Dopo il “caso Afineevsky” / Cattolici divisi, figura papale svilita. Fino a quando?
Cari amici di Duc in altum, ricevo da don Marco Begato questa riflessione che volentieri vi propongo.
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Dopo il caso del docufilm Francesco del regista Evgeny Afineevsky, non entro in merito al grado di effettivo coinvolgimento e condivisione da parte del papa, né mi soffermo su quanto è stato detto o non detto effettivamente, su quanto era stato previsto o è arrivato imprevisto.
Mi soffermo invece su un elemento oggettivo, un fatto bruto, un dato empirico: il caso Afineevsky segna un passo in avanti sensibilmente importante nel processo di frammentazione dell’unità ecclesiale, in primis nello svilimento della figura del sommo pontefice.
Colui che dovrebbe rappresentare il culmine della cattolicità, e dovrebbe portare in sé al massimo grado la dignità e la sacralità del lascito di Cristo nel mondo, è stato ridotto a zimbello nei social dell’intero orbe.
La quantità di pubblicazioni strumentalizzanti, almeno per quello che ho potuto riscontrare, ha superato ogni precedente. I gruppi progressisti hanno subito assunto l’immagine del papa come pendant di sfondi arcobaleno e di dichiarazioni massonico-rivoluzionarie. Importanti schieramenti familisti hanno svolto ermeneutiche da enciclopedisti per riuscire a collegare le dichiarazioni pontificie con la difesa tradizionale della famiglia. Gli Antifra (mi concedete di battezzarli così?) si sono sbizzarriti con caricature, meme e sberleffi che mezzo secolo fa sarebbero stati destinati sì e no ai peggio anticlericali della società.
Nell’uno e nell’altro caso, il papa sembra definitivamente passato dall’essere fonte e lume, al divenire – di volta in volta – strumento, oggetto, mascotte, mezzo per scopi altrui. E se è vero che da tempo si respirava tale crescente attacco alle somme istituzioni (Benedetto XVI si ritirò per tali colpi, o comunque si ritirò mentre da tali colpi era subissato) è pur da notare che un livello tanto alto di strapazzo per un Vicario di Cristo risulta inedito. Inedito soprattutto l’esser tanto strattonato dagli uni e dagli altri esponenti della stessa cristianità e del cattolicesimo. Ecco un papa trattato da burattino, anche dai suoi, volenti o nolenti. Ecco come appare la sua persona via broadcasting. Non sono io a giudicare fragile la comunicazione del sommo pontefice, è il mondo mediatico e social che ce la sta mostrando in questi termini. La realtà parla da sé e ciò che il mondo sta rappresentando è un papa che comunica in modo frammentato e che non riesce a farsi intendere univocamente nemmeno dai suoi zelatori.
Cosa comporta tutto questo? Parlare del papa significa parlare della coesione nella Catholica. Dunque, quale rischia di essere l’esito futuro di una simile situazione? Quale se non la disgregazione dell’unità ecclesiale? Il dubbio viene. Perciò prontamente il vescovo Carlo Maria Viganò è intervenuto scongiurando il rischio di scisma. Quello scisma sommerso di cui si mormora da ormai quarant’anni, nominato a mezza voce qualche anno fa da personalità del calibro del cardinal Burke, ora diviene allarme palese nelle dichiarazioni di un vescovo.
Ebbene, tutto ciò mi fa dire che, nel trambusto del caso Afineevsky, ciò che si impone come esito più temibile non è forse il dibattito sulla morale naturale, ma la polarizzazione sempre più netta all’interno della stessa Chiesa cattolica. Questo è tragico e tetro. Il gioco delle lacerazioni entra sempre di più nella vita del cattolicesimo. La Chiesa – che teologicamente è santa e non può soccombere – rischia di rimanere così schiacciata dal mondo e dalla modernità.
Qui avverto la faticosissima missione del cristiano oggi, la mia missione: la chiamata a testimoniare con un coraggio sempre più intenso la fedeltà alla Tradizione perenne contro i Dittatori del Relativismo, restando tenuto intimamente, oltre che in foro esterno, ad amare e far amare sempre più dolcemente il Santo Padre e la gerarchia ecclesiale. Eccoci di fronte a un nuovo, ennesimo paradosso della vita cristiana.
Riemergono dalla memoria, trascurate e profetiche, le parole scritte da papa Benedetto XVI nella lettera che accompagnava il motu proprio Summorum Pontificum, lettera che è un capolavoro di carità cristiana.
Il papa si mostra consapevole dell’enorme opposizione che gli verrà dall’interno della Chiesa e si affretta a spianare i dubbi, sciogliendo tutte le critiche e le apparenti negatività del documento. Al centro della lettera, però, si viene a toccare il motivo fondante e luminoso dell’iniziativa liturgica: “Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: “La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!” (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio».
Queste parole, lette alla luce dell’attuale scenario, fanno salire i brividi in chiunque le accetti nella loro limpida assertività. Non perché individuano in Benedetto XVI una chiara e profetica coscienza circa il pericolo di scisma vivo già nei suoi anni. Ma perché proiettano su di noi una gravosa responsabilità circa gli sforzi che stiamo realmente facendo o non facendo per tutelare l’unità tra i fedeli: si tratti degli sforzi a tutela del magistero, come degli sforzi a salvaguardia della figura del Santo Padre, passando – non lo considero accessorio o secondario – per gli sforzi verso un’autentica e complementare unità significata anche dalla dimensione liturgica.
Il dubbio che non stiamo facendo sforzi sufficienti, né da una parte né dall’altra, mi assale repentino e mette all’angolo anzitutto la mia stessa coscienza cristiana. E temo pronta la rovina del Regno diviso in se stesso. «E la sua rovina fu grande».
Don Marco Begato
Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, spiega che fare distinzione tra “convivencia civil” e “union civil” equivale sostanzialmente ad un sofisma che vuole coprire una sostanziale uguaglianza di significato.
L’articolo di mons. Athanasius Schneider è apparso su Lifesitenews e ve lo propongo nella mia traduzione.
Nel film documentario “Francesco”, presentato in anteprima il 21 ottobre 2020 nell’ambito del Festival del Cinema di Roma, Papa Francesco ha usato l’espressione “convivencia civil” invece di “union civil”, chiedendo così, tuttavia, che venga creata una legge civile di convivenza per le persone omosessuali, in modo che siano legalmente coperti. Entrambe le espressioni “convivencia civil” e “union civil” hanno però sostanzialmente lo stesso significato, come si manifesta ad esempio anche nella legislazione argentina. Il 17 dicembre 2002 è stata approvata nella provincia di Río Negro in Argentina una legge chiamata “Legge di convivenza omosessuale”, nella lingua originale spagnola chiamata “Ley de Convivencia Homosexual” n. 3376. L’articolo 1 prevede che “Le coppie dello stesso sesso possono fare una dichiarazione giurata che certifichi la loro convivenza (convivencia) davanti all’autorità competente”.
I termini giuridici sono diversi in alcuni Paesi, ma hanno tutti un significato sostanzialmente identico, cioè la convivenza di una coppia omosessuale e di una coppia eterosessuale, il che significa una convivenza extraconiugale stabile registrata dallo Stato. Questi termini giuridici sono per esempio: “unioni omosessuali”, “unione civile”, “convivencia omosessuale”, “convivencia civile”, “convivenza registrata”, “Eingetragene Partnerschaften” e altri.
Il sostegno di forme giuridiche di una convivenza stabile di due persone omosessuali, affermando allo stesso tempo che gli atti omosessuali rimangono immorali e che le due persone omosessuali registrate in tale forma giuridica vivranno in astinenza sessuale, rappresenta una contraddizione di fatto. Nonostante un’affermazione teorica dell’immoralità degli atti omosessuali, tale sostegno fa di fatto parte della propaganda ideologica e giuridica generale tesa a legalizzare e riconoscere la presunta bontà dello stile di vita omosessuale e degli atti omosessuali. Inoltre, è del tutto ingenuo e fuori dal contatto con la realtà assumere che le forme civili di una convivenza stabile di due persone omosessuali li aiutino a vivere l’astinenza sessuale. Supporre che ciò presupporrebbe che ci sia un articolo nello statuto legale della convivenza omosessuale, che preveda più o meno questo: “I due partner della convivenza civile devono vivere in astinenza sessuale”. Tuttavia, questo sarebbe ridicolizzato come uno scherzo. Nessuna persona di buon senso crederebbe che due persone omosessuali che registrano [legalmente] la loro convivenza stabile vivano in astinenza sessuale, così come nessuno crederebbe che una coppia eterosessuale che ha registrato [legalmente] la sua convivenza stabile viva in astinenza sessuale.
Ogni persona che pensa in modo normale comprende l’espressione che il Papa usa qui come una forma di convivenza legalmente riconosciuta dallo Stato, come una convivenza stabile (“Convivencia”) di una coppia omosessuale, e quindi come un riconoscimento legale dello stile di vita omosessuale.
Il gioco di parole di “convivenza civile”, in spagnolo “convivencia civil”, e “unioni civili”, in spagnolo “union civil”, è nel nostro caso un sofisma, un gioco di prestigio e un trucco. Ricorda la favola dei nuovi vestiti dell’imperatore. Questo gioco di parole è in definitiva intellettualmente disonesto e non convince nessuno.
Qualsiasi forma legalmente registrata di convivenza stabile di due persone omosessuali, non importa come la si chiami, è intrinsecamente immorale perché è uno scandalo pubblico, una propaganda per lo stile di vita omosessuale, un pericolo costante e immediato di peccato mortale per le due persone coinvolte. Un sostegno di tale forma giuridica è moralmente irresponsabile, confuso, causa di scandalo e produce un effetto fatale. La pretesa di garantire a una coppia omosessuale alcuni diritti civili, come ad esempio l’eredità, la visita in ospedale e casi simili, è evidentemente un pretesto. Infatti, le leggi civili nei paesi democratici prevedono a sufficienza per ogni cittadino la regolarizzazione di questioni come l’eredità, l’assistenza legale, ecc. senza bisogno di creare una forma giuridica di convivenza stabile tra due persone omosessuali. Se le persone omosessuali desiderano onestamente vivere nella continenza sessuale e praticare la virtù della castità, non chiederanno mai una forma giuridica di convivenza stabile, poiché sanno che una tale vicinanza reciproca li metterà immediatamente in pericolo di peccato mortale e persino di abituali peccati mortali di fornicazione. Se le persone omosessuali desiderano onestamente vivere nella continenza sessuale non intraprenderanno alcuna forma di convivenza civile, per evitare anche implicitamente qualsiasi sostegno alla diffusione dell’ideologia della giustificazione e della legittimazione dello stile di vita omosessuale. Le persone omosessuali che desiderano onestamente vivere nella continenza sessuale sapranno anche che la loro convivenza civile registrata causerà scandalo.
In un’epoca di propaganda mondiale, aggressiva e demagogica tesa a legittimare il comportamento omosessuale e gli atti omosessuali come moralmente buoni, le affermazioni degli uomini di chiesa a favore di qualsiasi forma di convivenza omosessuale legalmente riconosciuta, indipendentemente dai termini (unioni, coesistenza, convivenza, partenariato ecc.), consolideranno de facto questa propaganda. La voce della Chiesa dovrebbe fare esattamente il contrario e resistere coraggiosamente con parole e gesti pieni di chiarezza, calma e dignità a questa propaganda ideologica che schiavizza la dignità umana in uno stile di vita che contraddice la volontà di Dio Creatore e Redentore della dignità della natura umana.
L’onestà intellettuale e l’amore sincero per la verità sono necessari e sono importanti per tutti i rappresentanti della Chiesa perché rimangano testimoni credibili della legge divina scritta nella natura umana e nella ragione umana e rivelata esplicitamente nella Parola di Dio nella Sacra Scrittura e insegnata immutabilmente dalla Chiesa per duemila anni.
25 ottobre 2020
+ Athanasius Schneider
Di Sabino Paciolla
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