ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 12 marzo 2021

Il tormentone dei cristiani impegnati

Cinque piaghe legate alla crisi di Bose

Nella vicenda di Bose c’è forse un sommerso che non permette analisi globali, ma bisogna riflettere su almeno cinque punti. L’assenza di un processo formale e trasparente, l’insegnamento della storia, la scelta del delegato pontificio, il ritenere ancora Bose una “perla” a dispetto delle disobbedienze, le contraddizioni (non riconosciute) di Enzo Bianchi.


E va bene, anche il Romanus Pontifex feliciter regnans interviene su Bose. Tutto molto paterno e molto bello e molto da “fare notizia” o meglio, fare il tormentone dei cristiani impegnati, quelli che, si intende, ragionano solo in termini di “dopo il Concilio”. Fuori di questo tipo di cristiani, la vicenda di Bose dice poco o nulla e le sofferenze “ecclesiali” sulle quali sono interpellato riguardano il non poter fare la comunione sulla lingua e di essere costretti a prendere l’ostia con le mani oppure, per i più avveduti, la paura che in futuro uomini o donne possano sposarsi con il compagno/a dello stesso sesso non solo con l’approvazione dello stato ma con la benedizione della Chiesa.

Ciò precisato, ovvio che Bose, anche per me, ha rappresentato molto a cominciare dal mitico libretto “Pregare la Parola” di Enzo Bianchi - sul titolo avrei qualche riserva perché, per quanto mi riguarda, non allargo mai il complemento oggetto del verbo pregare oltre a Dio/Cristo, alla BVM, agli Angeli e ai Santi - e da altri libri e momenti che hanno messo in circolazione idee e prassi stimolanti, anche se non sempre condivisibili in tutto. Poi c’è la sofferenza delle persone di fonte alla quale non si può non restare insensibili. Sono cosciente che quanto si sa e si scrive è solo la minima parte e che c’è forse un sommerso che non permette analisi globali, ma, ponendomi come povero cristiano di fronte a quella minima parte che appare, qualcosa non mi torna e precisamente cinque punti, che potrebbero essere le cinque piaghe non di Bose come tale, ma della vicenda odierna.

1. L’assenza di un processo formale e di una certa trasparenza delle accuse. Per la carità, la Santità di Nostro Signore il Papa può di suo coonestare decisioni e provvedimenti, però... L’assenza di un processo mantiene nella mente il sospetto che ci sia dell’indicibile oltre all’usura dei rapporti personali e del governo. Comunque voglio credere che ci sia solo questo e in ogni caso sembra che Roma non sia minimamente intervenuta su deviazioni dottrinali.

2. Mi pare che la storia decongestioni la tragedia su Bose e lo stupore dei benpensanti, siano essi filosofi, cardinali o direttori di centri culturali. Infatti quello che capita a Bose è già capitato. Quando? Molte volte, ma mi vengono alla mente delle analogie con le vicende della riforma carmelitana, quando alla fine della vita san Giovanni della Croce rischiò di essere buttato fuori proprio dai “riformati”, dei quali lui stesso incarnava l’ispirazione primitiva, e andò a trascorrere gli ultimi giorni in un convento con un superiore giovane che lo umiliò più volte ricredendosi solo negli ultimissimi giorni prima della morte del santo. Così come è capitato - e una infinità di volte - che molte madri fondatrici furono messe da parte e molte congregazioni di suore si divisero a pochi anni dalla loro fondazione. Lo stupore e l’ingenuità di qualcuno è di pensare che a Bose, essendo molto moderni, molto “dopo il Concilio”, queste cose non solo non sarebbero successe, ma “non sarebbero mai potute” succedere. E invece...

3. Mi domando se la persona del delegato P. Amedeo Cencini fosse la migliore da scegliere. Non mi situo a livello di virtù o difetti personali, ma di competenze oggettive. Ha infatti sue teorie sull’oggettivazione del carisma e si interessa di psicologia ovviamente con ricadute all’interno della vita religiosa. Il che è perfettamente legittimo. Però non tutti possono giocare tutti i ruoli e una persona così va bene per scrivere un articolo, per concedere un’intervista, per partecipare a un convegno come relatore, per essere anche cooptato dalla Congregazione per la vita religiosa come esperto (come di fatto è), eccetera, ma non per gestire una situazione quale la crisi di Bose, in quanto senza accorgersene c’è il pericolo che sia guidato dalla sua ideologia e dalla sua psicologia. Pericolo che c’è in tutti, ma che forse sarebbe stato alquanto esorcizzato se fosse stato scelto un ex superiore generale con un po’ di “praticaccia” di governo e senza tante idee di psicologia e di che cosa è o non è un carisma.

4. Se su questo affare la Santa Sede ci ha messo la faccia senza limitarsi alla Congregazione per i religiosi e altre forme di vita ma implicando la Segreteria di Stato e lo stesso Romano Pontefice, è perché, tutto considerato, continua a scommettere su Bose, una “perla” da non perdere. Questo però facendo finta di non sapere che a Bose usavano una loro traduzione della preghiera eucaristica che non era quella del Messale ufficiale, che si erano e si sono fatti un calendario liturgico, che hanno composto un Lezionario alternativo per la seconda lettura della Liturgia delle Ore che non è formalmente approvato ma di fatto è adottato qua e là - e per i tempi forti è come la benedizione di Esaù, in quanto i testi migliori erano già stati scelti dai volumi ufficiali della Liturgia delle Ore - e altre scelte del genere. In compenso, però, persone di Bose venivano chiamate - anche sotto Papa Ratzinger - a collaborare con organismi vaticani e della CEI che poi emanavano disposizioni alle quali “altri” erano tenuti ad obbedire, cioè ad obbedire a disposizioni elaborate con la collaborazione di chi aveva fatto le sue scelte senza sottoporsi alla fila dello sportello per farsele approvare. Sì, mi pare che le disposizioni recenti siano intervenute anche sulla questione liturgica (anche se non è dato di conoscere in quali termini), ma forse nelle presenti circostanze due parole di scusa, di conforto e perché no di stima a quei poveretti sottomessi e obbedienti a norme elaborate con la presenza di chi disobbediva non guasterebbero, ma mi rendo conto che è inelegante e assurdo pretenderle, anche perché si passa dalla parte antipatica del fratello maggiore che non comprende la misericordia o, secondo la teologia classica, si rischia di perdere i meriti dell’obbedienza silenziosa.

5. Enzo Bianchi scrive giustamente considerazioni dolorose su di sé che non possono non ricevere simpatia e compassione nel senso esatto di “patire con”, però sulle pagine di un mensile pastorale manca di buon gusto. Infatti ogni mese scrive una rubrica di due pagine dove incessantemente parla di dialogo, di comunione, di ponti da costruire, di freschezza evangelica da riscoprire ecc., come se chi legge non sapesse che proprio su questi argomenti o valori si è prodotta la crisi attuale di Bose. Santo cielo, se almeno una volta fosse apparso un inserto rettangolare o quadrato con poche righe tipo: «Cari lettori, senz’altro sarete informati di quello che mi sta capitando e di quello che sta capitando a Bose e che riguarda proprio la difficoltà di attuare ciò che scrivo. Pregate per me e per la comunità di Bose perché noi per primi possiamo praticare quanto predichiamo». E invece nulla. Ora, a fronte di questo disinvolto silenzio un cretino normale come me si domanda: «Ma ci prendono tutti per scemi?».

In conclusione, forse la Santa Sede dovrebbe rivedere i criteri di come e di dove investire la propria immagine, se è vero che in questo caso ha investito al massimo la propria immagine facendo scendere in campo figure istituzionali di primo e di primissimo piano. Ma per grazia di Dio queste decisioni non dipendono da me e per grazia di Dio il mio ruolo è solo di restare spettatore ed orante. Qualcuno non ci crederà, ma se faccio una preghiera la divido in parti uguali per la Bussola e per Bose, come nel Gattopardo Tancredi alla fatale cena di Donnafugata divideva in parti uguali sorrisi e complimenti tra Angelica e Concetta.

Riccardo Barile

https://lanuovabq.it/it/cinque-piaghe-legate-alla-crisi-di-bose

Addio Giovanni Paolo II. L’istituto intitolato a papa Wojtyła ha un direttore relativista (e intanto gli studenti fuggono)

    Il nuovo presidente del Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia (che ha sostituito per volontà di Francesco il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia) è monsignor Philippe Bordeyne, noto fautore di Amoris laetitia, critico dell’Humanae vitae, favorevole alla contraccezione e a un approccio accogliente verso le coppie omosessuali. Propongo stralci dell’articolo pubblicato in proposito da LifeSiteNews.

di Jeanne Smits

Monsignor Bordeyne, attualmente rettore dell’Università Cattolica di Parigi, viene presentato così dalla versione inglese del quotidiano La Croix International: “Monsignor Philippe Bordeyne ha scelto di continuare la riforma dell’istituto che il defunto papa polacco ha istituito nel 1981 per promuovere il matrimonio tradizionale e la vita familiare”.

“Riforma” è la parola chiave: negli ultimi anni l’Istituto Giovanni Paolo II, già presieduto dal cardinale Carlo Caffarra – il defunto firmatario dei dubia presentati a papa Francesco dopo la pubblicazione di Amoris laetitia – è stato oggetto di profondi cambiamenti: modifica del nome, rinnovo degli statuti, sospensione improvvisa di tutti i suoi professori nel 2019, licenziamento di quelli più rappresentativi dell’era di Giovanni Paolo II.

Il colpo di stato contro l’orientamento tradizionale dell’Istituto Giovanni Paolo II è stato realizzato sotto la direzione dell’attuale gran cancelliere, l’arcivescovo Vincenzo Paglia (noto anche per il dipinto omoerotico da lui commissionato per la cattedrale quando era vescovo di Terni). La revisione dell’Istituto mira a mettere da parte l’originario approccio metafisico per adottare un punto di vista più pratico e sociologico, contrapponendo i cosiddetti “problemi reali” all’’idealismo astratto”, come scrive La Croix.

Paglia ha confermato la nomina di monsignor Bordeyne, specializzato in teologia morale, lunedì scorso via Twitter. La nomina deve ancora essere proclamata ufficialmente, ma secondo l’Ansa un rescritto è stato inviato il 22 febbraio dal cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dal suo segretario monsignor Vincenzo Zani. Hanno anche firmato una lettera in cui ringraziano l’attuale presidente dell’Istituto, monsignor Pierangelo Sequeri, 76 anni, e porgono i migliori auguri a monsignor Bordeyne.

Oltre a promuovere la visione di papa Francesco sul matrimonio e sugli insegnamenti morali della Chiesa, come ha sempre fatto nei suoi precedenti incarichi, uno dei compiti di Bordeyne sarà quello di arginare l’attuale declino dell’Istituto. Secondo La Croix International, “alcuni corsi hanno perso il 90 per cento dei loro studenti, mentre altri sono stati tagliati a causa di un numero insufficiente di iscritti. Pertanto, la sfida più grande dell’istituto è attirare nuovi studenti e aumentare le iscrizioni”.

Philippe Bordeyne, 61 anni, dovrebbe utilizzare le sue capacità manageriali. Prima di diventare prete, si è laureato presso una delle più prestigiose istituzioni francesi di istruzione superiore, l’Hec di Parigi (Ecole des hautes études commerciales ), e ha insegnato in Camerun per due anni in un programma di cooperazione. Una volta ordinato sacerdote, prima di intraprendere la carriera accademica, Bordeyne è stato incaricato dell’accompagnamento dei catecumeni e della preparazione al matrimonio nella diocesi di Nanterre, vicino a Parigi. Era amico di Juan Carlos Scannone, il sacerdote gesuita noto come presentatore autorizzato della teologia di papa Francesco (Scannone ha pubblicato un libro sulla “teologia del popolo” di Francesco poco prima della sua morte nel 2019). Insieme hanno scritto un libro, intitolato Divorcés remariés: ce qui change avec François (Divorziati e risposati: che cosa è cambiato con papa Francesco).

Bordeyne è stato un protagonista di spicco al secondo Sinodo sulla famiglia nel 2015: all’epoca è stato nominato da papa Francesco tra i ventitré esperti che hanno consigliato e guidato le discussioni dei padri sinodali […]. Negli ultimi anni si è espresso sulla stampa francese, sostenendo il “discernimento” richiesto da papa Francesco per quanto riguarda la “reintegrazione” dei cattolici divorziati risposati. Il 9 aprile 2014, Bordeyne ha dichiarato a La Vie: “Nel caso dell’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, [il papa] riprende la nozione di discernimento, già nota nel ministero pastorale della Chiesa e già citata al Sinodo, specificandola. Durante il Sinodo, c’è stata qualche esitazione a chiamare questo viaggio spirituale un cammino penitenziale, per esempio. Il papa ha infine parlato di ‘discernimento personale e pastorale’ e ha specificato il quadro: perché il discernimento sia ben condotto, i fedeli non devono essere soli; qualunque sia la loro situazione, devono essere accompagnati da pastori o persone incaricate di farlo. Il papa specifica anche cosa significa ‘integrazione’ nella Chiesa. Il discernimento svolto deve infatti portare a qualcosa di concreto: permettere alla persona di trovare il suo giusto posto nella Chiesa. Ma questo luogo non è indicato in anticipo: l’accesso alla comunione non sarà necessariamente la risposta adeguata al cammino della persona e alla sua situazione oggettiva. Può essere un impegno per i più poveri o un altro impegno ecclesiale, come la catechesi”.

“Il Papa chiede ai pastori soprattutto di accogliere le persone coinvolte, di essere sensibili ai loro dolori, alle loro sofferenze, al loro bisogno di integrazione nella Chiesa. L’obiettivo finale è che i fedeli possano trovare la pace. Il papa non indica un processo generale, ma fornisce un quadro ispirandosi alla pratica del discernimento nella Chiesa e conferendogli il sigillo della sua autorità”.

Alcuni anni dopo, Bordeyne fu intervistato su Amoris laetitia da padre Thomas Rosica, l’ormai decaduto amministratore delegato di Salt and Light TV. Riassumendo il suo atteggiamento nei confronti dell’insegnamento morale, Bordeyne disse: “Il teologo morale è prima di tutto un riparatore, che guarda alle situazioni personali piuttosto che agli ideali morali”. E alla domanda su quale sia il “nuovo punto” del capitolo ottavo di Amoris laetitia sui divorziati risposati, in particolare quelli che hanno figli con il loro nuovo partner, Bordeyne ha risposto: “Non possiamo chiedere alle persone di realizzare l’impossibile. Non possiamo chiedere alle persone di separarsi, poiché sarebbe un nuovo difetto: chiederemo loro di costruire il futuro con Dio. E quindi chiediamo loro di valutare la qualità della loro nuova unione […]. Il realismo di Francesco, il realismo del cristiano, è guardare a ciò che Dio sta facendo nella nostra vita in modo che, mentre esiste l’irreversibile, possiamo ancora continuare ad andare avanti”.

“Il papa dice che nel discernimento personale e pastorale di queste persone, devono prima guardare a ciò che fanno oggi per rispondere alle chiamate di Dio. Non alle chiamate impossibili di Dio! Non alle chiamate di Dio a rimanere fedeli alla prima unione: era morta da vent’anni! Ma alle chiamate di Dio oggi”.

[…]

Sì, il futuro presidente di quello che fu l’Istituto Giovanni Paolo II per il matrimonio e la famiglia in sostanza sta dicendo che un matrimonio indissolubile può essere considerato morto e che la chiamata di Dio a essere fedele al proprio impegno irreversibile, in suo nome, al coniuge legittimo, o non esiste o a un certo punto non dovrebbe essere ascoltata.

Bordeyne rispondendo a Rosica ha detto anche di aver particolarmente apprezzato il fatto che Amoris laetitia (paragrafi 36 e 37) “affronti il ​​tema della coscienza insieme a quello dei limiti personali”, in altre parole: la nostra coscienza ci dice di cosa siamo capaci a un certo punto delle nostre vite, tenendo conto delle nostre debolezze. Qualcosa che suona pericolosamente vicino all’etica della situazione.

[…]

Anche la visione della famiglia di Philippe Bordeyne merita una menzione. In un’intervista a La Croix dell’aprile 2016, come citato dal sito web cattolico conservatore Riposte catholique, ha descritto la visione della famiglia del papa come segue: “Mi colpisce la sua insistenza sul carattere sociale della persona. Tradizionalmente, la Chiesa presenta la famiglia come ‘la cellula fondamentale della società’, una formula piuttosto astratta. Papa Francesco, invece, mostra concretamente come sia un microcosmo dove ogni persona impara a conoscere la vita nella società: attraverso la tenerezza della madre, attraverso la magnanimità del padre… Le sue espressioni parlano da sole: ‘La madre che protegge il bambino con affetto e compassione lo aiuta a vivere il mondo’. La società ha bisogno della famiglia – che non si ferma al triangolo piccolo borghese di padre, madre e figli – perché è il luogo in cui ogni individuo cresce come persona in relazione. Disprezzare famiglie diverse sarebbe anche disprezzare questo lavoro di socializzazione”.

L’espressione “famiglie diverse” in Francia evoca unioni coniugali non tradizionali: famiglie miste, così come coppie conviventi e dello stesso sesso con figli.

[…]

Fonte: lifesitenews.com

Nella foto, monsignor Philippe Bordeyne

https://www.aldomariavalli.it/2021/03/12/addio-giovanni-paolo-ii-listituto-intitolato-a-papa-wojtyla-ha-un-direttore-relativista-e-intanto-gli-studenti-fuggono/

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