ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 5 febbraio 2021

Vuolsi così colà dove si puote

DECIDE IL QUIRINALE

La sovranità del popolo è morta. E nessuno dice nulla

A prescindere da quello che vorrà e saprà fare, è un dato di fatto che per l'ennesima volta abbiamo con Mario Draghi un capo del governo non eletto dal popolo. Gli italiani vanno a votare ma poi si trovano governati da personaggi calati dall'alto. Ancora una volta si tratta di operazioni parlamentariste guidate dal presidente della Repubblica. L'articolo 1 della Costituzione viene fortemente indebolito. Ma il paradosso è che il tutto avviene nel rispetto formale della Costituzione.


La sovranità appartiene ancora al popolo? Su questo principio della nostra democrazia si può essere anche molto critici, ciò però non impedisce di notare che nella politica italiana esso sembra non trovare più riscontro. Anche Mario Draghi non è mai stato eletto da nessuno e ancora una volta gli elettori si trovano davanti un presidente incaricato tirato fuori mentre loro erano girati da un’altra parte. La cosa si è ormai ripetuta troppe volte perché possa essere ritenuta frutto solo di normali incidenti di percorso della democrazia. Né Mario Monti né Matteo Renzi erano stati eletti ed ora nemmeno Mario Draghi. In tutti e tre i casi si è trattato di operazioni parlamentariste condotte tramite il protagonismo politico della Presidenza della Repubblica.

So bene che quella italiana è una repubblica parlamentare e che, quindi, il Quirinale deve accertare se ci siano nuove maggioranze prima di sciogliere le camere. So bene che deputati e senatori vengono eletti senza vincolo di mandato, ossia rappresentano l’intera nazione e non solo i loro elettori ai quali non devono politicamente nulla. So bene che non è scritto da nessuna parte che il presidente del Consiglio debba essere un parlamentare eletto dal popolo. Però vedo anche che oggi non siamo nemmeno più in una repubblica parlamentare in senso stretto, ma in una non dichiarata repubblica presidenziale, perché, da Napolitano a Mattarella, è la presidenza della Repubblica a svolgere il primario ruolo politico. Se da un lato questo avviene secondo la lettera della Costituzione, dall’altro anche la contraddice, indebolendo di molto il principio del secondo comma dell’articolo 1: la sovranità appartiene al popolo.

La scelta di Mattarella di non farci votare dopo le dimissioni di Conte è una scelta politica. Istituzionale, certo, ma non tecnica, bensì politica. Il governo del presidente o il governo di alto profilo sono forme di governo politico. Nel caso di Draghi, poi, non si tratta di un governo per fare due o tre cose ritenute urgenti e concordate con la nuova maggioranza e poi votare. Non nascerà – se nascerà… – un governo a tempo e di scopo, ma un vero governo di legislatura dai pieni poteri politici. La stessa caratura del presidente incaricato lo dice, come lo dice il fatto che questa nomina non è certo improvvisata, ma risponde ad un disegno politico.

Tutti sapevamo che si sarebbe arrivati lì. Bisognava far bollire il Conte 1 e il Conte 2 in modo da giustificare l’intervento di Draghi. Che quindi è un intervento politicissimo. Tanto politico da mettere in difficoltà le opposizioni, fino al punto da potersi ritenere che tra gli obiettivi dell’operazione ci fosse anche quello di far fuori definitivamente i partiti sovranisti come Lega o Fratelli d’Italia. Come si potrà muovere qualche critica all’euro o all’Unione Europea dopo che a Palazzo Chigi si sarà insediato Draghi, che di quegli interessi e di quei poteri è la sintesi? Ora, scelte politiche di tale rilevanza non dovrebbero passare dagli elettori?

Negli anni Novanta del secolo scorso si era tentato di operare sulla riforma del sistema elettorale: l’elettore avrebbe votato una maggioranza e un leader che fin da subito si presentavano nella scheda; già all’indomani dello spoglio si sarebbe quindi già saputo - così si diceva e si sperava - chi fosse il nuovo premier e quale fosse il programma della nuova maggioranza. Certo, il presidente continuava a fare la pantomima delle consultazioni per darsi un tono, ma alla fine Scalfaro nel 1994 incaricò Berlusconi che aveva vinto le elezioni.

Però poi si comprese che la vittoria alle elezioni indicava un possibile presidente del Consiglio ma l’onere di incaricarlo rimaneva al presidente della Repubblica, che il presidente incaricato doveva comunque fare le sue consultazioni, che l’assenza del vincolo di mandato permetteva i salti della quaglia, che le coalizioni elettorali si sfaldavano nella prassi parlamentare e cominciavano a nascere, e a moltiplicarsi, i partiti in parlamento… sicché il parlamentarismo costituzionale riprese vigore e, con esso, il ruolo determinante della presidenza della Repubblica. Più la politica non sa costruirsi in modo solido in parlamento e più finisce per contare il Colle, ma la politica non riesce a costituirsi in modo solido perché il parlamentarismo costituzionale non lo permette e quindi emerge il potere politico del Colle.

Il dato sembra ormai certo: a fare i governi è sempre di più il Quirinale. Non nel senso di nominarli, ma nel senso politico di prepararne la strada. La strategia tutta politica di Napolitano per avere un governo Monti sul finire del 2011 e poi per rottamare Letta e incaricare Renzi il 17 febbraio 2014, giocando di sponda con la Direzione del PD che aveva rilevato l’urgenza di aprire una fase nuova, è molto simile alla strategia di Mattarella per avere il governo Draghi.

Gli italiani continuano ad andare a votare alle politiche. Alle ultime si è recato alle urne il 74 per cento di loro. Perché – si dice – la sovranità appartiene al popolo. Però ormai da parecchio tempo – il primo presidente del Consiglio incaricato come tecnico fu Carlo Azeglio Ciampi nel 1993 – i governi vengono fatti in altro modo e senza che ormai nessuno dica più niente in proposito. Stupefacente la nostra Costituzione: dà il potere al popolo e nello stesso tempo glielo toglie.

Stefano Fontana

- CHE VINCA O PERDA, IL PD GOVERNA di Stefano Magni

https://lanuovabq.it/it/la-sovranita-del-popolo-e-morta-e-nessuno-dice-nulla

Dai gesuiti al Papa, il tifo del Vaticano

Sostegno da Oltretevere per l'incarico: "Saprà unire la politica" 

Già quando si era aperta la crisi di governo, in Vaticano si faceva il nome di Mario Draghi.


Una scelta che avrebbe unito il Paese, persona che gode di stima in Italia e all'estero, e che sicuramente, riferiscono dalle sacre stanze, «saprà spendere al meglio le risorse del Recovery Plan». La notizia dell'incarico affidato da Sergio Mattarella a Mario Draghi di formare un nuovo esecutivo è stata accolta «positivamente» Oltretevere. In primis dal Papa che proprio lo scorso luglio aveva nominato l'ex governatore della Bce membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il think tank vaticano che Draghi aveva già frequentato negli anni passati.

«Un economista esperto, proprio quella personalità di alto profilo invocata da Mattarella e che saprà unire le forze politiche per il bene del Paese», assicurano dal Vaticano.

Lo stesso Bergoglio, nella recente intervista al Tg5 aveva rivolto un invito all'unità. «La lotta politica è una cosa nobile, i partiti sono gli strumenti. Quello che vale è l'intenzione di fare crescere il Paese. Ma se i politici sottolineano più l'interesse personale che l'interesse comune, rovinano le cose».

Il rapporto di Draghi con la Chiesa, e in particolare con i gesuiti, è forte. L'economista non ha mai interrotto il filo che lo lega al mondo cattolico romano. Draghi ha frequentato il prestigioso Liceo Massimiliano Massimo all'Eur, a Roma, e ha mantenuto diverse relazioni con religiosi della Compagnia di Gesù.

In un momento di crisi sociale ed economica legata alla pandemia serve unità, per poi «andare oltre» e formare un governo politico, auspica padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore de La Civiltà Cattolica, persona molto vicina al Papa.

«Quello a cui abbiamo assistito - dice - è stato un momento di crisi non solo di governo ma della politica. L'Italia sta vivendo un momento difficile e per uscire da questo pantano in cui ci siamo trovati, Mattarella ha fatto ricorso a una risorsa importante della nostra democrazia. Una persona che ha tanta stima sia nel nostro Paese che in Europa, persona molto seria, capace di aggregare anche forze politiche diverse sulla base di un progetto. L'ideale per la nostra Italia è avere un governo politico - prosegue Spadaro - viviamo una fase di crisi della politica e anche dei singoli partiti. Forse, però, questa fase risulta essere necessaria per poi andare oltre. E Draghi credo rappresenti una certezza capace di affrontare le grandi questioni attuali: vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, rispondere alle esigenze dei cittadini e rilanciare il Paese».

Draghi è «una speranza certificata dalle sue competenze e dalla sua storia di vita» ma «anche le rocce dei giganti si possono sgretolare se i partiti non ritroveranno un'unità nazionale e faranno un passo indietro», gli fa eco padre Francesco Occhetta, grande esperto di politica italiana. «Per i gesuiti - spiega - è un orgoglio averlo avuto come studente e riconoscerlo attento alla nostra tradizione che coniuga giustizia sociale e competenze». D'accordo anche padre Giovanni La Manna, attuale rettore dell'Istituto Massimo. «Draghi è stato capace di interiorizzare uno degli obiettivi del nostro percorso: individuare il bene non solo a livello personale ma anche a livello comunitario».

Serena Sartini 

https://www.ilgiornale.it/news/politica/dai-gesuiti-papa-tifo-vaticano-1921716.html

«Altissimo profilo»




«Altissimo profilo». Le due parole d’ordine di questi giorni, il ritornello obbligato, il mantra. Bella espressione, per carità. Ma che vuol dire? Da quanto è dato capire, sta a significare che sei uno che ha ricoperto incarichi prestigiosi, che ha studiato in America, che ha avuto per maestri Tizio, Caio e Sempronio e il cui nome, a Bruxelles, incute lo stesso rispetto dell’Onnipotente.

Ora, dispiace deludere qualcuno ma, se questo è l’«altissimo profilo», esso è condizione forse necessaria, ma di certo non sufficiente per una politica di «altissimo profilo». Che è una politica che ha anzitutto valori chiari, netti, per qualcuno anche divisivi. Una politica seria, che il futuro se lo sapeva immaginare anche prima dei miliardi del Recovery Plan.

Una politica che esprima contenuti, possibilmente anche superiori alla differenza tra «debito buono» e «debito cattivo». Insomma, una politica che per cui le competenze non sono il fine, ma il mezzo per un fine non paludato da giri di parole e inglesismi, ma comprensibile anche a chi abbia la quinta elementare.

Precisazione per chi ama capire quello che gli pare: anche se non sembra, questo non è affatto un articolo di polemica con Mario Draghi. É invece polemico – e tanto – con la claque, il Giornale Unico, l’idea che basti evocare la «maggioranza Ursula» ed urrà, sei subito un salvatore della patria: a prescindere. Ecco, anche no. 

Giuliano Guzzo

https://giulianoguzzo.com/2021/02/04/altissimo-profilo/


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