferro verso i nemici (i cattolici fedeli al I comandamento, quelli convinti che “non uccidere l’innocente” sia ancora valido ecc…) e lasciando briglia sciolta ai presunti “amici”.
Ora però accade che i suoi presunti amici, ora che il Capo non è più onnipotente, ma declinante, siano non solo ingombranti, ma anche divisi tra loro: le spartizioni non sono mai facili, tra briganti, e i regolamenti di conti, le vendette,  prima o poi arrivano.
Bergoglio, come accade ai tiranni, ha goduto di un potere arbitrario e senza limiti, ne ha ceduto parte ad alcuni pretoriani, ma ora rischia la fine di tutti i tiranni indeboliti. Prima si regna con il terrore ed i complici, poi comincia la rovina.
Qualcuno ha paragonato la chiesa di Bergoglio ad un regime sudamericano; qualcun altro ai giacobini francesi, che dopo aver sterminato i loro nemici, hanno cominciato ad uccidersi tra loro…
Aggiungo un ultimo paragone: siamo alla corte pagana di tanti imperatori romani, alla corte di Claudio o di Nerone… Una corte pagana, in cui l’imperatore non deve rispetto a nulla, perché lui stesso si erge a dio.
Nelle corti pagane il despota finiva avvelenato, magari dai suoi stessi pretoriani o dai suoi familiari, da coloro che lo avevano aiutato, in precedenza, ad eliminare gli avversari.
Roma è oggi una corte pagana, senza Dio, senza coscienza. Becciu è un pretoriano già potentissimo caduto in disgrazia (forse qualcuno della corte, negli anni, ha anche raccolto un dossier su di lui, come si fa nelle dittature, affinchè tutti siano ricattabili e scaricabili).
Ma altri pretoriani si aggirano nei corridoi, affilano le lame, consapevoli che il redde rationem, sta per arrivare. Il capo non ha più la stoffa del leader indiscusso, è, evidentemente, alle battute finali.
Di fronte a questi scandali continui, a questo graduale corrompersi di tutto, ci sono però certezze rassicuranti: umanamente parlando, i tiranni crollano, così come i regni divisi in se stessi; in un’ottica religiosa la falsa chiesa è come i partiti e le associazioni umane: non può durare.
La falsa chiesa, infatti, ha vita breve: uccide se stessa, perché non trasmette la vera Fede, non comunica Cristo. Mentre essa muore, la vera Chiesa, per quanto piccola,  persiste, fedele e perseguitata: così sopravvive, alla sua caricatura, e torna ad occupare la scena, libera finalmente dagli equivoci.

La mia intervista a “La Verità” sugli scandali vaticani (e intanto Pell rientra dall’Australia)

Cari amici di Duc in altum, vi propongo l’intervista che mi è stata fatta da Alessandro Rico per il quotidiano La Verità. Intanto (vedi notizia sotto) il cardinale Pell torna in Vaticano…
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Il vaticanista Aldo Maria Valli ci scherza su: «Alla luce del caso Becciu, il Papa valuti l’ipotesi di circondarsi di cardinali e monsignori figli unici…».
Allude ai fratelli di monsignor Angelo Becciu?
«Quando uscirà l’enciclica Fratelli tutti, qualcuno potrebbe pensare male…».
Dunque, è vero che l’obolo di San Pietro è stato usato per l’acquisto dell’immobile a Londra e che i soldi della Caritas sono finiti alla coop del fratello di Becciu?
«Non ho in mano le carte e non posso giudicare. Il problema è capire perché questi scandali scoppiano sempre più spesso».
Che idea s’è fatto?
«Le finanze vaticane sono senza pace da decenni. Penso al licenziamento di Ettore Gotti Tedeschi, che voleva fare pulizia, dallo Ior. O, risalendo fino agli anni Settanta, al coinvolgimento di monsignor Paul Marcinkus nel crac del Banco Ambrosiano e in altre vicende oscure».
Qual è la causa?
«Nelle casse del Vaticano confluiscono da tutto il mondo somme enormi. Ma le amministrazioni e i centri di spesa sono tanti e differenziati».
Quindi?
«Molti hanno fatto in modo di non dover rendere conto a nessuno. Ne sa qualcosa il cardinale George Pell».
Il quale, ostacolato dal segretario di Stato, Pietro Parolin, e dallo stesso Becciu, voleva centralizzare le finanze della Santa Sede.
«Nel 2014 fu nominato prefetto della nuova Segreteria per l’economia, proprio per centralizzare e controllare le amministrazioni».
Obiettivo fallito?
«Io andai in Vaticano per vedere come lavorava la Segreteria».
Cosa scoprì?
«Un collaboratore di Pell mi raccontò della fatica che facevano, con scarsi risultati, nel farsi dare i conti dalle amministrazioni vaticane».
Non consegnavano le carte?
«Questi conti, spesso, nemmeno esistevano. O erano stilati in modo approssimativo, magari per celare operazioni opache. Era una situazione di anarchia».
Che non fu sanata.
«Sappiamo come finì Pell».
Travolto dal processo per abusi in Australia, in cui alla fine è stato assolto. Allora, la regia dello scandalo fu vaticana?
«Non lo penso. Ma sicuramente vennero stappate bottiglie di spumante, in Vaticano, per la brutta fine di Pell…».
La «fine» di Pell, però, non è stata un caso isolato, giusto?
«Niente affatto. Pensi a Gotti Tedeschi, che era stato messo allo Ior per gli stessi motivi di Pell».
E Libero Milone, il revisore dei conti, poi licenziato?
«Idem. E non dimentichi Carlo Maria Viganò: dal 2009 al 2011 fu segretario generale del Governatorato. Tentò di razionalizzare le spese, di stroncare il clientelismo. Parlò con il Papa di sperperi di denaro, fenomeni di corruzione e operazioni finanziarie o appalti opachi».
Ad esempio?
«Il presepe di Piazza San Pietro del 2008, costato qualcosa come 550.000 euro».
A cosa portarono le indagini di monsignor Viganò?
«Fu allontanato: trasferito negli Usa come nunzio. Il problema, alla fine, è sempre quello».
Ovvero?
«Chi lavora per la trasparenza viene estromesso, mentre le amministrazioni vaticane vogliono restare svincolate da ogni controllo. Inclusa la Segreteria di Stato».
Ma papa Francesco vuole davvero fare pulizia?
«La narrativa dominante è quella del povero Papa solo, tradito dai collaboratori».
Le cose non stanno così?
«Il Papa non è stato eletto ieri. Ormai, tutti i principali incarichi nella curia romana sono coperti da persone scelte da lui. Eppure…».
Eppure?
«Tutto verte intorno ad accuse che nascono spesso da carte uscite sulla stampa, con l’interessato che si difende… E alla fine non succede nulla».
In che senso?
«Non c’è un vero processo. Ci sono provvedimenti repentini del Papa, che di tanto in tanto fa saltare qualche testa».
Lo stesso Becciu si è lamentato di questa sorta di giustizialismo.
«Esatto. Ma come si può pensare di amministrare il Vaticano in questo modo? Io comincio a pensare che il problema stia proprio a Santa Marta, forse nelle caratteristiche psicologiche di questo Pontefice».
Cosa intende?
«Si racconta che Francesco passi rapidamente dall’entusiasmo per una persona alla condanna, e che in questi passaggi si lasci influenzare facilmente».
Ad esempio?
«Un prelato liquidato così: “Mi dicono che lei sia diventato mio nemico”. Si tagliano teste in base ai “mi dicono”? Qualcuno ha parlato di clima da junta sudamericana».
Condivide?
«Non siamo lontani dal vero. Ci troviamo spesso di fronte a provvedimenti soggettivi, dettati dalle circostanze, presi in base a chi vince la guerra tra bande. È molto triste, soprattutto per noi credenti».
Da dove dovrebbe partire la pulizia delle finanze vaticane?
«Dall’indagine affidata a tre cardinali – Julián Herranz, Josef Tomko e Salvatore De Giorgi – da Benedetto XVI».
A quando risale?
«Iniziò dopo il Vatileaks. I tre lavorarono bene. Ricorda la foto dei due Papi a Castel Gandolfo?».
Benedetto e Francesco?
«Sì, con lo scatolone consegnato da Benedetto a Francesco, quasi un passaggio di consegne».
Ebbene?
«Di quel rapporto non si parla più. Quali sono stati i risultati? Chi era implicato? Se serve più trasparenza, questo rapporto dovrebbe saltare fuori».
L’obolo di San Pietro dovrebbe servire a finanziare la carità del Papa. Ma investirlo non può servire ad accrescerne la dotazione?
«Il denaro per le attività caritative deve essere utilizzato solo per quelle. Le altre somme possono essere certamente investite, il Vaticano lo fa dall’Unità d’Italia, quando la Santa Sede si è trovata senza risorse di altro tipo e poi, dopo i Patti lateranensi del 1929, con le somme ricevute in risarcimento di espropri e beni confiscati».
In fondo, una Chiesa «povera» rischia di essere anche una Chiesa senza mezzi per la carità.
«Quella della Chiesa “povera per i poveri” è una retorica assurda. Per evangelizzare, la Chiesa ha bisogno di risorse. Ma deve trovarle in modo onesto e trasparente…».
Nella vicenda dell’immobile di Londra, colpisce la facilità con cui gli investitori ecclesiastici sono stati avvicinati da speculatori inaffidabili. Come mai?
«Anche questa è una costante. La mancanza di trasparenza e la sensazione di essere svincolati da ogni regola attirano i disonesti».
Lo scandalo londinese parte dal fallito investimento nel fondo petrolifero angolano.
«Esattamente».
Lei ha scritto che monsignor Becciu, da nunzio apostolico in Angola, intratteneva «frequentazioni e amicizie quanto meno sospette». A cosa si riferiva?
«A una fonte vaticana che mi ha riferito che, nel periodo angolano, Becciu venne a contatto con italiani che, da quelle parti, non si comportavano in modo molto corretto…».
A Roma sapevano?
«Ci fu una richiesta per far rientrare Becciu in Italia. E che lui abbia pensato di investire nel petrolio, conferma che fosse coinvolto in vicende strane».
Francesco sarebbe furioso per il presunto dossieraggio di Becciu ai danni di uomini a lui vicini, come monsignor Gustavo Zanchetta, accusato in Argentina di abusi sui seminaristi. A giugno, è stato avvistato in Vaticano…
«Sì, pare si trovi lì».
Dal sinodo sugli abusi è emersa una volontà punitiva, di nuovo, quasi giustizialista, ma Zanchetta, accusato di abusi, continua a ricoprire l’incarico di assessore all’Apsa?
«Ha ragione. C’è una totale mancanza di trasparenza e di rigore. Tutto è affidato agli umori del Papa: si può essere protetti, o cadere in disgrazia, o finire nelle mani della giustizia esterna».
L’effetto degli scandali, sull’opinione pubblica, quale sarà?
«Vedo un grande calo di fiducia nelle gerarchie. E questo calo di fiducia si sta trasformando in un calo di donazioni».
Avremo finalmente la Chiesa “povera per i poveri”…
«In effetti, si può iniziare ad avanzare un sospetto».
Quale?
«Un Papa che ha destrutturato tutto, inclusa la sua figura, non vorrà per caso destrutturare anche il governo centrale della Chiesa per toglierle risorse?».
A che pro?
«Per rendere la Chiesa sempre più annacquata, mescolata al mondo, priva d’identità, sempre più simile a una grande Ong».
Domani il Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, doveva visitare Francesco. Ma il Papa ha detto no.
«Speravo che Pompeo e l’amministrazione Trump riuscissero a far rinsavire il Papa, che ha scelto una linea incomprensibile di cedimento al regime comunista di Pechino».
Il Papa deve rinsavire?
«Le relazioni dalla Cina parlano di un peggioramento delle condizioni dei cattolici da quanto è stato firmato l’accordo con il regime».
Che è tuttora segreto.
«Anche per chi dovrebbe conoscerlo, come il povero cardinale Joseph Zen. Qui è in gioco la libertas Ecclesiae. E non solo».
Che altro?
«Scendere a compromessi con il regime significa anche mancare di rispetto a schiere di martiri».
Addirittura?
«Pensi solo a vescovi come Ignazio Kung Pinmei, trent’anni di carcere, morto in esilio, o Giulio Jia Zhiguo, più di quindici anni in prigione. È inaccettabile».
Inaccettabile?
«Personaggi di spicco in Vaticano, tipo l’arcivescovo Marcelo Sánchez Sorondo, molto ascoltato da Francesco, dicono che la Cina è il Paese nel quale la Dottrina sociale della Chiesa è applicata meglio. È pazzia».
In effetti…
«Questo va detto chiaramente, nel nome di chi in Cina, tutti i giorni, patisce la persecuzione».
Fonte: La Verità 
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E il papa richiama Pell
Il cardinale George Pell è atteso in Vaticano in settimana dall’Australia. Il prefetto emerito della Segreteria per l’Economia dovrebbe volare da Sidney a Roma domani 29 settembre, a quanto riportato dall’Heralds Sun. Il ritorno di Pell cade a pochi giorni dalla clamorosa defenestrazione del suo “rivale” cardinale Giovanni Angelo Becciu, che giovedì sera il papa ha dimissionato da prefetto delle Cause dei santi togliendogli anche i privilegi connessi al cardinalato.Una notizia commentata a stretto giro di posta da Pell per mezzo di un comunicato: “Il Santo Padre è stato eletto per pulire le finanze vaticane. La partita è lunga e bisogna ringraziarlo e fargli le congratulazioni per gli ultimi sviluppi”.A inizio pontificato il porporato australiano fu nominato da Jorge Mario Bergoglio prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia (2014-2019), ma nel 2017, con il beneplacito del papa, tornò in Australia per difendersi in tribunale dalle accuse, formulate dalla polizia e dalla Procura dello Stato australiano di Victoria, di abusi sessuali su minori. Condannato in primo grado, incarcerato per quattrocento giorni, è stato scagionato dall’Alta corte australiana alla fine dell’anno scorso, tornando libero. Durante il suo periodo in Vaticano – ora gli è succeduto il gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero – i suoi programmi di riforma delle finanze vaticane e i suoi modi bruschi gli procurarono numerosi nemici ed ebbe con Becciu, in particolare, rapporti tesi. Ora ha concluso il suo comunicato con un auspicio: “Spero che continui la pulizia sia in Vaticano sia a Victoria”. A certificare i cattivi rapporti “professionali” tra Pell e Becciu è stato lo stesso cardinale sardo in occasione di una conferenza stampa di autodifesa dalle accuse di peculato e favoreggiamento che gli ha fatto il Papa in un incontro avvenuto giovedì pomeriggio. “Con il cardinale Pell – ha detto Becciu – c’è stato del contrasto professionale perché noi la vedevamo in un modo e lui voleva applicare leggi che non erano state promulgate. Sapevo che lui ce l’aveva con me e un giorno gli ho chiesto udienza. Lui mi ha ricevuto, ha voluto che fosse presente anche il suo segretario. Mi ha fatto un interrogatorio, se io credevo nella riforma, se ero contro la corruzione, se ero con l’Apsa o con la Segreteria… ci siamo lasciati bene. In un’altra occasione, in presenza del papa, discutevamo di come usare i fondi della Segreteria di Stato, io davo dei suggerimenti e lui a un certo punto mi ha tacitato: ‘Lei è un disonesto’, ha detto, e io lì ho perso la pazienza. Gli ho detto che i miei genitori mi hanno insegnato l’onestà e che disonesto è il peggior insulto che mi si poteva fare. Il papa alla fine mi ha detto ‘hai fatto bene’. Ma ricordo anche che quando Pell tornò in Australia (per difendersi in tribunale dalle accuse di pedofilia, ndr.), io gli ho scritto un biglietto così: ‘Cara Eminenza, malgrado i contrasti professionali, soffro per queste accuse e da sacerdote mi auguro che verrà pienamente provata la sua innocenza. La saluto e l’abbraccio’. Se Pell è ancora convinto che io sia disonesto non ci posso fare niente”. Ora Pell torna a Roma.
Fonte: askanews

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