Se “realtà” e “discernimento” superano la norma morale. Anche per la Chiesa
I primi capitoli di Anna Karenina, un capolavoro della letteratura universale, narrano le disgrazie che capitano a Stepan Arkadi Oblonski. In un’occasione è stato infedele alla moglie con la governante francese e, consapevole della situazione, Daria Alexandrovna decide di porre fine al matrimonio e di allontanarsi con i figli dalla casa di Stepan.
La scorsa settimana è uscito in Italia un nuovo libro di Marco Marzano intitolato La casta dei casti. I preti, il sesso, l’amore, in cui si analizza l’esercizio della castità nei sacerdoti e nei seminaristi cattolici sulla base di interviste e altri resoconti. Non è un libro scritto contro la Chiesa e per il solo scopo di derisione; presenta una situazione più che preoccupante, le cui conclusioni portano ad affermare che le promesse del celibato sono a malapena adempiute e che è assente nella stragrande maggioranza dei sacerdoti, secundum vel contra natura. Va notato, tuttavia, che l’autore si basa su un campione ridotto che non consente di universalizzare la conclusione come fa lui, ma è comunque significativo, soprattutto quando si colloca nel quadro delle notizie che compaiono quasi quotidianamente sulle usanze sacerdotali in tutti i paesi del mondo.
Entrambi i testi – quello di Tolstoj e quello di Marzano – mi portano a una riflessione: data una situazione concreta e reale, è preferibile che la canna si pieghi o si spezzi, come si sarebbe chiesto il suicida Leandro Alem [avvocato, politico e rivoluzionario argentino, noto per aver fondato l’Unione Civica Radicale e aver guidato due insurrezioni armate, ndr].
Daria Alexandrovna decise che, sebbene il suo cuore si struggesse per il dolore, la canna doveva spezzarsi ma mai piegarsi; mai cedere e mai addolcire i principi. Come dice lei: “I miei figli non possono vivere sotto lo stesso tetto di un libertino”. Non si tratta di discutere la maggiore o minore prudenza della moglie di Oblonski; sarà, quello, argomento per moralisti e confessori. Si tratta di osservare l’atteggiamento che questa donna assume nei confronti dell’avvenimento e di guardare l’atteggiamento che sta assumendo un’altra donna – la Chiesa – nei confronti di un evento analogo.
Riducendo la situazione agli elementi di base, si potrebbe affermare quanto segue: la realtà mostra che l’adempimento del sesto comandamento e, di conseguenza, del nono, è una finzione. Sono scarsi i casi in cui si verifica tra le persone single, sposate o i consacrati. Cosa facciamo? Continuiamo a insistere sul rispetto di una regola esterna – i comandamenti morali e le leggi – o accettiamo la realtà e ci conformiamo a essa, cercando di minimizzare il danno e alleviare gli uomini dal dolore psichico causato dall’abitudine di infrangere una regola di impossibile osservanza?
Guardiamolo dal punto di vista di Alem: pieghiamo la canna o la spezziamo? La rottura della canna provoca danni irreparabili, e di questo può dare fede la povera Daria Alexandrovna. E ancora, per rimanere nell’impero russo, Nicola II, il quale non volle che la canna si piegasse, essendo perfettamente consapevole che si sarebbe rotta, il che avrebbe significato che la sua famiglia sarebbe finita come a casa Ipatiev. Anche santa Maria Goretti ha preferito che la canna si rompesse, così come i martiri della guerra civile spagnola e tante migliaia di santi che la Chiesa venera.
Fornicazione, adulterio e preti infedeli sono sempre esistiti, ma questi peccati implicavano non solo la condanna della Chiesa ma anche la condanna sociale, le cui pene erano estremamente gravi quando i fatti venivano alla luce. Da qualche decennio, però, la società non solo non condanna più ma, anzi, celebra ed esalta l’impuro, l’adultero e il sacrilego, innalzando attivamente il diritto universale alla fornicazione, che merita molto più rispetto di altri più fondamentali, come il diritto alla vita. Guardiamo, per esempio, alla Spagna che legalizza l’aborto, l’eutanasia e il matrimonio omosessuale.
I papi immediatamente prima di Francesco, di fronte a questa situazione, non hanno avuto dubbi nella difesa della fede e dei suoi principi secolari. La canna sarebbe rimasta innalzata a tutti i costi, nel peggiore dei casi si sarebbe spezzata, ma non si sarebbe mai piegata. E così è stato. Il mondo si è scagliato contro la morale di Giovanni Paolo II e, soprattutto, contro Benedetto XVI.
Non potevamo chiedere a Bergoglio, che è un peronista, di adottare i principi del radicale Leandro Alem, ma avevamo il diritto di esigere che adottasse i principi della Chiesa. Ma non l’ha fatto. Ha cambiato politica. Per evitare ulteriori danni – secondo gli standard mondani – per evitare che la canna si rompesse, doveva essere piegata. E così il diritto universale alla fornicazione cominciò ad avere spazio nel corpus dottrinale della Chiesa.
Bergoglio ha sostituito i principi morali – chimere ideate dai suoi disprezzati teologi – con i suoi famosi “discernimenti”. Lo ha detto a chiare lettere in un testo chiave di cui non è stata ancora valutata l’estrema gravità: “La teologia morale non può riflettere solo sulla formulazione dei principi, delle norme, ma occorre che si faccia carico propositivamente della realtà che supera qualsiasi idea”. È la realtà che domina e non i principi. La canna deve essere in costante esercizio di flessione, ma mai rompersi.
Quanti sono ancora i confessori che avvertono i penitenti che la fornicazione è un peccato mortale? Quelle che fino agli anni di Giovanni Paolo II erano chiamate “relazioni prematrimoniali” ora si sono trasformate in pratiche abituali e universalmente accettate, in contrasto diretto con i comandamenti di Dio e della Chiesa. È il discernimento che consente queste licenze, e ciò che era peccato non lo è più.
Con Amoris laetitia Bergoglio ha legalizzato l’adulterio, che sebbene fosse una pratica più o meno diffusa lo era con discrezione e con certi dubbi da parte di sacerdoti e fedeli. Ora è solo questione di discernimento. In soli dieci minuti mi riconcilio con la realtà, che supera ogni idea, e mi allontano dalle norme morali. Sono libero di vivere in adulterio e di tornare a essere un felice cattolico con pieni diritti nella Chiesa.
L’ultimo passo del pontefice è stato nei confronti di una variante del diritto universale a cui abbiamo fatto riferimento. In questo caso, il diritto alla fornicazione omosessuale. Con una sua tattica molto tipica, ha ordinato la comparsa di un sorprendente e categorico documento della esecrata Congregazione per la dottrina della fede, sempre associata nell’immaginario al cardinale Ratzinger, affermando che le relazioni omosessuali sono peccaminose, e pochi giorni dopo ne ha preso le distanze, aiutato dall’apparato di stampa internazionale che ne è dipendente. Il messaggio è che anche in questi casi è necessario discernere, confrontarsi con la realtà e rendere più flessibili le norme morali. Piegare la canna.
Non mi sfugge che se Francesco avesse mantenuto la dottrina del depositum fidei e avesse preferito che la canna finalmente si spezzasse, le conseguenze sarebbero state, forse, le peggiori nella storia della Chiesa. Se anche torcendola come già ha fatto, i tedeschi, i belgi e gli austriaci gli si stanno ribellando, possiamo immaginare cosa succederebbe se si ostinasse a non cedere di un solo passo: rimarrebbe un piccolo gregge fedele alla fede ricevuta dai nostri genitori.
Fervida immaginazione di questo modesto blogger? No. Lo disse Joseph Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, nel 1969, quando era ancora prete e professore di teologia. E aggiungeva che sarebbe stato proprio in questo residuo di fedeli in cui gli uomini del mondo, disgustati dalla loro solitudine e dalla loro vita materialistica, avrebbero trovato la risposta per una rinascita della fede.
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