ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 22 dicembre 2020

L’uomo a una dimensione

Ira sul presepe in Vaticano: "Questa è un'offesa ai cattolici"

Il presepe "futuristico" fa scoppiare la polemica e divide i fedeli: "Meglio quello tradizionale". Che cosa è successo

"Nel bene o nel male purché se ne parli", scriveva Oscar Wilde. L’aforisma perfetto per raccontare l’accoglienza ricevuta dal nuovo presepe di piazza San Pietro.


La natività futuristica degli allievi della scuola d’arte di Castelli, paesino della provincia di Teramo famoso per la lavorazione della ceramica, è finita su tutti giornali, compresi quelli d’Oltreoceano.

"È un presepe che ha avuto problemi come abbiamo avuto tutti noi in questo anno pessimo", scrive, ad esempio, il New York Times, riferendosi alle polemiche montate nei giorni scorsi su social e giornali. Il più feroce è stato Vittorio Sgarbi, che l’ha definito una "umiliazione del cattolicesimo". "I personaggi – attaccava l’esperto sul blog di Nicola Porro – non si riconoscono, queste cose non riguardano il mondo cristiano, sono una caricatura, una finzione, il mondo religioso, che nell’arte ha avuto la sua consacrazione, è stato tradito".

Sono anche queste critiche, secondo Ilaria, negoziante di via della Conciliazione, ad attirare in piazza decine di persone. "A me – spiega – non dispiace, ma è una cosa soggettiva, l’arte è così: opinabile". "Non è uno dei tanti presepi, è un presepe diverso, però come tutte le cose insolite crea più interesse di quelle ordinarie", ci spiega. Sembra che anche attorno alla natività di San Pietro si sia creato una sorta di "effetto Spelacchio". Lo stesso che ha reso celebre lo sfortunato albero di Natale posizionato a piazza Venezia due anni fa. I rami secchi dell’abete costarono aspre critiche all’amministrazione, ma tra polemiche e prese in giro, il vituperato alberello diventò una vera e propria attrazione.

E infatti, in quel di piazza San Pietro, sin dalle prime ore del mattino il viavai di curiosi è incessante. "Ne abbiamo sentito parlare tanto in tv e siamo venuti qui apposta per vederlo dal vivo", racconta una coppia di turisti veneti. "In effetti è un po’ strano, però – aggiungono – un pizzico di rivoluzione ogni tanto ci vuole". Tra le dieci figure monumentali, spiccano anche un astronauta e un guerriero con l’elmo fregiato da un teschio. Elementi di novità, che hanno disorientato se non addirittura indignato alcuni fedeli. "È un presepe criptico, con personaggi incomprensibili", commenta un ciclista, accorso alle pendici del cupolone per farsi un’idea sulla vexata natività.

 

https://www.ilgiornale.it/news/cronache/presepe-vaticano-divide-i-fedeli-unoffesa-ai-cattolici-1911616.html

Segnali di vita in tempo di Covid


Da I persuasori occulti, saggio d’annata di Vance Packard, uscito nel 1957, il mondo della pubblicità ha subito profonde trasformazioni. Ieri a prevalere era la narrazione in funzione del prodotto, mentre l’analisi/denuncia puntava il dito contro le tecniche manipolatorie dell’industria pubblicitaria. Nel 1964, Herbert Marcuse, in L’uomo a una dimensione, arrivò a teorizzare il carattere socialmente condizionato dei bisogni umani, facendo dipendere i desideri “dal fatto che la cosa sia considerata o no desiderabile e necessaria per le istituzioni e gli interessi sociali al momento prevalenti”.

In seguito il messaggio pubblicitario è arrivato, con gli spot televisivi, a invadere la programmazione ordinaria, venendo percepito spesso come una “prevaricazione”. Oggi – è cronaca del tempo covidizzato – la pubblicità sembra spingersi oltre il prodotto che intende “veicolare”, arrivando a suscitare una nuova immedesimazione collettiva, della quale il prodotto è partecipe. Spesso con risultati inusuali rispetto alla vulgata corrente.

Ecco allora la banca che parla il linguaggio del territorio; l’elettrodomestico rigorosamente “made in Italy”; il condominio che si scopre comunità e “dialoga”, dai balconi, grazie alla sensibilità di una bambina; la catena di supermercati che pubblicizza prodotti a “filiera corta”; la grande azienda di gioielli che pone le madri, che hanno partorito durante la pandemia, come le eroine della sua storia; l’azienda di arredamento e mobili che ricorda alle persone i valori della casa e della famiglia.

Sono – in sintesi – messaggi indirizzati a una sensibilità collettiva, spesso poco e male rappresentata dal mainstream, che chiede di essere riconosciuta e rappresentata. Da questo punto di vista il “messaggio” più che sovrastare il consumatore è orientato ad assecondarne i desideri profondi, le domande nascoste. Le ultime campagne pubblicitarie tentano perciò di essere coinvolgenti, di emozionare, richiamando all’attenzione, prima del prodotto, il “contesto”, nel quale si colloca il prodotto stesso.

A emergere è allora una sorta di nostalgia identitaria, ancora disorganica, priva com’è di un Centro ordinatore, ma che è comunque significativa di domande, di aspettative, di ragioni condivise che si pensavano dimenticate ed invece esistono, si insinuano come certe radici orizzontali, sotto la superficie della società, chiedendo di essere rappresentate.

In questo contesto la stessa “festa”, al di là dei fattori strettamente consumistici, ritrova un valore simbolico, familiare e comunitario, che è ben lungi dall’essere dimenticato nell’immaginario collettivo e che si scontra con le sottovalutazioni (se non con le derisioni) di certa informazione disincantata e saccente.

E allora ben vengano, anche negli abbagli consumatori, le luci per le strade, i palazzi illuminati, l’albero addobbato al centro dei paesi, i presepi nelle chiese, ma anche nelle sedi istituzionali più attente alla tradizione. Ben venga questo sovrapporsi di sacralità antica e di sapori, che si riperpetuano di generazione in generazione, di attesa e di stupore. Anche uno spot può arrivare a dirci che non tutto è perduto e che la battaglia della memoria, delle radici, dell’appartenenza può ancora essere giocata, facendo ben sperare sul tempo che verrà dopo la notte dell’emergenza sanitaria. Magari per ritrovare nella pubblicità – come ebbe a scrivere Francesco Alberoni – una sorta di “cinghia di trasmissione” fra cultura e consumi. E da qui ripartire per ripensare cultura e consumi, meccanismi identificativi e valori condivisi, fino a ieri sottovalutati ed oggi riconosciuti in più di un messaggio pubblicitario.

Mario Bozzi Sentieri

Dicembre 22, 2020

https://www.ricognizioni.it/segnali-di-vita-in-tempo-di-covid/

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.