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sabato 2 gennaio 2021

Un fil rouge che parte da Rahner

Perché la Chiesa non voleva un Papa gesuita

Il travagliato rapporto tra i gesuiti ed il Vaticano. Ecco perché, fino a poco tempo fa, un Papa gesuita non era pronosticabile

Il Papa gesuita è una realtà conclamata. Jorge Mario Bergoglio siede sul soglio di Pietro da sette anni e mezzo nonostante il pregiudizio che ha accompagnato l'Ordine.


Certo, Francesco è un gesuita singolare per alcuni, ma fino a qualche decennio fa pronosticare l'elezione a vescovo di Roma di un membro della Compagnia era quasi inutile. Perché molti ambienti ecclesiastici hanno sempre percepito l'Ordine fondato da Sant'Ignazio come un unicum. Quasi come qualcosa di esterno al contesto "Chiesa". La storia dei gesuiti rispetto all'Ecclesia è condita da commisariamenti. Basterebbe questa informazione per comprendere lo stupore dinanzi all'elezione dell'ex arcivescovo di Buenos Aires. Non bisogna andare troppo indietro: anche durante il pontificato di Benedetto XVI si era ipotizzato di nominare un commissario dei gesuiti.

Non era stato Joseph Ratzinger in prima persona a dipingere quello scenario bensì un altro ecclesiastico di spicco. Jorge Mario Bergoglio, che si era confrontato (per così dire) con Ratzinger nel Conclave del 2005, si è messo di traverso e non se n'è fatto niente. Il gesuita era stato il candidato dei progressisti nell'assemblea che aveva eletto il conservatore tedesco. Bergoglio aveva insomma acquisito un certo peso curiale, per quanto l'argentino e la Curia non siano mai stati coinquilini. Il resto è storia. Questo per dire che il contrasto tra la Compagnia e le gerarchie non è una vicenda di ieri. Solo con il pontificato di Francesco, forse, le differenze teologiche sono ormai assopite. Il tessuto connettivo tra gesuiti e Vaticano è sempre stato complesso. Sant'Ignazio fonda la Compagnia nel 1534. Da allora inizia una bagarre.

In realtà, Bergoglio qualcosa di tipico del gesuita ce l'ha: il multilateralismo diplomatico e l'attenzione continuativa che viene riservata dal sudamericano alle periferie economico-esistenziali. La vicenda dei gesuiti è intrisa anche da mediazione tra poteri molto diversi. La diplomazia bilaterale non è stata quasi mai considerata uno strumento utile dai compagni. Le missioni ai confini del mondo fanno invece da preludio alla geografia della fede che questo pontefice sta disegnando. Ieri i gesuiti guardavano alla conversione del Giappone, oggi Jorge Mario Bergoglio annovera nel suo "popolo" gli indigeni dell'Amazzonia, che non mai stati così al centro della storia del cristianesimo come oggi. Facciamo qualche passo indietro.

Il primo a sopprimere l'Ordine è papa Clemente XIV. I gesuiti non hanno neppure trecento anni alle spalle, eppure già prendono nota di come il loro andare incontro al mondo venga percepito. Certo, all'epoca la politica non era come quella odierna, e gli Stati nazionali vantavano più di qualche facoltà d'influire sulle decisioni del titolare della cattedra vaticana. Ci vorrà il Concilio Vaticano II per rompere un pregiudizio. Neppure quell'appuntamento, in realtà, metterà del tutto fine agli screzi.

Si dice che papa Luciani stesse per richiamare la Compagnia di Gesù. Poi Papa Giovanni Paolo I è deceduto nelle circostanze misteriose che conosciamo. E la lettera di reprimenda verso i seguaci di Sant'Ignazio non verrà pubblicata. Chi oggi segnala quel retroscena è sicuro che l'ultimo Papa italiano volesse porre più di un accento sulla presunta deriva teologica che i gesuiti stavano assecondando in quel periodo. Il 68' era alle spalle da un decennio, ma gli ambienti antimodernisti ancora oggi ricordano come i gesuiti nordamericani abbiano in parte sposato le istanze dei sessantottini. E nel nord degli States i gesuiti costituiscono tuttora un avamposto di progressismo dottrinale. Prima di Luciani era stato Paolo VI a manifestare qualche perplessità, in specie rispetto alle posizioni di padre Arrupe, per cui nel frattempo la Santa Sede della gestione Bergoglio ha aperto una causa di canonizzazione. Arrupe, in sintesi, non voleva allargare il voto di fedeltà al Papa pure ai gesuiti non consacrati. E Giovanni Paolo II? Li ha commissariati.

Gesuita era Karl Rahner, il teorico della "Nuova Chiesa" su cui gli ambienti progressisti contemporanei si starebbero basando. Una Chiesa fondamentalmente aperta a cambiamenti che sarebbero non condivisi dagli insegnamenti, dalla tradizione, dalla dottrina e dalla prassi. Bergoglio ha avuto un rapporto travagliato con la Compagnia, tanto da essere persino "esiliato" a Cordoba per un periodo. Chi si oppone all'operato del regnante, però, intravede un fil rouge che parte da Rahner e arriva proprio a Francesco.

Francesco Boezi 

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